È il 1626. Nella Spagna del Siglo de Oro, dopo aver partecipato all'assedio e alla resa di Breda, fa ritorno Diego Alatriste, lo spadaccino impavido, insieme a Iñigo Balboa, suo giovane saccardo. La variopinta e caotica Siviglia li travolge con il suo groviglio di strade sfavillanti e di merci preziose, viziosa come un bordello, bella e seducente come le donne del Sud. Ma la licenza non è di riposo; per il tramite di Francisco de Quevedo, poeta di Corte e gentiluomo, qualcuno di molto potente, forse lo stesso conte-duca di Olivares, richiede la presenza del capitano Alatriste in città: in gioco c'è il tesoro in arrivo con la flotta reale dalle Indie occidentali. Nel Corral de los Naranjos, all'ombra della Cattedrale - crogiolo di furfanti e ruffiani, di prostitute ed ex galeotti sfuggiti alla giustizia - e nelle prigioni della città, dove la crema della malavita si è data appuntamento per una singolare veglia funebre, il capitano Alatriste dovrà reclutare la sua banda di bravi, veloci di mano e corti di lingua. Poco meno che pirati, fedeli solo alle tintinnanti monete, saranno loro a sfidare la morte per sventare il contrabbando dell'oro del re, su cui hanno messo gli occhi potenti e cortigiani che non si fanno scrupolo di macchiarsi di tradimento.