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Margini d’Italia. L’esclusione sociale dall’Unità a oggi PDF

406 Pages·2015·11.326 MB·Italian
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Preview Margini d’Italia. L’esclusione sociale dall’Unità a oggi

Storia e Società David Forgacs Margini d'Italia L'esclusione sociale dall'Unità a oggi Editori Laterza Titolo dell’edizione originale Italy’s Margins. Social Exclusion and Nation Formation since 1861 (Cambridge University Press 2014) © 2014, David Forgacs. Tutti i diritti riservati Edizione digitale: ottobre 2015 www.laterza.it Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Realizzato da Graphiservice s.r.l. - Bari (Italy) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 9788858120859 È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata Sommario Prefazione all’edizione italiana Introduzione. Guardare ai margini 1. Periferie urbane Un cortile La costruzione di uno slum Gli spazi dei bassifondi Bassifondi, malattie e criminalità Fotografare i poveri Racconti dalle periferie: gli anni Cinquanta e Sessanta Conclusioni 2. Colonie Donne Colonie come margini Istantanee e ritratti di famiglia Antropologia in bianco e nero Paesaggi Atrocità Patrioti Conclusioni 3. Sud Incontri etnografici Pianto rituale A est di Eboli Controversie della guerra fredda De Martino tra storia e etnologia Donne, tarantismo e follia Conclusioni 4. Manicomi La recinzione La povertà, la classe e la negazione Cani, porci e umani Dentro/fuori Donne e follia Limiti di visione Documentari Voci trascritte La deistituzionalizzazione e il duraturo problema dei manicomi giudiziari Conclusioni 5. Campi nomadi Vecchi e nuovi margini Nomadi, migranti o cittadini? Media, vigilanti e politici Conclusioni Conclusioni. Capire i margini Bibliografia Ringraziamenti Immagini «Periferie urbane» Immagini «Colonie» Immagini «Sud» Immagini «Manicomi» Immagini «Campi nomadi» Elenco delle illustrazioni a Rachele Prefazione all’edizione italiana Margini d’Italia è un libro che ho finito di scrivere nel 2012. È basato in gran parte su ricerche svolte negli anni immediatamente precedenti, a Roma e ad Addis Abeba, ma ha avuto una gestazione molto più lunga. All’inizio della mia carriera accademica, negli anni Ottanta, mi sono occupato della storia delle industrie culturali in Italia dal tardo Ottocento in poi, concentrandomi sullo sviluppo di quattro settori chiave – editoria, cinema, radio, televisione – e sui loro rapporti con il potere politico. La mia intenzione era di contrastare il modo di scrivere la storia culturale allora ancora dominante – incentrato sugli intellettuali, visti crocianamente come “produttori di cultura” – e di proporre una mappa nuova della cultura contemporanea in cui invece fossero le industrie culturali, i mezzi di distribuzione e i prodotti della cultura di massa ad occupare la posizione centrale. Dopo aver pubblicato i primi risultati di questa ricerca ho cominciato ad interessarmi sempre più al ruolo dei consumatori dei prodotti culturali, avvalendomi anche di testimonianze orali. Ho iniziato a riflettere sulla complessità della trasformazione dell’Italia nell’era della cultura di massa, un processo segnato da notevoli variazioni temporali e geografiche tra i consumatori. Se il consumo di carta stampata (libri, settimanali, giornali, ecc.) partiva già fortemente differenziato geograficamente non solo nel tasso di alfabetizzazione ma anche nel potere d’acquisto, nell’estensione delle reti di distribuzione e dei punti vendita e nelle abitudini degli stessi consumatori, qualcosa di simile valeva anche per il cinema e la radio, nonché, almeno nei suoi primi anni, per la televisione1. Da quel momento i miei interessi si sono sempre più indirizzati verso lo studio delle variazioni nel consumo e delle loro cause, e per me è diventato sempre più chiaro che l’intero campo dei consumi culturali era strutturato da differenze di potere. Ho cominciato allora ad esplorare il modo in cui scrittori, artisti, fotografi e documentaristi guardavano e rappresentavano quelli che stavano all’estremo opposto della società e che erano del tutto sprovvisti di capitale culturale: in altre parole, ad occuparmi degli intellettuali, proprio quelle figure che avevo volutamente escluso in precedenza dalla mia storia dell’industrializzazione della cultura, e che però vedevo ora sotto una luce molto diversa. Invece di essere i portatori della vera cultura nazionale, i leader dei grandi movimenti letterari e artistici, gli intellettuali erano per me quelli che, grazie alla loro capacità di adoperare i nuovi mezzi di comunicazione di massa, avevano il potere di inchiodare l’altro da sé in una definizione, mettendolo ai margini della società nazionale. L’altro era l’uomo o la donna analfabeta, l’abitante di un piccolo paese in collina o di un quartiere povero di una grande città, il soggetto indigeno nelle colonie, la persona malata di mente, il rom nel campo nomadi. Qui sta la genesi del presente libro. Come spiego nell’introduzione, in queste definizioni dell’altro ha un’importanza fondamentale la loro intrinseca unidirezionalità, il fatto cioè che il potere di definire chi sta ai margini sia monopolizzato da chi ha accesso ai mezzi di comunicazione e gode di quel prestigio culturale che gli permette di formare l’opinione pubblica. Tali definizioni sono quasi sempre a senso unico e sono difficili da invertire. In questo libro esploro in modo dettagliato alcuni casi di definizione di luoghi e di persone ai margini in cui si utilizza il mezzo fotografico, da solo o accompagnato da un testo scritto, oppure il solo testo scritto. Allo stesso tempo cerco di stimolare una consapevolezza critica del modo in cui la formazione della nazione italiana a livello culturale, dell’immagine collettiva di se stessa come nazione, abbia avuto luogo anche attraverso tali processi di definizione e di emarginazione dell’altro. Considero il libro non la dimostrazione di una tesi, ma piuttosto un saggio: un tentativo o un’esplorazione in cui cerco di coinvolgere i lettori come partecipanti attivi. Non tutti saranno d’accordo con i suoi contenuti e con le mie conclusioni, ma se il libro riuscirà ad avviare una riflessione e un dibattito avrà raggiunto, credo, il suo scopo. Marzo 2015 1 Le mie prime ricerche sulle industrie culturali sono confluite in L’industrializzazione della cultura italiana, 1880-1990, Bologna, Il Mulino, 1992, la cui seconda edizione, aggiornata fino al 2000, uscì in quell’anno. Per le mie ricerche successive sui consumi si vedano i saggi Cultural consumption: 1940s-1990s, in David Forgacs e Robert Lumley (a cura di), Italian Cultural Studies: An Introduction, Oxford, Oxford University Press, 1996, pp. 273-290, Twentieth-century Culture, in George Holmes (a cura di), The Oxford Illustrated History of Italy, Oxford, Oxford University Press, 1997, pp. 289- 317, e Spettacolo: teatro e cinema, in Massimo Firpo, Pier Giorgio Zunino e Nicola Tranfaglia (a cura di), Guida all’Italia contemporanea, 1861-1997, vol. 4, Comportamenti sociali e cultura, Milano, Garzanti, 1998, pp. 203-294. I risultati di una più ampia ricerca di équipe, condotta negli anni Novanta, che includeva anche 117 testimonianze orali, sono in David Forgacs e Stephen Gundle, Cultura di massa e società italiana, 1936-1954, Bologna, Il Mulino, 2007. Introduzione. Guardare ai margini Il tema di questo libro è il modo in cui, in Italia e nelle sue colonie, alcuni luoghi e gruppi sociali sono stati visti come “marginali” nelle immagini fotografiche e nei testi scritti prodotti dall’Unità in poi. Nello scriverlo mi sono prefisso in particolare due obiettivi: da una parte mostrare che tali modi di vedere sono stati strettamente legati al processo di costruzione della nazione moderna; dall’altra, mettere in luce come essi implichino sempre un determinato complesso di relazioni sociali e spaziali tra un osservatore e un osservato. I margini non sono equiparabili a un mero fatto di natura. Sono prodotti da determinati modi di vedere e di organizzare lo spazio sociale. Nei capitoli che seguono analizzerò, attraverso cinque casi particolari, cosa significhi e cosa comporti guardare ai margini nel contesto italiano. Inoltre, considero fino a che punto è emersa storicamente in Italia una consapevolezza critica delle relazioni di potere intimamente connesse a questo modo di vedere. Vorrei qui soffermarmi brevemente su questi due obiettivi del libro. Che la costruzione delle nazioni moderne comporti l’identificazione di alcuni luoghi e gruppi di persone come marginali, rispetto ai luoghi e ai gruppi di persone che hanno una posizione di centralità, è cosa ben nota agli storici e agli studiosi di geografia culturale, anche se non sempre essi vedono la questione in questi termini. L’esempio più familiare di questo processo per l’Italia contemporanea è l’emergere del Sud (o Meridione, o Mezzogiorno) come entità distinta e idea culturale. Questo è potuto accadere solo dopo l’incorporazione delle aree continentali a sud di Roma, della Sicilia e della Sardegna nel nuovo Stato-nazione e solo dopo la conclusione del secolare conflitto tra Napoli e la Sicilia, che aveva attraversato l’intera durata del regno borbonico, nonché quando le

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