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Maria Vittoria Adami, L'esercito di San Giacomo. Soldati e ufficiali ricoverati nel manico PDF

211 Pages·2008·1.87 MB·Italian
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Preview Maria Vittoria Adami, L'esercito di San Giacomo. Soldati e ufficiali ricoverati nel manico

07_SISSCO_IX 27-08-2008 16:47 Pagina 133 I LIBRI DEL 2007 Maria Vittoria Adami, L’esercito di San Giacomo. Soldati e ufficiali ricoverati nel manico- mio veronese (1915-1920), Padova, Il Poligrafo, 284 pp., €23,00 A partire da un paziente e complesso scavo documentale, che ha toccato le cartelle clini- che dei ricoverati, Adami analizza le vicende dei militari degenti durante la Grande guerra presso il manicomio veronese di San Giacomo di Tomba. Le schede mediche offrono in tal senso uno spaccato della partecipazione degli italiani alla guerra, contenendo tanto le anam- nesi dei ricoverati, quanto la corrispondenza del degente, della sua famiglia, delle istituzioni coinvolte. Basandosi sull’abbondante materiale documentario, l’a. ricostruisce e interpreta ta- li ricoveri, da annoverare nel più ampio spettro del rifiuto della Grande guerra: non a caso i punti di riferimento del volume sono i lavori di Leed e Gibelli, opportunamente scelti come chiavi investigative. Che si trattasse di un piccolo esercito, come recita il titolo, non ci sono dubbi: furono circa 800 i militari affetti da turbe e da «malattia» mentale che passarono nel manicomio di Verona, con gli esiti più disparati, talvolta la morte in ospedale, talvolta l’otte- nimento del congedo e il ritorno, guariti, alle famiglie. Emerge con chiarezza come i militari rinchiusi a San Giacomo vivessero nella loro follia l’«impossibilità» della guerra di trincea, ma- nifestando nelle loro alterazioni mentali (di cui sono fedele testimonianza le lettere e le anam- nesi) l’inferno del conflitto bellico. Pervasi da deliri di persecuzione, scatenanti talvolta un mi- sticismo religioso, i degenti esprimevano tutte le gamme di rifiuto della guerra, muovendosi attorno due poli antitetici di riferimento, quello della trincea e quello famigliare. Il ricco ap- parato documentale, riportato con intelligenza tanto nel testo che in appendice, consente al lettore di ricostruire la vita nel manicomio veronese, le turbe dei ricoverati, i desideri di ritor- no ad una, ormai impossibile, normalità. L’a. investiga anche il rapporto tra autorità militari e psichiatria manicomiale, evidenziandone differenti obiettivi e pratiche. Per Adami la psi- chiatria manicomiale non aderì sic et simpliciteralle richieste dei comandi militari, anche per- ché si riconosceva in un distinto orizzonte concettuale. Tra le righe, gli psichiatri veronesi rim- proveravano al Regio Esercito di non compiere un’adeguata selezione in sede di visita di leva, inondando le trincee di soggetti «tarati» e con malattie mentali latenti. Quello della predispo- sizione individuale alla follia, di cui la guerra non era che un fattore scatenante, diveniva co- sì il Leitmotivdella diagnosi dei medici veronesi, saltando a piè pari tutta la discussione sulla possibile simulazione dei soldati, vera e propria ossessione dei comandi e dei medici militari. Sembra però eccessivo vedere uno scollamento così marcato tra direttive dell’esercito (per al- tro non così univoche) e operatori manicomiali i quali, in fin dei conti, aderivano allo stesso universo di valori. Per completare il quadro manca dunque nel volume il riferimento alla più aggiornata bibliografia sul tema dell’eugenetica prima e dopo la guerra (Cassata e Mantova- ni) indispensabile a collocare in un contesto più ampio le ambiguità dei medici manicomiali veronesi. Massimo Moraglio 133 07_SISSCO_IX 27-08-2008 16:47 Pagina 134 I LIBRI DEL 2007 Goffredo Adinolfi, Ai confini del fascismo. Propaganda e consenso nel Portogallo salazarista (1932-1944),Prefazione di Antonio Costa Pinto, Milano, FrancoAngeli, 245 pp.,€ 21,00 In un panorama culturale connotato da scarsissimo interesse per la storia e la storiografia portoghesi, questo libro di Goffredo Adinolfi rappresenta una felice eccezione, non solo per- ché il tema che tratta è frutto di una ricerca originale ma anche per l’attenzione che ha l’a. nel mettere in relazione fatti ed eventi portoghesi con l’esperienza fascista italiana ed europea. Il volume si snoda in quattro capitoli che analizzano l’ascesa del salazarismo, il modo in cui l’Estado novosi consolida, l’ermergere del Segretariato per la propaganda nazionale tra le istituzioni del regime, il modo in cui si esprime il totalitarismo salazarista e il rapporto tra que- sto regime e la guerra mondiale, cui il Portogallo non partecipa. In questo contesto, il cuore del volume è costituito dall’analisi del Segretariato per la pro- paganda nazionale, diretto da un ammiratore entusiasta del fascismo italiano (ed autore di un libro di interviste ai maggiori dittatori degli anni ’20), Antonio Ferro. Adinolfi mostra come l’attività di questa istituzione, volta al controllo dell’informazione, dell’utilizzo della radio, di riogranizzazione della stampa di provincia e alla diffusione di un cinema di regime – tutto ciò che poteva trasformare il regime in una struttura capillarmente presente nella società porto- ghese – si sia risolta spesso in un fallimento senza però essere per questo meno importante nel delineare le aspirazioni e le tensioni interne al regime salazarista. La stessa esistenza di questo istituto, come pure le tensioni tra politica tradizionale e di nazionalizzazione delle masse, e quelle tra una società in via di modernizzazione e una più statica, portano a ridefinire la que- stione del salazarismo come regime autoritario tradizionale, cosa che del resto una parte del- la storiografia più avvertita ha cominciato a fare da vari anni. A partire da queste considerazioni, l’a. giunge alla conclusione che sebbene la costruzio- ne del consenso e della nazionalizzazione sia senz’altro un punto debole nel regime di Salazar, esso fu senz’altro organico e corporativo e totalitario, per il suo rendere il dittatore l’agente po- litico capace fin da subito di subordinare la Chiesa, autonomo dalle tensioni e dalle pressioni di un partito massa e non legato ad alcun potere monarchico. Interessante, anche se proble- matica, appare la scelta dell’a. di porre il suo sguardo su un organismo fallimentare della po- litica di nazionalizzazione del salazarismo, senza per questo dedurne una meno forte appar- tenza di quel regime ai fascismi e ai totalitarismi tra le due guerre. Proprio a partire da questo riposizionamento rispetto alle definizioni di totalitarismo, avrebbe potuto discendere un ri- pensamento più complessivo di quella categoria, oppure un abbandono della stessa in una fa- se in cui, anche se il significato ideologico di questa categoria si va annacquando, essa appare comunque, e anche a partire da questo volume, problematica. Giulia Albanese 134 07_SISSCO_IX 27-08-2008 16:47 Pagina 135 I LIBRI DEL 2007 Salvatore Adorno, Gli agrari a Parma. Politica, interessi e conflitti di una borghesia padana in età giolittiana,Reggio Emilia, Diabasis, 271 pp.,€ 28,00 Il volume è il prodotto di una tesi di dottorato realizzata ormai quasi vent’anni fa e mai integralmente pubblicata. La scelta di proporre la stesura originale – bibliograficamente ag- giornata e corredata da una Introduzione tesa a collocarne la struttura nel quadro dell’evolu- zione del dibattito storiografico – non solo non pregiudica il risultato complessivo, ma offre la possibilità di ripercorrere temi e approcci di una stagione di studi ricca e innovativa, collo- cabile tra la metà degli anni ’80 e la metà degli anni ’90 del secolo scorso. Una congiuntura al cui interno il lavoro di Adorno si inserì a pieno titolo, partecipando al dibattito attraverso la pubblicazione di anticipazioni su alcuni dei nodi problematici e interpretativi di fondo. Si trattò di una stagione di studi che – partendo dall’interesse per le borghesie e aristocra- zie europee – si snodò lungo percorsi e itinerari complementari: le indagini sulla consistenza e la dinamica patrimoniale dei ceti possidenti, la costruzione di reti di relazioni socio-econo- miche intrecciate alla propensione all’innovazione tecnologica e organizzativa, la formazione e il funzionamento di gruppi di interesse agrario all’interno dello scenario più complessivo delle dinamiche delle rappresentanze degli interessi locali, le indagini sulle attività dei muni- cipi; e si potrebbe continuare a lungo. Si tratta di una agenda di temi nettamente individuabili a partire dall’indice stesso del li- bro. All’interno di questa trama l’a. è attento a valorizzare gli elementi di novità rappresenta- ti dalla situazione parmense: dal ruolo pionieristico della Associazione agraria nella difesa de- gli interessi economici degli associati, che passa attraverso la scelta di un indirizzo produttivi- stico e la valorizzazione di figure di portatori di saperi tecnici e scientifici essenziali per la mo- dernizzazione della agricoltura, ma al tempo stesso mediatori non neutrali dei rapporti tra ce- ti proprietari e lavoratori; all’intreccio tra agricoltura e industria di trasformazione e alla crea- zione di una élite di figure miste di agricoltori-industriali; all’aspirazione dell’Agraria parmen- se a costituirsi in autonomo partito politico all’interno del blocco conservatore finendo per connotare in alcuni momenti il diverso colore politico tra il Comune capoluogo – retto da una alleanza di blocco democratico – e la Provincia – caratterizzata da precoci esperienze cle- rico-moderate – come una dialettica tra interessi urbani e interessi agrari; all’emergere – a par- tire dal 1908 – di una forte tendenza egemonica anche tra la borghesia industriale, commer- ciale e professionale grazie alla capacità dimostrata nel produrre ricchezza e garantire stabilità sociale; per finire con il fallimento del progetto egemonico sul piano della competizione elet- torale alla vigilia della guerra e a ridosso di un sensibile aumento della conflittualità sociale. Attraverso l’assunzione a soggetto centrale di una élite agraria, il volume tratteggia in realtà – ed è questo sicuramente il pregio maggiore anche a distanza di tempo – un modello di funzionamento di una realtà che va ben oltre la dimensione locale. Emma Mana 135 07_SISSCO_IX 27-08-2008 16:47 Pagina 136 I LIBRI DEL 2007 Michele Alacevich, Le origini della Banca mondiale. Una deriva conservatrice, Milano, Bruno Mondadori, XXI-261 pp.,€ 24,00 Chi si avvicinasse a questo studio per conoscere «le origini della Banca mondiale», così come riportato nel titolo, ne resterebbe deluso. Il volume parla della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo, ma si concentra esclusivamente sulla filosofia del suo operato nel corso degli anni ’50 quando, suo malgrado, fu costretta a passare dall’accento posto sulla ricostruzione europea ad uno posto sullo sviluppo. L’editore ha probabilmente imposto una titolazione riguardante il tema delle «origini» con l’intento di allargare il pubblico di uno stu- dio molto sofisticato e analitico. In realtà l’oggetto del libro è quella «deriva conservatrice» al- la quale si accenna nel sottotitolo, che si sarebbe arrestata solo attorno alla metà degli anni ’60 con il passaggio, anche all’interno dell’istituzione, a una concezione più ampia dello svilup- po. All’a. interessano la «preistoria dello sviluppo» (p. XV) e le diverse visioni strategiche che si confrontarono all’interno della stessa Banca e nella nascente disciplina dell’economia dello sviluppo e che, insieme al legame dei dirigenti della Banca con l’ambiente finanziario di Wall Street e alla necessità di affermarsi come credibile istituzione creditizia per raccogliere capita- li privati, contribuirono a formare una politica della Banca basata sul finanziamento di singo- li progetti «produttivi», piuttosto che sul finanziamento di piani più generali che potessero coinvolgere anche la dimensione sociale dei paesi in via di sviluppo. Per spiegare tali aspetti, nonché il loro rapporto con il funzionamento di una burocrazia internazionale, l’a. ricorre alla sociologia, all’economia, alle scienze politiche, e soprattutto agli archivi della Banca conservati a Washington. Il cuore del libro consiste in una lunga disani- ma della prima missione di studio della Banca in Colombia nella prima metà degli anni ’50, durante la quale si confrontarono l’approccio di programma del primo capo della missione Lauchlin Curie con quello del suo sostituto Albert O. Hirschman, più focalizzato sul finan- ziamento di singoli progetti. L’utilizzo delle fonti della Banca rende in più parti viva la narra- zione (che beneficia anche di alcune foto dell’epoca) dei protagonisti sul campo che si batto- no per sostenere le proprie tesi, spesso scontrandosi con i propri superiori a Washington. Con questo studio, Alacevich compie un servigio non solo nel panorama scientifico ita- liano, ma in quello internazionale, dove esistono storie (anche molto ben fatte) della Banca, ma solo finanziate dalla stessa istituzione e a cura di più autori. Allo stesso tempo, qualche di- gressione di ordine sociologico e teorico, così come sulla dimensione psicoanalitica dei rap- porti tra i protagonisti della missione colombiana, non sempre risulta perfettamente amalga- mata al resto del testo. Si tratta di un libro che è comunque un’opera originale e appassiona- ta, che si colloca saldamente in un filone che si spera possa essere ancora ricco di indagini sul- le istituzioni economiche internazionali e sul modo in cui queste si sono rapportate, non sem- pre a suo beneficio, ai problemi del Terzo Mondo. Giuliano Garavini 136 07_SISSCO_IX 27-08-2008 16:47 Pagina 137 I LIBRI DEL 2007 Paolo Allegrezza, L’élite incompiuta. La classe dirigente politico-amministrativa negli anni della Destra storica (1861-1876), Milano, Giuffrè, XXXV-262 pp.,€ 28,00 Il volume, accolto nella collana diretta da Andrea Romano e pubblicata dal Dipartimen- to di Storia e comparazione degli ordinamenti giuridici e politici dell’Università di Messina, si propone di tracciare un profilo dei rapporti fra politica e amministrazione nel primo quin- dicennio unitario, focalizzandosi sui percorsi porosi di 64 figure emblematiche di consiglieri di Stato, segretari generali e prefetti, individuati all’interno di un più ampio campione di 686 funzionari della burocrazia centrale e periferica. Nei primi due capitoli, Allegrezza, dottore di ricerca in Storia costituzionale e amministrativa dell’età contemporanea e autore di studi su tali tematiche che spaziano dal XVII secolo al tempo presente, ricostruisce la geografia e le traiettorie del nuovo corpo amministrativo nazionale fra eredità di antico regime, tradizione sabauda e militanza risorgimentale, insistendo sulla «necessitata» subordinazione alla politica che caratterizza le élitesamministrative italiane rispetto alle coeve esperienze europee in segui- to al ruolo fondamentale svolto nella costruzione dello Stato nazionale. Nel terzo e nel quar- to capitolo, questa peculiarità è illustrata attraverso l’analisi dei rapporti fra i grands commise i principali leaderche si alternano alla Presidenza del Consiglio fra 1861 e 1876 nonché tra- mite la descrizione dei «caratteri originali» del Consiglio di Stato che, diviso fra funzioni con- sultive e giurisdizionali, è giudicato incapace, a seguito della nomina prevalentemente parti- tica dei suoi membri, di rappresentare un corpo indipendente e autorevole nei confronti del potere politico. In particolare, l’a. delinea due modelli di relazione fra leadershippolitica e al- ti funzionari: quello cavouriano basato sulla fedeltà personale nei confronti del capo dell’ese- cutivo, che si perpetua, seppure tramite declinazioni maggiormente regionaliste e amicali, nel- le esperienze governative di Bettino Ricasoli, Urbano Rattazzi e Giovanni Lanza; quello min- ghettiano che, pur fondandosi sulla compenetrazione fra sfera politica e amministrativa, riser- va un maggiore spazio di autonomia ai grandi burocrati a partire dal riconoscimento delle lo- ro qualità tecniche e dalla promozione di carriere parzialmente slegate dalle maggioranze par- lamentari. Nel suo complesso, tuttavia, il volume, non privo nella prima parte di sviste ed errori, procede prevalentemente per giustapposizione di medaglioni che, pur ricchi di informazioni prosopografiche, non si traducono in un’autentica biografia collettiva dell’élite amministrati- va del periodo che precede la «rivoluzione parlamentare». La commistione fra politica e am- ministrazione è continuamente enunciata più che tematizzata e analizzata, delineando un qua- dro che fornisce limitati apporti originali alla conoscenza dell’alta burocrazia postunitaria e ri- propone un approccio storiografico che rimarca le mancanze rispetto ad archetipi idealtipici anziché indagare le dinamiche fluide e complesse del contesto degli attori storici presi in con- siderazione. Gian Luca Fruci 137 07_SISSCO_IX 27-08-2008 16:47 Pagina 138 I LIBRI DEL 2007 Götz Aly, Lo stato sociale di Hitler. Rapina, guerra razziale e nazionalsocialismo, Torino, Ei- naudi, IX-406 pp.,€ 24,50 (ed. or. Frankfurt am Main, 2005) Dopo la sua pubblicazione in Germania il volume di Aly ha suscitato un vivace dibattito sui maggiori organi d’informazione, paragonabile alla più nota controversia scatenata anni or sono da Goldhagen. Alcune somiglianze nelle tesi dei due autori aiutano a comprendere la for- te componente emotiva che ha caratterizzato il dibattito. Aly, come Goldhagen, sostiene una tesi semplice e dalle forti implicazioni morali: «Chi non vuol parlare del vantaggio che ne tras- sero milioni di tedeschi farebbe meglio a tacere sul nazionalsocialismo e sull’olocausto» (p. 362). La componente distruttiva e criminale sviluppata dal regime durante la guerra sarebbe non solo, e non tanto, frutto dell’ideologia razzista quanto della volontà di garantire a milioni di comuni tedeschi vantaggi materiali a scapito della borghesia tedesca e soprattutto dei popo- li «razzialmente» inferiori. In un capitolo denso di cifre, Aly rileva come il finanziamento tede- sco della guerra tendesse a sgravare i redditi medi e bassi dall’imposizione fiscale, ad assorbire «senza chiasso» credito a breve termine dagli istituti di credito e non direttamente dai cittadi- ni, ad impiegare il più possibile le entrate estorte dai paesi occupati e alleati per alleviare il pe- so sulla popolazione tedesca. In tal modo il nazismo comprò l’adesione delle masse alla politi- ca del regime. La tesi evidenzia la corresponsabilità del tedesco comune nel massacro, non per la sua attiva partecipazione ad esso, quanto per aver accettato il benessere offertogli senza chie- dersi da dove provenisse. Poiché si reggeva sulla redistribuzione della ricchezza il nazismo fu lo «stato popolare di Hitler» (Hitler’s Volksstaat), come recita l’espressivo titolo originale. Ad un’accurata descrizione dei metodi di rapina ai danni dell’Europa è dedicato il corpo centrale del libro. La terza parte si concentra sull’«arianizzazione» delle proprietà ebraiche. L’a. sostiene che gli espropri, che avevano come inevitabile correlato lo sterminio delle popolazio- ni derubate, miravano a consolidare le finanze del Reich sull’orlo della bancarotta. In molti casi i beni sequestrati servirono a stabilizzare le monete locali colpite dalle enormi spese di oc- cupazione pagate ai tedeschi. Tutto ciò andava a beneficio del Reich e indirettamente serviva a garantire il benessere e dunque il consenso dei tedeschi. Difficile dare in breve un giudizio su una tesi tanto controversa. Va ricordato che diversi commentatori hanno individuato grossolani errori commessi dall’a., non avvezzo ad argomen- ti economici. Il fatto stesso che il peso della guerra sia stato trasferito dalle spalle dei tedeschi al continente è stato, almeno nella misura valutata da Aly, contestato. Si è inoltre accusato l’a. di aver trascurato molta letteratura storiografica e interpretazioni consolidate su questi stessi temi. Va infine aggiunto che Aly ha sì compiuto una pregevole ricerca d’archivio, ma ha tra- scurato di contestualizzare la sua tesi in un quadro concettuale credibile. Ciò è tanto più gra- ve se si considera l’intento, esplicitato da Aly, di dare un contributo alla comprensione del rap- porto fra sterminio e modernità. Paolo Fonzi 138 07_SISSCO_IX 27-08-2008 16:47 Pagina 139 I LIBRI DEL 2007 Antonella Amico, Gaetano De Sanctis. Profilo biografico e attività parlamentare, Tivoli, To- red, 339 pp.,€ 36,00 La biografia è un genere letterario che va adoperato con estrema cautela; diversamente si corre il rischio di banalizzare il personaggio o scivolare su una ricostruzione celebrativa o de- trattiva, senza mezzi toni. La figura di Gaetano De Sanctis sembra fatta apposta per la lettu- ra laudativa che ne offre Antonella Amico. Particolarmente noto per il rifiuto di prestare il giuramento imposto ai professori universitari nel 1931, Gaetano De Sanctis è indubbiamen- te una delle figure centrali del panorama culturale e politico dell’Italia tra il primo e il secon- do dopoguerra. Allievo di Karl Julius Beloch di cui nel 1929 avrebbe preso il posto all’Uni- versità di Roma, studioso eminente del mondo antico in tutti suoi aspetti, veniva insignito nella sua lunga vita di alti onori e incarichi, compreso il laticlavio. Molto si sa e molto si è scritto su De Sanctis, e il lavoro della giovane Antonella Amico, nonostante la buona cono- scenza del carteggio di De Sanctis, di cui sta curando la pubblicazione, non allarga le cono- scenze che di questo personaggio si hanno; anche la scelta di privilegiare il registro politico della vicenda biografica del grande antichista non aggiunge molto. Cattolico fervente, De Sanctis aderisce nel 1919 al Partito popolare, accettando gli obblighi della militanza: è due volte candidato nelle elezioni politiche senza successo e una volta nelle amministrative, elet- to, ma escluso per un vizio di forma. Sottoscrive il «manifesto Croce», non aderisce al fasci- smo, ma non rifiuta incarichi a metà strada tra la politica e l’impegno culturale, come il Con- siglio superiore della Pubblica Istruzione. Anche dopo l’esclusione dall’università, del resto, collaborava alla Enciclopediaitalianacome responsabile della Sezione di Antichità classiche e neanche la crescente ostilità di cui era fatto oggetto faceva di lui un completo emarginato. La complessità della sua esperienza e le contraddizioni di una personalità vissuta in una fase di passaggio spiegano come permangano in De Sanctis elementi non periferici di un vecchio di- scorso pubblico. Da qui il sostegno alle operazioni coloniali italiane, compresa quella etiopi- ca, in cui, ottocentescamente, vedeva il trionfo della civiltà sulla barbarie; le simpatie per il ge- neralissimo Franco avevano la medesima origine. Non ha timore, nell’immediato dopoguer- ra, a mantenere posizioni controcorrente. Entrato nella commissione per la revisione delle li- ste dei Lincei sollecitava, opponendosi a Croce, a mantenere tutti gli studiosi di valore, senza preclusione per gli atteggiamenti politici e le posizioni mantenute durante il ventennio. Ne- cessaria sarebbe stata, a questo proposito, maggiore attenzione alla natura sensibile di questo tema come anche agli schieramenti politici che si andavano definendo nel dopoguerra. La ne- cessità di riconoscere la cittadinanza di posizioni anche estranee al nuovo clima postbellico percorreva tutta la sua esperienza parlamentare. Particolarmente nota è la preoccupazione «che la libertà, nell’interesse di mantenersi, neghi se stessa» (p. 266) e che lo spingeva a opporsi al- le misure proposte da Scelba nel 1952 per contenere il rinascente fascismo. Giovanni Montroni 139 07_SISSCO_IX 27-08-2008 16:47 Pagina 140 I LIBRI DEL 2007 Mara Anastasia, Interessi di bottega. I piccoli commercianti italiani nella crisi dello Stato li- berale 1919-1926, Prefazione di Gian Carlo Jocteau, Torino, Zamorani, 222 pp.,€ 22,00 Nella scia degli studi promossi a Parigi alla fine degli anni ’70 del secolo scorso sulle lower middle classeseuropee prima della Grande guerra e grazie agli apporti storiografici che negli ulti- mi decenni hanno evidenziato la complessità e la flessibilità degli indirizzi politici dei ceti medi nel corso del ’900, il volume pone attenzione ai commercianti al dettaglio italiani durante la «cri- si di regime». Li studia attraverso la tematica della rappresentanza degli interessi, affrontando que- stioni come l’associazionismo, la contrattazione del consenso e la capacità di porsi in una dimen- sione collettiva tra anteguerra liberale, biennio rosso e crisi statuale con l’ascesa e il rafforzamen- to del fascismo. In particolare, il volume individua nel primo dopoguerra, e nelle mancate rispo- ste dello Stato liberale ai bisogni degli esercenti, un momento fondamentale per lo sviluppo del- l’associazionismo di categoria (nel ’19 nasce la Confederazione generale del commercio italiano, primo vero organismo di rappresentanza degli interessi), sino al ’26, quando si pone fine al plu- ralismo della rappresentanza associazionistica commerciale in una «resa senza condizioni al regi- me e alle sue esigenze» (p. 211) e si regolamenta l’accesso all’esercizio commerciale. L’a. utilizza un ampio e diversificato corpusdocumentario, dagli Atti parlamentari e dei congressi alla pubblicistica coeva, dalle inchieste e dai materiali statistici alle carte del Mini- stero dell’Interno, della Presidenza del Consiglio dei ministri, della Segreteria particolare del duce, degli archivi relativi a uomini di Stato, ecc. Grazie a questa documentazione, restituisce l’immagine, di contro a impostazioni tradizionali, di un gruppo non facilmente manipolabi- le, né destinato a scomparire, in grado «di negoziare il proprio appoggio alle istituzioni» (p. 16) e con il quale il fascismo è costretto a contrattare il consenso. Adesione, questa, che è let- ta non in chiave di una propensione quasi naturale e scontata, come in genere è stato affer- mato, quanto in termini di un’alleanza «cauta e condizionata» rispetto alla capacità del duce di soddisfare alcuni interessi della categoria. Il volume è il risultato del lavoro svolto durante il corso di dottorato in Storia delle so- cietà contemporanee dell’Università degli studi di Torino e di ricerche finanziate dalla Com- pagnia di San Paolo. Esso fa luce nell’universo composito e variegato delle classi medie ed è puntuale nel ricostruire gli attori sociali indagati, la normativa attinente, le implicazioni sul piano più strettamente sociologico. Inoltre, individua nell’associazionismo di categoria, e in un’ottica nazionale, una «tendenza di fondo» del comportamento politico dei dettaglianti, di cui fornisce, studiandoli nel contesto più ampio delle dinamiche sociali del tempo, spaccati sulle condizioni di vita, la mentalità, le relazioni d’affari, il rapporto innescato con le altre clas- si sociali. Il volume rappresenta pertanto un contributo interessante, suscettibile di ulteriori sviluppi, nell’ambito della storiografia italiana sui ceti medi e dà un utile apporto alla cono- scenza delle basi sociali del fascismo. Elisabetta Caroppo 140 07_SISSCO_IX 27-08-2008 16:47 Pagina 141 I LIBRI DEL 2007 Sandro Antonini, Sam Benelli. Vita di un poeta: dai trionfi internazionali alla persecuzio- ne fascista, Genova, De Ferrari, 272 pp.,€ 30,00 Autore (anche) di studi di storia contemporanea locale e regionale, Sandro Antonini rac- coglie in questo volume un vasto repertorio di fonti – corrispondenze private, documenti di archivio, recensioni, testimonianze, carte di polizia. Per la prima volta la biografia di Sam Be- nelli è delineata con rigore scientifico. Nato a Prato nel 1877, Benelli aveva uno straordinario talento per la scrittura teatrale e la poesia. Nel 1909 mise in scena al Teatro Argentina di Ro- ma La cena delle beffe, che gli valse il successo della critica e gli conferì una grande popolarità – offuscò persino, scrive Antonini, la gloria di Gabriele D’Annunzio. Volontario nella prima guerra mondiale, Benelli ebbe per Mussolini e la marcia su Roma un atteggiamento ambiguo. Insofferente verso lo squadrismo e i suoi metodi, del movimento fascista apprezzò l’intento moralizzatore, la dichiarata volontà di rigenerare il paese. Esitò, ma si lasciò convincere, a can- didarsi nel «listone» elettorale per la Toscana; fu eletto in due legislature per volontà di Mus- solini. Con il delitto Matteotti, tuttavia, Benelli avvertì un disagio profondo e, con sorpren- dente enfasi, si dichiarò fondatore del «primo movimento politico antifascista italiano», cui diede il nome di Lega Italica. L’iniziativa raccolse l’adesione di alcuni fascisti dissidenti ed eb- be il suo centro organizzativo nella villa di Benelli a Zoagli, ma non ebbe esiti significativi; nel 1925, infatti, Mussolini sciolse la Lega e, naturalmente, divenne diffidente verso Benelli. Que- sti, a sua volta, non aderì all’Aventino ma si dimise dalla Camera dei Deputati. Gli anni se- guenti, spiega Antonini, furono difficili. Il carattere dell’artista era incline al narcisismo, alla ricerca costante del successo. Seguito da spie che informavano puntualmente il conte Ciano e il duce, già dal 1931 i direttori dei principali quotidiani furono invitati a non parlare più delle opere di Benelli, che pure erano messe in scena con discreto successo. La fama dell’arti- sta si oscurò. Ancora nel 1938, alla vigilia dell’arrivo di Hitler a Roma, alla rappresentazione di Orchideaal Teatro Eliseo si verificarono violenti incidenti. Mussolini, informato, si irritò e in una nota espresse critiche a Benelli, del quale aveva compreso la potenziale «nocività». Po- chi anni dopo il poeta riparò in Svizzera. Al suo rientro, nel dopoguerra, seguirono nuove po- lemiche: molti ne ricordavano i contrasti con le gerarchie fasciste; altri, invece, serbavano me- moria delle lodi pubbliche del duce, le «arcipagate collaborazioni» al «Corriere della sera», i debiti ripianati dalle casse del PNF. Le testimonianze presentate da Antonini ripropongono un quadro interpretativo com- plesso. Il profilo di Benelli non è quello della limpida figura di intellettuale antifascista né del servile cantore delle gesta del duce. Forse, alla luce degli elementi del carattere attentamente tratteggiati dall’a., l’ambiguità derivò in parte da un successo che l’artista meritava ma che il fascismo, con i suoi metodi, ideali (e un alto prezzo da pagare), non volle concedere. Dario Biocca 141 07_SISSCO_IX 27-08-2008 16:47 Pagina 142 I LIBRI DEL 2007 Paolo Armellini, Gabriella Cotta, Beatrice Pisa (a cura di), Globalizzazione, federalismo e cittadinanza europea, Milano, FrancoAngeli, 2 voll., 223+152 pp.,€ 18,00+14,00 Aunaprimaocchiataquestiduevoluminondannoun’impressionepositiva.L’eterogeneità degliargomentitrattati,degliapprocciutilizzati(dallastoria,allafilosofiapolitica,allasociologia, aldiritto)edellivellodiapprofondimentodeisingolisaggiètaledanonpoteresserricondottaauna matriceunitarianeanchedaitermini,pureestremamentegenerici,sceltiperiltitolo.Un’impressio- nechepermaneanchenelquadrodiognisingolovolume:ilprimo,sugli«aspettistorico-politici», chealternariflessionigiuridiche,analisisociologicheericostruzionistorichesuitemipiùdisparati, eilsecondo,sulle«prospettiveteoricheeistituzionali»,lecuianalisidinaturaprevalentementefi- losoficavannodallaletturacriticadelCorano,all’evoluzionedellaCostituzionedegliStatiUniti,al crollodellafederazionejugoslava.L’assenzadiun’introduzionenonmiglioradelrestolecose,eli- minandol’unicapossibilitàdileggerel’operasullabasediunfiloconduttoresolidoecoerente. Ciò non significa che nei due volumi non vi siano saggi di qualità. Fra i tanti degni di no- ta contenuti nel primo, che presenta una dimensione storica più forte, sembra opportuno se- gnalarne almeno due. Il primo è il contributo di Arianna Montanari, che offre una chiave di lettura generale dei processi di formazione delle identità collettive, mostrando come esse nascano e si consolidi- no innanzitutto attraverso la contrapposizione con altre identità, tendenzialmente le più pros- sime. Dal che deriverebbe l’idea, condivisibile, che l’affermazione di un’identità europea pas- si necessariamente per una (almeno relativa) «contrapposizione con l’altro grande protagoni- sta del mondo occidentale, gli Stati Uniti» (p. 187). Meno convincenti sono però le conse- guenze che l’a. sembra attribuire a tale contrasto, il quale, acuito da alcuni aspetti della poli- tica statunitense più recente, sembrerebbe sul punto di «mettere in dubbio […] gli elementi costitutivi dell’identità occidentale» (p. 189). Una visione che appare troppo drastica, e desti- nata verosimilmente a mutare nel momento in cui, com’è probabile, il successore di Bush jr. dovesse cambiare alcuni tratti sostanziali della politica estera americana. Il secondo è il saggio di Beatrice Pisa, che traccia una sintesi del lavoro del primo Parla- mento europeo eletto a suffragio universale, fra il 1979 e il 1984. Una ricostruzione che mo- stra innanzitutto l’effetto «tonico» giocato dall’elezione diretta sulla vitalità politica dell’as- semblea, la quale, pur priva di poteri decisionali concreti, favorì lo spostamento dell’attenzio- ne comunitaria su una serie di tematiche, nuove o fino ad allora affrontate solo in modo par- ziale. La condizione femminile, la difesa dei diritti umani, la cooperazione allo sviluppo, i pro- blemi della pace nel mondo, tutti temi sui quali il Parlamento adottò risoluzioni o prese po- sizioni definite, talvolta preparando il terreno all’adozione di atti normativi della Comunità, ma più in generale contribuendo a ispessire una dimensione politica del processo d’integra- zione che fino a quel momento era rimasta relativamente in sordina. Lorenzo Mechi 142

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to del fascismo. In particolare, il volume individua nel primo dopoguerra, e nelle mancate rispo- ste dello Stato liberale ai bisogni degli esercenti, .. sviluppo dei consumi di massa che spingeva verso l'innalzamento degli standard delle presta- William Dalrymple, L'assedio di Delhi, 1857. Lo sco
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