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Massoneria Italiana PDF

39 Pages·2017·0.65 MB·Italian
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MASSONERIA ITALIANA Giuseppe Ivan Lantos Grembiulini, cappucci, spade, simboli esoterici, segreti, poteri occulti, cospirazioni: nell'immaginario collettivo questo e altro confezionano l'immagine tenebrosa e inquietante della Massoneria; ad alimentarla contribuisce una pubblicistica talvolta poco o male informata e male informante, talaltra patentemente ostile e una letteratura avvincente e di successo, ma priva di valore storico. Ne sono validi esempi il falso documentale russo Protokoly Sionskich Mudrecov, in italiano I Protocolli dei Savi di Sion, nel quale si favoleggiava di un complotto universale giudaico massonico, pubblicato nel 1903 ma ancora oggi un best-seller negli ambienti dell'anti Massoneria strettamente collegati a quelli dell'antisemitismo e dell'antisionismo, e romanzi come i recenti Il simbolo perduto dell'americano Dan Brown e il provocatorio Il cimitero di Praga di Umberto Eco. Quest'articolo non intende avere come fine una captatio benevolentiae nei confronti della Massoneria le cui vicende hanno luci e ombre, bensì una loro restituzione alla storia, in particolare, a quella delle sue origini in Italia e a quella di alcuni personaggi che, nel bene e nel male, ne furono protagonisti. Per il nostro Paese, la Massoneria fu un "prodotto d'importazione". Era nata ufficialmente in Inghilterra il 24 giugno 1717 per iniziativa di quattro preesistenti Logge londinesi che, riunite nella birreria L'oca e la graticola, costituirono la Gran Loggia d'Inghilterra, prima struttura organizzata dell'istituzione che, per quanto in maniera autoreferenziale, rivendicava un'autorità internazionale. In precedenza, diverse Logge erano diffuse, in forma disorganica, non soltanto nel mondo anglosassone, ma anche in altre nazioni europee. Non, però, in Italia. Non c'è dubbio 2 che il contributo inglese fu fondamentale per la diffusione sopranazionale della Libera Muratoria. A metà del Settecento, le guerre europee avevano disegnato la mappa di un'Italia "disunita" sotto il dominio di tre dinastie: i Savoia in Piemonte e Sardegna, gli Asburgo a Milano e a Firenze, i Borbone a Parma e a Napoli; a queste si aggiungeva, nel centro-nord della penisola il dominio papale. Il denominatore comune, non ininfluente, come vedremo, per i destini della Libera Muratoria, era l'osservanza delle Case regnanti nei confronti della Chiesa cattolica. Il terreno di cultura sul quale aveva attecchito e si era consolidata la Massoneria era l'Illuminismo quel fenomeno evolutivo delle idee in fatto di religione, scienza, filosofia, politica, diritto, economia e letteratura che si era propagato in Europa dopo la conclusione delle guerre di religione del XVII secolo, promuovendo un sostanziale rinnovamento della weltanschauung. La diffusione dell'Illuminismo in Italia, come sarebbe avvenuto per quella della Massoneria, fu condizionata dalla particolare situazione del nostro Paese: dall'inesistenza dell'unità e di una politica nazionale, dalla frammentazione socio-culturale e, non ultima, dall'ipoteca cattolica. Di conseguenza, l'Illuminismo mise radici, con caratteristiche peculiari, soltanto in alcuni grandi centri urbani, in primis a Napoli, dove la Massoneria avrebbe avuto un ruolo rilevante e importanti protagonisti. Tuttavia della primogenitura di una Loggia massonica in Italia non poté vantarsi il capoluogo partenopeo, essa viene, invece, rivendicata da due città, Roma e Firenze, e per entrambe la paternità è inglese. C'è, infatti, chi sostiene che, a Roma, una Loggia esistesse già dal 1724, fondata da profughi giacobiti, i seguaci cattolici del pretendente al trono d'Inghilterra Giacomo Stuart, esule nella città dei papi dal 1718. Un'attribuzione contestata da uno dei più accreditati storici della 3 Massoneria, Pericle Maruzzi, secondo il quale si non si trattava di una Loggia massonica, ma del Most Ancient and Noble order of the Gormogons, Antico e Nobile ordine dei Gormogoni, fondato dall'aristocratico nobile inglese Philip Wharton in polemica con la Massoneria dalla quale era stato radiato con disonore. Wharton s'era trasferito a Roma nel 1724. Carlo Francovich nella sua Storia della Massoneria in Italia scrive: "Prima del 1730 non si hanno notizie documentate di Logge esistenti nella penisola. Ma non è escluso che nuclei latomistici sorgessero in varie città italiane dall'iniziativa di singoli massoni stranieri capitati nel nostro Paese per ragioni d'affari o con incarichi politici". E', dunque, verosimile che questi visitatori avessero fondato delle Logge, frequentate però quasi esclusivamente da forestieri, a Milano, Genova, Ferrara, Livorno, Venezia e Napoli. Possibile, ma non documentato da fonti certe. Sicura, invece, è la costituzione, nel 1735, di una Loggia giacobita, quindi d'ispirazione cattolica, a Roma. E' opportuno ricordare che le Logge giacobite romane avevano un carattere cospirativo legato al progetto di restituire la corona inglese alla dinastia degli Stuart il che escludeva di fatto l'iniziazione di italiani. Diversa la situazione a Firenze dove la prima Loggia venne fondata tra il 1731 e il 1732 dall'inglese lord Henry Fox Holland. La Loggia tenne le sue riunioni prima in una locanda di via Maggio, poi nell'albergo gestito da un inglese, mister Collins. Racconta Carlo de Francovich che il trasferimento non fu determinato da ragioni di sicurezza o da altre giustificate preoccupazioni, ma perché la cucina del locandiere, un tale monsiù Pasciò, non piaceva al Fratelli che, al termine delle tornate di lavori, avevano l'abitudine di rifocillarsi con abbondanti cene conviviali innaffiate da numerosi brindisi. Contrariamente ai massoni britannici di Roma, quelli di Firenze non perseguivano finalità politiche ma, d'ispirazione illuminista, elaboravano 4 progetti di libertà intellettuale e di affrancamento dai pregiudizi e dall'intolleranza religiosa. L'interesse degli inglesi per la Toscana era di due ordini e focalizzato su due poli: Livorno, con il suo porto, per i traffici commerciali e Firenze per il suo patrimonio d'arte e cultura che aveva attirato nel capoluogo fiorentino numerosi intellettuali britannici molti dei quali avevano incarichi nella corte granducale come archeologi, architetti e ingegneri. La colonia inglese di Firenze era la più numerosa, qualificata e inserita di tutta la penisola. A questo s'aggiungeva che la Toscana dell'epoca era terra di robuste effervescenze politiche e culturali favorite dal granduca Gian Gastone de Medici, ultimo esponente della dinastia fiorentina, succeduto, al padre Cosimo III il 31 ottobre 1723. Il granduca, noto per la sua erudizione, per le sue idee che, per l'epoca, si potrebbero definire liberali, per la sua avversione ai gesuiti e per la sua esibita omosessualità che l'avrebbe privato dall'avere eredi, aveva promosso Firenze al rango di una "nuova Atene", sede universitaria d'eccellenza, centro d'avanguardia per uomini di scienza, artisti e letterati. Il granduca morì il 9 luglio 1737. C’è chi ipotizza che anche Gian Gastone fosse massone, perché il suo aiutante di camera e favorito, Giuliano Dami, era massone o simpatizzante della massoneria. Gli successe Francesco Stefano di Lorena, sovrano del granducato di Toscana con il nome di Francesco III, rappresentato da un Consiglio di reggenza, presieduto dal lorenese principe Marc de Craon, entrambi in odore di massoneria. Le forze conservatrici avevano i loro rappresentanti, oltre che negli appartenenti alla Compagnia di Gesù, in padre Paolo Ambrogio Ambrogi dei Minori conventuali, Grande Inquisitore e capo del Sant'Uffizio e nella Curia, guidata dal cardinale Neri Corsini, nipote del papa. 5 In questo clima fu quasi inevitabile che il meglio dell'intellighenzia e dell'aristocrazia illuminata fiorentina, una sessantina di persone, fosse attratta dagli ideali coltivati nella Loggia massonica. Il primo massone fiorentino fu il dottor Antonio Cocchi, nato 3 agosto 1695 da una famiglia dell'alta borghesia di Borgo San Lorenzo nel Mugello, cosmopolita, letterato e medico della colonia inglese, poi professore universitario. Come egli stesso annotò alla data 4 agosto 1732, in inglese, nelle Effemeridi, il suo diario contenuto in centodieci quadernetti manoscritti: "In the evening I was received among the Free-Masons and remained to supper", (In serata fui accolto tra i Massoni e mi trattenni per la cena). Ed è molto probabile che fosse stato Cocchi, nel 1733, il successore di Sewallis Shirley come Maestro Venerabile della Loggia. La ragion d'essere dell'appartenenza di Antonio Cocchi possono essere ricostruite ripercorrendo la sua biografia e sfogliando le sue numerose pubblicazioni sia scientifiche che di varia umanità. Era un galileiano che aveva allargato i confini della sua conoscenza frequentando, durante il suo soggiorno londinese, i membri più autorevoli di quella Royal Society che era la matrice originaria della scienza moderna laicamente affrancata dai plurisecolari laccioli del dogmatismo religioso. Ma la circostanza nella quale ebbe modo di dare prova della sua adesione ai principi della solidarietà massonica fu in occasione del processo inquisitorio al quale fu sottoposto un membro della sua Loggia, Tommaso Crudeli che si guadagnò l'attributo di "protomartire della Massoneria". Le neonate Logge che, a mano a mano, sorgevano nelle diverse città del nostro Paese dovettero subito fare i conti con i provvedimenti sanzionatori della Chiesa cattolica. Il papa Clemente XII, al secolo Lorenzo Corsini, fiorentino, asceso al soglio pontificio il 12 luglio 1730, emanò, il 28 aprile 1738, la lettera In eminenti Apostolatus specula con la quale si proibiva la Massoneria e si condannavano i massoni alla 6 scomunica. La prima conseguenza della condanna pontificia si verificò, forse non a caso, nella città natale di papa Clemente. Tra i personaggi più in vista, la Loggia fiorentina annoverava anche il poeta Tommaso Crudeli. Nato nel 1703 a Poppi, nel Casentino, in provincia d'Arezzo, aveva studiato a Firenze e poi a Pisa, dove aveva conseguito il dottorato in utroque iure, ma non esercitò mai la professione forense. Dopo un periodo trascorso a Venezia, aveva fatto ritorno a Firenze. Nel capoluogo toscano si guadagnava da vivere come insegnante d'italiano, soprattutto ai membri della colonia inglese. Fu la loro frequentazione a suscitare l'interesse di Crudeli per la Massoneria e a favorire il suo ingresso, nel 1735, nella Loggia della quale fu per un certo tempo segretario. Dal suo conterraneo, il poeta Pietro Aretino, Tommaso aveva ereditato il talento letterario e la pungente vis polemica che espresse, nei suoi componimenti in poesia e in prosa, in termini di critica sarcastica nei confronti dei pregiudizi e del comportamento del clero non immune da vizi. Padre Paolo Ambrogio Ambrogi, Grande Inquisitore e capo del Sant'Uffizio e il cardinale Neri Corsini, nipote del papa, trassero pretesto dalla lettera pontificia per colpire la Massoneria toscana, sebbene i massoni fiorentini avessero già deciso di sciogliere la Loggia E quale bersaglio migliore di Tommaso Crudeli massone e sbeffeggiatore di Santa Romana Chiesa? Padre Ambrogi e il cardinale Corsini si dettero daffare, il primo per costruire i capi d'accusa contro i massoni, il nipote del papa per convincere il granduca a concedere il permesso di perseguire i pretesi colpevoli. La "pistola fumante" venne estorta dal Grande Inquisitore al medico Bernardino Pupiliani e al nobile Andrea d'Orazio Minerbetti i quali, costretti con minacce, fornirono falsa testimonianza sugli atti osceni compiuti durante le riunioni di Loggia e sulle espressioni blasfeme pronunciate dai Fratelli liberi muratori nel corso dei loro riti. Il principale 7 colpevole era Tommaso Crudeli contro il quale, ai primi d'aprile del 1739, il padre inquisitore formulò le accuse di empietà e di sodomia contro il poeta e altri Fratelli. Il 16 aprile il cardinale Corsini spedì al granduca, una lettera con la quale lo sollecitò a prendere provvedimenti contro la Massoneria, denunciata come pericolosa non soltanto per la Chiesa cattolica ma anche per lo Stato. Nella notte del 9 maggio Tommaso Crudeli fu arrestato, consegnato al tribunale dell'Inquisizione e, nonostante le assicurazioni di un trattamento conforme alla carità cristiana, il poeta, benché fosse tubercolotico e afflitto da una grave forma di asma, venne rinchiuso in una cella angusta e malsana, in attesa del processo. L'inumana carcerazione fu denunciata da una Relazione redatta dallo stesso Crudeli e da Luca Antonio Corsi, suo amico e confratello e pubblicata anonima da Francesco Becattini nel 1782. In favore di Crudeli, forte del proprio prestigio come medico, intervenne Antonio Cocchi il quale ottenne il trasferimento del prigioniero in una cella appena più confortevole. Soltanto dopo un mese di detenzione, il 10 agosto, Tommaso Crudeli fu sottoposto al primo interrogatorio senza che fosse assistito da un difensore. Gli fu ordinato di riferire tutto quello che sapeva sui liberi muratori, la data di costituzione della loggia, il nome dei suoi fondatori, quello dei capi e degli affiliati alla loggia, quello che avveniva durante le riunioni. Crudeli non rivelò nulla. Fu nuovamente interrogato, il 10 settembre, sull'attività della loggia e sulle infamanti accuse del Minerbetti e del Pupiliani. Crudeli sostenne che nelle loro riunioni i massoni non commettevano nulla di illecito e respinse con sdegno le stoltezze riferite dai due testimoni. Gli atti processuali vennero trasmessi al Santo Uffizio di Roma, il quale deliberò fossero presentate nuove prove a carico dell'imputato. In 8 conseguenza di questa decisione la carcerazione del poeta venne prorogata. Le sue condizioni di salute peggiorarono. In sua difesa intervenne presso Emmanuel de Nay, conte di Richecourt, che a Firenze ricopriva la carica di capo del governo ed era affiliato alla massoneria, l'ambasciatore inglese Horace Mann anche lui massone. Il risultato fu la concessione a Crudeli, il 28 marzo 1740, di un avvocato tra quelli indicati dal Santo Uffizio. Nonostante la presenza del difensore, un ulteriore interrogatorio aggravò la posizione dell'imputato. Questa volta Emmanuel de Nay si rivolse direttamente a Francesco III, in nome della comune appartenenza alla Libera Muratoria, ma il sovrano, che non voleva mettersi in urto con le gerarchie cattoliche, si limitò a chiedere che Crudeli, sempre più ammalato, fosse trasferito nella prigione governativa della Fortezza da Basso. Nel luglio 1740 si verificò il fatto che impresse una svolta, anche se non risolutiva, al processo: i due principali testimoni a carico Bernardino Pupiliani e Andrea d'Orazio Minerbetti ritrattarono le proprie dichiarazioni. Ma non è tutto. Il 6 febbraio 1740 era morto il papa Clemente XII e gli era succeduto, il 17 agosto, il cardinale Prospero Lambertini con il nome di Benedetto XIV, conosciuto per la sua eccellente cultura e grande umanità. La sua elezione alimentò la speranza di un'imminente conclusione del processo di Tommaso Crudeli. Ma nonostante le aspettative, la dolorosa odissea giudiziaria del poeta casentinese non si concluse con l'assoluzione. La possibilità di processare con Crudeli anche la Massoneria, come sarebbe stata intenzione dei suoi accusatori fallì, ma il 20 agosto, il poeta fu condannato per la lettura di libri proibiti e per essersi espresso con un linguaggio insolente su materie religiose. Confinato a Poppi e poi a Pontedera, nell'aprile 1741 Crudeli tornò a essere un uomo libero e raggiunse Firenze dove trascorse gli ultimi anni della sua vita. La sua salute era ormai irrimediabilmente 9 compromessa dalla prigionia trascorsa in condizioni disumane e dall'usura psicologica provocata dal processo. Il primo martire della Massoneria morì a Poppi il 27 marzo 1745. L'ascesa al soglio pontificio di Benedetto XIV aveva motivato i più ottimisti tra i massoni a sperare in un atteggiamento del papa diverso da quello intransigente del suo predecessore. Ma queste aspettative andarono deluse quando, il 18 maggio 1751, fu emessa la seconda bolla di condanna a carico della Massoneria, la Providas Romanorum Pontificum che portava la firma di Benedetto XIV. Due furono i motivi che lo indussero, a dispetto della fama, a riproporre la scomunica tredici anni dopo la prima condanna: la diffusione, soprattutto nell'Italia meridionale, di Logge massoniche e la smentita categorica delle voci ricorrenti di una sua simpatia verso la Libera Muratoria. Il primo destinatario della Providas Romanorum Pontificum fu il re di Napoli, Carlo VII al quale venne consegnata dal gesuita Francesco Maria Pepe, famoso predicatore dei Lazzeri, la banda dei popolani della città partenopea, e fanatico antisemita. Il sovrano la fece propria e firmò un editto antimassonico che fu pubblicato il 2 luglio 1752. Contemporaneamente alla pubblicazione dell'editto, Napoli fu messa a soqquadro dalla massa dei Lazzeri che, istigati da padre Pepe, si scagliarono contro la Massoneria accusata tra l'altro di essere la causa del mancato miracolo di San Gennaro nel 1751. Il capro espiatorio di questa rivolta popolare fu il Gran Maestro della Massoneria napoletana, il principe Raimondo di Sangro, accusato di essere un mago e un eretico per le sue ricerche scientifiche e le sue stravaganti invenzioni; in realtà, in lui si voleva colpire la Libera muratoria napoletana. A Napoli, la prima Loggia, dal titolo distintivo "Perfetta Unione", si dice fosse apparsa nel 1728, ma il fatto non è storicamente provato. Sicura, invece, la fondazione, nel 1749, per iniziativa del commerciante di seta 10 francese, Louis Larnage, di una Loggia alla quale aderirono diversi ufficiali, numerosi aristocratici e poi esponenti della cultura e della borghesia. Oltre all'iniziativa di massoni stranieri, il successo della Libera muratoria a Napoli ebbe un contributo decisivo nel clima culturale e politico promosso dall'Illuminismo peculiare del capoluogo campano. In un manoscritto conservato nell’archivio della Società Napoletana di Storia Patria, stilato nella prima metà del Settecento, si riferisce di logge attive a Napoli fra il 1749 e il 1751. In un altro manoscritto redatto dal Principe di Belmonte, figura eminente della massoneria siciliana, in merito alle logge napoletane si legge: "I Liberi Muratori sin dal tempo di Carlo III si erano introdotti a Napoli, ma vi si mantenevano in maniera nascosta, e ristretti fra soli forestieri, che sotto un altro pretesto si radunavano. Da principio vi furono ammessi un piemontese, di mestiere acquavitaro, e un francese, mercante di drappi. Costoro, conosciuti a fondo i principi della società, pensarono di erigere una loggia separata. Infatti l’anno 1745 eseguirono un tale immaginato disegno". Ma torniamo a Raimondo di Sangro. Era nato il 30 gennaio 1710 a Torremaggiore, in provincia di Foggia, da Antonio di Sangro e da Cecilia Gaetani d’Aragona, entrambi discendenti da famiglie d' antica nobiltà. Morta la madre, il padre, prima di ritirarsi in convento, lo aveva affidato al nonno che, dopo un periodo di studi nel collegio dei Gesuiti a Roma, lo aveva avviato alla carriera militare nell'esercito napoletano. Re Carlo III di Borbone del quale godeva la stima ne favorì l'adesione alla confraternita esoterica dei Rosa+Croce, appartenenza che, certamente, condizionò la sua formazione magico alchemica. Nel 1744, con la mediazione dell'ufficiale d'artiglieria piacentino Felice Gazzola che aveva conosciuto durante la campagna militare contro gli austriaci, che avanzavano pretese sul trono di Napoli, il Principe fu iniziato massone.

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Loggia massonica, ma del Most Ancient and Noble order of the Gormogons,. Antico e Nobile ordine dei inglese, mister Collins. Racconta Carlo de
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