ambre carte /cartografie 8 A partire dal comune insegnamento al Collège de France, Paul Veyne strinse un forte legame d'amicizia con Michel Foucault, del quale divenne, soprattutto negli ultimi anni di vita del grande filosofo francese, il referente privilegiato. In questo volume sono raccolti e per la prima volta tradotti in tegralmente i contributi che Veyne, nel corso degli anni, dedicò all'opera dell'amico. In Foucault rivoluziona la storia, definito da più parti come una delle analisi più rigorose e interessanti dell'opera foucaul- tiana, Veyne tematizza le novità introdotte dall'autore di Sorve gliare e punire nell'approccio alla storia. Più caratterizzati in senso affettivo sono i due contributi L'ultimo Foucault e la sua morale e Foucault e U superamento (o compimento) del nichili smo. In essi all'attento vaglio di alcuni rilevanti nodi problema tici, quali appunto la morale e il nichilismo, si unisce il propo sito di tracciare un profila dell'uomo Foucault, colto, sulla scia del ricordo personale, in alcuni momenti della sua vita. 008317 Lire 18.000 ISBN 81 Pubblicato con il contributo del Ministero degli Affari Esteri francese Titoli originali: Foucault révolutionne l’histoire, © Editions du Seuil, Paris 1979; Foucault et le dépassement (ou achèvement) du nihilisme, © Éditions du Seuil, Paris 1989; Le dernier Foucault et sa morale, © Paul Veyne, 1986 Prima edizione italiane novembre 1998 © ombre corte edizioni Via Alessandro Poerio, 9 - 37124 Verona Tel./fax: 045.8301735 Progetto grafico e impaginazione: ombre corte edizioni In copertina: Michel Foucault ISBN 88-87009-07-4 Indice 7 I. Foucault rivoluziona la storia 67 il. U ultimo Foucault e la sua morale 81 III. Foucault e il superamento (o compimento) del nichilismo 87 Nota del curatore I. Foucault rivoluziona la storia Visto che il nome di Foucault è noto a tutti, non è certo il caso di indulgere a una lunga introduzione. Meglio passare subito a esempi concreti, per mostrare l’utilità pratica del metodo di Foucault e per tentare di dissipare le prevenzioni che si potrebbero legittima- mente nutrire nei confronti di questo filosofo: ossia che Foucault reificherebbe un’istanza che sfugge all’a zione umana e alla spiegazione storica, che privilege- rebbe le cesure e le strutture rispetto alle continuità e alle evoluzioni, che non si interesserebbe al sociale, ecc. Inoltre, una parola come «discorso», ha creato molta confusione1 * * 4. Diciamolo subito, Foucault non è Lacan, e nemmeno la semantica: il termine «discorso» è utilizzato da Foucault con un preciso significato tec nico e non designa certamente ciò che viene detto. Lo 1 La colpa non è dei lettori. Larcheologia del sapere (1969; trad. it. di G. Bogliolo, Rizzoli, Milano 1980), quel libro maldestro e geniale in cui l’autore ha preso piena coscienza di quello che faceva spingendo la sua opzione teorica fino al compimento logico («In una parola, si vuole bella mente fare a meno delle “cose”, “depresentificarle”», p. 65; cfr. p. 23 e l’autocritica rispetto a Le parole e le cose e Nascita della clinica, pp. 64, 73- 4 ), è stato scritto in piena febbre strutturalista e linguistica. Lo storico Foucault, inoltre, ha iniziato con lo studiare più i discorsi che le pratiche o le pratiche attraverso i discorsi. Resta il fatto che il legame del metodo foucaultiano con la linguistica è solo parziale, accidentale o circostanziale. 8 MICHEL FOUCAULT stesso titolo di uno dei suoi libri, Le parole e le cose, è infatti ironico2. Se dissipiamo alcuni fraintendimenti, probabilmen te inevitabili ’, scopriremo in questo pensiero difficile qualcosa di estremamente semplice e nuovo, che non può dispiacere allo storico, che può farlo sentire im mediatamente «a suo agio»: qualcosa che egli auspica va e che in modo confuso già faceva. Foucault è lo sto rico compiuto, il compimento della storia. Questo fi losofo è uno dei maggiori storici del nostro tempo, e nessuno lo mette in dubbio, ma lo si potrebbe anche vedere come l’autore di una rivoluzione scientifica in torno alla quale armeggiavano tutti gli storici. Positivi sti, nominalisti, pluralisti e nemici degli ismi lo siamo tutti: egli è il primo a esserlo completamente. E il pri mo storico completamente positivista. Il mio primo compito sarà quello di parlare, per evidenti ragioni, come storico e non come filosofo. Il secondo, sarà quello di parlare attraverso esempi: par to da uno, non mio, da cui trarrò tutti i successivi ra gionamenti. Si tratta della spiegazione riguardante la cessazione dei combattimenti gladiatorii avanzata da Georges Ville nel suo libro postumo sulla gladiatura romana4. L’intuizione iniziale di Foucault è rappresentata non dalla struttura, dalla cesura o dal discorso ma dal la rarità, nel significato latino del termine. I fatti uma ni sono rari. Non sono collocati nella pienezza della ragione. Intorno ad essi c’è il vuoto per altri fatti che 2 3 4 2 Ivi, p. 66, ma cfr. anche pp. 62-7. 3 Inoltre «in Le parole e le cose infine, la mancanza di una base meto dologica ha potuto far credere ad analisi in termini di totalità culturale» (Ivi, p, 23). Anche alcuni filosofi vicini a Foucault hanno pensato che il suo obiettivo consistesse nello stabilire l’esistenza di una episteme comu ne a tutta un’epoca. 4 G. Ville, La gladiature en Occident des origines à la mort de Dorm- tien, École Frangaise, Rome 1981 (N.d.T.). FOUCAULT RIVOLUZIONA LA STORIA 9 la nostra saggezza non è in grado di immaginare in quanto ciò che è potrebbe essere altrimenti. I fatti umani sono arbitrari, nel senso di Marcel Mauss, non vanno da sé, anche quando appaiono talmente sconta ti agli occhi dei contemporanei e anche dei loro stori ci che né gli uni né gli altri sono in grado di percepir li. Ma passiamo ai fatti. La lunga storia che ascoltere mo grazie al mio amico Georges Ville è quella della cessazione dei combattimenti dei gladiatori. I combattimenti sono finiti poco a poco, o meglio a scosse, lungo il IV secolo della nostra era, durante il re gno degli imperatori cristiani. Perché la cessazione av viene proprio in quel momento? La risposta sembra evidente: quelle atrocità sono scomparse grazie al cri stianesimo. Eppure, non è propriamente andata così. Così come la schiavitù, la gladiatura non deve la pro pria scomparsa ai cristiani, il cui biasimo per la gladia tura rientrava semplicemente nella condanna generale pronunciata contro tutti gli spettacoli che sviano l’at tenzione dell’anima dalla salvezza eterna. Anzi, ai loro occhi, fra tutti gli spettacoli, il teatro, con tutte le sue indecenze, appariva ben più condannabile della gla diatura: mentre infatti il piacere di vedere scorrere il sangue avrebbe trovato in se stesso il proprio compi mento, il piacere delle indecenze della scena poteva spingere gli spettatori a una condotta licenziosa. La spiegazione deve essere allora forse cercata sul versan te di un umanitarismo non tanto cristiano quanto ge nericamente umano, o forse sul versante della saggez za pagana? Niente affatto. L’umanitarismo esiste solo fra una ristretta minoranza dai nervi fragili (in tutti i tempi, la folla è accorsa con entusiasmo ai supplizi, e Nietzsche ha scritto alcune frasi da pensatore da bar sulla sana ferocia dei popoli forti) e lo si può facil mente confondere con un sentimento un po’ diverso, la prudenza. I Greci, prima di adottare con entusia- 10 MICHEL FOUCAULT smo la gladiatura romana, diffidavano della sua cru deltà, temendo che potesse abituare le popolazioni al la violenza così come oggi si pensa che le scene di vio lenza alla televisione possano far crescere il tasso di criminalità. La qual cosa, come si può immaginare, non aveva nulla a che vedere con il compianto per la sorte dei gladiatori. I saggi, sia pagani sia cristiani, da parte loro, pensavano che lo spettacolo sanguinoso dei combattimenti imbrattasse l’anima (questo il senso delle troppo famose condanne pronunciate da Seneca e sant’Agostino), ma una cosa è condannare i film por nografici perché sono immorali e imbrattano Fanima dello spettatore, un’altra è condannarli perché trasfor mano in oggetto chi li interpreta. In effetti, i gladiatori godevano nell’Antichità della reputazione ambivalente tipica delle star del porno: quando non colpivano la fantasia come vedette dell’a rena destavano orrore in quanto quei volontari della morte ludica erano allo stesso tempo assassini e vitti me, candidati al suicidio e futuri cadaveri ambulanti. Li si riteneva impuri, allo stesso modo delle prostitute: gli uni e le altre sono focolai di infezione all’interno delle città, è immorale frequentarli perché sono spor chi, vanno presi con le molle. La cosa è facile da spie gare: nella maggioranza della popolazione il gladiato re, così come il boia, suscitava sentimenti ambivalenti, attrazione e prudente repulsione. Da un lato, c’era il gusto di vedere soffrire, la fascinazione per la morte, il piacere di vedere i cadaveri; dall’altro l’angoscia nel verificare come nella sfera della pace pubblica trovas sero spazio assassini legali che non erano né nemici né criminali. Lo stato di società non difendeva più dalla legge della giungla. In molte civiltà, questa paura poli tica ha prevalso sull’attrazione: è ad essa che si deve la fine dei sacrifici umani. A Roma, diversamente, ha prevalso l’attrazione e in tal modo ha potuto instaurar FOUCAULT RIVOLUZIONA LA STORIA il si un’istituzione, quella dei gladiatori, unica nella sto ria universale. Il misto di orrore e attrazione conduce alla soluzione di respingere quegli stessi gladiatori che venivano acclamati come vedette e di considerarli im puri come il sangue, lo sperma e i cadaveri. Ciò per metteva di assistere ai combattimenti e ai supplizi con la coscienza tranquilla: le scene più spaventose dell’a rena erano uno fra i motivi preferiti degli «oggetti d’arte» chiamati a decorare gli interni delle abitazioni. Ma l’aspetto più stupefacente riguarda non tanto la mancanza, peraltro non imprevista, di umanitarismo quanto il fatto che il candore nell’atrocità fosse legitti mo, legale e persino organizzato dai poteri pubblici. Il sovrano, questo garante dello stato di società contro lo stato di natura, era proprio lui l’organizzatore di quel le uccisioni ludiche in piena pace pubblica che, nel l’anfiteatro, arbitrava e presiedeva. Tanto che i poeti di corte, per lusingare il loro signore, si felicitavano con lui per la divertente ingegnosità dei supplizi che aveva organizzato per il piacere di tutti (voluptas, laetitid). A fare problema non è dunque tanto l’orrore, anche le gale - basti pensare a come, in altri secoli, la folla si as sembrasse intorno agli autodafé, spesso presieduti da sovrani cristiani -, quanto il fatto che questo orrore pubblico non si avvalesse di alcun pretesto. Gli auto dafé non erano fatti per divertire: se un adulatore si fosse congratulato con il re di Spagna o di Francia per la voluptas procurata ai sudditi, la cosa sarebbe stata vista come un attentato alla maestà del re e alla dignità della giustizia e delle sue pene. In un simile contesto, la scomparsa dei combatti menti dei gladiatori nel secolo degli imperatori cristia ni appare come un mistero impenetrabile: che cosa è stato a ribaltare l’ambivalenza facendo in modo che l’orrore prevalesse sull’attrazione? Tale funzione non può essere attribuita né alla saggezza pagana, né alla