Di solito sono gli dèi che fulminano gli uomini. In questa raccolta di scritti, invece, abbiamo un (cid:3065)losofo che fulmina gli dèi, al plurale come al singolare. E non è detto che le sue saette siano meno micidiali di quelle celesti. Eccone qualcuna: “Se un dio ha fatto questo mondo, io non vorrei essere quel dio, perché il dolore del mondo mi strazierebbe il cuore”. Oppure: “Quando uno comincia a parlare di Dio, io non so di che cosa parli”. Infatti “le religioni, tutte, sono prodotti arti(cid:3065)ciali”. Se Nietzsche, con l’enfasi abituale, proclama la morte di Dio, Schopenhauer, ora con il suo sarcasmo ora con la sua logica implacabile, quel dio lo uccide davvero, togliendo qualsiasi validità teoretica al teismo. Anacleto Verrecchia Di Arthur Schopenhauer (1788-1860) BUR ha pubblicato Aforismi per una vita saggia, Colloqui, Meta(cid:3052)sica dell’amore sessuale, Il mondo come volontà e rappresentazione, O si pensa o si crede, Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente. Arthur Schopenhauer O SI PENSA O SI CREDE Scritti sulla religione Introduzione di Anacleto Verrecchia Traduzione di Bettino Betti e Anacleto Verrecchia CLASSICI DEL PENSIERO Proprietà letteraria riservata © 2000 RCS Libri S.p.A, Milano eISBN 978-88-58-65720-1 Prima edizione digitale 2013 In copertina: illustrazione © Andrea Ventura Progetto grafico di Mucca Design Per conoscere il mondo BUR visita il sito www.bur.eu Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. INTRODUZIONE La religione, nel migliore dei casi, sta alla (cid:3065)loso(cid:3065)a come una gamba di legno sta a una gamba vera; ma siccome la gente è intellettualmente zoppa, per non dire sciancata, la gamba di legno prende molto spesso il posto di quella vera. E (cid:3065)n qui non ci sarebbe niente di male, dato che ognuno cammina come può. In mancanza di cavalli, dice il proverbio, si corre con gli asini. Se però quella gamba di legno pretende di essere essa la gamba vera, e chi la usa minaccia di azzoppare anche quelli che zoppi non sono, allora bisogna reagire energicamente, e senza masticare le parole. È proprio quello che fa Schopenhauer in questi scritti, alcuni dei quali ancora inediti per il lettore italiano. Piluccati qua e là dalle opere del grande (cid:3065)losofo, soprattutto dai Parerga e paralipomena, tali scritti sono il miglior antidoto contro il rigurgito pauroso di clericalismo e di superstizione. Il compito di tradurli era stato a(cid:3067)dato al mio carissimo amico Bettino Betti, un vero maestro in quest’arte; ma il destino ha voluto che egli non facesse in tempo a terminare il lavoro: se n’è andato come era sempre vissuto, con dignità e discrezione, lasciando un grande rimpianto in chi gli voleva bene e un grande vuoto nella cultura. Il vasto pubblico non lo conosceva? Poco importa: il meglio, dice Nietzsche, resta nascosto. Gli Dei Mani, se esistono, gli siano benigni. Ma forse non sarà benigno lui, perché, con la parola scaltra e la logica che lo distinguevano, vorrà chiedere ragione dei mali che a(cid:3068)iggono questo povero mondo. Poco prima di morire, mi commentò sarcasticamente, sulla scia di Schopenhauer, l’assurda idea di un dio personale che crei il mondo dal nulla e poi giudichi anche la condotta di chi è costretto a viverci. Se un tale dio esistesse per davvero, come favoleggiano i chierici, mi piacerebbe vederlo assalito da quella mangusta dialettica di Betti. Anche se lasciata in sospeso, la traduzione dei testi di Schopenhauer si deve in gran parte al mio amico. Io l’ho soltanto sistemata e corredata di riferimenti bibliogra(cid:3065)ci. Ma ho anche tradotto alcune parti, precisamente i pensieri tratti dalla raccolta di manoscritti pubblicati postumi (Nachlass) e dai Colloqui (Gespräche), più un capitolo del Mondo come volontà e rappresentazione e una nota dei Parerga. Il Nachlass, in sei volumi, è di grande importanza per chi voglia studiare il sorgere o il formarsi del sistema (cid:3065)loso(cid:3065)co di Schopenhauer. Oltre a ciò contiene molte cose non utilizzate dal pensatore. Qui egli scrive di getto e per se stesso, prendendo appunti e annotando le idee che a mano a mano gli si a(cid:3064)ollano nella testa; ma è proprio questo che conferisce immediatezza e interesse al Nachlass. Come certi abbozzi di Michelangelo sono ancora più eloquenti dell’opera (cid:3065)nita e levigata, così i pensieri abbozzati sul momento da Schopenhauer fanno quasi più e(cid:3064)etto della loro rielaborazione nelle opere sistematiche. In essi comunque c’è già, a grandi linee, la concezione fondamentale della sua (cid:3065)loso(cid:3065)a. Ed è a(cid:3064)ascinante vedere, mediante il Nachlass, come il giovane Schopenhauer, specialmente negli anni di Dresda, vada a caccia di idee e raccolga materiale per costruire il superbo edi(cid:3065)cio del Mondo come volontà e rappresentazione. Questo è un (cid:3065)losofo che non trebbia mai paglia vuota: tutto quello che scrive, fosse pure una nota marginale, ha sostanza. Particolarmente sostanziosi, oltre che belli e appetitosi, sono gli aforismi disseminati qua e là nel Nachlass. Li chiamerei funghi reali del suo pensiero. E più sono brevi e concisi, più sprigionano energia. Alcuni suonano secchi come una schioppettata e lasciano dietro di sé odore di polvere bruciata. Altri sono, per così dire, lampeggiati e fanno più luce di un trattato. Quelli più micidiali hanno per bersaglio la religione. Qualche esempio pescato a caso: «Quando uno comincia a parlare di Dio, io non so di che cosa parli». Oppure: «Non esiste alcuna religione naturale. Le religioni, tutte, sono prodotti arti(cid:3065)ciali». E se Nietzsche, con l’enfasi che gli è abituale, proclama la morte di Dio, Schopenhauer, quel dio, lo uccide veramente, togliendo qualsiasi validità teoretica al teismo. Che strano mondo! Nessuno è mai riuscito a decifrare l’enigma dell’esistenza, e così viviamo avvolti da una nebbia con visibilità zero, senza sapere né da dove veniamo, né chi siamo, né dove andiamo. Le mirabolanti scoperte scienti(cid:3065)che dell’epoca moderna riguardano solo il come, non il perché delle cose, quindi hanno un’importanza esteriore, non interiore. Detto altrimenti, il mondo ha una causa meta(cid:3065)sica, non (cid:3065)sica; e poiché non possiamo conoscere ciò che è meta(cid:3065)sico, il mistero resta insolubile e sta davanti ai nostri occhi così intatto come davanti a quelli dei primi veggenti. E resta intatto, nella sua validità, anche il socratico: «So soltanto di non sapere niente». Siamo nel buio completo e non possiamo fare altro che procedere a tastoni, così come fa il lombrico che si protende di qua e di là alla ricerca di un appiglio. Oppure come fanno i coleotteri con le loro antenne. A Vienna, quando parlavamo di questo problema, Karl Popper soleva ripetermi la sua frase lapidaria: «Somigliamo a un uomo scuro che cerchi in una stanza buia un cappello nero che forse non c’è». Insomma non sappiamo, meta(cid:3065)sicamente parlando, niente di niente; e anche quando crediamo di aver carpito un segreto alla natura, non è detto che quel segreto sia la chiave della verità. Ma i preti sostengono di avere, al riguardo, delle rivelazioni speciali. In tutte le epoche e in tutti i paesi non sono mai mancati quelli che, spacciandosi per segretari del Cielo, dessero a intendere di avere la verità in tasca. Bisogna però distinguere tra religione e religione, perché, contrariamente a quello che dice Robert Burton nella sua Anatomy of Melancholy, non è vero che una religione vale l’altra. Per esempio il buddhismo, che non è latte per bambini e attiene più alla (cid:3065)loso(cid:3065)a che alla religione, è cosa ben diversa dal cristianesimo: metterli sullo stesso piano signi(cid:3065)cherebbe bestemmiare contro lo spirito. Il buddhismo, cui è estraneo tanto il concetto di un dio creatore quanto quello di eresia, non ha mai istituito una dittatura ideologica, così come nessuno è mai stato bruciato vivo in suo nome. Le religioni peggiori e più anti(cid:3065)loso(cid:3065)che sono quelle monoteistiche, come dimostra Schopenhauer. E sono anche le più funeste, perché un dio unico è per natura geloso del suo potere e si comporta come quegli alberi che non lasciano crescere nient’altro intorno a sé, per esempio il pino o l’eucalipto. Il monoteismo genera il fanatismo, il fanatismo l’odio e l’odio le guerre di religione. C’è forse bisogno di ricordare che l’Europa è stata per secoli insanguinata in nome del dio biblico? Sentiamo il nostro (cid:3065)losofo: «Si guardi indietro a tutte le guerre, ai disordini, alle ribellioni e alle rivoluzioni in Europa dall’ottavo al diciottesimo secolo: se ne troveranno ben poche che non abbiano avuto come seme, o come pretesto, una qualche contesa religiosa [...]. Tutto quel millennio è un continuo ammazzare, ora sul campo di battaglia, ora sul patibolo, ora per le strade». Solo durante quel millennio? Anche prima, anche prima! Si pensi, per esempio, alla furia omicida che traspare dal De errore profanarum religionum del cristiano Firmico Materno, vissuto nel IV secolo. Non soddisfatto di veder distrutti gli splendidi templi pagani, quel fanatico sanguinario, che si richiamava continuamente al Vecchio Testamento, voleva anche l’eliminazione (cid:3065)sica dei non cristiani: «Tutto il popolo si armi per fare a pezzi gli idolatri! ». E quali fossero gli e(cid:3064)etti di simili crociate possiamo leggerlo nell’accorato discorso Pro templis di Libanio o nelle sdegnate testimonianze di Eunapio. La furia dei nuovi redentori non risparmiò neppure la biblioteca e il meraviglioso Serapeo di Alessandria d’Egitto, che Ammiano Marcellino ci descrive come il più bel tempio del mondo dopo il Campidoglio di Roma. La distruzione di quella meraviglia, avvenuta nel 391 su ordine del vescovo Teo(cid:3065)lo, suscitò orrore nel mondo, ma alcuni padri della Chiesa, fra cui san Gerolamo e san Paolino, ne gioirono. E oggi? Ci si scanna e si compiono nefandezze per lo stesso motivo, come dimostrano gli eccidi nel Kosovo o nell’isola indonesiana di Timor. Follia umana: pur essendo gli uni e gli altri monoteisti, cristiani e musulmani si sono sempre fatti e continuano a farsi la guerra. Così vuole il loro rispettivo dio unico! Nella Roma pagana non si conoscevano le guerre di religione. Gli dèi vivevano paci(cid:3065)camente l’uno accanto all’altro, perché al politeismo, come dice David Hume nei suoi profondi saggi sulla religione, è sempre stata estranea l’intolleranza. E quanto fossero numerosi, quegli dèi, possiamo vederlo non solo dai vari templi che sono rimasti, ma anche da un passo del Satyricon di Petronio: «La nostra regione è così piena di numi tutelari che vi si può trovare più facilmente un dio che un uomo». Ma non risulta che qualcuna di quelle divinità ordinasse ai suoi adoratori di sterminare gli adoratori di un’altra divinità. Tutti quegli dèi non facevano la faccia truce ed erano piuttosto dei giocherelloni. Più che il sangue fecero versare l’ambrosia. E anche l’acqua, perché la Roma pagana era piena di bagni e di terme. Poi arrivarono i cristiani e l’igiene fu bandita. Il cielo si rannuvolò: il dio unico non rideva, così come non ridevano i suoi seguaci. Chi ha mai visto l’ombra di un sorriso in una qualsiasi ra(cid:3067)gurazione cristiana? Certe raccolte di arte sacra, come la Galleria di Brera a Milano, richiamano alla mente ora una sala mortuaria ora una anatomica. Invece Buddha, il «perfetto vincitore», come lo chiama Schopenhauer, sorride. E ne ha ben donde, perché egli è il saggio illuminato che ha saputo liberarsi dalle passioni, ossia dal saṁsāra, e diventare puro soggetto della conoscenza. Torniamo a Schopenhauer, che con logica implacabile, ma spesso anche con sarcasmo micidiale, prende per le corna la teologia e l’atterra. Già l’idea che un essere personale, come vuole il teismo, abbia creato il mondo dal nulla è di un’assurdità colossale e fa a pugni con l’assoluta certezza che dal nulla non si crea nulla. Queste cose si possono forse credere, dice il (cid:3065)losofo, ma non pensare. Oltre a ciò il teismo pone all’esterno quello che è all’interno: la causa del mondo va cercata nel mondo stesso e non fuori di esso. E siamo noi stessi, non un individuo diverso e staccato da noi, causa della nostra vita. Qui Schopenhauer è in perfetta sintonia con il buddhismo. Alla religione, che chiama meta(cid:3065)sica popolare, egli riconosce tutt’al più un valore allegorico, dato che la (cid:3065)loso(cid:3065)a è fatta per pochi: «Le religioni, essendo state calcolate sulla capacità di comprensione della grande massa, possono avere solo una verità mediata, non immediata». Se però le religioni «vogliono opporsi al progresso dell’umanità nella conoscenza della verità, allora, pur con tutta la delicatezza possibile, devono essere messe da parte. E pretendere che per(cid:3065)no un grande spirito – uno Shakespeare, un Goethe – si convinca e accetti implicite, bona (cid:3052)de et sensu proprio i dogmi di qualche religione è come pretendere che un gigante calzi le scarpe di un nano». Disgraziatamente i giganti dello spirito sono molto più rari di quelli (cid:3065)sici, e questo spiega perché i fabbricanti di scarpe o di ciabatte per nani, vale a dire i preti, facciano tanti a(cid:3064)ari. E più si cerca di contrastarli, più essi, i «vu’cumprà» dello spirito, imperversano con la loro paccottiglia: miracoli, stigmate, Madonne di legno che piangono lacrime di sangue, favole insulse e via di seguito. «Quante fantasticherie – dice Lucrezio – essi sanno architettare per sconvolgerti la vita e turbare col terrore ogni tua gioia». E hanno un mezzo sicuro per assicurarsi la credulità del loro pubblico: gli castrano il cervello (cid:3065)n dalla più tenera età e vi imprimono i loro dogmi. In altre parole, lo imprintano. E non c’è dubbio che un dogma ben impresso in un cervello tenero concresca con lui e diventi una specie di idea innata. Per questo la Chiesa ha sempre cercato di accaparrarsi le scuole elementari, più ancora di quelle superiori. Con tale sistema, scrive Schopenhauer, i preti vogliono garantirsi il «diritto di imprimere molto presto i loro dogmi meta(cid:3065)sici negli uomini, ancor prima che la capacità di giudizio si svegli dal suo leggero sonno del mattino, ossia nella prima infanzia: è il momento in cui qualsiasi dogma ben impresso, per quanto insensato possa essere, si (cid:3065)sserà per sempre. Se i preti dovessero aspettare la maturità di giudizio, i loro privilegi non potrebbero esistere». Invece sono sempre esistiti e continueranno a esistere, quei privilegi, almeno (cid:3065)n quando uno Stato veramente libero e laico non impedirà ai preti, che qui potremmo chiamare norcini dello spirito, di castrare il cervello dei bambini. Sentiamo Schopenhauer: «Solo quando il mondo sarà diventato abbastanza onesto da non impartire lezioni di religione ai ragazzi prima del quindicesimo anno di età, ci si potrà aspettare qualche cosa da lui». E aggiunge: «Mediante il precoce indottrinamento, in Europa si è arrivati al punto che la credenza in un dio personale è letteralmente diventata, in quasi tutti, un’idea fissa». La religione, come le lucciole, ha bisogno dell’oscurità per risplendere. Il suo massimo fulgore non lo ha forse avuto nei secoli bui del Medioevo, che il (cid:3065)losofo chiama «la superstizione personi(cid:3065)cata»? Ecco perché i chierici hanno sempre cercato di spegnere la luce, e molto spesso anche la vita di quelli che avevano il brutto vizio di pensare con la propria testa, come dimostra l’Inquisizione: temono la cultura come i vampiri temono l’alba. Voglio fare un esempio, che forse non tutti conoscono: ancora nella seconda metà dell’Ottocento, precisamente il 3 gennaio del 1870, Pio IX, in una lettera, scongiurava Vittorio Emanuele II di fare tutto il possibile per «allontanare un altro (cid:3066)agello, e cioè una legge progettata, per quanto si dice, relativa alla istruzione obbligatoria». Sintassi a parte, non occorre essere anticlericali per dire che questo non è bello. A ogni modo io preferisco il magnanimo Zarathustra, che nell’Avesta raccomanda: «Sii diligente nell’acquisizione del sapere, perché il sapere è il seme della conoscenza, e il frutto è la sapienza». Il cristianesimo è stato sempre avverso alla cultura, (cid:3065)n dall’inizio. Nel Discorso vero o Discorso della verità, il pagano Celso, vissuto nel II secolo, riferisce che i primi cristiani si tenevano alla larga dalle persone colte e che svolgevano la loro propaganda solo tra la marmaglia ignorante: «Nessuno che sia istruito si accosti, nessuno che sia sapiente, nessuno che sia saggio (perché tutto ciò è ritenuto un male presso di loro); ma chi sia ignorante, chi sia stolto, chi sia incolto, chi sia di spirito infantile, questi venga (cid:3065)ducioso!». E infatti essi potevano convertire solo «gli sciocchi, gli ignobili, gli insensati, gli schiavi, le donnette e i ragazzini». Meravigliato, il dottissimo Celso si chiedeva come fosse possibile considerare un male l’essere istruiti e intelligenti: «Che impedimento produrrebbe, questo, ai (cid:3065)ni della conoscenza di Dio? Perché non dovrebbe essere piuttosto un vantaggio e un mezzo con cui si possa pervenire meglio alla verità? Ma noi vediamo bene che anche quelli che nelle piazze vanno esponendo le più screditate dottrine e poi fanno la questua non si arrischierebbero mai ad avvicinarsi a un gruppo di uomini assennati e a esporre tra questi le loro meraviglie». (Celso, Contro i cristiani, BUR, Milano 1989, p. 133). Insomma il loro fatturato propagandistico, se così si può dire, consisteva di donnicciole, di
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