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Malcolm X. Rifiuto, sfida, messaggio PDF

354 Pages·1994·15.61 MB·Italian
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Nuova Biblioteca Dedalo / 161 Serie «Nuovi Saggi» IL È9 =" [I 3i ==SN È5 3 i 5 dò 5 Il N s _ n ROBERTO GIAMMANCO MALCOLM X RIFIUTO, SFIDA, MESSAGGIO EDIZIONI DEDALO In copertina: Malcolm X, disegno di Bruno Caruso, 1994. | LA7L AAANM A BULINABIYRVLAEORRRIS EIST Y © 1994 Edizioni Dedalo srl, Bari Stampato in Bari dalla Dedalo litostampa srl Tra i punti di riferimento di questa raccolta di saggi che precedono la ristampa degli ultimi discorsi di Malcolm X c’è la riflessione fon- damentale di Walter Benjamin sul «chiudersi senza stridori... suggel- larsi definitivo di storia e dominio che stende un velo di silenzio definitivo su tutto ciò che a questo corso del mondo ha tentato di opporre la propria disperazione sconfitta». Nella presente, globale versione multimediale del dominio, quel «chiudersi senza stridori» che ha permesso il calare del velo di silen- zio definitivo sul passato oppresso è lo scenario in cui si effettuano tutti i trapianti destinati al frenetico nulla del consumo quotidiano. Così è regola, tra gli addetti ai lavori, decidere i trapianti solo in base alla disponibilità di organi, al costo e, soprattutto, alle prospettive immediate di un buon ricavo. Dopo un lungo, imbarazzato e imbaraz- zante silenzio durato più di due decenni e rotto, qua e là, da accoppia- menti commemorativi e da esercitazioni letterarie, è emerso, per via multimediale, l'interesse per Malcolm X. I nuovi lettori, tali per ragioni anagrafiche e cultural-televisive, qualora vogliano trarre da questo interesse una conoscenza non deri- vata e soprattutto non simulata, dovranno affrontare qualche «rischio». Il più grave è di non riuscire a capire il vero significato, allora e nella prospettiva del presente, del rifiuto, della sfida e del messaggio di Malcolm X. Quel significato è umano ed oggettivo, esattamente l’op- posto dello stato delle cose vigente. I nuovi lettori dovranno riappropriarsi degli strumenti che Mal- colm X si conquistò allora per vedere attraverso the jive, le nebbie falsificanti con cui il potere di definizione copre la memoria storica del dominio e ne demonizza gli oppositori antagonisti. Forse l’unico >) vantaggio che avranno questi nuovi lettori è la possibilità, che Mal- colm X si conquistò dall’interno di una grande e tragica esperienza collettiva, di evitare di anteporre alla coscienza del vissuto sclerotiche definizioni e false premesse. E questo, se non altro, perché, dopo la sua morte, sono crollati miti e dogmi che impedivano di vedere la verità dell’ineguaglianza e del razzismo che, in questa età multimedia- le, si offre come spettacolo in tutti i trapianti del consumo quotidiano. Per questo, riproporre oggi il messaggio di Malcolm X, tutt'uno con il suo rifiuto delle definizioni del dominio e la sua sfida ad esso, significa opporre la necessità della chiarificazione, la possibile razio- nalità dell’umano agli spettri di una realtà simulata e disumana che il dominio impone e perfeziona senza tregua. L’antagonista Malcolm X, il Rosso di Detroit, esprime nel suo messaggio, per tutti, con tragica oggettività, quanto è difficile la pos- sibilità dell’umano. Roberto Giammanco Roma, aprile 1994 41A7L4A49N Capitolo primo Abbiamo finito per odiare noi stessi... Articolare storicamente il passato non significa cono- scerlo «come propriamente è stato». Significa impa- dronirsi di un ricordo come esso balena nell’istante del pericolo... Il pericolo sovrasta tanto il patrimonio della tradizione quanto coloro che lo ricevono. Esso è lo stesso per entrambi: di ridursi a strumento della classe dominante. In ogni epoca bisogna strappare la tradizione al conformismo che è in procinto di sopraf- farla. Il messia non viene solo come redentore, ma come vincitore dell’Anticristo. Solo quello storico ha il dono di accendere nel passato la favilla della spe- ranza [quello storico] che è penetrato dall’idea che anche i morti non saranno al sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso di vincere. Walter Benjamin Questa raccolta di saggi miei, di ora e di allora, che precede la ristampa degli ultimi discorsi e interventi di Malcolm X nel montaggio originario dell’amico George Breitman, da me tradotti nel 1968, è dedicata ai lettori nuovi. Chiamo così quelli che, fino alla campagna di marketing per il film di Spike Lee, non avevano mai sentito parlare di Malcolm X, il Rosso di Detroit, il nazionalista nero, chiarificatore, rivoluzionario. Nella cultura afro-americana del vissuto urbano, nell’immaginario delle aree giovanili, dal 1965 sempre più emarginate ed esposte alla sistematica repressione e disgregazione sociale di tutti i militanti dei movimenti antagonistici, Malcolm X, il Black Prince, è interiorizzato da sempre come il modello del coraggio, dell’orgoglio, del rifiuto delle definizioni e falsificazioni che vanno comunemente sotto il nome di American Dream. Nell’immaginario dominante, multimediale, il formidabile poten- ziale antagonistico lasciato da Malcolm X fu obliterato con il silenzio e la falsificazione ideologica per riapparire, più di un quarto di secolo dopo, come simulacro: l’apostolo martire, il patriarca nero dalle ecce- zionali qualità individuali che, si sa, finisce per non esser più di questo mondo. Naturalmente, «con ogni mezzo necessario». Fuori degli Stati Uniti, quelli che qui ipotizzo come nuovi lettori, per età e grazie ai buoni uffici delle ghettizzazioni didattica, culturale e politica, sono stati il target dell’«effetto X», della simulazione mul- timediale che ha creato il mercato per il prodotto Malcolm X 1992-93. Inaspettatamente, l’«effetto X» ha prodotto un effetto di cassetta modesto, rispetto a previsioni e investimenti e, dopo alcuni mesi, è stato inghiottito dall’oblio elettronico. Con il risultato che, stretti tra il silenzio e/o la falsificazione di un quarto di secolo e la simulazione- marketing degli «effetti X» e dell’«immagine X», non era facile per i nuovi lettori rendersi conto che la verità del messaggio che Malcolm X ci ha lasciato era trasgressiva e lucidamente antagonistica e che, al di là di tutto quel simular cantando e ballando e predicando, fu assas- sinato per oscurare e far dimenticare quel messaggio. Per soddisfare la curiosità e il bisogno di verifica che la simulazio- ne multimediale 1992-93 può aver suscitato, in tanta diversità di cir- costanze reali e tempi di percezione, occorre ripercorrere la vicenda storica di Malcolm e, parallelamente, le forme della falsificazione che è stata fatta del suo messaggio e della sua morte. Forme allora impen- sabili, imbalsamazioni rassicuranti, demenziali, pittoresche, sempre volte a servire fini e scadenze del potere di definizione in vigore. Seguire, attraverso gli ultimi discorsi, l’implacabile ritmo del pro- cesso di chiarificazione che Malcolm perseguiva è ripercorrere il lun- go viaggio dell’Autobiografia attraverso le istituzioni del razzismo e dell’ineguaglianza, al di fuori dell’immane potere dell’interiorizzazio- ne e contro di esso. BULINABIYRVLAEORRRIS EIST Y —nRM nMR seguiAtlil oraal,la qmuoartned o diq uMeail cdoilsmco,r sii n fquureoln oc onptreosntuon cicautlit urael en eie ipnrtiemrin azainon-i nale così diverso da oggi, chiave di lettura primaria era la strategia del «superamento» della separazione-contrapposizione tra bianchi e neri, realtà ben visibile, istituzionalizzata del razzismo bianco e cardine dell’immaginario nazionalista nero tradizionale e della Nation of Islam di Elijah Muhammad. Nel 1965, agli studenti bianchi, che «finora si sono distinti nelle scorrerie nei dormitori femminili alla caccia di mutandine, nell’in- ghiottire il maggior numero di pesci d’oro o nello stiparsi in una cabina telefonica e non certo per le loro idee politiche rivoluzionarie O per cambiare situazioni ingiuste», Malcolm consigliava di non cre- dere al potere di definizione: faceva di tutto per convincerli che «il problema era già stato analizzato e quindi non dovevano provarsi a studiarlo direttamente». Dovevano invece «dimenticarsi l’analisi che è 8 stata loro imbonita» e se volevano contribuire alla lotta dei neri per la libertà ed «eliminare le ingiuste condizioni esistenti», dovevano evi tare di «entrare a far parte di organizzazioni nere e di trasformarle in gruppi integrati», organizzandosi tra loro ed elaborando «una strategia atta a spezzare il pregiudizio esistente nelle ‘comunità bianche». E poi la sua famosa affermazione, pochi giorni prima di cadere assassinato: ì «Non sono cambiato. E solo che vedo le cose su di una scala più vasta. Noi nazionalisti credevamo di essere militanti, mentre invece non eravamo che dei dogmatici. [...] Adesso so che è più intelligente dire che si spara ad uno per quello che ci fa piuttosto che per il fatto che è bianco. Se lo attacchiamo per il colore della sua pelle, non gli diamo alcuna scelta. Non può cessare di essere bianco e noi dobbiamo dargli una possibilità. E probabile che lui, il serpente, non se ne serva; ma noi dobbiamo farlo lo stesso. [...] Non mi faccio mettere la camicia di forza da nessuno; non me ne importa nulla dell’aspetto fisico o della provenienza della gente. Tengo la mente aperta nei confronti di chiunque sia disposto ad aiutarci a scuoterci di dosso la scimmia». Il «superamento» della separazione-contrapposizione tra bianchi e neri presupponeva l’eliminazione della diseguaglianza, non con un proclama teorico o con qualche simulazione giuridica, ma con un rovesciamento di tutte le forme in cui era interiorizzata e vissuta. Per i bianchi e i neri, nel loro «infame rapporto secolare», e separatamen- te. Rovesciando l’immaginario dominante, insegnava Malcolm, si af- fermava l’esigenza, e la possibilità, di cambiare radicalmente i rap- porti sociali. Oggi, per i nuovi lettori che ho ipotizzato, la chiave di lettura primaria degli ultimi discorsi riguarda lo sforzo di Malcolm di sma- scherare, sia nella meccanica delle istituzioni che nelle forme del vis- suto, la realtà del razzismo e della diseguaglianza come espropriazio- ne, così come viene imposta, interiorizzata e riprodotta dai suoi gestori e dalle sue vittime, bianchi e neri. Malcolm portò avanti questo smascheramento, by any means ne- cessary, senza mai perdere di vista che, nel contesto della struttura di potere sociale, fedelmente rispecchiata dalle istituzioni politiche, gli afro-americani avevano occupato da sempre una condizione relativa, di generazione in generazione, con le stesse proporzioni di distanza e dipendenza, ma sempre in fondo alla piramide. Tale condizione, non si stancava di ripetere Malcolm, era oggettiva, strutturata nella dina- mica di classe e del quadro economico sociale, oltre che, ovviamente, 9 nell'immaginario collettivo. Se si voleva cambiare, e non semplice- mente riprodurre in forme esteriori diverse adeguate alle esigenze dei tempi, se si voleva liberare gli afro-americani da quella condizione, si doveva imparare a viverne la realtà oggettiva come esperienza antago- nista. o) Il cammino di Malcolm alla coscienza antagonista parte dunque dal binomio-dimensione oggettiva della società americana («siamo poveri perché neri e neri perché poveri»): razzismo e diseguaglianza. All’interno della condizione relativa degli afro-americani e nella proie- zione storica del dominio imperiale sul Terzo Mondo («Lo stesso uomo che ci ammazza nel Congo, ci ammazza qui nel Mississippi»). È su questa dimensione che si fonda la decisiva differenza tra il messaggio di Malcolm e quello del nazionalismo nero tradizionale come, nel corso del tempo, si è visto riflesso in gran parte dei pro- grammi dei Black Studies introdotti nelle università dopo il 1968, grazie alla «legislazione delle quote», nel cosiddetto nazionalismo culturale. I lettori nuovi non potranno ingnorare le differenze di contesto storico. Il nazionalismo panafricano di Marcus Garvey sublimava nel mito della «razza poderosa» («In piedi! Razza poderosa, puoi raggiun- gere quello che vuoi!») la percezione che le masse nere urbane ave- vano della realtà della diseguaglianza sociale e dell’espropriazione. Nella prospettiva dell’UNIA, l’identità della razza, ancorata alla «ri- velazione» di una storia-mito delle passate grandezze africane, l’iden- tità della razza «in esilio» si poteva affermare costruendo istituzioni BULINABIIYRVLAEORRRIS EI ST Y che, se non fossero state alternative e seriamente antagonistiche, ms4gg—iAdApàm w t oom_ ————1 avrebbero finito per riprodurre, nella forma della separazione, quelle della società dominante. La UNIA di Marcus Garvey contrappose un nazionalismo integra- le alla convinzione-impossibilità di non poter far nulla per cambiare le condizioni delle masse nere se non nella prospettiva di un futuro «ri- torno in Africa» e, nel vissuto immediato, proponendo la versione nera dell'American Dream: valori perbenistici della middle class dell’im- migrazione dall'Europa, «Dio è Negro», culto del capo carismatico, immagine collettiva riprodotta parallelamente sulla falsariga degli aspetti, anche i più caricaturali, della società bianca (parate, uniformi, infantilizzazione di massa). Il pregiudizio razziale, ricordava sempre Garvey, «è tanto radicato nella società da rendere futile ogni appello al suo senso di giustizia». In attesa del Grande Ritorno in Africa, l’unica possibilità per la «na- 10

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