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Opera Omnia. Roma, agosto settembre 1978. Appendice. Indici PDF

609 Pages·2011·1.64 MB·Italian
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A LBINO L UCIANI GIOVANNI PAOLO I 9 opera omnia edizioni messaggero padova ALBINO LUCIANI GIOVANNI PAOLO I OPERA OMNIA IX Uso interno di LdS.it A cura del Centro di spiritualità e di cultura «Papa Luciani» 32035 S. Giustina Bellunese, Belluno Uso interno di LdS.it ALBINO LUCIANI GIOVANNI PAOLO I OPERA OMNIA Volume IX Roma, agosto-settembre 1978 Appendice, Indici Uso interno di LdS.it I edizione 1989 II edizione 2011 ISBN 978-88-7026-849-6 ISBN 978-88-250-2896-6 (PDF) ISBN 978-88-250-2897-3 (EPUB) © 1988 Prov. Pad. F.M.C. Editrice Grafiche Messaggero di S. Antonio Uso interno di LdS.it PREMESSA Alla fine di un’opera si possono formulare delle conclusioni e, an- che senza voler entrare nell’ambito della personalità umana e religiosa di un autore, si è soliti avanzare delle ipotesi sulle motivazioni che lo hanno ispirato, sulle fonti utilizzate, sul suo stile e la sua cultura. Distin- guere un sacro e un profano nell’opera di Albino Luciani è difficile, dal momento che tutta la sua vita fu orientata da una tensione religiosa, da una motivazione apostolica, pastorale. La sua originalità fu di orientarsi verso il «bonum animarum» immediato: l’ambiente di provenienza può averne costituito l’avvio ispiratore, i suoi orizzonti furono lasciati alla provvidenza di Dio. Considerando la sua cultura profana non si può dire, ad esempio, che le citazioni di Dante, per lo più della Divina Commedia, rientrino nel solco di un sapere avulso dal sacro. Sia il suo Dante, come il suo Manzoni, sono sempre fonti cristiane per un discorso religioso. Perfino i fatti sociali e politici che egli ricorda rientrano di solito nella cornice di cui l’ecclesiastico, l’uomo e il pastore di chiesa devono interessarsi per maturare un giudizio o formulare un consiglio. Non sono mai avulsi dalla responsabilità del vescovo. Chi lo conobbe da vicino ricorda che leggeva e scorreva diversi quotidiani di informazione, così come seguiva la pubblicistica cattolica più aggiornata. Prendeva appunti, trascriveva brani, ritagliava articoli, incollava, preparando degli schedari a temi, il più vistoso dei quali era quello sulla chiesa. Alzandosi molto presto al mattino poteva dedicare diverse ore della giornata alla preghiera e allo studio, impiegando per di più qualche pomeriggio esclusivamente alla lettura. Lavoro dunque sistematico e assiduo per l’informazione e per l’aggiornamento della cul- tura ecclesiastica, andando sempre al nocciolo essenziale dei problemi, con una forte capacità di sintesi e di soluzione delle questioni «disputa- te», che non furono poche negli anni posteriori al concilio. È interessante l’evoluzione del suo pensiero, avvenuta lungo gli anni delle discussioni conciliari. Mentre prima, ancorato alla dottrina tradizionale, restava quanto mai avvinto ai modelli tridentini di im- postazione «scolastica», dopo il concilio ritenne di dover illuminare progressivamente i suoi fedeli sui mutamenti intervenuti, sulle riforme liturgiche, sulle variazioni di prospettiva e di rapporto all’interno della chiesa o tra la chiesa e il mondo. Il concilio aveva maturato tutta una serie di nuove idee nelle quali aveva modo di cimentarsi e di applicarsi. L’aspetto saliente della sua visione della realtà è probabilmente quello dell’integrità della fede, rivissuta nella dottrina esplicitata al po- polo cristiano. Vi si era preparato e costantemente vi si cimentava: la Uso interno di LdS.it sua prima lettera al clero di Vittorio Veneto per la quaresima del 1960 è emblematica1. Presentando e parafrasando un discorso del papa ai qua- resimalisti e ai parroci romani, aveva modo di dare un saggio della sua didattica a servizio del lavoro apostolico. Lo faceva sempre con uno stile asciutto, mai peraltro alieno dal presentare qualche episodio grazioso, attinto, per non offendere, a personaggi del passato, come san Bernar- dino da Siena o san Francesco di Sales. Ricordando che il papa soste- neva come il predicatore dovesse «assommare in sé le doti del maestro, dell’educatore, dello psicologo», sosteneva che, a propria volta, il mae- stro doveva «avere idee, trasmetterle ad altri, farle ritenere». Ma come si poteva possederle, senza leggere assiduamente? «Se non si studia, non solo non entrano nella testa idee nuove, ma scappano anche quelle che già c’erano, piallate via dal tempo, da idee e preoccupazioni estranee al ministero della predicazione». In queste tematiche egli ritrovava se stesso e la sua pedagogia, già espressa in Catechetica in briciole fin dagli anni di Belluno, il suo sforzo educativo, il suo amore nel trasmettere delle verità, il sereno impegno di riuscire efficace. Sempre nello stesso testo scriveva: «Un maestro, che intenda non essere puro pedagogo e istruttore, ma anche educatore, deve trasmettere non solo idee, ma l’amore, la passione delle idee tra- smesse. Si tratta di pensieri che devono servire per la vita e sfociare in azioni buone». Continuava insistendo sulla necessità del parlare sem- plice, concreto, colorito, sul provocare effetti vivi, magari dicendo cose molto comuni, dialogando con il proprio pubblico, usando proverbi popolari, scene ritratte al vivo, esempi di vita vissuta dall’uditorio. Non si capisce la cultura di Albino Luciani se non partendo dalla sua visione apostolica della vita, trasmessa all’imparare, al sapere e, quindi, all’agire. Un tale tipo di cultura e di didattica non si possono improvvisare: oc- correva averle vissute per necessità di vita, più ancora che per sforzo di apprendimento. Va ricordato che nel secolo scorso la cultura era ristretta a poche cerchie elitarie. Dal momento che gli studi superiori e quelli universitari erano limitati ai ceti sociali più facoltosi, gli ecclesiastici al servizio delle rispettive parrocchie avevano una notevole funzione nei piccoli e me- di centri urbani; se avevano compiuto con coscienziosità il curriculum degli studi, si presentavano con un bagaglio intellettuale indispensabile per insegnare le scienze sacre, e al tempo stesso diventavano anche uo- mini di cultura generale per il proprio popolo. La formazione di Albino Luciani va collocata in questa cornice di problemi. Il suo fu uno sforzo continuo di traduzione didattica per portare verità eterne nella mente e nel cuore del suo tempo. Egli volle 1 BVV, XLVIII (1960), pp. 113-123. 6 Uso interno di LdS.it continuamente rivivere la cultura del suo pubblico, cercando di mu- tuarne il linguaggio, le immagini, le forme mentali; quelle della gente che, cimentandosi nel concreto della vita, sapeva vivere o sopravvivere nel quotidiano, orientando il comportamento verso le grandi prospet- tive evangeliche. Egli pensava al suo pubblico e anche a quanti dello stesso se ne sarebbero curati in futuro. Dopo la seconda guerra mondiale si veniva formando un altro ti- po di uomo, forse più labile quanto a forza di vivere e di sopportare, con minore fede nei massimi principi, con scarsa solidarietà sostanzia- le anche se molto propagandata verbalmente. Un uomo, se si vuole, con maggiore cultura, ma anche più polemico. Nuovi ceti emergenti si profilavano all’orizzonte, più provveduti nel benessere, ma con non minori problemi di quelli delle generazioni precedenti. Se la cultura segue la persona, e la didattica segue la cultura, con il suo scarno parlare monsignor Luciani si poneva quale antesignano del moderno. Più che la cultura, egli inseguiva l’uomo e la donna d’oggi, che nel contempo ac- quistavano una propria differenziata consistenza pubblica dalle svariate prospettive. La sua cultura cercava il dialogo per offrire le realtà eterne con la preoccupazione di un linguaggio continuamente rinnovato. Si nota tutto questo fin dal primo lavoro, Catechetica in briciole, che nel suo genere risulta un piccolo capolavoro per semplicità e con- cisione. Forse nessuno aveva pensato di offrire norme tanto ovvie per i giovani catechisti che si avventuravano nell’impresa di spiegare verità profonde. L’operetta ebbe subito una rapida fortuna, così da raggiunge- re diverse edizioni, traduzioni, e da essere ripubblicata da Jean Guitton in un unico volume con un proprio lavoro. Monsignor Luciani si sentiva debitore della tradizione catechetica dei fratelli delle scuole cristiane. La sua originalità stava però nell’in- trodurre una didattica sistematica nell’insegnamento catechistico delle parrocchie: se la sostanza era quella stessa offerta dal catechismo di Pio X, egli ne aggiornava i metodi di insegnamento. Pensava di preparare i nuovi quadri per un lavoro capillare in estensione e profondo nella sostanza. Del resto, durante gli anni della guerra e del dopoguerra vi era altro da pensare che elaborare nuove sintesi teologiche e dottrinali. Queste vennero più tardi, dai paesi e dai teologi d’oltralpe, che viven- do a contatto con altre confessioni cristiane ne mutuarono in un certo senso le problematiche, rifluite poi nel concilio Vaticano II. C’era allora tutta una strada di vita cristiana da percorrere e che aveva prodotto esempi illustri. La sostanza c’era; andava divulgata, perfezionando il me- todo; occorreva saper spiegare senza stancare. Effettivamente egli riusciva a intrattenere il suo pubblico, a rac- contare, a scrivere. Scrittore di rara efficacia plastica, poteva ricostruire dei quadretti di vita vissuta, tratteggiando le situazioni con garbo psi- cologico, finalizzato sempre a un discorso etico-religioso. Si veda, ad 7 Uso interno di LdS.it esempio, proprio nella prima omelia pronunciata nella cattedrale di Vittorio Veneto l’11 gennaio 1959, come sapeva usare episodi di sapore manzoniano, in una cornice di profonda spiritualità. Più che la frase è l’immagine a risaltare nel discorso, fatto per essere pronunciato piutto- sto che scritto. La penna era scorrevole, pur indulgendo talora all’uso di termini non più moderni, quando non erano coniati. La lingua italiana era usata per farsi capire con efficacia, piuttosto che diventare un model- lo per i posteri, con quel suo stile inconfondibile, ricco di bei pensieri, di immagini accattivanti. Volendo poi fare qualche piccola digressione all’interno della sua cultura, ecclesiastica e profana, almeno da quanto si scopre dalle citazio- ni riportate a piè di pagina dei suoi scritti, a cominciare dagli anni 1959- 1962, si nota un crescendo di interesse per i Vangeli. Matteo è il più citato; secondo viene Luca, terzo Giovanni, ultimo Marco. Degli altri libri del Nuovo Testamento seguono, nell’ordine, le lettere ai Corinti, a Timoteo, agli Ebrei, mentre sono scarsi i riferimenti alle altre opere. Per l’Antico Testamento risulta un certo interesse per i profeti Ezechiele e Isaia; sono poco citati gli altri libri. Sempre in questo periodo, ricorda spesso Agostino, Dante, l’Imi- tazione di Cristo, san Francesco di Sales, il Manzoni de I promessi sposi. Di tanto in tanto fanno capolino diversi ed eterogenei scrittori come Ojetti, Tagore, Daudet, Eliot, Prati, Giusti, o anche Einaudi e Monta- nelli, utilizzati però sempre come «probationes» di un disegno sacro, che include volentieri Trilussa e Piene l’Ermite. Si delineava in questo modo un’inclinazione che doveva maturare più tardi, ma che era stata già ben predisposta, vale a dire quel suo interesse per i mass media in genere e per il giornalismo in particolare. In una serie di lezioni tenute dal 26 al 28 settembre 1968 al clero sui problemi catechistici, parlò anche del giornalismo. Egli si sentiva un po’ giornalista: ne aveva la passione, la sensibilità, sapeva riviverne il mestie- re, anche se ne avvertiva i pericoli per il suo operare. Sempre esaminando le citazioni dei suoi scritti si può individuare un certo stile nell’affrontare le questioni. Specialmente dagli anni del concilio in poi si sviluppava, soprattutto in Italia, e in particolare nella cultura cattolica periferica, la circolazione di una pubblicistica, per lo più fatta di traduzioni dal francese o dal tedesco, magari dal sapore leg- germente gallicano o protestante, talora venata di polemica nei confron- ti dello spirito romano. Nell’area cattolica si radicava l’idea che la Sacra Scrittura andava letta e citata, che occorreva sempre indicare la fonte delle proprie conoscenze, che si stava ridimensionando il culto della personalità e le affermazioni andavano accompagnate da corrispondenti prove. Non fa quindi meraviglia che le pagine degli scrittori cattolici si riempissero di note scritturistiche o patristiche, mentre diminuiva l’ap- parato attinto all’apologetica ottocentesca. Quest’ultima, soprattutto di 8 Uso interno di LdS.it matrice francese, era più conosciuta in Italia anche perché quella lingua veniva comunemente insegnata nelle scuole: ne conseguiva che l’osmosi della cultura francese con la nostra risultava privilegiata. Monsignor Luciani tuttavia aveva anche altri interessi culturali. Dante e Manzoni, letti e riletti, magari imparati a memoria come si usava per tanti passi significativi; san Francesco di Sales, di cui raccon- tava aver avuto tra le mani fin dall’infanzia un’edizione della Filotea e del quale, negli anni veneziani, aveva potuto procurarsi l’Opera omnia. Parlando e, soprattutto, consegnando lo scritto alla stampa occor- reva documentarne le fonti. L’esame delle citazioni può essere perciò significativo per individuare gli interessi culturali; in ogni caso qualifica la graduatoria delle attenzioni specifiche. Nel 1963, curiosamente, del Nuovo Testamento egli citava in maggior quantità le lettere a Timoteo, quindi l’evangelista Matteo; seguono Luca e Giovanni, le lettere ai Co- rinti, ai Romani, ai Filippesi. Marco e Pietro vengono dopo. Nel 1964, del Nuovo Testamento primeggia Matteo: quindi Luca, le lettere ai Co- rinti, Giovanni, gli Atti degli apostoli, Marco, la lettera ai Filippesi, Pie- tro. Invece, in questo, a differenza degli altri anni, compaiono numerose indicazioni attinte dal Vecchio Testamento, con inclusione di diversi libri, senza particolari preferenze. Qualche scarso interesse per i Padri, Agostino, Ambrogio, Gregorio Magno; compaiono anche Bernardo e Francesco d’Assisi. Altrettanto si dica nel 1965, dove si mantengono praticamente gli stessi interessi per i diversi libri della Scrittura. In più, primeggia una certa attenzione per l’Apocalisse e la lettera agli Ebrei; tra gli altri scrittori, Dante e in numero maggiore i Padri della chiesa. Il 1965 è l’anno della chiusura del concilio, cosicché d’ora in poi cominceranno l’interesse continuo e lo studio dei testi conciliari, nuo- vo codice della cultura ecclesiastica. Dal 1966 si nota una quantità di citazioni dei vari documenti: più di un centinaio quelle di Presbyterorum ordinis. Significativo che, più di tutti gli altri testi, monsignor Luciani abbia avvertito l’importanza di ricordare quello concernente il mini- stero e la vita sacerdotale; più ancora di Lumen gentium, che riguarda la chiesa stessa, testo citato un terzo di volte rispetto al documento pre- cedente. Meno ancora sono ricordati Ad gentes, sull’attività missiona- ria, Gaudium et spes, sulla chiesa nel mondo contemporaneo, Christus Dominus, sull’ufficio pastorale dei vescovi. Tutto ciò era espressione del nuovo clima che maturava nella cristianità. Nello stesso periodo, dai suoi discorsi diminuiscono molto le citazioni bibliche, patristiche, let- terarie. Non aveva tempo di interessarsi d’altro: al primo posto, restava, comunque, san Matteo. Nel 1967, discorso pressoché analogo: vale a dire, attenzione quasi esclusiva per i testi conciliari, con la variante di ricordare, più di tutto il resto, la Populorum progressio di papa Montini; seguono Gaudium et spes, Dei Verbum sulla rivelazione divina, Presbyte- 9 Uso interno di LdS.it

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