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Miti e religioni dell'India PDF

230 Pages·1992·21.322 MB·Italian
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Mageir ae ligioni 5 Collandai rdeaAtt !foan sMo.d iN ola Nei risguardi: LoY ogiei plav onseta,m pa del XVIII secolo Seconda edizione: settembre 1992 © 1981 Newton Compton editori s.r.l. Roma, Casella postale 6214 Stampato nel settembre 1992 presso la Tipolitografia L. Chiovini s.r.l., Roma e allestito dalla legatoria Segea, Roma Pio Filippani-Ronconi Mietr ie lidgeiloln'iI ndia Newton Compton editori Caratteri generali della religiosità indiana Se volessimo caratterizzare ogni singola civiltà per un particolare compito assolto nell'ambito della rnltura umana, dovremmo dire che quello assolto dalla civiltà dell'India è fondamentalmente di natura mistica religiosa. Difatti, l'orientamento religioso ispira ancora in In­ dia - come accadeva nel nostro mondo antico e medioevale - buo­ na parte dell'attività umana individuale ed associata, sì èla dominare perfino movimenti politici e contingenze economiche, per non parla­ re, poi, dell'ambito familiare su cui regna incontrastato. La vita in­ diana appare, per ciò, come un succedersi ininterrotto di feste, ceri­ monie e liturgie, attraverso le quali l'Indiano evoca e rinsalda il suo segreto rapporto con il mondo divino. L'India è, quindi, il continen­ te religioso per eccellenza. L'esperienza religiosa o, per essere più esatti, quella mistico-meditativa, costituisce l'elemento unificantt' le innumerevoli stirpi, nazioni, genti e caste, che popolano l'immenso spazio compreso fra le nevi dello Himalaya e l'isola di Ceylon (Sri Lanka), dal 37° al 5° parallelo, non solo, ma è anche l'elemento ca­ ratterizzante in gran parte le dipendenze storico-culturali dell'India, cioè Birmania, Thailandia, Indocina, fino alle lontane isole indone­ siane, nel c"ui cuore si perpetuano, a Madura e nell'isola di Bali, rigo­ gl\osi focolari di civiltà religiosa indiana, sopravvissuti all'ondat� isla­ mica. La peculiarità della religiosità indiana e la sua somma originalità ri­ siedono nel fatto di essere fondate, più che su un insieme di creden­ ze, su un complesso di esperienze di ordine mistico-meditativo, come si è accennato. Che cosa ciò significa? Vuol dire che il loro carattere fondamentale consiste nella realizzazione diretta, in-mediata (anu­ bhava), quindi estatica e «mistica» nel senso originario del termine ( di «cosa indicibile») di un insieme di stati o piani di coscienza simbo­ leggiati da miti cosmologici e teologici ruotanti attorno a determina­ te personalità divine che, di volta in volta. assumono un ruolo princi­ pale nei rispettivi sistemi religiosi. In altri termini, mentre presso Cri­ stiani, Ebrei e Mussulmani la religione consiste essenzialmente nd «credere» in un Dio trascendente e separato dall'uomo a cui si rende culto e la cui legge rivelata si osserva, presso gli Indiani «hindu•, in­ vece, la religione trapassa ben tosto in un insieme di pratiche asceti­ che intese a trasferire la personalità del devoto, empirica, contingente 8 RELIGIONI E MITI DELL'INDIA e limitata, nella personalità assoluta, cosmica ed atemporale simbo­ leggiata dalla particolare divinità oggetto di culto: ciò, di là dalla at­ tività devozionale ed etica. che è generalmente rnnsiderara un gradi­ no propedeutico all'esperienza del divino. L'Indiano. essenzialmen­ te, rende ad indicarsi e ritrovare la più im ima realtà di se stesso in una dimensione variamente denominata Vi�!"JU, Brahma, Siva ecce­ tera. Da parte sua, la divinità è concepita in primo luogo e specialmente nella religione più amica, quale simbolo di fenomeni rnsmici - pioggia, folgore, vento e così via - e loro reggirrire; in sernndo luo­ go quale simbolo di stati di coscienza, che il devoto è chiamato aspe­ rimentare quali tappe della sua vita spirituale. puramente interiore. In questo secondo senso, riti, liturgie stagionali, immagini ed edifici templari sono contemplati e vissuti come proiezione. entro il mondo materiale e sensibile, di condizioni spirituali sovrasensibili ama verso le quali l'uomo si ricongiunge alla sua più reale essenza: l'Indiano rende culto ai diversi dèi con l'intento di suscitare entro se stesso quelle medesime energie che misteriosamente animano l'Universo rendendolo vivente ed "intelle_gibilè:-. Ma al centro di tutto ciò vi è. seppure indiato, l'Uomo. Il precetto fondamentale che orienta la re­ ligiosità indiana è la norma antichissima: «Chi non sia un dio non può render culto ad un dio!» (na " adevo dévam arcayet). Atteggia­ mento fondamentalmente magico! In India convivono molte religioni, anche nel senso orridentale del termine. Alcune sono state storicamente importate, come l'Islam predominante nell'attuale Pakistan. Il Cristianesimo già introdotto, a quanto pare, in tempi apostolici sulle cosce occidentali, sucressiva­ meme sottoposto alla supremazia di Roma, a parte le serre protestan­ ti diffuse durame la dominazione britannica, e il Parsismo, sopravvi­ venza dell'amica religione mazdea della Persia portata in India da profughi iranici, i cosiddetti Parsi, a partire dal X secolo d.C. Le reli­ gioni nate e sviluppatesi in terra indiana sono, invece, il cosiddetto Hinduismo praticato nelle sue numerosissime forme dell'enorme mag­ gioranza della popolazione, la religione dei Sikh, professata da circa cinque milioni di Indiani siti nelle provincie nord-occidentali del subcontinente, quella dei Jaina, seguìca da circa due milioni, ed il Buddhismo, diffusissimo dieci secoli fa, successivamente emarginato dalla rinascita dell'Hinduismo negli Stati nord-orientali e centrali, indi sradicato dall'alluvione islamica a partire dall'undicesimo secolo. At­ tualmente il Buddhismo sopravvive solo nelle regioni opposte del Nepal, ai margini del Tibet, e nell'isola di Ceylon, all'estremo sud del èomineme, seguìto da appena seicentomila adepti. A queste reli­ gioni si aggiungono i culti, fondamentalmente animistici, dei più amichi indigeni, riassorbiti più o meno entro il quadro dell'Hindui­ srno. La religione indiana per eccellenza è quella che in Occidente si è CARATrERI GENERALI DELI.A RELIGIOSITÀ INDIANA 9 convenuto di denominare Hinduismo (dal pers. hindu, scrt. sindhu, «regione dei Fiumi», Indostan). Non si tratta di una sola religione, ordinata rigidamente secondo dogmi teologici e comandamenti mo­ rali, bens'i di un amalgama di culti, riti e liturgie, rivolti a disparate divinità, talvolta di diversi sistemi teologici, che nel corso dei millen­ ni si sono venute componendo attorno ad un nucleo fondamental­ mente filosofico, religioso ed etico, generalmente indicato come «Brahmanesimo». Queste religioni, come il Visnuismo, lo Sivaismo e le diverse forme di Saktismo, si sono a loro volta formate in seguito all'aggregazione reciproca di culti diversissimi, risalenti alle varie componenti del mosaico etno-linguisticp indiano (Arii, Dravida, Munda, Vedda eccetera), che però convergevano verso un tipo di esperienza religiosa, talvolta magico-sciamanica, comune. Le figure mitiche e teologiche, attorno alle quali ruotano queste religioni, si sono venute componendo e reciprocamente adattando nel corso dei millenni, ora in schemi emanatistici (come gli avatira, o successive «discese» in terra del Principio Divino), ora secondo gerarchie funzio­ nali (come i vyiiha visnuiti, o le otto forme di Siva, simboleggianti al­ trettante attività del dio). Questa singolare situazione dipende da una condizione psicologica: la funzione divina particòlare ed i miti relativi ad essa hanno il sopravvento rispetto alle persone medesime che ne sono di volta in volta il supporto, come Rama, Km1a, Mahesa ed altre numerosissime. Tanto per fare un esempio approssimativo: si paragoni il culto di Castore e Polluce, che probabilmente in origine costituiva una reli io secunda in Grecia ed a Roma (c ome i due Asvin g in India), riaggregatosi al Cristianesimo, attraverso le persone dei martiri Cosma e Damiano «fratelli e medici», con identica funzione! Il sopravvento del mito, rispetto alla persona del dio che ne incarna la funzione, è favorito in India dal medesimo orientamento psicologico del culto, che non canto si rivolge al dio oggetto di fervida meditazio­ ne (upàsana) o devozione (bhaktt), quanto è inceso a sviluppare una condizione estatica (samadht) nel devoto, cale che gli permetta di realizzare quelle virtù, potenze o gradi di consapevolezza, delle quali la divinità particolare è considerata dispensatrice e simbolo vivente. Ad esempio, i cinque vyuha o ipostasi di Km1a nei vari sistemi ispira­ ti al Pancaratra sono la proiezione cosmica di altrettante funzioni co­ gnoscitive e senzienti umane personificate: realizzandone la intima essenza divina, l'uomo consegue la propria liberazione dal ciclo delle nascite e delle morti (samsara); ancora di più, le otto ipostasi di Siva (Rudra, Sarva, Ugra, Asani - Bhava, Pasupaci, Mahadeva ed hana), oltre ad essere il simbolo di acqua, aria, terra, fuoco, etere, sole, luna e suono, costituiscono altrercante potenze, ora avverse ora favorevoli, d�lle_ quali l' �sceta si re�de consapevole, per identificazione, sui due p1am soggemvo e cosmico. I miti relativi additano frequentemente le tecniche dell'estasi at­ traverso le medesime vicende del racconto. Ciò spiega, a parte ragioni 10 RELIGIONI E MITI DEll'INDIA di contaminazione storica, perché le medesime persone divine, già nei Veda (v. infra, i miti cosmogonici), si scambiano le parti assu­ mendo ruoli opposti a quelli di partenza (il creatore che diventa crea­ tura deJ. proprio figlio) come accadeva nell'Orfismo greco, tanto per fare un esempio, nella favola di Eros e Phanes. Altre volte, invece, si ha !'.intrusione di cicli mitici apparentemente estranei al tessuto della narrazione: questo è il caso della serie di miti riferiti nella sezione Narar:iiya dello Santiparvan del Mahabharata, oppure nell' Anusasa­ naparvan (cap. 14) della medesima narrazione, ove compare il dio Si­ va Nilalohita con la sua sposa SatI (la «Essente») quale figura centrale di un racconto poetico riguardante, invece, le avventure del dio Kr�r:ia incarnazione di Vi�r:iu, quindi dio - e potentissimo - di un altro sistema religioso, del cui verbo il Mahabharata è portatore! La cosa più curiosa è che, in questo racconto, Kr�r:ia, si reca da Siva per impetrargli il dono di armi magiche che gli permetteranno di com­ piere la sua funzione guerriera in un'avventura che co�tituisce il per­ no della sua esistenza terrestre e della sua missione in essa. La funzio­ ne esemplificata dal mito è molto più impoftante delle persone divi­ ne che lo interpretano, talvolta scambiandosi le parti. Oltre a questo, l'indole estatica e «concentrati va» dei culti religiosi indiani conduce a considerare una determinata divinità quale figura principale o addi­ rittura riassuntiva del particolare Olimpo a cui appartiene, usurpan­ do le funzioni che altri inni o riti attribuiscono a dèi totalmente di­ versi. Questo atteggiamento paradossale, fra l'altro opposto all'esa­ sperante sistematicità classificatoria di tutte le teologie indiane, assu­ me una particolare figura o funzione divina, quale base di orienta­ mento soggettivo per il devoto, piuttosto che mero oggetto di devo­ zione: questo è quello che gli studiosi occidentali del Veda hanno de­ notato come Enoteismo (o Catenoceismo) per significare che, di volta in volta, quel particolare dio viene assunto e venerato come «Iddio». Si è detto che il nucleo centrale dell'Induismo è costituito dal co­ siddetto Brahmanesimo. Il termine brahman (al neutro) significa in origine «energia insita nella preghiera» o «forza magica del rito», as­ sumendo successivamente il senso di «spirito uni\'ersale» o «realtà as­ soluta», dalla rad. brh, b hati. che significa «effondersi», «farsi gran­ r de». La sua personificazione Brahmii (maschile, nom.), talvolta tra­ sposta miticamente nelle figure di Brhas-pati o Brahma1Jas-pati (« Si­ gnore della Parola») e di Prajii-pati («Signore della Prole, del Creato»), è il Dio-Tutto creatore, attraverso I'« ardore ascetico» (ta­ pas), dei cicli temporali, dei mondi, degli dèi, degli uomini e di tut­ to ciò che anima e popola il Trimundio, emblematicamente denotato con i termini: Svar, il celeste spazio luminoso, Bhuvas, l'atmosfera, e Bhur, la Terra o, meglio, la dimensione solida della realtà. L'espressione occidentale «Brahmanesimo», derivando da brahman -termine fattuale ed energetico -non indica tanto un sistema reli­ gioso dal quale gli altri siano derivati, bensì un orientamento panico- CARATTEGREIN ERDAELLILR AE LIGIIONSDIITAÀN A 11 lare di natura spirituale, filosofirn ed ecira rnnferito alle istituzioni religiose e sociali degli Indiani sin da tempo molto amico, dalla classe dei manipolatori professionali di cale hr.ihm,m. rioè i sarerdori - briihma'!a - conservatori delle Sane Tradizioni (Jmn.i_y.i) e loro in­ terpreti, non solo. ma anrhe quelli rhe hanno tradotto in termini fi­ losofici i contenuti peraltro miriri di detce Tradizioni. Anticipando quanto verrà esposto in seguito. si porrebbe dire rhe tutta la storia spirituale dell'India. si riassume nella inressame «brahmanizzazione» delle correnti religiose. filosofiche. policirhe e srorirhe fluire in que­ sta civiltà sin dalla remora protostoria e rhe anrnra ne rnmpongono il volto odierno. Questa brahmanizzazione la quale paradossalmente è accentuata nelle sette e nelle religioni indiane che ricusano la tradi­ zione vedica e il sistema socio-politico delle rasce quale veicolo all'esperienza del divino, risiede nella conversione ai ranoni misriri e metafisici soni dalla speculazione filosofica dei brahma1J.i. di miri, culti e liturgie di origine e tendenza molto diversa. Questo assunto diventa particolarmente chiaro allorrhé si esamina­ no i caratteri, più psicologiri che formali, che connotano la spernla­ zione indiana· (anv'ik iltì), il rni cammino è parallelo a quello ! dell'esperienza religiosa. Questa spernlazione filosofa-a, oltre a ricer­ care una spiegazione logico-discorsiva del mondo, è soprattutto in­ tenta a perfezionare un tipo di attività interiore diretta ad acquistare l'intuizione del movimento della realtà universa (« per il Signore è una veste tuttò ciò che esiste, universo che si muove nell'universale movimento. .. » isa- Up., 1): in questa realtà in movimento è anche compreso il soggetto spernlatore! L'esigenza centrale della specula­ zione indiana è quella di condurre il soggetto alla liberazione concre­ ta ed attuale (mok a, muktz) dall'esistenza condizionata (samstira) 1 dalla passiva esperienza di nascita, dolore, piacere, morte, rinasrita eccetera. Secondo la visione tradizionale indiana, raie esistenza con­ dizionata che l'uomo comunemente patisce non deriva da un «pecca­ to originale», come predicano le _religioni di radire ebraira, bensì da un primordiale atto di ignoranza (a-vid ii), che ottenebrando la tra­ y sparenza del -Sé "umano (jiva-titman) rispetto alla Realtà universale (brahman), lo:ha reso alieno alle medesime radici del proprio essete, il Grande Sé (mahtin-iitma), i cui diversi gradi di potere, sapienza ed effficienza sono mitologizzari nelle figure delle varie divinità dell'In­ duismo. La meditazione filosofica, come bisognerebbe corretramente denominare la Filosofia Indiana, interviene a far cessare questo jato, eminentemente cognoscitivo, fra io e mondo, fra Sé e Realtà Assolu­ ta. Un punto molto imporrante, da tenere presente per comprendere l'orientamento della filosofia e delle religioni dell'India è che per lo­ ro il pensiero è concepito come un'attività estremamente concreta e non soltanto come una funzione astratta intesa a giustificare un'im­ magine del mondo, peraltro incapace di penetrarlo. Al contrario, il

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