In questo scritto vibrante e poetico, troviamo nella sua forma più limpida e completa il pensiero morale che sottende tutta l’opera di Jean Giono: la superiorità della natura sulla tecnologia, la salvez- za dell’uomo attraverso un lavoro naturale, la celebrazione dell’in- dividualismo spinto fino all’anarchia. Scritto alla vigilia del secondo conflitto mondiale, questo accorato appello costituisce un tentativo disperato da parte di Giono di opporre le armi della semplicità, del buon senso e della poesia a un mondo che stava prendendo la dire- zione opposta: quella del profitto e della guerra. L’appello, com’è ed era ovvio, non fu ascoltato. Rilette a più di mezzo secolo di distanza, le parole che Giono indirizza ai suoi «amici» fanno pensare a una grande occasione perduta, nell’ultimo momento in cui forse era an- cora possibile non compiere la svolta che avrebbe cancellato per sem- pre il modo di vivere, la cultura e la saggezza dei contadini. L’ultimo momento in cui i contadini sapevano ancora «far festa», vivevano «alla misura dell’uomo», conoscevano «l’abbondanza di una ricchez- za commestibile destinata a soddisfare l’appetito di tutti i sensi» e «quella povertà che è la misura e la pace […] quella povertà che è la ricchezza legittima e naturale: la gloria dell’uomo». Mai come oggi questo scritto di Giono è attuale e urgente, se è vero che non è mai troppo tardi, e che nella mente e nelle mani dell’uomo non esiste solo il potere di distruggere, ma anche quello di crearsi la felicità. Non si può sapere qual è il vero lavoro del contadino: se è arare, seminare, falciare, oppure se è nello stesso tempo mangiare e bere cibi freschi, fare figli e respirare liberamente, poiché tutte queste cose sono intimamente unite e, quando lui fa una cosa, completa l’altra. È tutto lavoro, e niente è lavoro nel senso sociale del termine. È la sua vita. «Un saggio scritto nel ’38, capace di intuire la crisi del comunismo e i difetti del capitalismo. Assolutamente geniale anche perché mette in crisi l’eccesso di tecnica che sembra dominare l’uomo moderno. E se aveva ragione allora che Internet non c’era, figuriamoci adesso che viviamo nell’era della società globale». Oliviero Toscani JEAN GIONO nacque nel 1895 a Manosque, in Provenza, dove visse quasi tutta la vita e morì nel 1970. Tra i suoi libri: L’ussaro sul tetto, Una pazza felicità, Un re senza distrazioni, Collina, Il ragazzo celeste, Angelo, Il serpente di stelle, Due cavalieri nella tempesta, Nascita dell’Odissea e Il disertore, tutti pubblicati da Guanda. Pres- so Salani sono usciti L’uomo che piantava gli alberi e Il bambino che sognava l’infinito. copertina Andrea Balconi Saggi JEANGIONO LETTERA AI CONTADINI SULLA POVERTÀ E LA PACE A cura di Maria Grazia Gini N uova edizione con prefazione di Carlo Petrini Titolo originale Lettre aux paysans sur la pauvreté et la paix Desidero ringraziare Gianpiero Muio e Mariella Segalina per il loro aiuto nelle ricerche bibliografiche inerenti ad al cuni passaggi di questo libro e, naturalmente, per l'infinita e affettuosa disponibilità. M.G.G. Prima edizione: settembre 1997 Seconda edizione: settembre 2004 Terza edizione: maggio 2010 Il nostro indirizzo Internet è: www.ponteallegrazie.it Ponte alle Grazie è un marchio di Adriano Salani Editore S.p.A. Gruppo editoriale Mauri Spagnol © Éditions Bernard Grasset, 1938 © 1997 Ponte alle Grazie spa -Milano © 2010 Adriano Salani Editore S.p.A. -Milano ISBN 978-88-6220-151-3 Prefazione di Carlo Petrini Questo libro è una lunga lettera ai contadini francesi scritta nel1938. Ciò che può fare il lettore è prenderlo per tale: un documento che ci parla di un determinato periodo storico, di un momento molto delicato in cui tutta l'Europa si preparava alla Seconda guerra mon diale. Era ancora vivo il ricordo del massacro umano - soprattutto contadino- che si perpetrò durante la Pri ma grande guerra, dal1914 al1918 (ricordo drammati camente vivo nell'autore, che vi partecipò attivamente), ma i pacifisti non sembravano essere molti, nemmeno tra i contadini francesi. Jean Giono si appella a loro-e visto il periodo è an che più accettabile il suo tono un po' paternalistico - perché riscoprano il loro vero essere, la loro vera realtà; affinché diventino strumento di pace, pongano fine a tutte le guerre, siano il motore di una rinascita umana. Sono loro, secondo Giono, che «possono salvare il mondo». In questo discorso non sono risparmiate vee menti critiche agli Stati, ai sistemi e le ideologie che li muovono (capitalismo, comunismi, fascismi); sprezzan ti slanci contro il denaro, l'industria e le sue macchine; illuminati moniti contro l'emergere di un sistema del cibo che, guarda caso, contiene già tutti i caratteri di stintivi di quella che nel dopoguerra sarà poi definita 5 LETTERA AI CONTADINI agro-industria (la monocoltura del frumento, «non la vorate più per vendere, lavorate per vivere», «la parola frumento è troppo lontana dalla parola patate, dalla pa rola carne, dalla parola frutta»). Giono dice ai contadini francesi che potrebbe an dargli a parlare di persona, ma preferisce scrivere loro affinché le sue parole rimangano e perché possano rag giungere anche tutti i loro colleghi d'Europa: il popolo contadino è unico, senza confini, ciò che scrive può es sere universalmente valido per tutti i contadini sulla Terra. Allora ecco subito prospettarsi un secondo tipo di lettura che si può sperimentare, ed è quello che consi glio: ponete questa lettera totalmente fuori dal suo con testo storico-politico, leggetela come se valesse non sol tanto per ogni contadino del mondo nel1938, ma an che per ogni contadino del mondo d'ogni tempo, tanto per l'oggi quanto per il domani. Dico di più: leggetela come se valesse per ogni uomo di ogni epoca, il quale, anche se non ara, semina, alleva o raccoglie, deve capi re che è giunto il momento di tornare a sentirsi contadi no nel profondo. Dobbiamo ritornare contadini anche se abitiamo in città, anche se il contadino più prossimo che abbiamo in famiglia è magari il nostro bisnonno, anche se non sapremmo neanche da dove cominciare per coltivare una rapa. Perché la produzione del cibo è diventata da qualche decennio quanto di più insostenibile ci sia tra le attività umane sulla T erra, genera profondi squilibri ambientali, sociali ed economici. I terreni coltivabili si riducono, vengono mangiati dal cemento; perdono in fertilità per l'uso scellerato della chimica, un vero e proprio abuso; i contadini continuano un inesorabile 6 PREFAZIONE esodo dalle campagne che è cominciato proprio negli anni in cui Giono scriveva. E poi il cibo è diventato meno buono, meno umano, meno naturale. Già Giono, nel1938, rimpiangeva le pesche che aveva potuto as saggiare in gioventù. Il cibo è diventato una commodity, una merce come quasi tutto ciò che ci circonda, addi rittura come le nostre stesse esistenze, misurate-nean che più valutate - soltanto sulla base di quanto siamo in grado di consumare. Leggiamo dunque questo libro soprattutto con la più seria attenzione per le riflessioni che Giono svolge sui temi del lavoro, del denaro, dell'industria, del cibo e della ricchezza. La sua visione del contadino che tra sforma direttamente la natura in nutrimento, soltanto con il suo lavoro, potrà apparire a uno sguardo poco attento come illusoria, retrograda o utopistica. Sia che venga contestualizzata ai tempi in cui è stata scritta e tanto più in un mondo attuale, dove parrebbe impossi bile attuare tali forme di microeconomia quando la po polazione del pianeta che vive nelle città ha ufficial mente superato il numero di residenti nelle campagne. Ma non bisogna farne una questione di realismo, di im maginare veramente per tutti un concreto ritorno in campagna a viver dei frutti diretti del nostro lavoro: dobbiamo metterei d'accordo su che cos'è la realtà, co me propone Giono. La realtà è che le guerre non sono finite e molte di esse si consumano sotto i nostri occhi senza che nean che ce ne accorgiamo; è che i processi che Giono de plora -la sottomissione al denaro, la perdita del senso della misura, la mercificazionè del lavoro che estranea dalla vera vita - sono stati portati al loro eccesso: se Giono fosse ancora vivo inorridirebbe di fronte a che 7 LETTERA AI CONTADINI cosa è diventato il cibo oggi, a quali caratteristiche ha assunto il lavoro dei contadini o di tanti impiegati, a quali ingiustizie si sono perpetrate nelle campagne di tutto il mondo, verso gli uomini e verso la natura. La prepotenza del denaro su tutto è avvenuta con il trionfo di un consumismo esasperato, un sistema in cui il cibo è oggi qualificato soltanto più per il suo prezzo e non per il suo valore, in cui si può sprecare tutto il nu trimento che si vuole (4000 tonnellate al giorno di cibo edibile vengono gettate nella spazzatura nella sola Ita lia), senza nessuna remora. Anzi, nei momenti di crisi ci dicono: «Consumate di più!» No, non è con i consumi che faremo ripartire un sistema economico che fa acqua da ogni punto di vista, che non può più generare alcun tipo di crescita per problemi strutturali insormontabili. Il progresso, per come lo intendono coloro che si sono arricchiti con questo sistema, ha ampiamente dimostra to che non ha più «nulla a che fare con la gioia di vive re», come già sosteneva Giono. È tempo allora anche di ridiscutere la nozione stessa di progresso. Ecco allora che la lettera di Giono nel2010 assume tutto un altro valore: l'uso del tempo (che sia benedetta la lentezza delle cose della natura), il significato del la voro, il valore del cibo, il senso della misura, il non ido latrare il denaro, recuperare un rapporto con l'ambien te e la terra diventano «motore di rinascita umana». Tutte cose che possono «salvare il mondo». Viviamo infatti una crisi che non è soltanto finanzia ria o economica. È climatica ed ecologica, riguarda l'energia e l'alimentazione, ma dico di più: è una crisi strutturale, di sistema, che non si risolverà come le altre crisi, cicliche, cui siamo abituati. Perché è anche in crisi l'uomo, e come è avvenuto per tutte le altre grandi crisi 8