“Si costruirono cattedrali ancora più belle. Esse ebbero molte cose di più: più marmi, più affreschi, più statue. Ma una cosa in meno: la sete di Dio, lo slancio verso il cielo; insomma, l’anima.” Dalla morte di Federico II (1250) alla scoperta dell’America (1492), si apre l’epoca probabilmente più splendida del nostro passato: il Rinascimento. Personaggi straordinari si affacciano sul palcoscenico della storia: Lorenzo il Magnifico, Bonifacio VIII, Cristoforo Colombo e Gian Galeazzo Visconti. E ancora Dante, Petrarca, Boccaccio, Botticelli… Intanto l’ascesa dei grandi casati – i Medici, i Visconti, gli Este – trasforma i Comuni in Signorie, accentuando le divisioni territoriali che, già in questi secoli d’oro, preparano la miseria delle epoche successive. Per dirla con le parole di Montanelli, “ciò che fece lì per lì la grandezza dell’Italia ne propiziò anche la decadenza”. Finché la conquista di Costantinopoli del 1453 e le scoperte geografiche di fine secolo non hanno mutato gli equilibri europei, cambiando definitivamente il destino del mondo e in certa misura condannando l’Italia a subirne le conseguenze. Di questa storia, fatta da piccoli Stati in costante conflitto, gli autori seguono magistralmente le grandi linee dello sviluppo civile del nostro popolo, l’evoluzione del suo costume, del suo pensiero, della sua arte: le palestre in cui gli italiani sfogarono le loro energie, “dispensate dall’impegno di costruire una Nazione e uno Stato”. Ne nasce così un racconto scorrevole e vigoroso, volutamente distante dai canoni di quella storiografia ufficiale e accademica da sempre lontana dal grande pubblico. Indro Montanelli, è stato il più grande giornalista italiano del Novecento: inviato speciale del “Corriere della Sera”, fondatore del “Giornale nuovo” nel 1974 e della “Voce” nel 1994, è tornato nel 1995 al “Corriere” come editorialista. Ha scritto migliaia di articoli e una cinquantina di libri. Tra gli ultimi volumi pubblicati da Rizzoli ricordiamo Morire in piedi e La sublime pazzia della rivolta nel 2006, L’impero bonsai nel 2007, I conti con me stesso nel 2009 e Ve lo avevo detto nel 2011. Roberto Gervaso (Roma 1937), giornalista, collabora a quotidiani e periodici, alla radio e alla televisione e da tempo si occupa di divulgazione storica. Tra le sue opere più recenti ricordiamo: Qualcosa non va (2005), La regina, l’alchimista e il cardinale (2008), Io la penso così (2009). Storia d’Italia 1. L’Italia dei secoli bui 2. L’Italia dei Comuni 3. L’Italia dei secoli d’oro 4. L’Italia della Controriforma 5. L’Italia del Seicento 6. L’Italia del Settecento 7. L’Italia giacobina e carbonara 8. L’Italia del Risorgimento 9. L’Italia dei notabili 10. L’Italia di Giolitti 11. L’Italia in camicia nera 12. L’Italia littoria 13. L’Italia dell’Asse 14. L’Italia della disfatta 15. L’Italia della guerra civile 16. L’Italia della Repubblica 17. L’Italia del miracolo 18. L’Italia dei due Giovanni 19. L’Italia degli anni di piombo 20. L’Italia degli anni di fango 21. L’Italia di Berlusconi 22. L’Italia dell’Ulivo STORIA D’ITALIA INDRO MONTANELLI ROBERTO GERVASO L’Italia dei secoli d’oro Il Medio Evo dal 1250 al 1492 Premessa di Sergio Romano Proprietà letteraria riservata © 1967 Rizzoli Editore, Milano © 1997, 2010 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-5864289-4 Per la parte aggiornata: Testi appendice e inserto a colori – Massimiliano Ferri Ricerca iconografica – Silvia Borghesi Mappe – Angelo Valenti Prima edizione digitale 2013 da edizione aggiornata BUR Storia d’Italia gennaio 2011 In copertina: Sebastiano Serlio, veduta di città, 1520 Pinacoteca Nazionale, Ferrara © PhotoserviceElecta/Anelli su concessione del Ministero per i Beni e le Attività culturali. Progetto grafico di: Giona Lodigiani per Mucca Design Per conoscere il mondo BUR visita il sito www.bur.eu Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. Premessa Nel Duecento la Francia fu più intraprendente, ricca e colta dell’Italia. Ma nei due secoli seguenti – quelli che formano la materia di questo volume – perdette il suo primato a favore della Penisola. Montanelli è convinto che in questo straordinario «sorpasso» si nasconda la ragione per cui l’Italia, a differenza della Francia, non seppe costruire uno Stato esteso a una buona parte della Penisola. La Francia si lasciò superare dalla «cugina latina», come la sua vicina meridionale sarà chiamata più tardi, perché s’impegnò nella costruzione delle proprie istituzioni statali e divenne così una delle maggiori potenze del continente, capace di tenere testa, se necessario, alla Spagna, all’Inghilterra e al Sacro Romano Impero. L’Italia, invece, disperse le sue energie in guerre e battaglie che ebbero per effetto il fallimento di qualsiasi disegno unitario, e s’impegnò nella costruzione del maggiore laboratorio artistico europeo. Vera o brillantemente forzata, questa tesi permette agli autori di dare spazio soprattutto ai protagonisti e alle civiltà cittadine che dominarono i secoli d’oro. Ancora più dei volumi precedenti e di quelli successivi, questo è una galleria di eminenti personalità e di gruppi di famiglia. Vi sono i grandi scrittori del Medio Evo e dell’Umanesimo: Dante, Petrarca, Boccaccio. Vi sono i grandi artisti, da Giotto a Donatello. Vi sono i Visconti, gli Sforza, i Medici, gli Este. Vi è un grande mercante, Francesco Datini. Ma vi è anche il melanconico sentimento che l’Italia, dopo il fallimento del grande progetto di Federico II, è ormai la terra dove gli Angioini, gli Aragonesi e i Valois vengono a soddisfare le loro ambizioni. I Papi, dal canto loro, partecipano alle guerre d’Italia soprattutto per evitare che un grande Stato italiano intacchi il loro potere e la loro autorità. Sullo sfondo della scena altri eventi, nel frattempo, stanno cambiando l’Europa e il mondo: la caduta di Costantinopoli nel 1453, la scoperta dell’America del 1492. E l’Italia, priva di uno Stato, diverrà necessariamente, nei suoi rapporti con il mondo che la circonda, più piccola. Sergio Romano L’ITALIA DEI SECOLI D’ORO AVVERTENZA Questa Italia dei secoli d’oro segue a L’Italia dei Comuni, che a sua volta seguiva L’Italia dei secoli bui. Si tratta cioè della terza puntata di una ricostruzione della nostra civiltà che, almeno nell’intenzione degli autori, dovrebbe arrivare sino ai giorni nostri. Il periodo che questo volume abbraccia è quello compreso fra la morte di Federico II (1250) e la scoperta dell’America (1492). È un periodo splendido, forse il più splendido del nostro passato, ma che tuttavia prepara la miseria di quelli successivi. Noi abbiamo appunto cercato di chiarire per quali motivi ciò che fece lì per lì la grandezza dell’Italia ne propiziò anche la decadenza. E perciò, invece di correre dietro alle vicende dei singoli staterelli italiani, alla loro complicata diplomazia e alle loro guerricciòle, che mai o quasi mai superarono i limiti della piccola cronaca, e spesso del pettegolezzo, abbiamo preferito seguire le grandi linee dello sviluppo civile del nostro popolo, l’evoluzione del suo costume, del suo pensiero, della sua arte: che furono le grandi palestre in cui gl’italiani sfogarono le loro energie, purtroppo dispensate dall’impegno di costruire una Nazione e uno Stato. Non abbiamo avuto di mira nessuna tesi preconcetta. Abbiamo solo accettato e registrato le lezioni che i fatti c’impartiscono, cercando di non farci influenzare dai soliti miti e luoghi comuni. Come al solito ci diranno che abbiamo esagerato l’importanza di certi avvenimenti e personaggi a scapito di altri. E come al solito noi rispondiamo che non c’è libro di storia che non si presti a queste critiche. Ci diranno anche che il nostro modo di raccontare non rispetta abbastanza i canoni della storiografia ufficiale e accademica. E noi rispondiamo che non li rispetta affatto perché di proposito non intendiamo rispettarli. Noi ci rivolgiamo a quella grande massa di lettori che solo ora si svegliano alla coscienza della propria storia appunto perché la storiografia ufficiale e accademica li ha sempre da essa esclusi. E in che misura siamo riusciti a raggiungerli lo dimostrano le tirature di questi libri, tutti al di là delle centomila copie e qualcuno (la Storia di Roma, per esempio) delle duecentomila. Il successo, siamo d’accordo, non è l’unico metro su cui si debba misurare il valore di un’opera; ma la sua efficacia, sì.
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