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Nel cuore del conflitto PDF

178 Pages·2015·0.797 MB·Italian
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Alessandro Pucci NEL CUORE DEL CONFLITTO PREFAZIONE Questo libro di Alessandro Pucci non è l’opera di un filosofo o di uno studioso di scienze umane, è semplicemente la riflessione di una persona che non accetta di vivere senza pensare. Le sue osservazioni, presentate in modo diretto e comprensibile, suggeriscono di entrare nel percorso di una presa di coscienza, relativa non tanto al “senso della vita” in sé, quanto alla nostra posizione rispetto a esso. Il filo conduttore del testo è la perenne ambivalenza dei riferimenti che ci si presentano davanti e che ci chiedono di prendere posizione. Non è un elogio dell’ambiguità e delle sfumature, è un invito alla responsabilità di trovare una via capace di migliorare le situazioni della vita per quanto possibile. Il conflitto, che Pucci considera nelle sue varie forme, non è né ignorato né esaltato: va vissuto cercando di scioglierlo e di liberarlo dalla distruttività. Una delle condizioni per affrontare con successo la permanente tentazione della distruttività nei conflitti è, per ciascuno, quella di non eludere il dovere della cura di sé. Questa cura implica l’impegno ad accogliere la propria umanità, ad affinare i propri talenti mettendoli al servizio del bene comune, a sconfiggere le tendenze più oscure che possono abitare in noi. Di fatto diventare adulti spesso significa adattarsi, ripiegare, abbassare o dimenticare le aspirazioni che avevamo. Un passaggio per mutilazione. La vita è fatta per essere trasfigurata in vita buona e per questo va intensificata e condivisa, invece viene indebolita, sacrificata e privatizzata. Diventare adulti in definitiva diventa un conformarsi all’ordine per cui il potere vale come principio di tutti i rapporti. Ne scaturisce un soggetto insieme precario e rigido, costretto ad affrontare la vita quotidiana con poca consapevolezza di sé e delle dinamiche interiori che fondano tutte le altre. Allora si vive in stato di povertà interiore: ci riferiamo ai valori estrinseci, imposti dall’ambiente sociale, anziché a quelli non solo intimi, ma soprattutto costitutivi della nostra umanità: la libertà e la responsabilità, la poeticità, la gratuità, la fraternità-sororità, la sincerità e l’autenticità, il servizio e la mitezza. Questi ultimi sono valori così intimi per noi perché esprimendoli diventiamo noi stessi. Spesso quando si instaura in noi il vuoto (il cui polo opposto non è tanto ciò che è “pieno” quanto il senso, sentire il senso della propria vita e sentirsi armonici con esso) lo manteniamo attivamente, lo assumiamo come alloggio interiore, continuando a tenerlo in noi e noi un esso senza vedere relazioni e persone che invece potrebbero essere fonte di risveglio, senso, di gioia di impegno positivo. Finché siamo distratti e occupati dal vuoto, finché abitiamo nella contraddizione come se fosse la nostra vera e unica casa, eludiamo le presenze vive nella nostra esistenza e sprechiamo il nostro tempo. Questa è forse la contraddizione di fondo del modo di vivere dell’adulto cronologico (che non è diventato veramente adulto), sulla quale poggiano poi le altre contraddizioni (tra ciò che riterremmo giusto e ciò che facciamo, tra quanto diciamo e come ci comportiamo, tra affetti e modo di viverli, ecc.). In sintesi: spesso come adulti abbiamo perso la strada e anche la “casa” (se mettiamo domicilio nel vuoto e nella contraddizione); esistiamo ma senza vocazione, senza senso, senza essere un viaggio verso la vita vera. Così finiamo per alimentare il vuoto; infatti il vuoto interiore diventa vuoto relazionale, sociale, culturale, civiltà desertificata. E solo su questo presupposto è poi possibile piegare la convivenza a essere una competizione universale piena di tendenze distruttive. Il punto di svolta s’incontra quando siamo posti di fronte a un senso radicale, che ci riguarda e ci coinvolge in una responsabilità. Allora è la vita che ci chiede di diventare veramente adulti e di prenderci cura della nostra umanità, condizione ineludibile per accogliere l’umanità degli altri. In questo cammino troviamo il silenzio contemplativo, l’ascolto di sé, lo studio, la riflessione critica (e autocritica) sulle proprie esperienze, la lotta interiore tra tendenze creative e tendenze distruttive, l’impegno a cambiare in meglio qualcosa del mondo attorno a noi. Il testo di Alessandro Pucci testimonia questo sforzo di riflessione quotidiana, che impedisce di vivere a occhi chiusi e che coltiva quella lucidità senza di cui non possiamo essere davvero responsabili e pacifici. Roberto Mancini Professore ordinario di Filosofia Teoretica presso l’ Università di Macerata INTRODUZIONE Il libro si compone di quattro parti o meglio di tre parti più una. Sviluppa stando sempre al tema, tre situazioni di conflitto: interiore, sociale, la guerra ( che non è più conflitto, ma la degenerazione del conflitto). Da ultimo: speranze di pace Il libro è una lunga conversazione, o meglio un lungo monologo unidirezionale, determinato a mostrare la costante situazione di conflitto che nasce già dentro la persona stessa, per poi esprimersi nella società, fino alle relazioni internazionali, che sfociano spesso nella guerra. La caratteristica del libro è la determinazione e il monologo costante, che mai si scosta dal tema, che è insieme un pregio, ma anche un limite, perché a volte si ha l’impressione di trovarti davanti ad un teorema da dimostrare ad ogni costo. PARTE PRIMA: LA FRATTURA DELL’ANIMA Dentro ciascuno di noi c’è il contrasto tra razionalità, che vuole comprendere la realtà tutta nei numeri e nella quantità, e la passione, l’eros , che sfugge ad ogni calcolo e cerca il senso del vivere. La lotta tra le due forze è costante. Accettarle e non qualificarle come “buono/cattivo”, cioè non dare ai termini un valore o una connotazione morale, è importante. L’altro conflitto è tra la identità propria e la moltitudine. E' una lotta costante dell’individuo di fronte alla folla, alla massa. E' il peso del giudizio degli altri e la paura, insieme alla solitudine, di cercare la solitudine e insieme temerla per non essere emarginati. Tutto questo resta sempre all’interno di un conflitto personale, che si scioglie accogliendo la contraddizione che sta in noi e cercando un equilibrio delle forze. PARTE SECONDA: IL CONFLITTO SOCIALE Il primo conflitto è con la famiglia: amore e odio. Nel rapporto con gli altri domina la paura perché, in fondo, l’uomo è lupo per l’uomo. Qui interviene la Politica per mitigare le paure, ma non sempre la Politica ( l’arte più alta secondo Aristotele) gode stima tra le persone. Nei rapporti sociali, la paura fa cercare il colpevole, c’è bisogno di un colpevole per esorcizzare la paura. E questo crea disastri. Oppure si pensa che la colpa sia nella cattiveria dell’uomo e allora si va alla ricerca di un tempo in cui l’uomo viveva in pace: il mito di un’armonia primitiva. Una pura illusione. Non c’è mai stata, infatti, e in questa ricerca nasce il senso di colpa, la colpevolizzazione. Invece si deve tenere conto, anche qui delle diverse forze e contraddizioni. E così c’è antitesi tra Giustizia e Potere. A favore della giustizia giocano i sentimenti : di solidarietà, la necessità di stare insieme e razionalità. A favore del potere che richiede la forza ci sono: l’appartenenza al gruppo, la paura dell’altro, il sentimento di persecuzione per cui si pensa che dietro alle parole rassicuranti dell’altro ci sia sempre un complotto, la memoria che la forza risolve tutto, anche la giustizia. TERZA PARTE: LA GUERRA La guerra ha come supporto il mito, che è anche un pre-giudizio, dal quale la mente ( che mente, che non può comprendere la realtà tutta, ma si illude di poterlo fare) interpreta la realtà e vuole sciogliere i nodi che nascono nelle relazioni tra le tribù o tra i popoli. La mente si serve: della storia per interpretare le relazioni, ma anche la storia non è oggettiva e viene scritta dai vincitori ad uso proprio. ( vedi la storia del nostro risorgimento). Dalla guerra nasce lo stato coi suoi confini. La guerra definisce l’idoneità del maschio ( idoneo al servizio militare o meno). La tecnologia è in funzione della guerra e l’economia predispone le relazioni tra i popoli. E così pure la religione vuole la guerra, quando vuole essere l’unica depositaria della verità. Eppure la guerra è il male assoluto, perché tutto ciò che in pace viene proibito: l’omicidio, lo stupro, il furto, nella guerra diventa motivo di vanto. Inoltre la guerra provoca danni fisici e psicologici irreparabili. QUARTA PARTE: SPERANZE DI PACE Il conflitto interno, sociale e nazionale è necessario, ma non deve sfociare nella guerra, che è il male. Il conflitto va superato con tutti i mezzi possibili ma non serve la ideologia della non violenza, come non serve la ideologia delle forza. I principi debbono nascere e prendere corpo dalla realtà del momento. A supporto della volontà di pace dovranno intervenire la Politica, la Cultura, la Religione, nella misura che si mettono a servizio dell’uomo e della giustizia e della pace, e non diventano quindi il fine, invece di essere il mezzo. Inoltre l’uomo deve avere la coscienza che le difficoltà e gli impedimenti si possono superare. Perché, anche l’uomo, può superare se stesso nel bene, nella giustizia e nella capacità di costruire la pace. Dunque non è vero in assoluto che la guerra appiana i torti, come non è assodato che la non violenza risolva ogni nodo di giustizia. CONCLUSIONE Dopo tutto questo, immagino la tua domanda: cosa mi dici del libro? L’autore ci propone cose che tu già sai o senti indistintamente dentro di te; ma la sua intenzione è portale ad una coscienza. Lo scrittore ha uno schema che segue per tutto il libro, mostrare che esiste il conflitto in ogni ambito umano: interno, sociale e nazionale e internazionale. Cerca di illustrarlo, ma forse in un modo monocorde. Afferma che la pace è un bene; ma che non esistono soluzioni ideologiche; però le soluzioni ci sono, non prive di sofferenza. Non viene demonizzata per principio la forza come non viene idealizzata la non violenza. Afferma che la guerra è il male, la pace è il bene, ma ci sono anche la giustizia, la libertà, la ragione e la passione. Mettere insieme tutte le cose è compito arduo da sviluppare. Ci sono i miti della forza e i miti dell’armonia. C’è la storia raccontata molto dai vincitori e poco dai vinti e magari la giustizia costruita dalle guerre, ecc, ecc. La complessità è una sfida che l’uomo può affrontare, avendone egli stesso la capacità. Comporterà sicuramente anche delle sofferenze e delle nuove perdite, ma come in ogni sfida si può anche vincerla. Pove del Grappa 6 maggio 2014 Giuseppe Stoppiglia Prete di frontiera NOTE BIOGRAFICHE Alessandro Pucci, blogger e scrittore, nato in provincia di Ancona nel 1965, da alcuni anni si dedica all’approfondimento di temi di carattere sociologico. La sua passione letteraria proviene da ricerche personali in ambito filosofico e teologico, svolte allo scopo di fornire un solido sostegno alle proprie argomentazioni inerenti a temi del vivere quotidiano. Una vocazione nata spontanea dopo anni di letture, ed in seguito al proprio sviluppo esistenziale, che lo hanno convinto della necessità di tentare di affrontare nuovi orizzonti letterari. E’ titolare del blog www.cronachedellanima.blogspot.it che affronta la costante reciproca interazione tra politica e religione, tra cultura e costume, tra fede e laicità.

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