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'Ndrangheta PDF

132 Pages·2011·0.598 MB·Italian
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Enzo Ciconte ’Ndrangheta EDIZIONE AGGIORNATA PREFAZIONE DI FRANCESCO FORGIONE Rubbettino 1 © 2008-2011 - Rubbettino Editore 88049 Soveria Mannelli - Viale Rosario Rubbettino, 10 tel (0968) 6664201 www.rubbettino.it Progetto Grafico: Ettore Festa, HaunagDesign 2 Indice Prefazione di Francesco Forgione Introduzione La Calabria, una terra poco conosciuta Parte prima - Alle origini del problema Origine e affermazione del nome La ’ndrangheta, la grande sconosciuta I cavalieri spagnoli Le prime tracce L’Aspromonte e l’idea d’una criminalità stracciona Centri urbani e zone ricche Una formazione interclassista Gli abbagli, tanti e duraturi Potere e onore La ricerca del consenso Parte seconda - Le ragioni del successo La struttura familiare I matrimoni dinastici Le donne di ’ndrangheta I pentiti Il battesimo a cerchio formato Nella ’ndrangheta si battezzano i neonati nella culla Codici, riti, rituali La tecnica delle filiali Siderno group 3 Spesa pubblica, politica I rapporti con cosa nostra La strage di Locri del 1967 Il contrabbando di sigarette Autostrada del sole, imprenditoria del nord, ’ndrangheta I sequestri di persona Parte terza - La ’ndrangheta oggi Le trasformazione degli anni Settanta-Ottanta Le riunioni al santuario di Polsi ’Ndrangheta e destra eversiva Il quinto centro siderurgico ’Ndrangheta, massoneria, nascita della “Santa” Gli anni Ottanta, i primi omicidi eccellenti, la politica La ’ndrangheta entra in politica L’omicidio Ligato All’improvviso la pace, nel settembre del 1991 La ’ndrangheta si dà una struttura di comando Ad inizio anni Novanta Rapporti con camorra e sacra corona unita I rampolli non battezzati della ’ndrangheta Nuovi equilibri Una nuova economia La potenza della ’ndrangheta Il rapporto ’ndrangheta-politica L’omicidio Fortugno 4 La strage di Duisburg Dopo la strage, la pace. Il fruscio dei soldi non il crepitio delle armi Catturato Pasquale Condello, il “supremo” Parte quarta - Sotto i riflettori Un abbagliante fascio di luce Rosarno è nostro A San Luca un megaschermo controlla il via vai delle persone La Piana è cosa nostra Occupato ogni metro dell’autostrada del sole I candidati li facciamo noi Quelli di sinistra è inutile che glieli portiamo Uno sguardo sul futuro: consiglieri regionali e poi deputati Tra Siderno, Reggio Calabria e Crotone Il voto a San Procopio La politica sotto scacco Ma che esame era? Donna d’onore Guai a toccare le donne Annunziata Pesce, un’altra vittima Un nuovo protagonismo delle donne Sommovimento e riassetto degli equilibri Crimine: novità e conferme La responsabilità delle classi dirigenti del nord Regioni del nord sotto attacco Saltano gli stereotipi 5 Una struttura di vertice Giovanni Zumbo e i suoi misteri Uomini dello Stato e ’ndranghetisti La reazione sproporzionata di Nino Lo Giudice I collaboratori Uno strabiliante giro di danaro L’arcipelago che protegge la ’ndrangheta Il futuro: in Calabria o altrove? Un volto sfigurato Anche i problemi più gravi si superano Bibliografia Atti giudiziari 6 Prefazione LA MATTINA DI FERRAGOSTO DEL 2007, mentre le agenzie giornalistiche di tutta Europa battevano la notizia di una strage con sei morti a Duisburg, il cuore industriale della Germania, in Europa e nel mondo si scopriva l’esistenza della ’ndrangheta. Per la prima volta la mafia meno indagata e conosciuta del nostro paese portava una faida fuori dal proprio territorio e fuori dalle frontiere nazionali. Una scelta simbolica ed eclatante, per una organizzazione criminale come quella calabrese che – dopo il clamore e i riflettori attirati dalla stagione dei sequestri e anche per questo abbandonati – ha scelto la strada del silenzio e degli affari, investendo nei grandi traffici della droga e conquistando per questa via forza e prestigio nel panorama criminale internazionale. Finita la stagione stragista dei corleonesi, con la repressione e l’attenzione investigativa concentrata sulla Sicilia e Cosa nostra, la ’ndrangheta ha avuto la possibilità e la capacità di assumere un ruolo centrale nelle dinamiche criminali nazionali e internazionali, favorita da una struttura organizzativa a base famigliare che gli ha consentito di essere sostanzialmente impermeabile al fenomeno dei «pentiti» e di presentarsi come la mafia più affidabile sia agli occhi delle altre organizzazioni criminali che dei grandi cartelli internazionali della droga. Ma la sua forza è frutto anche della sua capacità, sperimentata negli ultimi decenni, di costruire una rete di relazioni sociali, un livello diffuso di penetrazione nella politica e nelle istituzioni, un controllo pressoché totale del sistema degli appalti e della gestione dei finanziamenti pubblici nazionali ed europei. Ci troviamo così di fronte una mafia insieme arcaica e moderna, capace di un forte controllo sociale e violento del proprio territorio e, insieme, pronta a cogliere tutte le nuove opportunità offerte dalla globalizzazione. A Duisburg c’era il ristorante Da Bruno, di proprietà di una delle famiglie coinvolte nella faida, ma nella città tedesca da anni arrivavano miliardi di lire da ripulire non solo nella ristorazione e nelle società di import-export ma anche attraverso investimenti immobiliari e operazioni finanziarie. Inoltre, non solo simbolicamente, Duisburg è collocata tra due importanti porti, quello di Rotterdam e di Amburgo, vere e proprie «porte» di accesso della droga in Europa, e una delle più importanti borse del mondo, quella di Francoforte. Forse oggi la ’ndrangheta rappresenta la prima vera mafia globale. Ha una caratteristica che le altre mafie italiane non hanno, neanche Cosa nostra siciliana: ovunque arrivino, in Italia e nel mondo, gli uomini delle ’ndrine non insediano soltanto le loro attività illecite e i loro affari «legali», ma riproducono identità, valori, modelli antropologicoculturali, vere e proprie forme di comunità. E questo vale per la Germania di Duisburg, dove la notte della strage, davanti ad una statua di San Michele Arcangelo, si realizzava il rito dell’affiliazione di uno dei ragazzi uccisi, ma vale anche per Buccinasco o Trezzano sul Naviglio, Reggio Emilia o Bordighera, Paderno Dugnano o Aosta, Toronto, Melbourne o Sidney. Solo gli sciocchi possono relegare i rituali, l’appropriazione del simbolismo religioso o la riproposizione di forme chiuse di vita comunitaria, nella sfera del folklore o della sopravvivenza di preesistenze culturali arcaiche. Si tratta piuttosto di meccanismi identitari che da un lato rigenerano il senso di appartenenza e di omertà e dall’altro definiscono una fisionomia e un modello criminale riconoscibile e «autonomo», in qualunque parte del mondo, per il suo cordone ombelicale con la terra di origine e i luoghi depositari della propria legittimazione organizzativa e criminale: ’ndrangheta, appunto. È questo agire e pensare insieme localmente e globalmente che va analizzato, indagato e messo a nudo nella sua evoluzione storica e nel salto di qualità degli ultimi decenni se si vuole comprendere come e in che direzione orientare la lotta alla mafia al livello della sfida che 7 un’organizzazione come la ’ndrangheta lancia alla democrazia e allo stato. La forza e l’utilità di questo libro sta proprio nel descrivere, col rigore al quale Enzo Ciconte ci ha abituati da decenni, questa evoluzione da mafia arcaica a soggetto dinamico dei processi di modernizzazione capitalistica che hanno trasformato il paesaggio sociale calabrese senza innescare processi di sviluppo e di qualità del vivere sociale. Dall’industrializzazione mancata degli anni settanta fino al degrado politico e morale che investe la politica e le istituzioni regionali, la ’ndrangheta ha sempre rappresentato il convitato di pietra di tutte le stagioni politiche e ha condizionato il rapporto tra le classi dirigenti calabresi e quelle nazionali, legate in un patto di scambio tra la gestione delle risorse pubbliche e il consenso politico ed elettorale. Basta rileggere la storia politica e sociale della regione dai moti di Reggio Calabria del 1970 fino ad oggi per rendersi conto della responsabilità delle classi dirigenti nell’aver consentito alla ’ndrangheta di assumere una propria soggettività politica ed economico- imprenditoriale. Dalla mancata realizzazione del V centro siderurgico alla costruzione e alla gestione del Porto di Gioia Tauro, dal perenne completamento dell’autostrada Salerno-Reggio C. alla gestione di tutti i grandi finanziamenti europei -con la Calabria al primo posto per truffe e frodi all’Unione- tutte le grandi scelte strategiche che avrebbero dovuto cambiare il volto e la storia della regione, si sono trasformate nelle metafore delle grandi occasioni mancate. Gli attori di questo fallimento si ripropongono sempre uguali a se stessi: politica, imprese, ’ndrangheta. E che dire della gestione della sanità, la principale voce di spesa del bilancio nella regione che segna il primato di Asl sciolte per inquinamento mafioso: occupazione politica degli ospedali e delle aziende sanitarie, controllo degli appalti e della spesa farmaceutica, fino al disprezzo del valore della vita e di quella umanità dolente mortificata e offesa, nel disprezzo del proprio diritto alla salute, sull’altare di un sistema di potere politico-affaristico- criminale. Per questo è necessaria una rottura nella politica, nell’economia, nella società. Enzo Ciconte, raccontandoci la ’ndrangheta e spiegandocene la forza e la potenza, ci indica dove dobbiamo colpirla per combatterla e sconfiggerla: le sue ricchezze, i suoi patrimoni, i suoi flussi finanziari. Lo deve fare lo Stato e la magistratura. Sapendo che in Calabria, anche quando si parla di stato e di magistratura, si deve affrontare uno dei nodi storici che hanno garantito alla ’ndrangheta un sistema di tutele e di impunità: e cioè la doppiezza del potere politico, di settori degli apparati di sicurezza e dei servizi segreti, del mon do imprenditoriale, dello stesso potere giudiziario. Con sullo sfondo quelle centrali massoniche che in nessun’altra regione hanno mai assunto il peso che hanno avuto in Calabria nella costruzione di una doppiezza del potere e dei luoghi delle decisioni. Per questo, in questa lotta, la parte più grande tocca alla politica, alla società, al mondo della cultura e della chiesa, se davvero si vogliono rompere convivenze e convenienze, acquiescenze culturali e silenzi sociali, anche per sconfiggere quel familismo amorale che da sempre fa da collante alla struttura mafiosa calabrese. Non è scritto su nessuna tavola che il destino della Calabria sia ineluttabile. Lo sanno bene anche i mafiosi, che negli ultimi tempi hanno visto violata e svelata la segretezza e sacralità dei loro luoghi – dalla riunione del santuario della Madonna di Polsi a quella di Paderno Dugnano, in Lombardia – e, soprattutto, hanno visto colpite le loro ricchezze e i loro patrimoni come mai era successo prima. Anche i riflettori mediatici si sono accesi e sarà difficile poterli oscurare. Basta leggere la stampa della Lombardia, della Liguria, del Piemonte per capire che ormai, dal punto di vista dell’informazione, il “re è nudo” e sarà sempre più difficile anche nelle regioni della “colonizzazione” delle ’ndrine, relegare la ’ndrangheta e le sue attività nella cronaca giudiziaria. La politica, il mondo imprenditoriale, le categorie sociali ormai, dallo Stretto a Milano, sono costrette a interrogarsi e schierarsi partendo dal proprio ruolo, dalle proprie scelte e dalla trasparenza dei propri comportamenti. Ma conoscere la ’ndrangheta e prendere coscienza della violenza quotidiana che la sua 8 presenza esercita sulla nostra vita e sul nostro futuro è la condizione fondamentale per poterla sconfiggere. FRANCESCO FORGIONE 9 ’Ndrangheta 10

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