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Lo spazio dell’anima. Vita di una chiesa medievale PDF

305 Pages·2005·1.532 MB·Italian
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Bacci.QXD 18-07-2005 18:26 Pagina I Storia e Società Bacci.QXD 18-07-2005 18:26 Pagina II © 2005, Gius.Laterza & Figli Prima edizione 2005 L’editore è a disposizione di tutti gli eventuali proprietari di diritti sulle immagini riprodotte, là dove non è stato possibile rintracciarli per chiedere la debita autorizzazione Bacci.QXD 18-07-2005 18:26 Pagina III Michele Bacci Lo spazio dell’anima Vita di una chiesa medievale Editori Laterza Bacci.QXD 18-07-2005 18:26 Pagina IV Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel luglio 2005 Poligrafico Dehoniano - Stabilimento di Bari per conto della Gius. Laterza & Figli Spa CL 20-7714-0 ISBN 88-420-7714-3 È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Bacci.QXD 18-07-2005 18:26 Pagina V a Barbara e Flavio Valerio Bacci.QXD 18-07-2005 18:26 Pagina VI Bacci.QXD 18-07-2005 18:26 Pagina VII PREMESSA Negli ultimi tempi mi è capitato spesso di dedicare una parte dei miei corsi all’Università di Siena ad illustrare in che misura, e per quali aspetti, la concezione medievale dello spa- zio sacro differisse da quella in uso nelle epoche successive. L’argomento, come ho avuto subito modo di rendermi con- to, è tutt’altro che semplice se lo si vuole affrontare da un punto di vista unitario, senza concentrarsi alternativamente sull’aspetto formale o su quello strutturale o ancora su quel- lo iconografico, liturgico, musicale, storico-religioso, bensì cercando di elaborare una sintesi in cui ciascuno di tali ele- menti venga valutato per il ruolo svolto nell’elaborazione di un ambiente efficace e funzionale al culto e al rito divino. Poi- ché mi è stato presto evidente che, a dispetto delle tradizio- nali barriere fra le discipline, era proprio questo punto che maggiormente suscitava l’interesse e le domande incuriosite dei miei studenti, mi sono risolto ad accogliere l’invito del- l’Editore Laterza a scrivere questo libro, pur consapevole dei limiti e delle difficoltà a cui sarei andato incontro. A conti fatti, credo che questa piccola impresa non sia sta- ta inutile, almeno nella misura in cui può offrire a chi fa i suoi primi passi nello studio della storia dell’arte e, più in genera- le, a chiunque sia affascinato dalla cultura dell’Occidente me- dievale, una «guida» e assieme un «galateo» da utilizzare in un’immaginaria visita a un edificio sacro del XIII o del XIV secolo. Quella che propongo non è tanto una disquisizione storica o un’analisi delle forme d’arte che si sono sviluppate all’interno delle chiese – per questo esiste una sterminata bi- Bacci.QXD 18-07-2005 18:26 Pagina VIII VIII Premessa bliografia specifica, che in parte sarà richiamata nelle note e che comprende anche opere divulgative di buon livello, co- me ad esempio la Cattedrale di Anne Prache1– bensì un per- corso all’interno dello spazio sacro medievale che ci aiuti a mettere a fuoco le sue modalità di funzionamento, la sua ar- ticolazione interna e le diverse categorie di pubblici a cui era destinato. Quando facciamo ingresso in una chiesa romanica o goti- ca che è giunta fino ai nostri giorni spesso fatichiamo a com- prendere, in molti suoi aspetti, quanto rimane dell’assetto originario e della sua decorazione. Come non chiedersi, ad esempio, per quale motivo spesso e volentieri le pareti della navata siano ricoperte da una sequenza irregolare e disordi- natissima di pitture murali a soggetto religioso? E quale cri- terio sta alla base della disposizione di altari secondari, nic- chie ricavate nello spessore delle pareti, piccoli armadi a mu- ro, sostegni e mensole, transenne, barriere divisorie, tombe, sarcofagi, rialzi, pedane, volte e cappelle? Quello che vedia- mo è, inesorabilmente, il frutto di vicende secolari che han- no stravolto l’arredo originario degli edifici, com’è naturale che accada a qualsiasi organismo architettonico, che vive di un’esistenza propria e si adatta alle contingenze, ai gusti e al- le mode dei diversi periodi storici. Nello specifico, anche pre- scindendo dai bombardamenti, dai saccheggi e dai terremo- ti, le chiese medievali ne hanno passate davvero tante: hanno dovuto conformarsi ai rinnovati criteri estetici del Rinasci- mento, recepire le direttive in materia di decoro ecclesiastico stabilite nel Concilio di Trento, rifarsi il trucco secondo i det- tami barocchi e rococò, subire le ingiurie degli iconoclasti lu- terani, calvinisti e ugonotti e dei rivoluzionari francesi, pie- garsi a destinazioni improprie (come a funzionar da caserme o da mercati del pesce) in occasione delle soppressioni napo- leoniche e sabaude, per poi terminare con un attacco finale: quello di tutta una scuola di pensiero nel campo del restauro e della conservazione che, cancellando d’un colpo le stratifi- cazioni accumulatesi lungo i secoli, mirava a ripristinare quel- Bacci.QXD 18-07-2005 18:26 Pagina IX Premessa IX l’«originario splendore» che non di rado finiva per rivelarsi altrettanto fittizio e storicamente inverosimile2. È evidente che, a causa di tutte queste vicende e di così tan- ti stravolgimenti, quello che è giunto sino a noi è quasi sempre il risultato di una ricostruzione a posteriori. Tuttavia, anche quando ci imbattiamo in quei rari edifici che hanno subìto so- lo piccole trasformazioni nel corso della loro storia, fatichia- mo molto a comprendere numerosi loro aspetti perché si è profondamente modificato, nel frattempo, il nostro modo d’intendere le modalità d’uso dello spazio sacro e le forme di coinvolgimento individuale negli eventi che vi vengono alle- stiti. In primo luogo occorre tenere in conto lo spartiacque che, nella percezione del rito, è costituito dalla riforma litur- gica messa in moto dalle risoluzioni del Concilio di Trento, quando si è proceduto all’omogeneizzazione dei culti sul mo- dello della tradizione romana e si è registrata la tendenza a di- sciplinare la partecipazione dei laici allo svolgimento degli of- fici. Dal punto di vista «performativo», l’elemento più evi- dente è stato l’accresciuta enfasi posta sulla visibilità del rito, che è divenuto sempre più esibito ed ostentato, talora attra- verso il ricorso a grandi artifici scenografici e retorici. Da allora (ossia dalla seconda metà del Cinquecento) fino ai giorni nostri (sia pure nella forma sempre più stilizzata ed essenziale elaborata dopo il Vaticano II), i fedeli cattolici so- no stati abituati ad avere un’esperienza diretta dei gesti e del- l’azione della messa, nonché ad interagire in prima persona, e ripetutamente, col celebrante, rispondendo in coro alle for- mule e assumendo singole pose del corpo in momenti esatta- mente determinati. Tutto questo fa sì che la nostra idea del- l’officio liturgico si associ inevitabilmente con una sensazio- ne di ordine e di disciplina ben ponderata che non ci è utile per comprendere l’atteggiamento dei laici nei confronti del- lo spazio sacro medievale. Più utile è semmai varcare la soglia di una chiesa di rito ortodosso: chiunque visiti la Grecia e nu- tra qualche curiosità diversa dal mero godimento delle spiag- ge e del mare, sa per esperienza quanto sia spiazzante, a pri-

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