Medellín, 25 agosto 1987: Héctor Abad Gómez - medico, professore dell'Università e presidente del Comitato per i Diritti Umani - viene barbaramente trucidato per strada dagli squadroni della morte colombiani. È la fine annunciata di un uomo che aveva dedicato la propria vita alla difesa dell'uguaglianza sociale, ai diritti, all'istruzione e alla salute degli esclusi in un Paese stretto nella morsa di narcotrafficanti e di politici reazionari. Vent'anni dopo Héctor Abad, suo figlio - ormai affermato scrittore e giornalista -, decide di provare a raccontarne la vita, e contemporaneamente la propria infanzia e formazione, fino a quel terribile epilogo. Il risultato è un romanzo «bellissimo e commovente, e al tempo stesso la testimonianza di un reale impegno civile per la democrazia e la tolleranza», come ha scritto sulle pagine del «País» il filosofo Fernando Savater. Scrivere sul proprio padre non è cosa facile. Ancor meno su un padre che non c'è più. E meno che mai su un padre famoso che è stato trucidato da uno squadrone della morte in una strada di Medellín a pochi giorni dalle elezioni locali in cui avrebbe dovuto correre per la carica di sindaco. Educazione sentimentale, romanzo di formazione intellettuale e non solo, fotografia amara della società colombiana degli anni Settanta e Ottanta, dilaniata dall'irriducibile conflitto fra un'anima minoritaria di matrice liberal-democratica e il legnoso nucleo della più reazionaria conservazione, El olvido que seremos (titolo tratto da un verso di Borges) è un romanzo colmo di passione e di affetto, scritto con la testa e con il sangue, che commuove senza retorica, che fa indignare senza invocare vendetta.
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