Emma De Tessent. Eterna stagista, trentenne, carina, di buona famiglia, brillante negli studi, salda nei valori (quasi sempre). Residenza: Roma. Per il momento – ma solo per il momento – insieme alla madre, rea di aver chiamato le figlie (Emma e Arabella) come le protagoniste di un romanzo Regency nella convinzione che avere nomi romantici sarebbe stato un punto di forza per loro (per essere sfottute, senz’altro). Cosa non le piace: il chiasso. Le diete. La mondanità. Il rumore dell’aspirapolvere. La maleducazione. La sua idea di felicità: bufera con folate di vento ululanti. Una candela, un divano e un plaid. Un romanzo rosa un po’ spinto, rigorosamente ambientato in epoca Regency. Un pacco di biscotti – vanno tutti bene, purché basti guardarli per dichiarare guerra alle coronarie. Sogni proibiti: il villino con il glicine dove si rifugia sempre quando si sente giù. Un uomo che non può (non deve!) avere. Un contratto a tempo indeterminato. A salvarla dallo stereotipo della zitella, solo l’allergia ai gatti. Il giorno in cui la società di produzione cinematografica per cui lavora non le rinnova il contratto, Emma si sente davvero come una delle eroine romantiche dei suoi romanzi: sola, a lottare contro la sorte avversa e la fine del mondo. Avvilita e depressa, dopo molti colloqui fallimentari trova rifugio in un negozio di vestiti per bambini, dove finisce per essere presa come assistente. E così tutto cambia. Ma proprio quando si convince che la tempesta si sia allontanata, il passato torna a bussare alla sua porta: il mondo del cinema rivuole lei, la tenace stagista. Deve tornare a inseguire il suo sogno oppure restare dov’è, in quel piccolo paradiso di tulle e colori pastello? E perché il famoso scrittore che aveva a lungo cercato di convincere a cederle i diritti di trasposizione cinematografica per il suo romanzo si è infine deciso a farlo? E cosa vuole da lei quell’affascinante produttore che per qualche ragione continua a ronzare intorno al negozio dove lavora?