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Multiculturalismo. Ideologia e sfide PDF

216 Pages·2006·10.797 MB·Italian
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ISBN 88-15-10550-6 Copyright © 2006 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, ri­ prodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo - elettronico, meccanico, reprografico, digitale - se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d’Autore. Per altre informazioni si veda il sito www.mulino.it/edizioni/fotocopie Indice Introduzione, di Carlo Galli p. 7 I. Le basi filosofiche del multiculturalismo, di Fran­ cesca Rigotti 29 1. Epistemologia monoculturale ed epistemologia multiculturale 29 2. Il pensiero multiculturale 30 3. Principi di epistemologia multiculturale 32 4. Pluralismo culturale, etnocentrismo e relativismo 34 5. La terza via o il pluralismo culturale 35 6. H pensiero monoculturale 37 7. Principi di epistemologia monoculturale 37 8. Multiculturalismo, riconoscimento e merito 39 9. Multiculturalismo e diffusione della democrazia 43 IL Esistono davvero i conflitti tra culture? Una ri­ flessione storico-metodologica, di Alessandro Dal Lago 45 1. Questioni di civiltà 45 2. La genealogia immaginaria dello «scontro di ci­ viltà» 49 3. Digressione epistemologica 60 4. La cultura come risorsa 63 5. La cultura «fluida» 72 III. Noi o gli altri? Multiculturalismo, democrazia, riconoscimento, di Maria Laura Lanzillo 81 1. Comunitarismo, liberalismo, multiculturalismo 82 2. La cittadinanza multiculturale: tra diritti di grup­ po e tolleranza 87 3. Multiculturalismo e universalismo 91 Indice 4 Culture ibride p. 95 5 Decostruire il multiculturalismo 104 IV L’educazione civica democratica di fronte alla sfida del multiculturalismo, di Marcello Ostinelli 109 1. Un dilemma insolubile? 109 2. Il caso francese 112 3. L’arcipelago multiculturale 117 4. Minimalismo civico 122 5. L’educazione civica secondo i principi del liberali­ smo politico 125 6. Concezione politica e concezione comprensiva dell’educazione 131 7. Le virtù dell’educazione civica liberale in una so­ cietà multiculturale 135 V. Un’agenda psicologica per una società multicul­ turale. I. Ridurre l’incertezza per aprirsi alla di­ versità, di Patrizia Catellani 139 1. Incertezza e crisi di appartenenza: le origini della discriminazione e del conflitto tra gruppi 139 2. Strategie e politiche per la convivenza sociale 142 3. I nativi, gli immigrati e le percezioni reciproche 149 4. Conclusioni 151 VI. Un’agenda psicologica per una società multicul­ turale. II. Idee che possono diventare progetto, di Augusto Palmonari 153 1. Identità e riconoscimento sociale 155 2. Il fenomeno migratorio come incontro di culture 160 VII. Come reagiscono gli ordinamenti giuridici alle culture altre?, di Stefano Ceccanti e Susanna Mancini 167 1. H diritto all’identità culturale come diritto fonda­ mentale dei singoli e dei gruppi 167 2. I crocifissi nelle scuole italiane prima e dopo l’or­ dinanza della Corte costituzionale 170 3. Le ragioni del velo negato 178 Riferimenti bibliografici 197 Carlo Galli Introduzione 1. Quando, negli anni Ottanta del secolo scorso, giunse a ma­ turazione la crisi (economica, fiscale, di rappresentanza) degli as­ setti universalistici delle società occidentali e delle politiche che implementavano la cittadinanza democratica - lo Stato sociale, con le sue linee d’intervento attivo in nome della giustizia e dell’ugua­ glianza, e della tutela affermativa dei diritti individuali e collet­ tivi -, uno degli effetti dell’indebolirsi dell’azione politica di for­ mazione dell’unità degli spazi pubblici fu che le differenze interne, che vi si venivano sempre più accentuando, si disponessero lungo vettori e linee di faglia «culturali». Dapprima negli Stati Uniti, l’incepparsi dei dispositivi dell’assi­ milazione e del nation building universalistico, tanto verso le mino­ ranze native quanto verso gli afroamericani quanto inoltre verso le susseguentisi ondate migratorie che hanno storicamente costituito il popolo americano, ebbe come risultato l’emergenza di «culture» - insieme di lingue, religioni, costumi, simbolismi, ritualità, assetti familiari, autopercezioni di gruppi - che non solo resistevano al­ l’azione assimilazionista, più o meno ideologicamente enfatizzata, del melting pot, ma che pretendevano di far valere come diretta- mente «politiche» le proprie specifiche differenze. Così, all’affievo­ lirsi dall’alto, dallo Stato, delle politiche volte alla realizzazione di diritti universali, si rispose dal basso, dalla società, con l’afferma­ zione del diritto alla particolarità; un diritto che non era attribuibi­ le in primis agli individui singoli, come i diritti di prima generazio­ ne, ma a gruppi e collettività: il diritto all’identità culturale, ossia a promuovere un’esistenza fondata su una specifica idea di «Bene», su «Valori» peculiari. E nella politica non si sottolineò più l’azione di neutralizzazione e spoliticizzazione delle differenze, dì produzio­ ne universalistica di uguaglianza, ma l’espressione anche conflittua­ le delle diverse identità collettive; anzi, la stessa logica della politi­ ca moderna, col suo nesso fra individualismo e universalismo, fra individuazione e identificazione nello Stato, fu criticata, o esalta- 8 C. Galli ta, come peculiarità di una specifica cultura, quella dell’occidente bianco razionalistico. Così, in alternativa al modello liberale della politica orientata alla cittadinanza universale, si affermò il modello multiculturale, che implica un’arena politica frammentata e divisa, percorsa da conflitti per il riconoscimento delle diverse identità collettive; o al limite implica la conquista, da parte di una cultura, di spazi politici differenziati - in forme che vanno dall’autonomia alla secessione - rispetto a quelli di altre culture. Pur senza coin­ cidere, multiculturalismo e postmodernità convergevano così in al­ cuni aspetti fondamentali. In generale, il multiculturalismo è quindi un complesso di sfide alla capacità inclusiva e ordinativa della politica, alla posizione uni­ versalistica liberale - che tende all’emancipazione attraverso l’ugua­ glianza formale -, a cui è stata opposta l’appartenenza sostanziale a un’entità collettiva che ha il nome di «cultura» ma a volte anche di «etnia». Ma, prima e più che una coerente serie di soluzioni, è stato tanto il riconoscimento di un fenomeno su larga scala - il dif­ ferenziarsi delle società avanzate lungo linee culturali - quanto l’ac­ cettazione e la difesa di questo fenomeno, assecondato attraverso svariate strategie intellettuali e argomentative, per nulla convergenti: se in generale le posizioni multiculturali attribuiscono alla politica il compito di far coesistere le diverse culture, senza intaccarne i diritti identitari, in un piano di parità, in realtà al multiculturalismo appar­ tengono tanto il relativismo - che accetta politicamente la pluralità delle culture perché depotenzia la politica, e la traduce in un gioco linguistico: il «politicamente corretto», che si sforza di neutralizza­ re il linguaggio e di sterilizzarne le origini culturali particolari, per fame un mezzo di comunicazione neutrale e universale (ma anche minimale) fra culture differenti e altrimenti incomunicabili - quanto l’interpretazione della politica come conflitto delle «differenze» (del­ le «culture») per il riconoscimento reciproco (e qui l’identità è quel­ la della comunità, a cui il singolo partecipa esistenzialmente). Anche la polemica «comunitaria» contro l’ultima manifestazio­ ne in grande stile del razionalismo politico moderno - il liberali­ smo normativo di Rawls, che non può non sottolineare che l’iden­ tità politicamente più rilevante è quella dell’individuo e non delle culture, mentre queste, per essere legittimate, devono essere sotto­ poste a un severo criterio di congruenza con assiomi razionalistici e universalistici di derivazione illuministica - è stata centrata sulla critica della definizione liberale di identità, di diritti, e di politica; la soggettività assunta dal liberalismo prescinderebbe infatti dalle condizioni del suo concreto costituirsi e prodursi, cioè appunto dalla dimensione dell’appartenenza a una comunità, a un orizzonte Introduzione 9 storico e geografico determinato. In quest’ottica, la politica è l’in­ sieme delle strategie di riconoscimento delle peculiarità concrete e non la costruzione razionalistico-contrattualistica di un universale indeterminato, da parte di un soggetto astratto. A questa critica - condotta dal canadese Taylor, il più struttu­ rato dei pensatori comunitari, secondo un modello hegeliano sem­ plificato - Rawls rispose con la proposta del «liberalismo politico»; e anche da altre parti si avanzarono strategie di composizione fra liberalismo e comunitarismo. Così oggi varie posizioni intermedie, più sfumate, non chiedono alle culture di essere integralmente li­ berali, ma solo di consentire ai loro membri una vita orientata al fiorire delle potenzialità di ciascuno, cioè una vita «buona» secon­ do le convinzioni di ognuno; in questi casi si fa a volte ricorso a modelli di democrazia non classicamente statuali ma repubblicani (ossia, di democrazia deliberativa e partecipativa). Nel complesso, è evidente che intorno alla tematica del mul­ ticulturalismo ruotano problematizzazioni dei livelli profondi del pensiero politico moderno: si pone la domanda di quanto spazio si debba e si possa lasciare alle diverse idee di Bene che le diverse comunità (o culture) esprimono per affermare la propria identità, e quanto invece si debbano e si possano neutralizzare politicamen­ te le pretese, inevitabilmente parziali e confliggenti, dei Valori, e fare della politica la realizzazione dei diritti uguali per tutti, e in parallelo restringere il Bene in spazi particolari, dalla politica ga­ rantiti ma a questa subordinati. 2. Che il multiculturalismo come fatto e come sfida implichi la necessità di affrontare la questione del nesso oppositivo bene­ diritto, identità-uguaglianza, valore-neutralità, è poi chiaro quando l’insieme dei fenomeni multiculturali emerge nelle società europee, cioè quando, dopo il crollo dei sistemi comunisti, si innescano le dinamiche politiche, economiche e sociali della globalizzazione, e hanno origine i grandi movimenti migratori che fanno nascere all’interno degli Stati europei numerose comunità di persone che per lingua, religione, costumi, attitudine verso la politica, paiono costituire appunto «culture» nettamente differenziate da quelle dei paesi ospitanti, e mettono questi davanti a problemi inediti. Il multiculturalismo, in ambito europeo, è il nome con cui oggi si designa un complesso di problematiche riconducibili alla presenza - per la prima volta all’interno delle omogeneità nazio­ nali e sociali, delle identificazioni e delle individuazioni costrui­ te nei secoli in Europa dall’azione uniformante della statualità moderna - di differenze culturali di :ui sono portatori non tan- 10 C. Galli to «nativi» quanto immigrati di diverse etnie e religioni che - a differenza di quanto è avvenuto nella storia degli Stati Uniti - sono una realtà del tutto nuova. Un complesso di problematiche che mettono in crisi la già calante capacità integrativa dello Stato continentale, delle sue istituzioni e delle sue culture politiche, del suo assetto giuridico, del suo ordine unitario centrato sulla sovranità rappresentativa, sul giuspositivismo; su un sistema isti­ tuzionale diverso da quello statunitense, federale e strutturato al­ meno in parte sul common law, e più indifeso di quello davanti alle sfide del multiculturalismo. Storicamente, le statualità europee si sono infatti date il com­ pito di neutralizzare politicamente le differenze culturali al proprio interno, e di fare dello spazio pubblico una superficie liscia, rego­ lata solo dal diritto e istituita allo scopo di implementare i diritti universali e collettivi di tutti, in regime di uguaglianza. Assai più rigida e formalizzata di quella statunitense, l’arena politica costi­ tuita da uno Stato europeo è il risultato della prestazione teorica e pratica della moderna sovranità rappresentativa - dello Stato -, quale si è configurata nel pensiero del razionalismo politico mo­ derno e nelle istituzioni postrivoluzionarie: reliminazione dallo spazio politico delle differenti pretese di Valore e di Bene - che storicamente avevano preso l’aspetto devastante delle guerre civi­ li di religione la nuova centralità epistemologica e politica del­ l’individuo e dei suoi diritti naturali alla vita, alla libertà, alla pro­ prietà; l’implementazione di tali diritti attraverso l’attribuzione alla politica del compito di produrre l’unità formale, neutrale e traspa­ rente, di tutti gli individui su un piano di uguaglianza, cioè di co­ struire la cittadinanza legale; la trasformazione del tradizionale po­ tere di governo, con le sue caratteristiche concrete e prudenziali, nel comando razionale (irresistibile, perché prodotto dal sovrano rappresentativo) della legge universale e astratta. A fronte di que­ sta uniformità giuridica pubblica, le differenze di ogni tipo - par­ ticolarmente quelle di religione - sono spoliticizzate, e relegate nella sfera privata, trasformate in peculiarità che per la legge sono insignificanti e indifferenti e solo perciò sono libere (la libertà di credenza e di culto): private di rilievo specificamente sociale e po­ litico, possono generare, semmai, solo problemi di ordine pubbli­ co. Anche quando questo severo modello razionalistico - che non può non essere anche laico - assume l’aspetto dello Stato costitu­ zionale di diritto, resta portatore di una politica di tolleranza «dal­ l’alto», resa possibile dalla giuridificazione universale della politica, secondo una linea monistico-formale che ne esclude il pluralismo in senso forte: si tollera - o meglio, è legale - ciò che non attenta Introduzione 11 all’uguaglianza dei cittadini e all’unità politica formale dello Stato che la deve promuovere e garantire. Questo universalismo razionalistico-illuministico si è pensa­ to non solo come interno ma anche come esterno - cioè non solo come l’uguaglianza, nella libertà, di tutti i cittadini in uno Stato, ma anche, in potenza, di tutto il genere umano si è pensato, cioè, come progresso reale e oggettivo rispetto a forme di politica fon­ date su Valori o Beni particolari. E ha ritenuto, inoltre, e continua per molti versi a ritenere, che il prezzo da pagare per ottenere la civile convivenza e per garantire a tutti e a ciascuno i propri dirit­ ti - ossia la privatizzazione delle culture e la trasformazione dello spazio pubblico in unità formale e cogente - non sia troppo onero­ so, davanti al rischio della politicizzazione delle differenze culturali, cioè al rischio del conflitto. Dietro l’universalismo c’è, quindi, un presupposto specifico e particolare: c’è l’idea che fine della politica siano soprattutto l’unità e la pace, come assenza di conflitti giuridi­ camente garantita e come condizione per l’ordinato godimento di diritti individuali e collettivi. Un’idea che non solo è figlia della stagione europea delle guer­ re civili di religione, e,.in tempi più vicini a noi, dell’esperienza della terribile violenza associata al conflitto delle ideologie, ma che dell’Europa conserva il tratto culturale più specifico, ossia l’eredi­ tà del cristianesimo, benché secolarizzata e formalizzata: due secoli di dibattiti sulla secolarizzazione - da Hegel a Heidegger passando per Feuerbach e Weber, per Schmitt, Strauss, Lowith - permetto­ no di riconoscere, con diversi giudizi di valore, che i concetti della moderna politica laica e universalistica, tanto come sistema dei di­ ritti individuali quanto come impianto del diritto pubblico stata­ le, hanno una specifica dipendenza, benché solo strutturale (cioè privata del riferimento al sacro, alla trascendenza, ai Valori), dalla tradizione intellettuale cristiana, dalla sua metafisica monistica. Cogliere questa dialettica fra universalità dei modelli politici razionalistici e la loro origine particolare è ancora più facile se si passa dai concetti alla realtà storica: gli Stati moderni sono nati e hanno affermato la propria potenza promuovendo al loro interno un’unità non solo giuridico-formale ma anche empirico-sostanzia­ le, non solo cioè come Stati-di-norme, sì come Stati dinastico-cri- stiani prima, e come Stati-nazione poi: la politica moderna non è stata solo sottrazione e privatizzazione di divergenti Valori dallo spazio politico, ma anche positiva affermazione e produzione del Bene e del Valore; il cemento della convivenza non è stata solo la cittadinanza, ma la religione e la nazionalità; e ciò a cui si mirava non era solo l’uniformità su base di uguaglianza, sì anche l’omoge­

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