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Movimenti collettivi e sistema politico in Italia: 1960-1995 PDF

209 Pages·1996·4.312 MB·Italian
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© 1996, Gius. Laterza & Figli Prima edizione 1996 È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneg­ gi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minac­ cia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la scienza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi co­ munque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Donatella Della Porta MOVIMENTI COLLETTIVI E SISTEMA POLITICO IN ITALIA 1960-1995 Editori Laterza Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel gennaio 1996 nello stabilimento d’arti grafiche Gius. Laterza & Figli, Bari CL 20-4847-7 ISBN 88-420-4847-X a mia madre PREMESSA Lo stimolo a scrivere un libro introduttivo sui movimenti col­ lettivi in Italia, dagli anni Sessanta a oggi, mi si è presentato ripetu­ tamente nel corso delle mie ricerche: all’inizio degli anni Ottanta, studiando le teorie sull’azione collettiva presso il Centre d’Action et d’Intervention Sociologique, diretto da Alain Touraine all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi; poco dopo, quan­ do Gianfranco Pasquino mi chiamò a collaborare con lui a una ri­ cerca sul terrorismo in Italia, presso l’istituto Carlo Cattaneo di Bo­ logna; nella metà del decennio, quando ero Visiting Scholar alla Cornell University, dov’era in corso una importante ricerca sulla protesta in Italia, diretta da Sidney Tarrow; all’inizio degli anni No­ vanta, collaborando con il dipartimento di studi su Oeffentlichkeit und soziale Bewegung, diretto da Friedhelm Neidhardt presso il Wissenschaftszentrum für Sozialforschung di Berlino. Ma la spinta decisiva mi è comunque venuta durante il mio primo corso di Poli­ tica comparata alla facoltà di Scienze politiche di Firenze, quando mi resi conto che, nonostante la presenza di ricerche pregevoli sui singoli movimenti, non vi era in Italia un testo di sintesi, che potes­ se offrire una visione d’insieme sull’evoluzione di quella che chia­ merò in questo libro «sinistra libertaria». Nell’estate del 1994 ho avuto la fortuna di potere utilizzare parte di un generoso Career Development Award assegnatomi dalla H.F. Guggenheim Founda­ tion per perfezionare il quadro teorico di questa analisi. Diversi amici e colleghi mi hanno, più o meno consapevolmen­ te, aiutata in quest’impresa. Innanzitutto, ho molto imparato col­ laborando, in diversi momenti, con Sidney Tarrow, Dieter Rucht, Mario Diani e Hanspeter Kriesi. Nel corso di oltre dieci anni ho avuto la fortuna di confrontare le mie idee e i miei risultati di ricer­ VII ca con altri fra i più importanti studiosi sul tema dell’azione collet­ tiva: Bill Gamson, Bert Klandermans, Doug McAdam, John Mc- Carthy, Alberto Melucci, Friedhelm Neidhardt, Alessandro Pizzor- no, Philippe Schmitter, Dave Snow, Alain Touraine, Michel Wie- viorka e Mayer Zald. Sidney Tarrow e Mario Diani hanno avuto la pazienza di leggere e commentare una prima stesura del volume. Herbert Reiter ha, come sempre, sfidato le mie interpretazioni sul­ la politica italiana, dalla sua prospettiva di storico mitteleuropeo, spingendomi verso una analisi implicitamente comparata e interdi­ sciplinare. MOVIMENTI COLLETTIVI E SISTEMA POLITICO IN ITALIA I MOVIMENTI DELLA SINISTRA LIBERTARIA E PROTESTA. UNA INTRODUZIONE Nel corso degli anni Sessanta, in Italia come in altre democra­ zie occidentali, nuovi attori sono emersi, accanto ai partiti e ai grup­ pi di pressione, per mobilitare e aggregare domande politiche: i mo­ vimenti sociali. Rispetto ai partiti e ai gruppi di pressione, i movi­ menti sociali (o movimenti collettivi) si caratterizzano per un basso livello di organizzazione. Diversamente dai partiti, essi non compe­ tono per conquistare voti, ma tendono a mobilitare consenso attra­ verso azioni di protesta utilizzando i mass media per rivolgersi a isti­ tuzioni e opinione pubblica. Diversamente dai gruppi di pressione, i movimenti sociali non mirano prevalentemente a rappresentare gli interessi dei loro iscritti o simpatizzanti, ma si propongono come portatori di modelli alternativi per la società e il sistema politico. Normalmente, i movimenti sociali si coagulano attorno a una te­ matica generale (come i diritti delle donne o la pace), articolando­ la in singoli obiettivi, attorno ai quali costruire delle campagne di protesta (ad esempio, per l’aborto libero o contro l’installazione dei missili nucleari). Se guardiamo all’evoluzione del sistema politico e della società civile in Italia a partire dagli anni Sessanta, vediamo che la capacità di mobilitazione di questi attori collettivi si è estesa, coinvolgendo i più diversi gruppi della popolazione. Movimenti sociali - e cam­ pagne di protesta - si sono sviluppati su temi quali la fabbrica e la scuola, il territorio e i servizi, la polizia e l’esercito, l’ecologia e la pace. Se prima pochi erano coloro che osavano sfidare le autorità attraverso azioni collettive che si allontanavano dalle forme istitu- zipnalizzate della partecipazione politica, a partire dagli anni Set­ tanta, sit-in e occupazioni sono divenute forme diffuse di protesta i - utilizzate da giovani e anziani, strati marginali e ceti medi, senza 3 tetto e vigili urbani. Ciò ha portato a parlare, anche per l’Italia, di una «società di movimenti». Di fronte a un sistema che, per la sua crescente complessità, parcellizza e differenzia le domande dei cit­ tadini, i movimenti appaiono più adatti dei partiti a cogliere le te­ matiche emergenti, e più abili dei gruppi di pressione a trasforma­ re la molteplicità dei bisogni individuali in identità collettive. Paradossalmente, però, proprio mentre la capacità di protesta si diffondeva, si è anche parlato della «fine dei movimenti». Come in un refrain dei primissimi anni Sessanta, negli anni Ottanta si è ri­ tornati a parlare della scomparsa delle grandi utopie, identificando nel pragmatismo tipico del decennio la dissoluzione finale di gran­ di sommovimenti collettivi, che erano del resto già entrati in crisi negli anni Settanta, schiacciati tra cooptazione e marginalizzazione violenta. Gli anni Novanta si sarebbero aperti poi con una «nor­ malizzazione»: neppure la «crisi della prima repubblica» sarebbe stata infatti in grado di risvegliare i movimenti dal loro torpore. Siamo dunque di fronte a una società di movimenti o alla fine dei movimenti? Nel corso di questo libro vorrei provare ad affron­ tare questo tema spostando l’attenzione dai singoli movimenti al­ l’evoluzione di un complesso di movimenti - che chiamerò, come dirò meglio in seguito, «movimenti della sinistra libertaria». In que­ sta introduzione vorrei illustrare le premesse e le potenzialità di questa scelta. 1. Cosa sono i movimenti sociali e perché ce ne occupiamo Da quanto appena accennato, i movimenti sociali - o movimenti collettivi - si possono definire come attori collettivi che, attraverso uno sforzo organizzato e sostenuto di reticoli di individui e gruppi dotati di una comune identità, si mobilitano in campagne di prote­ sta per la realizzazione di mutamenti sociali e/o politici (per defini­ zioni in parte simili, cfr. Diani 1992; Tarrow 1994: 3-4). Non rap­ presentano, ad esempio di per sé, movimenti sociali né i recenti scontri inter-etnici in alcune metropoli, dove non vi era uno sforzo organizzato e sostenuto; né la Croce Rossa, che utilizza forme d’a­ zione prevalentemente istituzionali; né «la protesta dei fax» contro il decreto sulla giustizia del governo Berlusconi, nel luglio del 1994, dato che essa non esprimeva una collettività di individui che s’i­ 4 dentificavano in un «noi» comune; e nemmeno le bande di ultra, che non mirano a trasformazioni sociali o politiche. Se la definizione appena presentata può servire a distinguere i movimenti da altri fenomeni in parte assimilabili, non si può dire però che il concetto di movimento sociale si sia consolidato nel lin­ guaggio quotidiano o in quello scientifico. In quest’ultimo, anzi, es­ so è stato soggetto a interpretazioni mutevoli, a seconda delle ca­ ratteristiche contingenti assunte dai movimenti collettivi in vari pe­ riodi storici e aree geografiche. Nel secolo scorso, tumulti violenti avevano fatto parlare dei movimenti come di fenomeni irrazionali - le masse, le folle ecc. - mentre solo successivamente, con lo svilup­ po del movimento operaio e dei suoi partiti, si era cominciato a par­ lare dei movimenti come attori consapevoli del cambiamento poli­ tico. Nel corso degli anni Venti, di fronte allo sviluppo negli Stati Uniti di episodiche ondate di protesta, i sociologi della Scuola di Chicago avevano descritto i movimenti collettivi come attori razio­ nali, seppure legati a contingenze straordinarie. L’attenzione ai movimenti sociali è aumentata soprattutto a par­ tire dagli anni Sessanta, insieme al diffondersi in molte regioni del mondo di fenomeni di protesta difficilmente definibili a partire dai vecchi concetti. Nei due decenni successivi l’uso dell’espressione «movimenti collettivi» si è esteso e consolidato, nel gergo politico e giornalistico, per riferirsi alle campagne di mobilitazione sui temi della liberazione della donna, della difesa delle minoranze etniche, della protezione dell’ambiente, della pace. Lo studio di questi fe­ nomeni ha conquistato un sempre maggiore spazio anche nelle scienze sociali, dove la ricerca si è orientata su temi quali le condi­ zioni strutturali per l’emergere dei movimenti sociali, le dinamiche individuali di adesione alle azioni di protesta, le peculiarità delle strutture organizzative delle mobilitazioni collettive contempora­ nee1. Negli Stati Uniti lo sviluppo di campagne di protesta focaliz­ zate su singoli temi e la loro capacità d’ influenza sulle politiche pubbliche facevano guardare ai movimenti soprattutto come a sfor­ zi organizzati e propositivi. In Europa le grandi utopie del movi­ mento studentesco e dei movimenti che lo avevano seguito stimo- 1 Per una breve introduzione alle principali interpretazioni dei movimenti collettivi, rinvio a Della Porta 1995; per una trattazione più sistematica, a Me Adam, McCarthy e Zald 1988; Neidhardt e Rucht 1991; Fillieule 1993; Della Por­ ta e Diani 1996. 5

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