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L'invenzione del nemico PDF

241 Pages·2006·4.525 MB·Italian
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La preoccupazione è che tutta questa ricca eredità venga spazzata via, con la potenza di cui la superficialità e l’ignoranza possono essere dotate dalla tecnica di oggi, dall’idea dell’Islam come il «nemico metafisi­ co», dall’idea di un «nuovo scontro di civiltà» dal quale non potrebbe emergere per noi che un totalitarismo dai tratti sconosciuti. Ebbene questo libro intende dimostrare che uno scontro di civiltà tra Oriente e Occidente, tra civiltà cristiana e islamica, non solo non c’è mai stato, ma al contrario è esistito sempre uno scambio fecondo, una sostanziale parente­ la, di cui lo scontro armato, la cosiddetta crociata, non è stato che un risultato di superficie (un «epifenomeno» dice l’autore), o addirittura non è stato che il pretesto che ha facilitato e moltiplicato le occasioni di incontro. Questo fine dimostrativo (che per Cardini ha un valore «civico») è condotto con l’acume della scienza storica più sottile, più documentata, più circostanziata. Ma ad essa la passione dona per così dire le ali. Per cui il lettore è preso in un volo entusiasmante attraverso un favoloso e fastoso medioevo orientale occidentale. Che scopre lentamente e leggendariamente, il vicino Islam. Che passa dalla leggenda all’at­ tenzione e dall’attenzione alla scoperta di un tesoro di cultura (la filosofia, la scienza, la medicina, la magia, la matematica, la letteratura perfino), che dirozza un Occidente fino a quel momento dimentico e dimenticato, e dà vita, col Duecento, a uno dei secoli più lumi­ nosi della storia europea. Che conosce l’avventura del pensiero di alcuni studiosi che favo­ riscono le traduzioni in una Spagna nodale di contatti tra latini e arabi, e quella di alcuni saggi regnanti (Federico I, o Alfonso n Sapiente di Castiglia) che, pur nelle guerre e negli scontri, promuovono i legami. Che conosce l’avventura di alcuni grandi mediatori, quali San Francesco d’Assisi o Raimondo Lullo che ne coltivano il clima adatto. Che impara a copiare dall’Oriente il gusto per la moda, per gli ornamenti. E che infine dall’Oriente comincia a separarsi, fino a odiarlo (col culmine nello spirito di Lepanto); per poi obliarlo e riavvolgerlo nell’invenzione della leggenda. E, alla fine di questo volo, davvero è difficile che il lettore possa sottrarsi alla conclusione che Cardini proclama: «mi rendo conto che senza Oriente noialtri “occidentali” non possiamo né vivere né definir noi stessi». Franco Cardini è nato a Firenze nel 1940. Insegna Storia medievale all’Università di Firenze. Da oltre un trentennio si occupa di rapporti tra Cristianità e Islam. Ha scritto Alle radici della cavalle - ria medievale (1981), QueWantica festa crudele (1982), Il Barbarossa (1985), Francesco d’Assisi (1989), Giovanna D'Arco (1990), Im vera storia della Lega lombarda (1991), Alla corte dei papi (1995), Il guardiano del Santo Sepolcro (2000), Europa e Islam. Storia di un malinteso (2000) e, con Sergio Valzania, Le radici perdute dell'Europa (2000). Con questa casa editrice, Le mure di Firenze inargentate. Letture fiorentine (1993). In copertina: Miniatura da un testo arabo del l229. Biblioteca |$bn del Museo Topkapi, Istanbul. Prezzo Euro 15,00 [9 Franco Cardini L’invenzione del Nemico Introduzione di Sergio Valzania Sellerio editore Palermo 2006 © Sellerio editore via Siracusa 50 Palermo e-mail: [email protected] Cardini, Franco L’invenzione del Nemico / Franco Cardini ; introduzione di Sergio Valzania. - Palermo : Sellerio, 2006. (Nuovo Prisma / collana diretta da Antonino Buttitta ; 67) ISBN 88-389-2101-6. 1. Islamismo-Diffusione-Paesi Mediterranei-Sec. 11.-15 I. Valzania, Sergio. 909.097671 CDD-21 CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana «Alberto Bombace» Indice La stoffa della storia di Sergio Valzania 9 L’invenzione del Nemico Prefazione 17 I La crociata, l’Islam e l’invenzione del Nemico 23 II Cristiani e musulmani 38 III L’Islam nello Pseudoturpino 75 IV Lingue, libri e traduzioni 84 V Mediazioni culturali e scambi di conoscenze 100 VI I custodi del Tempio 112 VII Il Giubileo e la crociata 122 VIII Scienza, magia, crisi del Trecento e ascesa dei Turchi Ottomani 132 IX La Cipro dei Lusignano e il Mediterraneo orientale 159 X Il pellegrino come antropologo. Lionardo di Niccolò Frescobaldi, fiorentino 169 XI Alessandro VI e la crociata 179 XII Tra Gerusalemme e Lepanto. Torquato Tasso 186 XIII Il fedelmaresciallo Montecuccoli dinanzi al Turco 195 XIV La nascita della leggenda dei Templari 200 XV La seconda vita dei Templari: dal Settecento ad oggi 217 XVI Dai «Lombardi» al «Jérusalem». Fra mito romantico e realtà storica 232 La stoffa della storia di Sergio Valzania Storia e mitologia sono tagliate nella stessa pezza di stoffa. Si tratta di attività creative, alla cui base sta il raccontare, l'evento che rende l'uomo diverso dall’animale e simile a Dio: capace di trarre qualcosa dal nulla, di far esistere ciò che prima non c’era. Quando nacque, ad Atene, ad ope­ ra di Epimenide cretese e ancora non aveva il nome di storia, 1 attività di raccontare gli eventi trascorsi fu chiamata «profezia sul passato», rico­ noscendo che il talento necessario per il suo esercìzio era per lo meno pa­ ri, ma probabilmente superiore, alla profezia tradizionale, rivolta al fu­ turo. Già di Calcante, presentato nell'\liade come il migliore dei vati, si esalta la conoscenza dì passato, presente e futuro, senza una esplicita ge­ rarchia di difficoltà, ma con la presunzione che il primo fosse il più na­ scosto e il più difficile da riportare alla luce, mentre per l'ultimo rimaneva sempre viva la speranza, tenue, di incontrare un fatto che rendesse veri­ dico il vaticinio. La narrazione dei modi nei quali le profezie si avvera­ vano sempre, spesso contro le aspettative in apparenza legittime di chi le aveva chieste, costituiva per i greci antichi un genere letterario. La storia, come la mitologia, non va in cerca dell'oggetto del proprio studio. Piuttosto lo crea da una materia solida, ma priva di organizzazione; lo storico agisce come lo scultore che trae dal blocco di marmo la figura che ha immaginato. Il passato, storico o mitologico che sia, prende forma e la mantiene solo se lo si racconta e poi si perpetua la narrazione, e in questo modo che le gesta degli avi conservano la loro funzione identitaria rispetto alla comunità che le ricorda e di questo ricordo assicura la permanenza. Così facendo la comunità si rinnova e rimane se stessa, vive. A quella che per i greci antichi era la mitologia, la Grecia classica so­ stituì la storia, pretendendo di spiegare che si tratta di due fatti intellet­ tuali diversi, anche se i fili dell’una e dell'altra si intrecciano strettamente, fino a confondersi, nell'ordito e nella trama del racconto dì Erodoto e Tu­ cidide, dove il passato lontano si affaccia nella forma che indossava d'abitudine: il mito. Neppure oggi, con tutto il nostro sapere a volte pre­ suntuoso, riusciamo a distinguere con esattezza l'appartenenza di questo o dì quel passaggio narrativo ad un territorio o all'altro. Il ritorno degli eraclidi si confonde con la calata dei dori. Come gli elettroni di Hei­ senberg, gli elementi primi del racconto del passato non accettano di di­ chiarare per intero la propria identità. 11 La pretesa di una storia documentale nella quale il racconto segue lo studio del documento e stata falsificata. A monte di ogni ricerca esiste un progetto e nessuna fonte parla senza venire interrogata e risponde solo al­ la domanda che le viene fatta. Ogni oracolo si affida all'interpretazione di chi lo ha richiesto. In Storia e memoria Jacques Le Goff nega che esista un «docu­ mento-verità» e arriva a sostenere che «ogni documento e menzogna», do­ ve per menzogna dobbiamo intendere creazione fantastica o forse meglio strumento capace, e necessario, di tale evocazione. Lo storico esibisce il documento a sostegno di una teoria per difendere la quale il documento stesso è stato cercato, e in ogni caso la scelta di un documento rispetto a tutti gli altri appartiene allo storico e non alla storia. Nel Pensiero selvaggio Claude Lévi-Strauss si spinge ancora oltre e nega che i fatti storici siano esistiti nella forma nella quale vengono og­ gi raccontati. Porta l’esempio della rivoluzione francese per sostenere che «così come se ne parla, non e mai esistita». Il perché di questa afferma­ zione è di una chiarezza abbagliante: la rivoluzione francese, allo stesso modo di ogni altro evento storico, è riconoscibile nelle forme nelle quali viene ricostruito e tramandato, narrato, solo ex-post. Per i suoi pro­ tagonisti, per chi l'ha vissuta, fu altro che per chi l'ha raccontata e ne ha tramandato la narrazione. Anche quando attore sociale e narratore sono la stessa persona le due funzioni la collocano in momenti e ruoli diver­ si. Si dà testimonianza solo dopo che i fatti sono avvenuti e per raccon­ tarli occorre dare forma alla narrazione, creare un senso, imporre un per­ corso, individuare una catena consequenziale per quanto si vuole o si de­ ve riferire, produrre una maglia di correlazioni causali e temporali che con­ netta un universo di eventi altrimenti privo di ordine. Da questo insieme di particelle che ruotano in maniera confusa traiamo i percorsi del nostro passato e, come fanno i bambini con le nu­ vole, ne battezziamo le forme quando ci pare di riconoscerle. Così fac­ ciamo esistere la rivoluzione francese o l'impero romano, che né Cesare né Ottaviano sapevano di aver fondato. Poco male, dato che i loro successori se ne accorsero presto. Per il medioevo trascorsero mille anni senza che nessuno notasse la sua esistenza, e oggi quasi tutti ne parlano dandola per scontata tanto quanto quella della muraglia cinese, come se le pietre delle cattedrali gotiche fossero i resti del materiale duro che co­ stituì l'età di mezzo. Per inciso, anche delle cattedrali, che fossero goti­ che ci si accorse solo dopo che erano state costruite. Che ci sia stato l'el­ lenismo lo ha scoperto, inventato, Droysen milleottocento anni dopo che era finito. I grandi fatti della storia sembrano visibili solo quando non ci sono più e di solito vederli, riconoscerli é un modo per parlare, anche, d'altro. 12 Per raccontare il presente, oltre che il passato, e per condizionare il futuro, sul quale la profezia ambisce sempre a incidere. La profezia fonda i fat­ ti che avverranno prima ancora di disvelarli. Fin dal titolo, centrato sulla parola invenzione, questo libro di Franco Cardini abbraccia il punto di vista che ho tentato di esplicitare, for­ se più di quanto lui stesso farebbe. Lo sostiene nell'affrontare le questio­ ni storiche riferite a quello che oggi parte dell Occidente giudica il nemi­ co per antonomasia: l'IsIam. Lo storico fiorentino si pone davanti alla nar­ razione storica e ne dichiara le componenti mitologiche, le semplificazioni narrative che col tempo vengono riconosciute come verità, gli accorpamenti di eventi diversi che si trovano costretti insieme per comporre un'epopea che non e mai esistita nella forma nella quale viene letta oggi. Se la rottura del bacino mediterraneo individuata da Pirenne si è realizzata questo non ha significato la continua contrapposizione fra le sue sponde meridionale e set­ tentrionale, né il precipitare di questa contrapposizione nell'evento deci­ sivo delle crociate, che, per riprendere Lévi-Strauss, non sono mai esisti­ te nella forma nella quale se ne parla oggi. I primi secoli del millennio trascorso videro l'allargamento dei regni cristiani nello scacchiere occidentale con la reconquista della penisola ibe­ rica, ma anche delle isole maggiori del Mediterraneo e in particolare del­ la Sicilia, mentre ad oriente, dopo una breve avanzata franca, fu il gio­ vane impero ottomano ad estendersi, fino ad arrivare a minacciare il cuo­ re dell'Europa. All'interno di questa avventura, alla quale neppure la sco­ perta dell'America fu estranea - le caravelle di Colombo avevano la cro­ ce sulle vele - si inseriscono le imprese dei cavalieri franchi in Terra San­ ta, in Morea, alla foce del Nilo, in Anatolia, addirittura a Costantinopoli e il loro confronto con i Saraceni, il più celebre dei quali fu Saladino il Magnifico che nel 1187 riconquistò Gerusalemme all'Islam. Si trattò di fenomeni complessi, che durarono secoli, nel corso dei quali gli attori mu­ tarono mentre cambiavano i loro caratteri. Due secoli sono il tempo che ci separa dalle guerre napoleoniche. Dal disordine degli eventi sono emerse col tempo delle parole. Im­ piegate inizialmente per renderli conoscibili, per spiegarli, hanno finito, come spesso accade, per condizionarne la comprensione e per nasconderli. La reconquista iberica fu lo slogan che definì un fenomeno ben più com­ plesso di una guerra fra due schieramenti: i regni cristiani e i regni dei mo­ ri, nella quale i primi ebbero il sopravvento. Lo stesso Cid, l'eroe della vi­ cenda, il conquistatore di Valencia, combattè nell'uno e nell'altro cam­ po, in una situazione di mobilità delle alleanze tipica di tutta l'Europa del medioevo feudale. Al-Andalus fu una realtà multiforme e articolata, che conobbe molte stagioni: l'Alhambra di Granata fu costruita solo a par­ tire dal XIII secolo. Anche i quasi duecento anni del regno di Gerusa- 13 lemme, con ì novanta di occupazione cristiana della Città Santa, furono un periodo complesso, guerra e pace si alternarono mentre scam­ bi economici e culturali si sviluppavano frenetici. Negli stessi anni tutta l'area bizantina venne investita dal fenomeno con una forza almeno equi­ valente a quella esercitata sulla Palestina. Secoli di eventi e di azioni sono stati riordinati in un passato linea­ re, per raccontarlo, per tramandarlo. Perché non esiste altro modo per or­ ganizzare una narrazione. Nel momento nel quale si compiva la sua rior­ ganizzazione il passato veniva caricato di un senso che non gli era proprio; esso apparteneva piuttosto a chi effettuava la ricostruzione, assumeva il compito di narratore. Per raccontare occorrono modelli, percorsi, bisogna creare paradigmi esplicativi, il cui valore cambia di segno quando la lo­ ro pretesa è di avere una intenzione esaustiva anziché problematica. Che poi è proprio questa l'unica distinzione possibile fra storia e mito. Il secondo è esemplare, certo per definizione. La sua affermazione fonda il mondo sul quale continua ad agire. La storia vive di dubbi, di ap­ profondimenti, di riscritture, di ricerche di nuovi documenti. E revisio­ nista per natura e fin dall inizio, da quando il suo primo cultore rico­ nosciuto, Erodoto, venne criticato per aver raccontato le guerre persiane con eccessiva attenzione alle ragioni degli sconfitti. Analizzato da Cardini il bacino del Mediterraneo e le terre che lo cir­ condano appaiono, nei secoli che vanno dal 1000 al 1400, brulicanti di fermenti, in scambio permanente di merci e di persone, in guerra ma an­ che in pace, mentre il grande pendolo della storia nella sua continua e mi­ steriosa oscillazione si ritrae dal civile Islam per tornare sull allora rozza, povera e incolta Europa occidentale, ma vivificata da uno sviluppo de­ mografico tumultuoso, così violento da renderla capace di superare il di­ sastro della grande peste del 1348-51, e dalla rinascita di industrie e com­ merci. Del fatto che si stessero gettando le basi per una ostilità fra due blocchi contrapposti, destinata a durare secoli e secoli, secondo Cardini non ci sono tracce e i conflitti di allora non sono alla radice di quelli esi­ stenti ai giorni nostri. Sergio Valzania 14

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