Documenti dei successori di Don Alberione Vol. 3/a Don Silvio Sassi Superiore generale della SSP Lettere annuali alla Congregazione Roma, Casa Generalizia 2016 INDICE GENERALE (ordine cronologico) “Progredite sempre più” - Prima Lettera ai Tessalonicesi (24 marzo 2005)...................................3 “Per me il vivere è Cristo” - Lettera ai Filippesi (25 gennaio 2006)..............................................18 “Siate miei imitatori” - Prima Lettera ai Corinzi (25 gennaio 2007)............................................40 “Ti basta la mia grazia” - Seconda Lettera ai Corinzi (25 gennaio 2008)....................................62 “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” - Lettera ai Galati (25 gennaio 2009).............79 “Non mi vergogno del Vangelo” - Lettera ai Romani (25 gennaio 2010)...................................112 ABUNDANTES DIVITIÆ GRATIÆ SUÆ - “Ravviva il dono che hai ricevuto” (20 agosto 2011)......149 UT PERFECTUS SIT HOMO DEI - “Ravviva il dono che hai ricevuto” (20 agosto 2012).................184 IL CARISMA PAOLINO È PASTORALE - “Ravviva il dono che hai ricevuto” (20 agosto 2013)......221 EVANGELIZZARE NELLA COMUNICAZIONE CON LA COMUNICAZIONE- “Ravviva il dono che hai ricevuto” (26 novembre 2014)................................................................256 2 DOCUMENTI DEI SUCCESSORI DI DON ALBERIONE - VOL. 3/A DON SILVIO SASSI “Progredite sempre più” Prima Lettera ai Tessalonicesi Lettera del Superiore generale Roma, 24 marzo 2005 - Giovedì Santo, nell’Anno dell’Eucaristia (San Paolo - Anno 80 – n° 417 – Marzo 2005) Cari fratelli, come vi è noto, la prima linea operativa dell’area “Spiritualità e vita comunitaria”, approvata dall’VIII Capitolo Generale, stabilisce che “il Superiore generale continui a proporre ogni anno a tutta la Congregazione un tema programmatico per la nostra vita spirituale e apostolica, traendolo dalle Lettere di San Paolo e dagli scritti di Don Alberione” (cf Documento finale 1.1.1 in Essere San Paolo oggi vivente. Riflessioni e Documenti dell’VIII Capitolo Generale, p. 220). In adempimento della linea operativa e per dare continuità al tema programmatico del Capitolo: “Essere San Paolo oggi vivente. Una Congregazione che si protende in avanti”, in questo sessennio ritengo importante, oltre che utile, proporre alla vostra riflessione orante le lettere che gli studi attuali attribuiscono con certezza a San Paolo. Le esporrò seguendone l’ordine cronologico di redazione più probabile: la prima lettera ai Tessalonicesi; la prima e seconda lettera ai Corinzi; le lettere ai Romani, ai Galati, ai Filippesi e a Filemone. 1. L’obiettivo per le nostre riflessioni sulle Lettere di San Paolo ci è dato dal nostro stesso Fondatore: “I figli devono rassomigliare al padre. Tutti gli amici di San Paolo devono guardare a lui e conoscere il suo spirito. Quanto più si leggono e si penetrano le epistole di San Paolo e la sua vita, tanto più si ama e si entra nella vera via della santità e del vero spirito dell’apostolato” (Vademe- cum, n. 631). Vale a dire, meritiamoci e siamo degni del nome che portiamo! Dirsi Paolini equivale a dichiararsi discepoli e fedeli imitatori di San Paolo nel vivere la nostra fede in Cristo e nel realizzare la nostra missione apostolica. 2. Da altri testi del beato Giacomo Alberione rileviamo con chiarezza il senso pregnante della presenza dell’apostolo Paolo per la nostra Congregazione e per l’intera Famiglia Paolina. Scrisse nel quarantennio della Congregazione: “La Famiglia Paolina si propone di rappresentare e vivere San Paolo, oggi, pensando, zelando, pregando e santificandosi come farebbe San Paolo, se, oggi, vivesse... Egli si è fatta la Società San Paolo, di cui è il Fondatore. Non la Società San Paolo elesse lui, ma egli scelse noi; anzi ci generò: ‘In Cristo Jesu per Evangelium ego genui vos’. Se San Paolo vivesse, continuerebbe ad ardere di quella duplice fiamma, di un medesimo incendio, lo zelo per Dio ed il suo Cristo, e per gli uomini di ogni paese. E per farsi sentire salirebbe sui pulpiti più elevati e moltiplicherebbe la sua parola con i mezzi del progresso attuale: stampa, cine, radio, televisione... Conoscere e meditare San Paolo nella vita, opere, lettere; onde pensare, ragionare, parlare, operare secondo lui; e invocare la sua paterna assistenza” (San Paolo, ottobre 1954). In altra occasione, spiegò: “Tutta è venuta dall’Eucaristia, la vita della Famiglia Paolina; ma fu trasmessa da San Paolo. Dall’Eucaristia perché Gesù è la vita, ma l’Ostia santa per entrare nei nostri cuori ha bisogno di essere portata. Ed è stato San Paolo che ha compiuto quest’opera di comunicare la vita di Gesù Cristo... Tutto è suo. L’Istituto è stato ispirato da lui. Egli ne è il padre, ne è la luce, ne è il protettore, ne è il maestro, tutto... La Famiglia Paolina, composta di molti membri, deve essere San Paolo oggi vivente, in un corpo sociale” (Vademecum, n. 651). 3. Su espressa indicazione del Fondatore, la meditazione e l’assimilazione vitale delle Lettere di San Paolo, deve ispirare, con la stessa intensità, l’impegno di santificazione personale e la totale dedizione all’apostolato. San Paolo quale “più completo interprete del Maestro divino, che applicò il Vangelo alle nazioni e chiamò le nazioni a Cristo; lui, la cui presenza nella teologia, nella morale, nell’organizzazione della Chiesa, nella adattabilità dell’apostolato e dei suoi mezzi ai tempi è vivissima e sostanziale” (San Paolo, luglio-agosto 1954) costituisce per noi Paolini il modello dell’equilibrio necessario tra contemplazione e azione. 3 DOCUMENTI DEI SUCCESSORI DI DON ALBERIONE - VOL. 3/A DON SILVIO SASSI 4. Come sappiamo, le Lettere di San Paolo non sono sempre di facile comprensione. Pertanto, per farne una lettura proficua, è necessario avvalersi degli strumenti a nostra disposizione, quali l’esegesi e l’ermeneutica, e tenendo conto dell’interpretazione operata da Don Alberione per il carisma paolino. Lo scopo dell’esegesi è quello di aiutare la comprensione del testo biblico per stabilirne il significato nel proprio contesto culturale storico. Dopo il Concilio Vaticano II gli studi esegetici, grazie anche all’apporto di numerose scienze e discipline umane, hanno conseguito uno sviluppo a livello mondiale. Una sintesi qualificata sullo stato della ricerca esegetica è contenuta nel testo L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, pubblicato dalla Pontificia Commissione Biblica (1993); un aggiornamento successivo si trova negli Atti della giornata celebrativa per il 100° anniversario di Fondazione della Pontificia Commissione Biblica (2003). L’interpretazione data da Don Alberione alla persona e alle Lettere di San Paolo costituisce, per noi Paolini, la prima mediazione di riferimento per comprendere l’applicazione che egli ne ha fatto al carisma paolino; il carisma paolino, infatti, senza il riferimento a San Paolo sarebbe impensabile. Ne è prova, all’inizio della Società San Paolo, il continuo collegamento tra San Paolo e l’Apostolato-Stampa, realizzato sovente con la citazione della frase attribuita all’arcivescovo di Magonza, Mons. Wilhelm Ketteler: “Se San Paolo vivesse oggi, si farebbe giornalista”. I risultati dell’esegesi e la mediazione interpretativa per il carisma paolino devono essere sottoposti ad una lettura ermeneutica. A scopo di chiarezza, possiamo dire così: mentre gli studi esegetici ci aiutano a capire il senso di un brano di San Paolo nel suo contesto storico, la lettura ermeneutica interroga il significato originario di quel brano partendo dai problemi di oggi della società, della cultura, della comunità ecclesiale, della comunicazione e della Congregazione al fine di assicurare al carisma paolino, da una parte, di fondarsi in San Paolo; dall’altra, di compiere oggi, in fedeltà dinamica alla volontà del Fondatore, ispirato da Dio e approvato dalla Chiesa, l’aposto- lato della comunicazione. 5. Il testo che sottopongo ora alla vostra meditazione la prima lettera ai Tessalonicesi si attiene ai criteri suesposti. Vi troverete la spiegazione esegetica, l’interpretazione di Don Alberione, l’applicazione alla complessa realtà di oggi nella quale siamo chiamati ad agire da Paolini. L’impostazione e l’esposizione degli argomenti vogliono essere di facile lettura e comprensione per tutti. Naturalmente coloro che dispongono di conoscenze più solide in campo esegetico, ermeneutico e carismatico-paolino sono invitati a mettere i loro talenti a servizio degli altri Paolini per approfondimenti ulteriori. Aggiungo che il presente studio non pretende di essere esaustivo; è piuttosto da considerare come una testimonianza che intende attivare un processo di approfondimento e di arricchimento con l’apporto di contributi diversi, dopo che il testo è stato meditato e assimilato da ogni Paolino. Questo farà sì che la riflessione orante personale sul testo base, mobilitando la fede e l’intelligenza di quanti amano il nostro meraviglioso carisma che non può essere vissuto in pieno senza la centralità di San Paolo, si allarghi alla condivisione comunitaria, “ri-scrittura” partecipata delle scoperte di ciascuno. Questo faticare insieme e condividere, tendente a far crescere i singoli e le comunità, mi ha ispirato anche il titolo “Progredite sempre più” mutuato da un versetto della stessa lettera (4,1). PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI I. INTRODUZIONE Per ogni testo biblico esiste un contesto storico, culturale, religioso e sociale che lo ha provocato. Conoscere questo contesto è di grande importanza per la comprensione stessa del testo, perché permette di evitare letture non contestualizzate, pietistiche o fondamentaliste. Prima perciò di inoltrarci nel testo di 1Ts prendiamo conoscenza della città di Tessalonica, della fondazione della 4 DOCUMENTI DEI SUCCESSORI DI DON ALBERIONE - VOL. 3/A DON SILVIO SASSI comunità cristiana, del profilo dei suoi cristiani e della lettera che hanno ricevuto da Paolo, Sila e Timoteo. 1. La città di Tessalonica La fondazione di Tessalonica avvenne nel 315 a. C. ad opera di Cassandro, uno dei generali di Alessandro Magno. Principale città della Macedonia, disponeva di un porto militare e commerciale per l’esportazione dei prodotti agricoli e dei minerali che erano due delle grandi ricchezze macedoni. Divenne la capitale della Macedonia nel 146 a. C., anno dell’inaugurazione della via Egnatia, strada romana che, passando da Tessalonica, congiungeva Roma all’Asia Minore. Possiamo immaginare il commercio interno ed esterno della città. Le strade e il porto permettono di esportare ed importare mercanzie di tutto il mondo. Per alloggiare le persone provenienti da tutte le parti del mondo con la propria cultura, tradizioni e religione, la città può contare su una infrastruttura di base (pensioni, locande, saune, teatri, piazze pubbliche, santuari, prostituzione...). Nei campi vengono coltivate l’uva, le olive e frutta in genere; sono allevate le pecore, ma le terre sono in mano a pochi proprietari (latifondisti). Dal mare molti pescatori estraggono l’alimentazione per gli armatori, commercianti, marinai, soldati, funzionari pubblici, ispettori, muratori, capomastri, artigiani, fabbri ferrai, una infinità di persone, senza lavoro e vagabondi (At 17,5), che si arrangiano provocando tumulti. Tessalonica è una città dalla popolazione ibrida. I motivi di questo meticciato sono molti, tra i quali, lo spostamento costante delle truppe militari, dei commercianti e dei predicatori di ricette di felicità. La città conta gruppi di italici e orientali siriani, egiziani e giudei (che vi posseggono una sinagoga, cf At 17,1). Le nostre grandi metropoli, divenute città cosmopolite, ci aiutano a meglio comprendere com’era Tessalonica. Brevemente: persone di tutto il mondo si trovavano in questa città alla ricerca di sopravvivenza. Ogni gruppo etnico portava la propria cultura, lingua e credenze. Tutto questo deve aver reso non facile l’accettazione di Paolo e Sila come annunciatori di Gesù Cristo e, ancor peggio, predicatori feriti nel corpo, il cui annuncio subisce forte opposizione (cf 1Ts 2,1-2) da parte dei giudei (2,15-16; At 17,5ss). Si aggiunga poi l’esistenza di scuole filosofiche (stoici, cinici) non sempre ben intenzionate o trasparenti nei loro obiettivi (sofisti e altri; cf il comportamento trasparente di Paolo e dei suoi compagni in 1Ts 2,2-6). Questa realtà suscita interesse per quanto riguarda il fenomeno religioso, compiendo una fusione (e confusione) di divinità. In primo luogo, il culto all’imperatore romano (cf At 17,7), vigoroso nella città. La tendenza orientale a divinizzare i re (e imperatori) ha messo radici anche nell’impero romano. A Tessalonica ci sono le vestigia di un tempio dedicato a Giulio Cesare e di un sacerdote di Augusto, il “figlio di Dio”. Le città, come Tessalonica, che aderivano al culto imperiale ricevevano dal senato romano grandi benefici materiali (denaro), facendo sì che opporsi alla divinizzazione dell’imperatore comportasse gravi conseguenze. Significava mettersi contro il progresso e il benessere della città, cozzando contro l’ideologia della “pax romana”, che garantiva a tutto l’impero “pace e sicurezza” (cf 1Ts 5,3). In secondo luogo, a Tessalonica è diffuso il culto a Dioniso, in origine dio della vegetazione, divenuto il dio del vino e dell’ebbrezza. Sembra che alcune delle raccomandazioni di 1Ts 4-5 (4,3- 8; 5,7-8) riguardino questo culto, oltre che il tema dell’attesa della vita futura (cf 1Ts 5,1-11). Al di là della potente presenza del giudaismo a Tessalonica, bisogna fare un cenno all’importan- za del culto al dio egizio Serapide (Osiride). Tra le sue diverse funzioni, c’era quella di guardiano del mondo inferiore e di sorgente di ogni vita e di ogni guarigione. Questo, oltre che indirizzarci verso ciò che oggi chiamiamo inculturazione, denota come i culti egizi fossero forti in questa città. Altre divinità erano presenti e ricevevano culto a Tessalonica come, ad esempio, Afrodite, la dea greca dell’amore e della bellezza. Possiamo, fin d’ora, immaginarci le difficoltà di Paolo e dei suoi compagni nella comunicazione e trasmissione dei messaggi nell’ambiente pluralista e sincretista di questa città. La lettera mostra che lo sforzo di Paolo e dei suoi compagni ebbe esito positivo: i cristiani tessalonicesi lasciarono gli idoli e si misero al servizio del Dio vivo e vero (1Ts 1,9). 5 DOCUMENTI DEI SUCCESSORI DI DON ALBERIONE - VOL. 3/A DON SILVIO SASSI Dal punto di vista politico, Tessalonica si trova sotto la giurisdizione dell’impero romano ed è governata da una élite (politarchi, magistrati e militari), coadiuvati da un consiglio (chiamato demos), che prepara le leggi e i decreti (1Ts 5,12-13 parla dei dirigenti che si affannano per la comunità, dimostrando che Paolo ha una visione totalmente diversa circa il potere). È molto probabile che nessuno dei cristiani della città partecipasse a queste istanze superiori, anche se Luca fa menzione delle donne dell’alta società tra i membri della comunità (At 17,4; vedi sotto, n. 3). Possiamo comunque immaginare l’impatto di alcune raccomandazioni di Paolo a persone che mai erano state ascoltate o mai avevano avuto potere di decisione; raccomandazioni come quella di 1Ts 5,21: “Discernete ogni cosa e tenete ciò che è buono”. Oltre all’élite dominante, in città esiste una specie di classe media, costituita fondamentalmente da funzionari pubblici (ispettori ed esattori; non si può dimenticare che Roma riscuoteva pesanti tributi), militari in pensione, architetti e altri. Ma la maggioranza del popolo è povera. A Tessalonica troviamo molti schiavi e scaricatori del porto, che non partecipano alle decisioni, quindi non sono popolo. Nella mentalità dell’epoca, era impossibile avanzare di classe sociale, poiché il sistema privilegiava il grande potente, e questo, come sempre, non ammette discese nella scala sociale. Oltre a questo, bisogna ricordare che nella cultura greca soltanto gli schiavi si sottomette- vano ai lavori manuali e pesanti. Si noti, fin d’ora, l’atteggiamento di Paolo lavoratore (1Ts 2,9) e ciò che egli raccomanda agli oziosi (5,14). È necessario, inoltre, tener presente che è la prima volta che Paolo scrive una lettera ad una comunità, chiamandola ekklesia (chiesa, comunità, famiglia). Questa parola ricorda la kahal ebraica (assemblea del popolo di Dio). Chiamare questi poveri tessalonicesi ekklesia significava riconoscere loro lo status di cittadini. 2. Fondazione della comunità Per parlare del sorgere della comunità cristiana di Tessalonica ci serviremo sia delle indicazioni di Luca (Atti) sia di quelle di Paolo nella lettera che ha scritto, anche se in alcuni dettagli Paolo e Luca non sono concordi. Non ci soffermeremo nella discussione dei dettagli, privilegeremo piuttosto le informazioni di Paolo. Siamo nell’anno 50, durante il secondo viaggio missionario di Paolo (At 15,39–18,22), accompagnato da Sila (Silvano), Timoteo e probabilmente da Luca. La caratteristica più importante di questo viaggio è l’ingresso della Parola nel continente europeo attraverso la città di Filippi e, in seguito, di Tessalonica. Luca non informa del fatto che, a questo punto, Roma già avesse ricevuto il messaggio. Per lui, Paolo è pioniere e dissodatore, e da questo impulso missionario l’Europa sta ricevendo il primo annuncio di salvezza. Gli incidenti di Filippi sono conosciuti grazie al racconto di At 16. Scrivendo ai tessalonicesi, Paolo dice semplicemente che a Filippi “abbiamo sofferto e siamo stati insultati” (1Ts 2,2a). Luca narra abbondantemente questi fatti. Si suppone che gli evangelizzatori siano arrivati a Tessalonica ostentando ancora le piaghe della flagellazione sofferta. Invece di vergognarsi, sono pieni di audacia (Paolo, in 2,2b, usa la parola parresiaaudacia, fare “faccia tosta”, ardire) e annunciano il Vangelo di Dio in mezzo a grandi lotte. Paolo non offre dettagli su queste “grandi lotte”, ma con una certa sensibilità e con l’aiuto di Atti, possiamo ricomporre lo scenario. 1. La competizione tra i molti predicatori di felicità, che approfittano della fragilità umana e, con seconde intenzioni, sfruttano il popolo (1Ts 2,3-7). 2. I conflitti con i giudei della città; invidiosi perché Paolo sottrae loro “adoratori di Dio” (At 17,5ss), lo perseguitano violentemente (1Ts 2,15-16; 3,4). 3. La condizione sociale di Paolo, che si pone al livello dei poveri e degli schiavi, lavorando con le proprie mani (4,11; 2Ts 3,6-12), notte e giorno (1Ts 2,9). 4. La tensione politica con l’impero romano e il culto imperiale. L’accusa contro Paolo è quella di sovversione politica: annuncia un altro re, trasgredendo i decreti di Cesare. (Nella passione, Gesù riceve un’accusa simile, Lc 23,5; Gv 19,12). Nonostante questo contesto ostile e l’apparente fragilità di Paolo e dei suoi compagni, malgrado le tribolazioni che i tessalonicesi ed anche gli evangelizzatori sopportano (1Ts 1,6), sorge a Tessalonica, sotto l’impulso dello Spirito Santo, una comunità cristiana gioiosa. 6 DOCUMENTI DEI SUCCESSORI DI DON ALBERIONE - VOL. 3/A DON SILVIO SASSI 3. Profilo dei cristiani di Tessalonica At 17,4 parla delle donne dell’alta società che aderiscono alla predicazione di Paolo. Se dessimo credito alle informazioni di Luca, avremmo a Tessalonica una comunità, il cui potere economico (e politico) è al vertice della piramide sociale. Conviene, comunque, ricordarsi che Luca crea per proprio conto molte scene degli Atti riguardanti Paolo, permettendoci di mettere in dubbio la sua informazione. Qualche anno dopo aver dato inizio alle comunità cristiane in Macedonia (Filippi e Tessalonica), Paolo provoca i corinzi alla collaborazione solidale verso i cristiani poveri di Gerusa- lemme, informando che le comunità macedoni, pur in uno stato di indigenza e di tribolazione, con grande gioia si sono aperte alla solidarietà. Viene spontaneo domandarci allora chi dei due ha ragione sul profilo sociale dei cristiani tessalonicesi: Paolo o Luca? È evidente che dobbiamo dare credito a Paolo, scoprendo il volto povero delle comunità della Macedonia, a meno che identifichiamo le persone dell’élite menzionate da Luca con gli oziosi ricordati da Paolo nella lettera, tema che ritorna con forza in 2Ts. Seguendo le indicazioni di Luca quanto alla composizione della comunità cristiana di Tessalonica, ci imbattiamo nel fenomeno del pluralismo etnico e culturale. Nella narrazione della fondazione della comunità (At 17,1-9), Luca mostra Paolo che va all’incontro dei giudei nella sinagoga della città. Il risultato dell’annuncio di Gesù Cristo durante i tre sabati è questo: alcuni giudei si sono convinti e si sono uniti a Paolo e Sila (17,4). È il primo gruppo etnico a comporre la comunità. Sembra che i giudeo-cristiani di Tessalonica fossero una minoranza. Sorprendentemente, anche una moltitudine di adoratori di Dio accetta l’annuncio di Paolo e abbraccia la fede. Adoratori di Dio erano tutti i non-giudei che credevano nel Dio di Israele ed erano disposti ad accettare un certo numero di prescrizioni morali del giudaismo. Questo è il gruppo più consistente della comunità, e certamente questi adoratori di Dio erano stati anteriormente legati alla sinagoga. Di qui la rivolta feroce dei giudei di Tessalonica contro Paolo e Sila. Il terzo gruppo che comporrà la diversità culturale ed etnica di questa comunità è quello dei molti greci. Il dettaglio è importante, poiché i greci non frequentavano la sinagoga come gli adoratori di Dio. Questo sta a significare che Paolo non deve aver limitato la sua predicazione alla sinagoga, ma ha cercato “altri pulpiti” per la trasmissione del messaggio. Questo terzo gruppo fa sì che la comunità cristiana sia portatrice di novità, distinguendosi dal giudaismo, che aveva la sua identità nella nitida separazione delle razze, creando un muro di separazione (cf Ef 2,1ss). Paolo chiama ekklesia queste persone di etnie e culture diverse. La parola ekklesia, nel pensiero di Paolo, può avere diversi significati: assemblea, chiesa, comunità, famiglia. Esiste a Tessalonica una ekklesia-famiglia tra le più diversificate. Lo status che accomuna tutti è quello di fratelli (1,4; 2,1.17, ecc.). Paolo è madre e padre (2,7-12). Fu certamente Paolo ad introdurre nella chiesa primitiva questa forma di trattamento tra i membri di una comunità: fratelli. 4. La prima lettera ai Tessalonicesi Non sappiamo per quanto tempo Paolo sia rimasto a Tessalonica; certamente la sua permanenza non si è limitata solo a tre settimane. Sta di fatto che ha fondato una chiesa domestica, una nuova famiglia – forse in casa di Giasone – e le ha dato una organizzazione di base, costituendo anche degli animatori (1Ts 5,12-13). La comunità – o forse le comunità – di questa città (come anche le altre comunità fondate da Paolo) era numericamente piccola e si radunava in una casa. A Tessalonica l’ostilità contro Paolo (1Ts 2,15-16) è cresciuta ed egli ha dovuto fuggire per poter salvare la propria vita, rifugiandosi a Berea (At 17,10), mentre continua la persecuzione a Tessalonica, ora contro la comunità (1Ts 2,14). L’evangelizzazione della comunità di Tessalonica era rimasta incompleta. Mancavano ancora molte cose. Anche a Berea sorgono tensioni provocate dai giudei di Tessalonica, e Paolo è condotto ad Atene (At 17,13-15). Ed è proprio lui che spiega lo stato d’animo con cui vive in questa città: “Per questo, non potendo più resistere, abbiamo deciso di restare soli ad Atene e abbiamo inviato Timoteo, nostro fratello e ministro di Dio nella predicazione del vangelo di Cristo, per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede, perché nessuno si lasci turbare in queste tribolazioni. Voi stessi, infatti, sapete che a questo siamo destinati; già 7 DOCUMENTI DEI SUCCESSORI DI DON ALBERIONE - VOL. 3/A DON SILVIO SASSI quando eravamo tra voi, vi preannunziavamo che avremmo dovuto subire tribolazioni, come in realtà è accaduto e voi ben sapete. Per questo, non potendo più resistere, mandai a prendere notizie sulla vostra fede, per timore che il Tentatore vi avesse tentati e così diventasse vana la nostra fatica” (1Ts 3,1-5). Mentre Timoteo va a Tessalonica, Paolo tenta di parlare di Cristo risorto alle élite intellettuali di Atene, e finisce nell’insuccesso. In realtà, niente più si dirà – negli Atti e nelle lettere – su questa città. Frustrato ed amareggiato, Paolo va a Corinto (At 18,1ss) e lavora con le proprie mani, come i due terzi della popolazione schiava di questa città. Poco tempo dopo accade ciò che è raccontato in 1Ts 3,6-10: “Ma ora che è tornato Timoteo, e ci ha portato il lieto annunzio della vostra fede, della vostra carità e del ricordo sempre vivo che conservate di noi, desiderosi di vederci come noi lo siamo di vedere voi, ci sentiamo consolati, fratelli, a vostro riguardo, di tutta l’angoscia e tribolazione in cui eravamo per la vostra fede; ora, sì, ci sentiamo rianimare, se rimanete saldi nel Signore. Quale ringraziamento possiamo rendere a Dio riguardo a voi, per tutta la gioia che proviamo a causa vostra davanti al nostro Dio, noi che con viva insistenza, notte e giorno, chiediamo di poter vedere il vostro volto e completare ciò che ancora manca alla vostra fede?”. Si è all’inizio dell’anno 51. A Corinto, Paolo, Silvano e Timoteo scrivono alla comunità, sovrabbondando nell’azione di grazie a Dio ed esortando la comunità a crescere nella fede, nell’amore e nella speranza. (Alcuni studiosi vedono in 1Ts due lettere scritte in tempi diversi. Non entriamo in questi dettagli). Il clima della lettera è caratterizzato da un prima e da un dopo l’andata di Timoteo a Tessalonica e il suo ritorno. Prima: 3,1: Per questo, non potendo più resistere (in greco, me stégontes denota ansietà, una situazione-limite); dopo: 3,8: ora, sì, ci sentiamo rianimare (letteralmente: vivi). Morte-vita, morte-risurrezione. Possiamo, pertanto, sintetizzare i motivi per i quali è stata scritta questa lettera: le buone notizie portate da Timoteo, che parlano della fede attiva dei tessalonicesi, dell’amore che condividono tra di loro e con Paolo, a tal punto da sentire reciproca nostalgia ed il desiderio di un re-incontro, della ferma speranza che anima la vita della comunità. Timoteo deve aver portato anche delle preoccupazioni; per questo i capitoli 4 e 5 contengono esortazioni alla comunità. Paolo scrive preoccupato per la ancor debole fede dei tessalonicesi (1Ts 3,10) e lo fa tanto nella lettera quanto nelle future visite che gli sarà possibile fare a Tessalonica. 5. Importanza della lettera Si tratta del primo documento scritto del Nuovo Testamento. A Corinto, all’inizio dell’anno 51 – a 20 anni dalla risurrezione di Cristo – nasce il primo libro del NT. È una lettera collettiva: Paolo, Silvano e Timoteo – in quest’ordine. Anche se la figura di Paolo spicca, questa è una lettera a sei mani e tre cuori. Ma non sempre sarà così. Chi prova interesse per questo tema (un po’ arido e tecnico), scoprirà come pian piano Paolo abbia abbandonato la prima persona del plurale per adottare l’“io”, nonostante che nella presentazione iniziale delle lettere si mostri accompagnato da altre persone. Si osservi un dettaglio: al tempo delle lettere paoline non esiste ancora un vangelo scritto (Marco appare, con probabilità, intorno all’anno 68). Nel frattempo, Paolo non ha timore di parlare esplicitamente di “Vangelo”. Un altro dettaglio significativo: essendo il primo testo scritto del NT e diretto ad una maggioranza di non-giudei, 1Ts ci sfida nella questione del dialogo con le culture. Non si deve inoltre dimenticare che Paolo, con lo scrivere, ha creato un nuovo mezzo di evangelizzazione: la lettera. Non si è limitato ai mezzi tradizionali (predicazione e catechesi dirette), ma ha innovato, facendosi presente con lo scritto là dove non poteva andare di persona. Il primo testo di Paolo serve anche per poter evidenziare l’evolversi del suo pensiero. Proprio per questo motivo approfondiremo le sue lettere, seguendone un possibile ordine cronologico. Oltre a ciò, è importante fin d’ora prendere coscienza che le lettere di Paolo non sono testi speculativi o teorici, ma testi che toccano il giorno-per-giorno delle persone e comunità. Sono testi profondamente pastorali e legati alla vita vissuta. 8 DOCUMENTI DEI SUCCESSORI DI DON ALBERIONE - VOL. 3/A DON SILVIO SASSI II. LA LETTERA E I SUOI PRINCIPALI TEMI La lettera è costruita su un treppiede (è la prima volta che ciò appare nel NT), che conosciamo come “virtù teologali” e sono le colonne sulle quali è costruita la comunità tessalonicese: fede, amore, speranza – in quest’ordine. Ed ognuna di queste virtù viene qualificata: la fede è attiva, l’amore è capace di sacrificarsi e la speranza è perseverante: “Memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo” (1,3). Questi tre temi non sono nitidamente delimitati, frutto probabilmente delle difficoltà redazionali e dei testi dettati. Ad eccezione dell’indirizzo e saluto introduttivo (1,1) e del saluto finale (5,28), la lettera ha due grandi sezioni. La prima comprende i tre capitoli iniziali e la seconda i capitoli 4 e 5. La prima sezione (1,2–3,13) è segnata dall’azione di grazie che Paolo, Silvano e Timoteo dirigono a Dio nelle loro preghiere per il buon andamento della comunità. Questo lo possiamo notare in 1,2 (“Rin- graziamo sempre Dio per tutti voi...”) e in 3,9 (“Quale ringraziamento possiamo rendere a Dio riguardo a voi...?”). In 4,1 si nota chiaramente un cambiamento. Sparisce il tema dell’azione di grazie a Dio nella gioia e sorge l’esortazione rivolta alla vita della comunità: “Per il resto, fratelli, vi preghiamo ed esortiamo nel Signore Gesù...”. Questa esortazione si estende in pratica fino alla fine della lettera. Nella prima sezione si nota un Paolo che reprime il desiderio di parlare di se stesso per fare spazio all’azione di grazie per la comunità. È perciò questo il clima che avvolge i primi tre capitoli. 1. “Ringraziamo sempre Dio...” (1,2–3,13) a. Attività della fede (1,4-10). In un clima di continua azione di grazie (“ininterrottamente”, v. 3), la lettera sviluppa il tema “la fede attiva dei tessalonicesi”. Com’è avvenuto questo nella fondazione della comunità e dopo la partenza dei missionari? A motivo dell’accoglienza della Parola con la gioia dello Spirito Santo in mezzo a molte tribolazioni. Le tribolazioni sono le persecuzioni che la comunità ha affrontato dopo la partenza di Paolo (cf 2,14). Per i tessalonicesi la persecuzione è stata il termometro della loro fede. Hanno resistito in forma esemplare, in modo tale da diventare imitatori di Paolo e del Signore, e di questo si parla fino in Acaia (dove si trova Paolo mentre scrive). In secondo luogo, la fede attiva di questa comunità si è caratterizzata per la diffusione della Parola, in modo che anche i tessalonicesi sono diventati dei missionari. Viene commentata, infine, ma non ultima per importanza, la conversione dagli idoli al servizio del Dio vivo e vero, nella speranza della venuta del Figlio. La fede attiva dei tessalonicesi ha provocato denunzia e rottura: hanno dovuto abbandonare gli ido- li, denunziandoli come generatori di schiavitù e morte. Non si tratta semplicemente di cambiare di re- ligione, dato che in 1,9 troviamo la contrapposizione frontale, come cose inconciliabili, tra gli idoli che provocano la morte e il Dio vero che suscita la vita. L’adesione al Dio vivente presuppone la rot- tura con tutto ciò che genera morte e un impegno permanente con la vita che nasce da Dio e si radica in una società giusta e fraterna. Non è facile né romantico passare dall’impegno con gli idoli all’ado- razione e al servizio del Dio vivo e vero. Questo passaggio può provocare sofferenza e persecuzione. Suggerimenti per una lettura paolina: In un clima di rendimento di grazie a Dio, 1. leggere la storia della propria vocazione e il cammino della propria comunità (“Noi ben sappiamo, fratelli amati da Dio, che siete stati eletti da lui”); 2. considerare l’importanza della parola di Dio in quanto alimento per ognuno di noi, per la comunità e come seme che spargiamo nella cultura della comunicazione; 3. tenere presente che per Paolo e i tessalonicesi vita vissuta (testimonianza), annuncio della Parola e tribolazione sono realtà strettamente unite; più ancora, nonostante le tribolazioni, i tessalonicesi si rallegrano in virtù della gioia dello Spirito Santo; 4. la fede attiva dei tessalonicesi li ha resi missionari oltre le proprie frontiere. Che importanza ha questo fatto per noi? 5. Viviamo in una società piena di idoli di ogni specie, molto di più che a Tessalonica. I “media” non cessano di fomentare le idolatrie. Che cosa significa questo per noi? 6. Fede attiva, amore capace di sacrifici e ferma speranza sono state 9 DOCUMENTI DEI SUCCESSORI DI DON ALBERIONE - VOL. 3/A DON SILVIO SASSI le colonne sulle quali si è costruita la comunità di Tessalonica. Oltre ai consigli evangelici, quali sono le “colonne” della mia comunità? 7. Fede, amore, speranza corrispondono, grosso modo, al trinomio alberioniano mente-cuore-volontà. Che cosa significa questo per noi? 8. C’è in questa pericope una presenza discreta della Trinità. Come esercizio, si può prendere nota di ciò che Paolo dice sul Padre, sul Figlio e sullo Spirito Santo. 9. Per la prima volta, nel primo scritto di Paolo, appare il tema ekklesia-famiglia e la parola fratelli. Che importanza ha questo per noi? b. Ritratto dell’evangelizzatore e fede attiva (2,1-19). La prima impressione che si prova quando si legge il capitolo 2 è che l’azione di grazie sia scomparsa. In verità, però, essa occupa esattamente il centro del testo, tra il comportamento dei missionari (2,1-12) e l’accoglienza che i tessalonicesi hanno loro riservato (2,13-19): “Proprio per questo anche noi ringraziamo Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l’avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete” (2,13). Prima di questo versetto abbiamo un ritratto dell’agente di pastorale, del quale mettiamo in risalto le principali caratteristiche, tenendo presente le centinaia di predicatori che ingannavano il popolo a Tessalonica. 1. Audacia. Ancora segnati dalle sofferenze e dagli insulti di Filippi, Paolo ed i suoi compagni si riempiono di parresia (audacia) per annunciare il Vangelo. 2. Trasparenza. Paolo non adula gli ascoltatori, i quali possono riconoscerne la rettitudine. Quando ciò non è possibile, gli evangelizzatori si sottomettono al giudizio di Dio, che vede e scruta. 3. Amore capace di sacrifici. Paolo poteva far valere i propri diritti di apostolo ed esigere che la comunità lo mantenesse materialmente, ma non ricorre a questo diritto. 4. Tenerezza materna. Paolo paragona se stesso alla mamma, che non solamente nutre e accarezza il figlio, ma è capace di dare la propria vita (cf Gv 15,13; il v. 1Ts 2,7 può essere tradotto in diversi modi). 5. Fermezza paterna. Secondo i paradigmi culturali dell’epoca, toccava al padre la responsabilità di fare in modo che il figlio diventasse un cittadino. Di qui i verbi del v. 12: esortare, incoraggiare e scongiurare. Per accogliere la parola di Dio, i tessalonicesi hanno dovuto accogliere il povero e il sofferente, cioè, Paolo ed i suoi compagni come messaggeri della buona notizia del Regno. Se non avessero accolto Paolo e Sila, la parola di Dio a Tessalonica sarebbe passata senza essere percepita. Questo perché la parola di Dio viene a noi nella storia, negli eventi, mediante persone non sempre eleganti e riccamente presentabili. Il tema della persecuzione ritorna nella lettera (2,14-16), in forma pesante, e i cristiani sono messi accanto alle chiese della Giudea, del Signore (cf Gv 15,20) e dei profeti, segno che la fede attiva e la perseverante speranza hanno inciso sul loro cammino. Suggerimenti per una lettura paolina: In un clima di azione di grazie a Dio, 1. confron- tare la propria vita di Paolino con le caratteristiche dell’apostolo ora presentate; 2. rivedere gli obiettivi della nostra consacrazione e missione, che cosa andiamo cercando; 3. il mondo della comunicazione è un campo segnato da interessi non sempre trasparenti e chiari. Quello che diciamo (messaggio) corrisponde a quello che pensiamo e viviamo? Paolo ci dice qualcosa a questo riguardo? 4. “È buono essere importante, ma è più importante essere buono”. Paolo non esita a rompere i paradigmi comportamentali del suo tempo, paragonan- dosi ad una madre verso i tessalonicesi. Riflettere su come sono le nostre relazioni nella comunità e come trattiamo i destinatari dei nostri contenuti; 5. Paolo si considera madre e padre delle comunità che ha fondato, mostrando che esiste una feconda paternità non-fisica. Questa realtà ci suggerisce qualcosa? 6. Che cosa può suggerirci questa pericope oltre a ciò che è stato detto? c. Fede attiva e amore capace di sacrifici (3,1-13). Il tema della fede attiva continua nel capitolo 3, accompagnato dall’amore capace di sacrifici. Gli autori della lettera sono ansiosi e non si concedono riposo davanti alla possibilità di vedere vanificato tutto il lavoro evangelizzatore a Tessalonica. Riappare il tema della “tribolazione” – parola tecnica nelle lettere paoline, che denota le pressioni e oppressioni che piombano sull’agente di pastorale in un 10
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