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Mangia prega ama. Una donna cerca la felicità PDF

1226 Pages·2008·1.92 MB·Italian
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mangia prega ama Cover Vorrei che Giovanni mi baciasse. Ah, ma è un’idea pessima per molte ragioni. Tanto per cominciare, Giovanni ha dieci anni meno di me e - come quasi tutti i ragazzi italiani - vive ancora con sua madre. Basta questo a renderlo uno spasimante improbabile per me, che sono un’americana con una professione, ho trentaquattro anni e sono appena uscita da un matrimonio fallito e da un divorzio devast-ante e interminabile, a cui ha fatto immediatamente seguito un’appassionata storia d’amore finita malissimo. Dopo tante disavventure mi sento triste, fragile, vecchia di settemila anni. Per una pura questione di principio non infliggerei mai la sofferente, consunta e decrepita me stessa all’incantevole, immacolato Giovanni, senza contare che sono arrivata all’età in cui una donna comincia a domandarsi se il modo più saggio di consolarsi della perdita di un bel giovane dagli occhi neri sia davvero quello di invitarne immediatamente un altro nel proprio letto. Ecco perché sono sola da molti mesi. Ecco perché, in effetti, ho deciso di passare tutto quest’anno in astinenza. A questo punto il lettore perspicace potrebbe domandare: «Allora perché sei andata in Italia}». E io potrei solo rispondergli - guardando Giovanni, bellissimo, seduto all’altro capo del tavolo - «Ottima domanda». mi ascolta pazientemente, poi parliamo in inglese e io lo ascolto pazientemente. Ho scoperto Giovanni qualche settimana dopo il mio arrivo a Roma, grazie all’Internet Café di piazza Barberini, nella strada di fronte alla fontana con la statua di quel tritone sexy che soffia dentro una grossa conchiglia. Aveva attaccato nella bacheca (Giovanni, non il tritone) un volantino in cui spiegava che un madrelingua italiano cercava un madrelingua inglese per esercitarsi nella conversazione. Vicino al suo volantino ce n’era un altro identico, parola per parola, carattere per carattere. Solo gli indirizzi e-mail erano diversi, uno corrispondeva al nome di Giovanni e l’altro a quel lo di un certo Dario. Ma il numero di telefono era lo stesso. Guidata dalle mie acute facoltà intuitive avevo mandato la stessa e-mail a entrambi, domandando in italiano: «Siete fratelli?». Era stato Giovanni a rispondere al mio messaggio: «Meglio ancora: gemelli!». Già, meglio ancora. Due gemelli di venticinque anni. Alti, bruni, bellissimi, identici. Con quegli enormi, liquidi occhi scuri italiani che mi confondono sempre. Dopo aver visto quei due, avevo cominciato a domandarmi se non fosse il caso di ritoccare la mia regola dell’astinenza. Avrei potuto fare un’eccezione e, per esempio, prendermi come amanti due gemelli italiani venticinquenni. Come quel mio amico vegetariano che faceva un’eccezione per il bacon... Stavo già immaginando la mia lettera a «Penthouse»: In quel caffi romano, alla tremula luce delle candele, era impossibile capire di chi erano le mani che mi stavano accarez... Ma no. No e poi no. Troncai la fantasticheria a metà. Non era il momento, per me, di andare in cerca di una storia d’amore e (poiché al giorno segue la notte) di complicare ulteriormente la mia vita già sufficientemente ingarbugliata. Era il momento di cercare la guarigione, la pace che solo la solitudine può dare. A ogni modo, a metà novembre, il timido, studioso Giovanni e io siamo diventati buoni amici. Quanto a Dario - il più scatenato dei due - l’ho presentato alla mia amica svedese, Sofie, e anche loro sono diventati Compagni di Scambio, ma di tutt’altro genere. Giovanni e io parliamo soltanto. O meglio, mangiamo e parliamo. Abbiamo passato settimane piacevoli tra pizze e garbate lezioni di grammatica, e stasera non fa eccezione: un delizioso incontro di parole nuove e mozzarella fresca. è una mezzanotte nebbiosa, e Giovanni mi sta accompagnando a casa a piedi lungo le tranquille stradine romane che serpeggiano intorno agli edifici come fiumiciattoli tra i cipressi. Adesso siamo davanti al portone, l’uno di fronte all’altra. Lui mi abbraccia con calore. è un progresso, durante le prime settimane mi dava solo la mano. Forse, se dovessi rimanere in Italia altri tre anni, allora, chissà, troverebbe il coraggio di baciarmi. D’altra parte, potrebbe anche baciarmi stasera, adesso, davanti alla porta di casa... voglio dire, siamo qui stretti, l’uno contro l’altra, al chiaro di luna... e sarebbe, naturalmente, un errore spaventoso... ma anche una meravigliosa occasione se lo facesse davvero, proprio in questo momento... se si chinasse su di me... e... e... Niente. Si scioglie dall’abbraccio.

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