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Nessuno. L'Odissea raccontata ai lettori d'oggi PDF

266 Pages·1997·1.06 MB·Italian
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«Ulisse è la nostra voglia di partire alla ricerca di avventure.» L U C I A NO DE C R E S C E N ZO N E S S U NO L'ODISSEA RACCONTATA AI LETTORI D'OGGI Luciano De Crescenzo volumi già pubblicati in edizione Mondadori Così parlò Bellavista Croce e delizia Oi dialogoi Il dubbio Elena, Elena amore mio I grandi miti greci a fumetti I miti degli Dei I miti degli eroi I miti della guerra di Troia I miti dell'amore La Napoli di Bellavista Ordine e Disordine Raffaele Storia della filosofia greca -I Storia della filosofia greca - II Il tempo che passa e i battiti del cuore Panta rei Socrate Vita di Luciano De Crescenzo scritta da lui medesimo Zio Cardellino Luciano De Crescenzo NESSUNO Arnoldo Mondadori Editore Nessuno Caro lettore, alla fine della mia Odissea, dopo aver ucciso tutti i Proci, Ulisse lascia Penelope e parte di nuovo. Per ché lo fa? Perché Ulisse non è un personaggio ma una mania. Una mania che costringe l'uomo a parti re. Sempre. Una mania che alcuni hanno e altri no. Se anche tu ce l'hai, sappi che nel porto c'è una nave che ti aspetta. Non preoccuparti per la valigia. Non chiedere il prezzo del biglietto. Non chiedere la de stinazione. L'importante è partire. Nessuno Quando avevo quindici anni la trovata di Odisseo di dire a Polifemo che si chiamava Nessuno mi entu siasmò a tal punto che finii col chiedere a mio padre di cambiarmi nome: volevo anch'io essere chiamato Nessuno. Lui, però, poco amante dei classici, mi ri spose alquanto bruscamente: «Pensa piuttosto a di ventare Qualcuno e non mi scocciare!». L'Odissea è il primo libro pubblicato in Occiden te. Come epoca siamo intorno al 530 a.C, grosso modo sotto Pisistrato, tiranno di Atene, che, con ogni probabilità, ne fu anche l'editore. Omero, però, l'aveva raccontata un paio di secoli prima. Protago nista assoluto del romanzo un eroe chiamato Ulisse, o, se preferite, Odisseo. Questo dilemma, se chia marlo Ulisse o Odisseo, mi ha tormentato fin dal l'inizio. Come appassionato di mitologia greca avrei dovuto chiamarlo Odisseo, come divulgatore Ulisse. Il mio portiere Raffaele, tanto per fare un esempio, se lo chiamo Ulisse mi capisce, se invece lo chiamo Odisseo non sa nemmeno di chi sto parlando. Altro dilemma: se intitolare «canti» i vari capitoli, o «li bri». Ho scelto «canti» e che Dio me la mandi buo- 9 na. D'altra parte l'Odissea è un poema epico, e, che io sappia, i poemi epici vengono comunemente sud divisi in canti. Ultimo dubbio, il secolo in cui si svolgono i fatti: Il quattordicesimo o il decimo avanti Cristo? Qui, diciamolo subito, siamo nel caos più assoluto: non c'è uno storico che sappia con precisione quando scoppiò la guerra di Troia. Per Duride di Samo era il 1334 avanti Cristo, per Erodoto il 1250, per Erato- stene il 1184, per Eforo il 1135 e via discendendo fi no ad arrivare ai contemporanei che parlano del 1000 se non addirittura della prima metà del 900 a.C. C'è infine chi, pur non precisando l'anno, è arci- sicuro del giorno: l'incendio di Troia, dice, avvenne il 5 giugno alle 20.30 precise, come dire in «prima serata». A complicare le cose, poi, ci si è messo an che il più famoso degli archeologi, quel tale Heinri ch Schliemann che, a forza di scavare, di Troie (in tese come città) ne trovò addirittura nove, l'una sopra l'altra, tutte costruite sulla collina di Hissar- lik, a due passi dai Dardanelli. Quella nostra dovreb be essere la settima. Età presumibile il 1200 a.C, decennio più, decennio meno. Sui motivi, invece, che scatenarono la guerra non ci sono dubbi: il rapimento di Elena fu solo un'in venzione dei poeti. La verità storica parla di tutte al tre beghe: tra Greci e Troiani esisteva un conflitto d'interessi relativo ai traffici commerciali tra l'Egeo e il Mar Nero. I Troiani erano un popolo di camorri sti che sorvegliavano giorno e notte lo stretto dei Dardanelli e che imponevano il «pizzo» a chiunque vedessero passare. Un bel giorno i Greci si stufaro no e li fecero fuori: tutto qui. 10 Molti si chiedono com'è nata l'Odissea e chi ne sia stato l'autore. Ora noi, senza addentrarci nella «que stione omerica», né affrontare il problema se sia mai esistito un signore chiamato Omero, e se di Omero ce ne sia stato uno o più d'uno, di una cosa possiamo essere certi: l'Odissea fu il serial televisivo dell'epoca. Detto in altre parole, che cosa facevano i ricchi, la sera, dopo cena, nell'ottavo secolo avanti Cristo? Niente di eccezionale: ascoltavano un can tautore, possibilmente cieco, che, in cambio di un pranzo, o di qualche regalino, raccontava loro una bella storia a puntate. E chissà che il vero motivo per cui Ulisse ci mise tanti anni a raggiungere Itaca non sia dovuto al fatto che, più tappe faceva, più pranzi rimediava il suo cantastorie. Ma chi era Ulisse? A mio avviso l'unico vero uo mo dei poemi omerici. Gli altri, diciamoci la verità, erano solo dei Rambo, esaltati come eroi più per la loro prestanza fisica che non per quello che pensa vano. Gli Achille e gli Aiace, tanto per fare dei nomi, erano bravi solo a menare mazzate e, in una società dove le mazzate contavano moltissimo, finivano con l'essere considerati simili agli Dei. Ulisse, invece, aveva tutti i pregi e tutti i difetti che un uomo deve avere: era coraggioso, bugiardo, amante dell'avven tura, attaccato alla famiglia, e allo stesso tempo tra ditore, curioso, imbroglione, astuto, farabutto, in telligente, e, come dicono i milanesi, cacciaballe. Per definirlo con una sola parola (greca) era un poly-. Omero, infatti, a seconda delle situazioni, lo defini sce polytropos (dal multiforme ingegno), polymetis (dal grande intuito), polyphron (dai molti pensieri), polymechanos (dalle molte astuzie), polyplanes (dal- ll le molte avventure) e via di questo passo. Lui, in somma, era un «multiplo», qualunque cosa facesse. Ulisse è la star dell'Odissea, così come Achille lo è dell'Iliade. Platone, in uno dei suoi dialoghi, l'Ippia minore, cerca di stabilire chi dei due fosse il miglio re. A discuterne sono Socrate e un certo Ippia. «Achille dice sempre la verità» sostiene Ippia «e se anche, a volte, gli capitasse di dire una bugia, la direbbe in buonafede. Ulisse, invece, le bugie le dice per vizio, volontariamente, e sempre per raggiunge re un suo scopo.» «Ma allora,» obietta Socrate «chi è il più intelli gente dei due, e quindi anche il migliore: chi sceglie tra una verità e una bugia, o chi dice sempre e solo quello che pensa?» «Chi sceglie» ammette Ippia. E così, alla fine, dà ragione a Socrate, anche per ché, da un certo punto in poi, non ne può più. «Mi hai convinto, o Socrate,» gli dice «però ades so lasciami andar via.» Dovendo parlare, però, sia dell'eroe che dell'im broglione, ho ritenuto opportuno aggiungere al l'Odissea un capitoletto finale dedicato all'imbro glione, dove riporto tutto quello che di denigratorio sono riuscito a trovare nei suoi confronti. In genere si tratta di pettegolezzi che comunque, diciamo la verità, sembrano verosimili. Per quanto riguarda, invece, l'Odissea, l'ho tradot ta (si fa per dire) in linguaggio umano, ovvero a uso dei lettori d'oggi, e di tanto in tanto vi ho aggiunto qualche riflessione personale. Di versioni italiane dell'Odissea ne avrò lette una decina, da quella bella, 12 ma oggi quasi illeggibile, di Ippolito Pindemonte (1753-1829) a quelle in prosa di Giuseppe Tonna (Garzanti) e di Maria Grazia Ciani (Marsilio) che peraltro consiglio a chi desiderasse leggere qualcosa di più aderente al testo omerico. Ovviamente mi è capitato di copiare, ma, a tale proposito, tengo a precisare un concetto fondamentale: quando si co pia da un solo testo si commette un «plagio», ovvero un reato, quando invece si copia da più testi si fa della «ricerca», e quindi, alla fine, un'opera merito ria. Io mi sono molto dedicato alla ricerca. E sem pre a proposito d'interpreti omerici, anche il Vin cenzo Monti praticava la ricerca, tant'è vero che il Foscolo, riferendosi alla sua versione dell'Iliade, lo definì beffardamente: «il cavaliero, gran traduttor dei traduttor d'Omero». 13

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