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Matrimonio Alla Moda PDF

209 Pages·1934·0.83 MB·Italian
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GEORGETTE HEYER MATRIMONIO ALLA MODA (The Convenient Marriage, 1934) I Poiché Lady Winwood non poteva riceverla, la visitatrice mattutina chiese ansiosamente della signorina Winwood, o in ogni caso di una delle signorine. Le notizie che l'avevano raggiunta erano di tale portata che sa- rebbe stato in verità intollerabile se nessuna delle Winwood avesse accetta- to di parlarle. Ma il guardaportone la invitò a entrare dichiarando che la si- gnorina Winwood era in casa. La signora Maulfrey ordinò dunque al cocchiere di attenderla e, giunta nell'atrio in penombra, chiese con vivacità: «Dov'è la signorina Winwood? Non è necessario che mi annunciate». Le signorine erano tutte nel salottino. La signora Maulfrey annuì e per- corse l'atrio facendo risuonare sul pavimento gli alti tacchi delle scarpine. Mentre saliva le scale la gonna di ormesino, sostenuta da amplissimi pa- niers à coudes, sfiorava la balaustra da entrambi i lati. La signora rifletté - né era la prima volta - che la scala era troppo stretta e il tappeto irrimedia- bilmente consunto. Quanto a lei, si sarebbe vergognata di un arredamento tanto fuori moda; ma per quanto si ostinasse a considerarsi una cugina, non era, doveva ammetterlo, una Winwood di Winwood. Il salottino, come il guardaportone aveva definito la camera sul retro che veniva adibita a uso esclusivo delle signorine, si trovava al primo piano, e la signora Maulfrey lo conosceva assai bene. Bussò con la mano guantata e entrò senza attendere risposta. In gruppo accanto alla finestra, le tre signorine Winwood componevano, senza artificio alcuno, un quadro affascinante. Su un divano di raso giallo, impallidito dal tempo,sedevano la signorina Winwood e la signorina Charlotte, le braccia intrecciate l'una attorno alla vita dell'altra. Erano assai somiglianti, ma alla signorina Winwood spettava la palma della bellezza. Ora, sentendo entrare la signora Maulfrey in un gran fruscio di gonne, vol- se verso di lei il viso dal profilo classico, dai grandi, dolcissimi occhi az- zurri e dalle labbra leggiadramente disegnate che si aprirono in un'espres- sione di blanda meraviglia. Una cascata di riccioli biondi trattenuti da un nastro azzurro le incorniciava il viso e le ricadeva sulle spalle in boccoli ben ordinati. Il paragone con la Bellezza della famiglia non era favorevole alla signo- rina Charlotte, ma era una autentica Winwood anche lei, con il celebre na- so greco e gli occhi azzurri. E se i riccioli, meno biondi di quelli della so- rella, dovevano molta gratitudine al ferro da ricci e gli occhi erano di un azzurro meno profondo, non si poteva negare che Charlotte fosse una gio- vane di notevole bellezza. Horatia, la minore, non aveva nulla dei Winwood, se non il naso. I ca- pelli erano scuri, gli occhi di un grigio profondo, e le sopracciglia, scure e folte, disegnavano una linea diritta che le conferiva un'espressione seria, quasi cupa; per quanti tentativi fossero stati compiuti, nulla era valso a mu- tarle in sopracciglia arcuate. Diciassettenne e meno alta delle sorelle, si vedeva costretta ad ammettere con rammarico che non sarebbe probabil- mente più cresciuta. Quando la signora Maulfrey entrò nel salotto, Horatia sedeva su uno sgabello basso di fianco al divano, il mento appoggiato alle mani, lo sguardo cupo e tempestoso. Forse, si disse la signora Maulfrey, erano sol- tanto quelle incredibili sopracciglia a darne la sensazione. Le tre sorelle indossavano abiti da mattina in mussola operata sostenuti da cerchi assai discreti e stretti alla vita da nastri di taffetà. Abbigliamento campagnolo, pensò la signora Maulfrey scuotendo con soddisfazione il mantello di seta ornato di frange. «Mie care!» esclamò. «Sono giunta appena ho saputo! Ditemelo subito, è vero? Rule ha fatto la sua domanda?» La signorina Winwood, che si era alzata per accogliere la cugina, parve sul punto di venir meno e impallidì. «Sì» disse debolmente. «Ahimè, sì, è vero, Theresa.» Negli occhi della signora Maulfrey apparve un'espressione di stupito ri- spetto: «Oh, Lizzie! Rule! Contessa di Rule! Ventimila l'anno, a quanto ho sentito, e non è improbabile che siano di più!». La signorina Charlotte le offrì una sedia. «Giudichiamo Lord Rule» os- servò con una nota di riprovazione nella voce «un gentiluomo ineccepibile. Ma non v'è uomo al mondo» aggiunse stringendo con tenerezza la mano della sorella «per quanto aristocratico, che sia degno della nostra adorata Lizzie!» «Bontà divina, Charlotte!» proruppe la signora Maulfrey. «Rule è il mi- glior partito che esista e voi lo sapete bene. Non poteva darsi fortuna più straordinaria. Non che voi non la meritiate, Lizzie; la meritate e io ne sono lietissima per voi. Se soltanto penso agli accordi dotali!» «Parlare degli accordi dotali, Theresa» la ammonì la signorina Charlotte «è assai indelicato. Senza alcun dubbio la mamma discuterà della cosa con Sua Signoria, ma come attendersi che Lizzie consacri i suoi pensieri a pro- blemi meschini quali l'entità della fortuna di Lord Rule?» La più giovane delle tre signorine Winwood, che sino ad allora era rima- sta in silenzio, il mento sorretto dalle mani, di colpo sollevò la testa e diede 1 in una sola, agghiacciante esclamazione. «S-sciocchezze!» disse con una voce dal tono profondo che si inceppava appena. La signorina Charlotte si chiuse in un doloroso silenzio, ma Lizzie sorri- se tristemente. «In verità» disse «temo che Horry sia nel giusto. È soltanto per la fortuna» e tornò a sedersi sul divano, lo sguardo fisso di là dai vetri. La signora Maulfrey si accorse allora che nei gravi occhi azzurri di lei brillavano le lacrime. «Lizzie!» esclamò. «Parrebbe quasi che abbiate avu- to tristi notizie e non una lusinghiera domanda di matrimonio!» «Theresa!» la rimproverò Charlotte circondando affettuosamente con le braccia la sorella. «Non provate dunque vergogna? È mai possibile che ab- biate dimenticato il signor Heron?» Ebbene sì, era possibile: Theresa aveva dimenticato il signor Heron. Per un attimo parve in imbarazzo, ma non tardò a riprendersi: «Sì, il signor Heron. È triste, molto triste, ma... Rule, capite! Non che il povero signor Heron non sia una degnissima creatura, ma un semplice tenente, Lizzie, 2 che presto dovrà tornare a quell'orribile guerra americana... no, davvero è impensabile!». «Sì» annuì Elizabeth con voce rotta «impensabile.» Lo sguardo cupo di Horatia si posò su Charlotte. «Credo» dichiarò «che sarebbe bene se Charlotte sposasse Rule!» «Horry!» gemette Charlotte. 1 Da questo momento i lettori sono cortesemente pregati di tenere conto del fatto che la signorina Horatia Winwood è affetta da una leggera balbu- zie; incline ad accentuarsi nei momenti di particolare emozione. [N.d.T.] 2 La signora Maulfrey si riferisce naturalmente alla guerra d'indipenden- za (1775-1781) che doveva portare le colonie inglesi d'America a diventare gli Stati Uniti d'America. Una delle prime battaglie di notevole impegno si ebbe il 17 giugno 1775 a Bunker's Hill; le truppe inglesi vinsero, ma a fati- ca e con gravi perdite; le truppe americane compresero che avrebbero po- tuto vincere. E proprio a Bunker's Hill, come stranamente non ricordano i libri di storia ma come i lettori apprenderanno più avanti, Heron venne fe- rito. [N.d.T.] «Bontà divina, Horry, che cosa dite mai!» osservò con indulgenza la si- gnora Maulfrey. «Rule vuole Elizabeth.» Horatia scosse vigorosamente il capo. «No» affermò con quella sua voce tesa e decisa «vuole una Winwood. Era stato stabilito da anni. Non credo abbia visto Lizzie più di cinque o sei volte. Non può avere importanza per lui.» La signorina Charlotte si allontanò dalla sorella e disse con voce palpi- tante: «Nulla... nulla potrebbe indurmi a sposare Lord Rule, quand'anche avesse chiesto la mia mano! Io rifuggo dal semplice pensiero del matrimo- nio: da lungo tempo ho deciso di dedicare la mia vita alla mamma. E se mai un uomo dovesse spingermi a volgere la mia mente a pensieri di noz- ze, dovrebbe essere assai diverso da Lord Rule». La signora Maulfrey interpretò senza alcuna difficoltà quella appassio- nata dichiarazione. «Quanto a me» ribatté «ho un debole per i libertini. E Rule è tanto bello!» «Credo» continuò tenacemente Horatia «che la mamma avrebbe potuto fargli il nome di Charlotte.» Elizabeth volse il capo: «No, tu non comprendi, Horry. La mamma non poteva fare una cosa tanto sconveniente.» «La zia Winwood vi costringe a questo matrimonio, Lizzie?» chiese la signora Maulfrey gradevolmente incuriosita. «No, oh, no! Voi sapete quanto sia tenera la mamma. Non vi è che deli- catezza in lei, sensibilità! Soltanto la consapevolezza profonda del mio do- vere verso la famiglia mi spinge a un passo tanto... tanto terribile per la mia felicità.» «Ipoteche» spiegò misteriosamente Horatia. «Pelham?» chiese la signora Maulfrey. «Naturalmente» annuì Charlotte con una nota di amarezza. «E chi altri? Il tragico spettro della rovina si erge minaccioso innanzi a noi.» «Povero Pelham!» Elizabeth sospirò pensando al fratello assente. «Temo abbia abitudini dispendiose.» «Debiti di gioco, immagino. La zia Winwood sembrava convinta che anche la vostra parte dell'eredità...» e qui, delicatamente, si interruppe. Elizabeth arrossì, ma Horatia disse: «Non si può biasimare Pel. Lo ha nel sangue. Una di noi deve sposare Rule. Lizzie è la maggiore e la più bel- la, ma anche Charlotte potrebbe servire allo scopo. Lizzie è promessa a Edward Heron». «Non "promessa", amor mio» la corresse Elizabeth. «Era una speranza... se soltanto egli fosse stato promosso capitano forse la mamma avrebbe ac- consentito.» «Quand'anche fosse così» la interruppe con profondo buon senso la si- gnora Maulfrey «come sarebbe possibile paragonare un capitano di fante- ria al conte di Rule? E a quanto ne so, quel giovane ha una fortuna mode- 3 stissima: chi potrebbe pagare per la sua promozione?» Ma Horatia non era donna da lasciarsi abbattere. «Edward» ribatté «mi ha detto che se avesse avuto la fortuna di trovarsi in un altro combattimen- to la cosa sarebbe stata possibile.» La signorina Winwood, scossa da un brivido, si portò una mano al viso: «Horry, ti prego!». «Non mette conto parlarne» intervenne Theresa Maulfrey. «Voi direte che non ho cuore, Lizzie, ma è davvero impensabile. Come potreste vivere con il soldo di quel giovane? Oh, è triste, ma pensate alla vostra futura po- sizione sociale, ai gioielli che avrete!» La prospettiva parve terrificante alla signorina Winwood, che tuttavia non parlò. Toccò a Horatia esprimere i sentimenti delle tre ragazze. «Vol- gare!» esclamò. «Siete volgare, sapete, Theresa.» La signora Maulfrey arrossì e si diede con grande passione ad aggiustar- si la gonna: «So bene che queste cose non contano per Elizabeth, ma non potete negare che si tratti di un matrimonio assai brillante. Che cosa ne pensa la zia?». «Ne è profondamente grata» rispose Charlotte. «Come dobbiamo essere tutte, riflettendo alla difficile situazione in cui ci ha messe Pelham.» «Dov'è Pelham?» chiese la signora Maulfrey. «Non lo sappiamo» le rispose Elizabeth. «Forse ora è a Roma. Il povero Pel scrive assai di rado. Ma sono certa che avremo presto sue notizie.» «Dovrà pur tornare per le vostre nozze! Ma ditemi, Lizzie! Vi ha corteg- giata Rule? Non sospettavo nulla del genere pur sapendo che in certo mo- do il matrimonio era stato deciso da tempo. Soltanto, lui era così...» Ma dovette parerle opportuno non dire quanto aveva in mente poiché si inter- ruppe di colpo. «Bene, non ha alcun peso» concluse «e sono certa che Rule sarà un marito adorabile. Gli avete già dato una risposta, Lizzie?» 3 I lettori non si sentano per questa frase autorizzati a emettere un severo giudizio di condanna sulla signora Maulfrey, il tenente Heron e il conte di Rule (si vedrà più avanti perché venga coinvolto anche il conte): comprare le promozioni nell'esercito era ancora a quell'epoca la prassi regolare. [N.d.T.] «Non ancora. Neppure... neppure io sospettavo nulla. Lo conosco, sì. Ha ballato con me le prime due danze al ballo da Almack's, quando Pelham era qui con noi. Ed è stato - è sempre stato - di un'estrema cortesia, ma non avevo mai pensato che intendesse chiedere la mia mano. Ieri ha parlato con la mamma soltanto per... per chiederle di potersi rivolgere a me. Vedete, non c'è ancora nulla di ufficiale.» «Assolutamente ineccepibile! Oh, amor mio, dite pure che manco di cuore, ma pensare a Rule che vi corteggerà in piena regola! Darei gli occhi per... li avrei dati» si affrettò a emendarsi «se non avessi sposato il signor Maulfrey. E lo stesso farebbe qualsiasi giovane donna di Londra! Non cre- dereste mai, mie care, quante hanno tentato di conquistarlo!» «Theresa» la ammonì implacabilmente Charlotte «Theresa, mi costrin- gete a chiedervi di non parlare in questo modo odioso!» Horatia guardava la cugina con un certo interesse: «Perché dite "pensare a Rule che vi corteggerà in piena regola"? Credevo fosse vecchio». «Vecchio?» si stupì la signora Maulfrey. «Rule? Oh, no, mia cara! Scommetterei sul mio onore che non ha più di trentacinque anni. E che e- leganza! Che portamento! Che sorriso irresistibile!» «A me sembra vecchio» ribatté con calma Horatia. «Edward non ha che ventidue anni.» Osservazione irrefutabile e definitiva. La signora Maulfrey, conscia di aver ottenuto tutte le notizie che le cugine intendevano in quel momento dare, decise di prendere congedo. Per quanto si dolesse dell'evidente ango- scia di Elizabeth, non riusciva in alcun modo a comprenderla e si diceva che quanto prima il tenente Heron fosse tornato al suo reggimento tanto meglio sarebbe stato. Allorché la porta si aprì ed entrò una donna smunta di età incerta annunciando con voce esitante a Elizabeth che il tenente He- ron chiedeva di parlare con lei, la signora Maulfrey assunse dunque una virtuosa espressione di rimprovero. Impallidendo e arrossendo a un tempo, Elizabeth si alzò e rispose quie- tamente: «Vi ringrazio, Laney». La signorina Lane pareva condividere la disapprovazione di Theresa Maulfrey. «Pensate di poterlo fare, cara signorina Winwood? Pensate» chiese «che vostra madre approverebbe?» Elizabeth le rispose con dolcezza, e con profonda dignità: «La mamma mi ha permesso, cara Laney, di... di annunciare al signor Heron l'imminen- te cambiamento del mio stato. Theresa, sono certa che voi non parlerete della lusinghiera offerta di Lord Rule fino a quando... fino a quando non vi sarà un annuncio ufficiale». «Creatura troppo nobile!» sospirò Charlotte mentre la porta si chiudeva silenziosamente alle spalle della sorella. «È un'amara lezione riflettere alle prove imposte al nostro sesso!» «Anche per Edward è una prova» constatò Horatia, che fissava con sguardo penetrante la cugina. «Theresa, se andate in giro a parlare di que- sto ve ne pentirete. Dobbiamo fare qualcosa.» «E che cosa, quando la nostra dolcissima Lizzie si offre lietamente al sa- 4 crificio?» «Lietamente! Sacrificio!» proruppe la signora Maulfrey. «Parola mia, sembra stiate parlando di un orco! Siete esasperante, Charlotte! Una casa in Grosvenor Square, la tenuta di Meering che a quanto ne so è stupenda, con un parco che si estende per sette miglia!» «Sarà una splendida posizione» ammise la minuscola governante. «Ma chi potrebbe occuparla meglio della cara signorina Winwood? Si vedeva bene che era destinata a salire in alto!» «Puah!» esclamò con disprezzo Horatia facendo schioccare le dita. «Questo, per la splendida posizione di Rule!» «Signorina Horatia, ve ne prego, quel gesto così poco signorile!» Ma Charlotte si schierò inaspettatamente al fianco della sorella: «Non dovresti far schioccare le dita, Horry; tuttavia sei nel giusto. Lord Rule può stimarsi fortunato a ottenere in isposa una Winwood». Frattanto, la signorina Winwood, sostando un breve attimo in capo alle scale per placare l'agitazione causata dalla notizia dell'arrivo di Heron, era scesa in biblioteca. Dove l'attendeva un giovane, in preda a un'agitazione ancora più intensa. Edward Heron, del decimo reggimento fanteria impegnato in quel tempo in America, si trovava in Inghilterra in missione di reclutamento. Ferito al- la battaglia di Bunker's Hill, era stato inviato in patria poiché la sua ferita era tanto seria da impedirgli ancora per qualche tempo di prendere parte al- le ostilità, e dopo la guarigione era stato, con suo profondo rammarico, as- segnato a un servizio in patria. La conoscenza tra lui e la signorina Winwood era di lunga data. Figlio cadetto di un gentiluomo di campagna la cui proprietà confinava con quel- la del visconte Winwood, aveva frequentato le signorine Winwood sin dal- la primissima infanzia. Era di famiglia ineccepibile, seppure finanziaria- 4 Certo non sussistono dubbi sul personaggio che si esprime con tanta melodrammatica efficacia. Si tratta, inevitabilmente, di Charlotte. [N.d.T.] mente di scarsi mezzi, e se soltanto fosse stato in possesso di una conside- revole fortuna sarebbe stato giudicato un buon partito - per quanto non un partito brillante - per Elizabeth. All'entrare della signorina Winwood in biblioteca, Heron, seduto accanto alla finestra, si alzò e le si fece incontro, negli occhi uno sguardo di trepida interrogazione. Era un giovane di notevole bellezza che portava con ele- ganza l'uniforme: alto, una figura armoniosa, un viso sincero segnato anco- ra dalla lunga convalescenza, il braccio sinistro lievemente rigido per le conseguenze della ferita. E tuttavia Heron si dichiarava in perfetta salute e pronto a raggiungere il suo reggimento. Uno sguardo al viso della signorina Winwood bastò a confermare l'ansia suscitata in lui dalla breve lettera di Elizabeth. Stringendole con passione le mani: «Che è mai accaduto?» le chiese. «Qualcosa di terribile?». Le labbra di Elizabeth tremavano; allontanandosi da lui, si sostenne al dorsale di una sedia. «Oh, Edward» mormorò «il peggio!» Lui impallidì: «La vostra lettera mi ha allarmato. Bontà divina, Eliza- beth, di che si tratta?». La signorina Winwood si premette le labbra con il fazzolettino. «Lord Rule» disse «si è recato ieri in visita dalla mamma... proprio in questa stanza.» Levò verso di lui uno sguardo implorante. «Edward, è tutto finito. Lord Rule ha chiesto la mia mano.» Nella sala in penombra si fece un silenzio penoso. Elizabeth era immobi- le, a capo chino, le mani appoggiate appena alla sedia. Heron, in piedi di fronte a lei, disse infine con voce roca: «E voi ave- te...?». Non era una domanda la sua; l'aveva formulata meccanicamente, sapendo bene che cosa lei doveva aver detto. «Che cosa potrei dire? Conoscete la nostra situazione.» Lui si allontanò di un passo e prese a camminare nervosamente. «Rule!» proruppe. «È molto ricco?» «Molto» annui sconsolatamente Elizabeth. Le parole si affollavano alle labbra di Heron, parole di dolore, di collera, di passione: non poté pronunciarne una sola. La vita gli aveva inferto il colpo più terribile e lui riuscì a dire soltanto, e con una voce spenta che pa- reva non fosse la sua: «Capisco». Vide che Elizabeth piangeva in silenzio e le si fece vicino e le prese le mani e la guidò verso un divano. «Amor mio, non piangete!» disse con un tremito nella voce. «Forse non è troppo tardi: potremo fare qualcosa... dobbiamo fare qualcosa!» Ma parlava senza convinzione, sapendo di non poter contrapporre nulla alla ricchezza di Ru- le. Circondò Elizabeth con le braccia e le sfiorò con la guancia i capelli mentre le lacrime di lei bagnavano la sua gaia giubba scarlatta. Dopo un breve silenzio, lei si liberò dall'abbraccio. «Rendo infelice an- che voi» disse. Heron le si inginocchiò accanto e le nascose il viso tra le mani. Lei non fece alcun tentativo di allontanarlo, ma disse soltanto: «La mamma è stata buona con me. Mi ha permesso di dirvelo io stessa. Questo è... deve essere un addio, Edward. Non ho la forza di continuare a vedervi. Ma è una colpa dire che vi avrò sempre... sempre in cuore?». «Non posso abbandonarvi!» esclamò allora Heron con una voce in cui vibrava una nota di repressa violenza. «Tutte le nostre speranze... i nostri piani... Elizabeth, Elizabeth!» Ma poiché lei non parlava, sollevò il viso, acceso dalla collera, e cupo: «Che cosa posso fare? Non vi è nulla?» Elizabeth lo invitò a sederlesi accanto. «Pensate forse» chiese con tri- stezza «che io non abbia tentato di trovare una soluzione? Non sentivamo forse attimo per attimo che il nostro era soltanto un sogno, impossibile a realizzarsi?» Heron era seduto, chino in avanti, un braccio appoggiato al ginocchio, lo sguardo fisso a terra. «Vostro fratello?» disse. «Debiti?» Lei annuì. «La mamma mi ha detto cose che io ignoravo. È assai peggio di quanto immaginassi. Tutto è ipotecato e ci sono Charlotte e Horatia a cui provvedere. A Parigi Pelham ha perso cinquemila ghinee in una sola serata.» «Ma non vince mai Pelham?» chiese lui con rabbia. «Non so. Dice di essere sfortunato.» «Mi duole se queste parole vi addolorano, Elizabeth, ma che voi dobbia- te venir sacrificata all'egoismo sconsiderato e...» «No, ve ne prego! Conoscete la fatale tendenza dei Winwood. Pelham 5 non ne ha colpa. Mio padre stesso! Quando Pelham entrò in possesso dell'eredità la trovò già in condizioni assai gravi. La mamma me lo ha spiegato. Ne soffre, credetelo, Edward. Abbiamo pianto insieme. Ma pen- sa, e come potrei non pensare la stessa cosa? che sia mio dovere verso la famiglia accettare l'offerta di Lord Rule.» «Rule!» esclamò lui con amarezza. «Un uomo che ha quindici anni più 5 La signorina Winwood era un'anima nobile ma aveva un bizzarro senso delle responsabilità individuali: e in pieno Settecento, il secolo che forse più di ogni altro ha esaltato la libera ragione umana! [N.d.T.] di voi! un uomo della sua reputazione. Non ha che da chiedere e voi... il solo pensiero mi è intollerabile!» e si passava angosciosamente le dita tra i capelli. «Perché, perché» gemette «ha scelto voi? Non ce ne sono forse al- tre?» «Credo che desideri unire la sua famiglia alla nostra. Si dice sia molto fiero, e il nostro nome... è un nome di cui andare fieri.» Esitò, poi aggiunse arrossendo: «Sarà soltanto un matrimonio di convenienza, come accade in Francia. Lord Rule non finge... non può fingere... di amarmi, né io di ama- re lui». Levò lo sguardo sentendo la pendola dorata sulla mensola del ca- mino battere l'ora. «Devo salutarvi ora» disse con una calma disperata. «Ho promesso alla mamma... non più di mezz'ora. Edward...» e di colpo crollò rabbrividendo nel suo abbraccio. «Oh, amor mio» singhiozzò «non dimenticatemi!» Trascorsero non più di tre minuti e la porta della biblioteca sbatté con violenza mentre Heron attraversava rabbiosamente l'atrio, i capelli scom- posti, i guanti e il cappello stretti in mano. «Edward!» Il richiamo, appena un sussurro eccitato, veniva dalle scale. Alzò lo sguardo senza curarsi del viso distrutto dalla sofferenza o del suo aspetto disordinato. La più giovane delle signorine Winwood, china sulla balaustra, si portò un dito alle labbra. «Edward, salite! Devo parlarvi!» Heron esitò, ma un gesto imperioso di Horatia lo spinse ad avvicinarsi alle scale. «Che cosa avete?» «Salite!» rispose lei con impazienza. Heron salì lentamente le scale. Lei gli prese una mano e lo condusse in un lampo nel salottino che dava sulla strada. «Non parlate forte! La camera della mamma è quella accanto. Che cosa vi ha detto?» «Non ho veduto Lady Winwood» rispose cupamente Heron. «Sciocco che siete! Lizzie!» «Mi ha detto addio.» «Non sarà così! Ascoltatemi, Edward, ho un piano!» Lui si chinò a guardarla, una luce di speranza negli occhi. «Farò qualsia- si cosa!» disse. «Parlate!» «Non c'è nulla che voi dobbiate fare. Sarò io ad agire!» «Voi?» chiese Heron con voce esitante. «Che cosa potete mai fare voi?» «Non so, ma proverò, non ne dubitate. Badate bene, non posso essere certa di riuscire, ma potrei.»

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