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L’ufficio affari riservati. Vol. 1. La guerra fredda delle spie PDF

300 Pages·2005·0.94 MB·Italian
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ALDO GIANNULI LA GUERRA FREDDA DELLE SPIE L'UFFICIO AFFARI RISERVATI VOLUME PRIMO I edizione Copyright Nuova Iniziativa Editoriale SpA Edizione su licenza Tutti i diritti riservati Nuova Iniziativa editoriale S.p.A. "Avendo dedicato la mia vita all'informazione ho avuto assai poco tempo per arricchire la mia cultura. Essendo poco erudito e nutrendo per gli uomini di cultura un sentimento di amore-odio, di ammirazione-invidia, quando ho a che fare con un argomento che richiama cultura faccio ricorso a un aforisma, a un aneddoto". Federico Umberto D'Amato Aldo Giannuli, nato a Bari nel 1953, è ricercatore di storia contemporanea presso la Facoltà di scienze politiche di Bari. È stato consulente della Commissione stragi e di diverse Procure della Repubblica per casi di strage e di terrorismo. Ha scritto diversi libri, fra cui "Lo Stato parallelo" con Paolo Cucchiarelli (1997). Collabora alla rivista "Libertaria". Prefazione di Vincenzo Vasile Gli storici di professione ne parlano poco, non ne scrivono. Ma dietro alla storia d'Italia ci sono affari molto riservati. Si è chiamato proprio cosi, – Ufficio affari riservati – il servizio di intelligence più occhiuto, occulto e chiacchierato tra gli occhiuti, occulti e chiacchierati apparati di informazione della nostra Repubblica. In verità, la vicenda parte da lontano. Da molto lontano. Una delle curiosità rivelate da questo libro di Aldo Giannuli riguarda proprio l'atto di nascita dell'intelligence italiana: porta una firma illustre, quella di un Padre dell'unità nazionale, Camillo Benso, conte di Cavour, che costruì una rete di spionaggio efficientissima che si diede molto da fare. Dopo l'Unità, l'Ufficio affari riservati fu uno strumento importante di tutti i governi, ma anche la sede in cui vennero intrecciate diverse trame ed ebbero origine veri e propri complotti. Si potrebbe dire che il luogo comune delle "deviazioni" dei servizi non regga alla ricerca storica, tranne che non si voglia ammettere che l'intelligence italiana nascesse già "deviata", contenendo in nuce molte delle successive involuzioni e degli sviluppi degenerativi di cui sarà piena la cronaca dell'Italia repubblicana. Il fulcro di questo libro è, per l'appunto, la storia della nostra Repubblica. Vista dal retrobottega. L'autore ha lavorato a lungo come perito di diverse Procure della Repubblica e come consulente di alcune Commissioni parlamentari di inchiesta: s'è imbattuto in un importante giacimento archivistico, un deposito alla circonvallazione Appia di Roma, nel quale erano ammassati senza alcun ordine, e rischiavano di deperire in balia della "critica rodente" di numerosi animaletti, proprio una parte degli archivi dell'Ufficio affari riservati: fascicoli e reperti conservati apparentemente alla rinfusa, destinati programmaticamente all'oblio. L'infiltrazione nei partiti e nei movimenti di sinistra, le attività di vera propria provocazione, le intercettazioni e i dossier, veri e propri ricatti: l'Ufficio fu retto nella sua fase più calda e significativa da Federico Umberto D'Amato, personaggio pittoresco, gastronomo, che collezionava pupazzi animati del Settecento, quasi a conferma della sua fama di "burattinaio", e soprattutto raccoglieva una mole enorme di "fascicoli". Solo alcuni di essi sono giunti sino a noi, e ancora si discute su quale fine abbiano fatto gli altri, e quanti, quando e perché siano stati trafugati, c'è chi dice in una villa del litorale romano, chi dentro a una cassaforte oltre frontiera. D'Amato è uno dei primi attori della strategia della tensione, e la sua autonomia d'azione, spesso in conflitto con altri servizi come il SIFAR e il SID, indurrebbe a confermare la recente "revisione", proposta da Enrico Galli della Loggia, dello slogan della "strategia della tensione", a cui si propone di preferire lo schema analitico della "tensione senza strategia". L'Ufficio affari riservati è, infatti, il più separato dei corpi separati, riferisce, quando riferisce, a centrali e referenti italiani e stranieri, scelti volta per volta nell'arcipelago delle correnti democristiane, e sempre con uno sguardo transatlantico: ancora oggi chi visiti la sede di Bruxelles della Nato può imbattersi in un salone intitolato a questo funzionario, noto come lo "Edgar Hoover italiano", per analogia con il più fosco capo della FBI, la cui carriera fu travolta – proprio come il modello statunitense dall'intrecciarsi dell'ultima trama, nella stagione delle bombe. Immancabilmente il suo nome è nella lista della loggia P2, e il tramonto della stella di D'Amato – e il contemporaneo scioglimento dell'Ufficio – precede di sette anni la venuta allo scoperto del ramificato network messo in piedi da Licio Gelli. Negli archivi resta non solo la paccottiglia – vere e proprie calunnie come le fantasiose informative su Dario Fo che, incappucciato, interroga uno dei sequestrati delle Br, sui depositi di armi dei terroristi che sarebbero stati custoditi dal "reuccio della canzone" Claudio Villa, le segnalazioni malevole e tartufesche sull'enfasi "eccessiva" di Giorgio Gaber nel cantare Bella Ciao, sulla scelta di temi sociali nei dischi di Milva, e i nauseabondi dossier sugli inconfessabili vizi privati dei personaggi da ricattare ma anche qualche squarcio di storia. Soprattutto sui controlli soffocanti cui era sottoposta la sinistra, campo quasi esclusivo di azione di D'Amato. Su un caso delicatissimo, come la presenza della Resistente comunista Marisa Musu, per tanti anni nostra collega all'Unità, in un elenco di informatori dell'Ufficio, l'autore avanza un'ipotesi interessante: la "ragazza di via Orazio", avvicinata dal servizio di D'Amato, avrebbe – con la autorizzazione del PCI – passato informazioni sulla vita interna del partito, volte a valorizzarne l'autonomia dal movimento comunista internazionale e la democratizzazione della vita interna. E D'Amato con la sua "nave corsara", piccola e maneggevole come uno dei burattini semoventi della sua collezione, avrebbe più o meno coscientemente abboccato in questo caso alla strategia di comunicazione di Botteghe Oscure. Una specie di telefono senza fili. Ma in questo gioco di specchi c'è il pericolo di perdersi. Tanto più che la natura stessa delle informative "riservate" – redatte in forma anonima, costruite su informazioni prive di fonte, attribuite a confidenti indicati attraverso pseudonimi, originate dai più diversi e occasionali moventi non consente spesso una facile valutazione della veridicità e della consistenza di ogni singolo documento. Quel che è evidente è la fantasmagorica galleria di personaggi di primo e secondo piano che si sono alternati nei vari ruoli, la loro biografia a volte grigia e burocratica, altre volte più fosca, spesso – ma non sempre – risalente al ventennio fascista, la loro parabola personale che non si conclude con lo scioglimento dell'Ufficio, ma prosegue ancora, fino alla soglia della Seconda Repubblica, e non si sa se ancora oltre. L'Ufficio delle Cose Inconfessabili finisce; ma gli Affari riservati continuano. Come un fiume carsico maleodorante che ogni tanto risale in superficie, nella storia e nella cronaca repubblicana. E sono ancora dossier, stragi, ricatti, strane manovre di una transizione che non si conclude mai. Introduzione Si può scrivere una storia dell'Italia repubblicana senza parlare dell'Ufficio Affari Riservati? Della dozzina di storie dell'Italia repubblicana uscite negli ultimi quindici anni, solo una1 cita Federico Umberto D'Amato che, di quell'ufficio, fu il più autorevole esponente. Gli storici, si sa, non amano occuparsi dei servizi segreti: la scarsità di documenti a disposizione, il rischio del sensazionalismo, la scarsa familiarità con l'argomento, sono tutti motivi che spingono in questa direzione. L'atteggiamento prevalente è stato quello di ritenere i servizi mere appendici del potere esecutivo, per cui quello che conta è la storia politica al livello dei suoi massimi rappresentanti: i servizi sono solo un maleodorante retrobottega nel quale sarebbe disgustoso e poco utile ficcare il naso. In effetti, non è che in quel retrobottega abbiano mai coltivato gardenie e tuberose, ma un atteggiamento del genere preclude la comprensione di molte delle dinamiche istituzionali dopo il 1945 L'idea che i servizi siano semplici propaggini esecutive dei governi è stata giusta sino al 1945, non dopo: i servizi militari o di polizia, sino alla seconda guerra mondiale, non hanno mai preteso di determinare la politica del rispettivo paese, neanche in tema di sicurezza, e si sono limitati ad applicare le indicazioni del potere politico. Ma la guerra fredda ha cambiato molte cose. Essa fu essenzialmente guerra coperta, condotta dai servizi e questo ha finito per attribuire loro un protagonismo prima sconosciuto. Sempre più frequentemente è accaduto che i servizi si sentissero i depositari della sicurezza del paese, anche indipendentemente e persino contro l'autorità politica da cui focalmente dipendevano. Questo ha dato il via ad una serie di dinamiche interagenti del tutto imprevedibili, tali per cui, studiare la storia di un sistema politico, ignorando l'azione dei servizi in esso, si può ma a prezzo di escludere dalla propria visuale una parte significativa del quadro. D'altra parte, questa lacuna è largamente spiegabile: come abbiamo detto, il ruolo dei servizi è andato crescendo dal 1945 in poi, dunque, si tratta di un periodo su cui gli storici hanno appena iniziato a lavorare. In secondo luogo, gli storici hanno avuto a disposizione materiale troppo scarso per potersi occupare del problema: i servizi di informazione non versano agli archivi pubblici se non eccezionalmente. Per di più, quello che c'è sui servizi è sparso negli incartamenti di centinaia di processi e di alcune commissioni parlamentari di inchiesta: entrambe fonti di non agevole consultazione. Sino alla fine degli anni sessanta, anche la stampa si occupava abbastanza raramente dei servizi segreti: sino allo scoppio del caso SIFAR, ad essi era dedicata una attenzione del tutto marginale. I servizi iniziarono ad essere oggetto di inchieste giornalistiche sostanzialmente nella stagione della strategia della tensione, ad opera del giornalismo di inchiesta indipendente ("L'Espresso", "Il Giorno") e della stampa di area comunista ("L'Unità", "Vie Nuove", "Paese Sera"), più tardi si aggiunsero la controinformazione dell'estrema sinistra e quella di area socialista ("Avanti!", "Aut"). Questa prima stagione di inchieste sfociò in una discreta quantità di libri2 diventando un genere spesso giudicato con sufficienza dagli storici accademici che parlavano di "dietrologia". A torto: quegli studi pionieristici – pur molto diseguali fra loro – ebbero grandi meriti, non solo sul piano della difesa della democrazia, ma anche su quello della conoscenza dell'oggetto. Piaccia o no, ancora oggi questo è la parte più cospicua della bibliografia base da cui partire per impostare uno schema di ricerca sul tema. D'altra parte, gran parte delle convinzioni diffuse fra gli italiani, in materia di servizi segreti e di strategia della tensione, deriva – direttamente o indirettamente – da quei lavori. Questo, ovviamente, non significa che si tratti di una produzione indenne da critiche. Innanzitutto, nella massima parte si tratta, appunto, di lavori di giornalismo militante e storia e giornalismo hanno metodi di lavoro differenti: un giornalista può dare una notizia e tacerne la fonte (anzi deve), uno storico no. Così un giornalista deve dare una notizia tempestivamente, anche a costo di verifiche sommarie, uno storico no, perché ha il dovere di fornire un prodotto il più verificato, preciso ed approfondito possibile, anche se questo comporta anni di lavoro. Inoltre, il carattere militante di quei lavori e la finalità immediata con cui sono stati scritti ha influito notevolmente sull'esito finale. Non stiamo affermando che si tratti di lavori faziosi che, allo scopo di sostenere una tesi prefabbricata, hanno manipolato o inventato i dati: in qualche circostanza è accaduto anche questo, ma nella maggior parte dei casi si tratta di ricerche fatte con onestà intellettuale. Il punto è un altro: l'esigenza di partecipare alla battaglia induceva ad interrogare la realtà solo su un versante, trascurando ogni altro punto di vista. La tesi di fondo era sostanzialmente questa: "I servizi segreti in Italia hanno operato solo in funzione anticomunista e, in nome di questo, hanno avuto licenza di compiere ogni soperchieria e reato, sino a trasformarsi nella principale disfunzione della nostra democrazia." Effettivamente la lotta al comunismo rappresentò il maggiore impegno dei servizi per almeno i primi trenta anni di vita repubblicana, ed effettivamente, in nome di essa, i servizi hanno compiuto cose gravissime che hanno molto pesato sulla vita democratica del paese. Ma questo non è stato sempre vero allo stesso modo, non ha avuto sempre la stessa intensità e, soprattutto, non esaurisce l'argomento. Ne è derivata una vulgata che appiattiva tutto su un'unica dimensione, annullando diversità di modelli organizzativi e trasformazioni di cultura politica, evoluzioni nel modo di operare e intrecci politici, rivalità fra corpi diversi e scontri fra cordate di uno stesso apparato. Si è elaborato un modello esplicativo dicotomico (servizi e forze della reazione anticomunista ed antidemocratica da un lato, comunisti, sindacati e sinistre dall'altro) che presupponeva una sostanziale unitarietà di entrambi i blocchi, e in particolare di quello di destra. La dialettica fra servizi nazionali e Alleati (americani innanzitutto) o fra servizi e classe politica veniva compressa entro un quadro schematico che riproduceva all'infinito la stessa trama tendente al colpo di stato. La realtà storica è stata molto più variegata, complessa e contraddittoria, come poi abbiamo scoperto. Ma questo è chiaro oggi, a distanza di 13 trenta anni. Quando si opera nel fuoco degli avvenimenti si tende fatalmente ad estendere arbitrariamente le tendenze presenti al passato ed al futuro. Anche per questo il carattere militante di questi lavori è un pregio sul piano politico, ma non su quello storico. La storia ha più fantasia dei singoli che la fanno e, per scriverla, occorre sapersi guardare indietro con distacco. Oggi si può andare oltre e tentare una sistematizzazione del problema, perché iniziano ad esserci i documenti necessari per farlo. Lo dobbiamo in particolare a tre inchieste penali che hanno raccolto una notevole dose di materiale: inchiesta sulla strage di Peteano e Gladio (dott. Casson) inchiesta sull'abbattimento dell'aereo Argo 16 (dott. Mastelloni) inchiesta sull'eversione in Lombardia, poi Piazza Fontana (dott Salvini). A questo si aggiunge l'archivio della Commissione Stragi che raccoglie gran parte della documentazione giudiziaria e molto altro ancora, per un totale di oltre 1 milione e mezzo di pagine. Altri elementi possono essere reperiti negli atti della commissione P2, oltre che in quella sul caso SIFAR. Dunque si può cominciare a lavorare. Iniziamo dal caso dell'Ufficio Affari Riservati che è stato anche uno dei miti (negativi, ma pur sempre miti) delle cronache italiane di un trentennio. In esso è stato indicato l'erede dell'OVRA, la "cupola" della strategia della tensione, l'alleato del SID, il mandante delle stragi e l'autore di ogni depistaggio. Quanto c'è di vero e quanto di immaginario in tutto questo? È possibile farne una storia non mitologica? Noi abbiamo tentato di misurarci con questo breve profilo, quanto ci siamo riusciti lo dicano i lettori. Capitolo I. I precedenti

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Gli storici ne parlano poco. Ma dietro la storia d’Italia ci sono affari molto riservati. Si è chiamato proprio così per più di un secolo -Ufficio Affari Riservati- il servizio di intelligence più occhialuto e occulto e chiacchierato della nostra Repubblica. La vicenda parte da molto lontano.
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