Marco Aurelio, l’imperatore filosofo, l’autore dei Pensieri, documento del tardo stoicismo, seguace di Seneca e Epitteto, l’imperatore mite, buono, propugnatore dell’impero del migliore contro l’eredità del sangue, moralista, fedele al Senato, difensore dei confini dell’impero, rispettoso del popolo, sensibile al destino degli schiavi. Su questa figura mitica, ingigantita ed esaltata già dagli storici di epoca tardo imperiale, si allungano oggi le ombre del dubbio. La smaliziata storiografia contemporanea non ha avuto difficoltà nell’osservare e annotare le molteplici contraddizioni che caratterizzano i gesti, la condotta, i provvedimenti adottati da Marco Aurelio nel corso della sua vita e del suo regno. Dalla sciagurata decisione di designare il proprio figlio maschio, Commodo, come successore alla guida dell’impero, pur disprezzandolo e ritenendo che sarebbe stato un pessimo capo, alle persecuzioni scagliate contro i cristiani, accusati di immoralità, incesto e infanticidio e sterminati in massa con un massacro paragonabile ai pogroms della Russia zarista o al genocidio hitleriano, fino ai discutibili provvedimenti in materia giudiziaria e fiscale, l’aura di ’bontà’ costruita dalla storiografia antica e moderna intorno a Marco Aurelio si dissolve e lascia trasparire un inquietante marchio d’infamia. In una sorprendente biografia del più amato imperatore della Roma antica, Augusto Fraschetti dimostra come la crisi dell’impero non abbia avuto inizio, come comunemente si afferma, con Commodo e i suoi successori ma durante il principato dello stesso Marco Aurelio, ritratto in queste pagine alla cruda luce dello sguardo imparziale della storia.
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