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Maonomics. L’amara medicina cinese contro gli scandali della nostra economia PDF

377 Pages·2010·1.381 MB·Italian
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LORETTA NAPOLEONI MAONOMICS Rizzoli Proprietà letteraria riservata © 2010 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-17-03993-2 Prima edizione: aprile 2010 Realizzazione editoriale: Studio Editoriale Littera, Rescaldina (MI) MAONOMICS A Julian Introduzione A vent'anni dalla fine della Guerra fredda, le democrazie occi- dentali faticano ad arginare la prima vera crisi economica della globalizzazione. La Cina comunista, al contrario, non solo ne contiene l'impatto, ma sfrutta la contrazione della domanda estera per avviare riforme sociali ed economiche rivoluzionarie. Tra queste: maggiori garanzie per i lavoratori e un nuovo sistema monetario internazionale, possibilmente ancora- to alla moneta nazionale.1 Il nord della bussola della stabilità economica si sta inesora- bilmente spostando in Cina grazie a una serie di cataclismi econo- mici che ridisegnano l'assetto macroeconomico del pianeta. L'ultimo, la crisi del credito e la recessione, ha catapultato Pechino tra le nazioni più potenti al mondo. Nessuno oggi può negare che il New Deal cinese sia stato l'ancora di salvezza della recessione e abbia evitato che questa de- generasse in una nuova Grande depressione. E molti sono convinti che i cambiamenti in atto finiranno per spodestare il primato economico statunitense. Le metamorfosi cinesi non sono però circoscritte all'econo- mia. La crescita del Pil va a braccetto con riforme sociali e politiche impensabili ai tempi del maoismo, una strana coppia in un Paese ancora comunista. Dalla difesa dei dirit- 7 Maonomics ti umani al potenziamento dell'energia rinnovabile, fino al rispetto delle regole del World Trade Organization e all'espe- rimento della democrazia partecipativa, questa nazione è impegnata nella creazione di un nuovo modello di società. E sebbene per ora la democrazia di stampo occidentale non rientri tra i traguardi che si prefigge, è pur vero che da almeno un decennio ha preso definitivamente le distanze dal totalitarismo post-bellico e guarda solo al futuro. Possiamo parlare di capi-comunismo? Potrebbe essere proprio questo il modello del Ventunesimo secolo. Chi visita città come Shanghai o Pechino ha infatti un'anteprima delle metropoli del domani. Il loro dinamismo è una droga che intossica tutti, specialmente gli stranieri. Mi- gliaia di giovani occidentali scelgono di vivere a Shanghai perché intuiscono che questa è la piattaforma di lancio del nuovo mondo, e non solo per via dell'Expo del 2010. Chi vive in Cina da tempo ne è cosciente, sa di far parte del laboratorio del futuro, una fucina socio-economica, ma anche politica, dove si lavora giorno e notte per dar forma alla modernità. Un'immagine totalmente diversa emanano le metropoli occidentali. Qui ancora non si riesce a uscire dal pantano del post-moderno. Un senso di decadenza impregna le istituzioni socio-economiche e la macchina politica è arrugginita dal tempo e dalle intemperie finanziarie. Siamo vecchi, si legge negli sguardi dei pendolari che ogni mattina salgono sui mez- zi di trasporto sempre più pieni e sempre meno efficienti. Sia- mo vecchi, ci dicono i nostri giovani destinati al precariato o alla disoccupazione. Siamo vecchi e la ricchezza futura dell'Eu- ropa potrebbe ridursi al patrimonio storico e culturale del con- tinente, trasformato nel più grande museo del mondo. Anche l'economia è vecchia, e persino la nostra democra- zia risente dell'età avanzata. I giovani occidentali che 8 Introduzione trovano occupazione percepiscono salari troppo bassi ri- spetto al costo della vita; le discriminazioni nei confronti degli immigrati, che svolgono i lavori più umili, sono al- l'ordine del giorno; ce la prendiamo con loro per gli errori commessi dalla nostra classe politica, un'élite che non ri- specchia più la volontà della popolazione e lavora esclusi- vamente per rimanere al potere. E la stampa sembra im- possibilitata a esercitare quella libertà che è costata tante lotte e tante vite umane. Osservando con attenzione, è evidente che la genesi della senilità dell'Occidente è la stessa del rinascimento so- cioeconomico cinese: la caduta del Muro di Berlino. Ma allora chi ha vinto la Guerra fredda? La vittoria di Pirro dell'Occidente Torniamo indietro a quel fatidico anno 1989, segnato da due eventi in apparenza diametralmente opposti: la repres- sione di piazza Tiananmen e la caduta del Muro di Berlino. Entrambi danno il «la» al processo di globalizzazione e in- fluenzano le future politiche economiche del pianeta. La si- nistra occidentale va in frantumi e il neoliberismo si impo- ne come unico modello trionfante. Nell'euforia della vitto- ria pochi intuiscono che la globalizzazione rappresenta per l'Occidente la fine del primato economico. A vent'anni di distanza è facile considerarla una vittoria di Pirro, poiché le riforme e i riassestamenti epocali prodotti da questi due eventi ridisegnano la mappa geopolitica del pianeta a favore della Cina comunista. Ma vent'anni fa l'interpretazione uf- ficiale e le aspettative erano ben diverse. Ancora oggi l'Occidente vede nella risposta armata di Pechino in piazza Tiananmen la repressione violenta della democrazia di stampo occidentale e nell'abbattimento del 9 Maonomics Muro di Berlino il segno del suo trionfo sul mondo comu- nista. E ritiene conclusa la Guerra fredda con una vittoria netta del sistema democratico, considera fortunati i sovieti- ci che l'hanno abbracciato, e sventurati i cinesi rimasti co- munisti. In un certo senso, la Cina finisce così per rimpiaz- zare nell'immaginario collettivo occidentale il nemico so- vietico: un regime dittatoriale dove non si rispettano i di- ritti umani, un Paese ipocrita che falsa i dati economici e sfrutta biecamente i lavoratori, una nazione ben lontana dal poter aspirare al ruolo di prima super potenza del mondo globalizzato. Il tutto, naturalmente, a causa dell'as- senza di democrazia, senza la quale non c'è né benessere né progresso. Peccato che questo ragionamento poggi su alcune inesat- tezze, o vere e proprie leggende. In termini di obiettivi economici raggiunti negli ultimi vent'anni, la Cina ha gestito il processo di globalizzazione meglio delle democrazie occidentali. Da quel lontano 1989 le condizioni di vita medie dei cinesi sono migliorate radi- calmente, mentre nell'Est europeo e nei territori della vec- chia Unione Sovietica, dove la democrazia di stampo occi- dentale ha attecchito, povertà e analfabetismo sono tornati alla ribalta. Per non parlare poi dell'Iraq e dell'Afghanistan dove l'esportazione della democrazia con le armi è sfociata nella guerra civile. Chi in quel lontano 1989 sarebbe uscito «sconfitto» dalla Guerra fredda oggi si candida alla guida dell'econo- mia globalizzata. Un paradosso? No. Piuttosto, un errore di lettura che nasce dalla miopia politica e dall'arroganza di un Occidente abituato da sempre a vedere in ogni ma- nifestazione di dissenso proveniente dal mondo comuni- sta, un sistema percepito come antitetico a sé, il desiderio di replicare il proprio modello di società. Un errore che, vent'anni dopo, bisogna correggere. 10

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