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l'esperienza turistica tra pratica di consumo e fattore di sviluppo locale sostenibile PDF

262 Pages·2013·2.56 MB·Italian
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ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITÀ DI BOLOGNA DOTTORATO DI RICERCA IN SOCIOLOGIA Ciclo XXV Settore Concorsuale di afferenza: 14/C2 Settore Scientifico disciplinare: SPS/08 L’ESPERIENZA TURISTICA TRA PRATICA DI CONSUMO E FATTORE DI SVILUPPO LOCALE SOSTENIBILE Presentata da: Dott. Stefano Spillare Coordinatore Dottorato Relatore Chiar.mo Prof. Ivo Colozzi Chiar.ma Prof.ssa Paola Parmiggiani Esame finale anno 2013 1 A “lenticchia”, con l’augurio di poter vivere in un mondo migliore 2 INDICE Introduzione: il filo rosso Capitolo Primo LA SOCIETÀ DEI CONSUMI E IL CONSUMO DELL’ESPERIENZA 1. Verso una società dei consumi .............................................................................. p. 11 1.1 La trasformazione dello Stato liberale in Stato sociale ................................... p. 13 1.2 La democratizzazione capitalistica e la liberazione di tempo e denaro .......... p. 15 1.3 “Divorare il mondo”: il trionfo della società dei consumi .............................. p. 18 2. I meccanismi sociali del consumo ......................................................................... p. 21 2.1 Consumo vistoso come status …...….............................................................. p. 21 2.2 La differenziazione sociale delle pratiche e dei gusti ..................................... p. 24 2.3 Il consumo come segno e la realtà come simulacro ....................................... p. 28 3. La cultura del consumo. L’industria culturale e la colonizzazione della sfera pubblica …........................................................................................... p. 30 3.1 Il trionfo dell’intimità nell’età post-moderna. Etica romantica e socializzazione dell’esperienza di consumo ............................................... p. 34 3.2 Dal sociale al tribale. La pluralizzazione della cultura di consumo ............. p. 36 4. Una vita spettacolare ............................................................................................. p. 39 4.1 La spettacolarizzazione dell’esistenza …....................................................... p. 39 4.2 La spettacolarizzazione degli spazi pubblici …............................................. p. 44 Capitolo Secondo IL MONDO AL BIVIO 1. L’ultima rivoluzione della modernità .................................................................... p. 47 1.1 Vivere in un mondo instabile ........................................................................ p. 47 2. Verso una società mondiale dei consumi? ............................................................ p. 51 2.1 Monocultura globale o differenziazione culturale? ….................................. p. 52 2.2 La “razionalizzazione irrazionale” della globalizzazione consumistica ............... p. 54 3. La società globale del rischio ................................................................................ p. 58 3.1 Il rischio come categoria individuale e collettiva …..................................... p. 58 4. Verso una società riflessiva ................................................................................... p. 60 4.1 Individualizzazione, riflessività e ri-politicizzazione della società civile ….......... p. 62 4.2 Un modello politico pluricentrico e glocale …............................................. p. 66 5. Limiti all’organismo sociale .................................................................................. p. 66 5.1 Il concetto di sostenibilità …........................................................................ p. 66 5.2 Dall’ambientalismo politico all’ambientalismo civile …............................. p. 70 3 5.3 Culture del rischio: ambientalismo integrato vs ambientalismo radicale .... p. 71 6. Un primo tentativo di sintesi. Tra cultura del consumo e politicizzazione dell’ambito privato: il consumerismo politico …..................... p. 74 Capitolo Terzo TURISMO COME CONSUMO E COME ESPERIENZA 1. Spender tempo: il turismo come esperienza di leisure .......................................... p. 84 1.1 Una figura paradigmatica: il sightseer ......................................................... p. 89 2. Il significato sociale del consumo turistico ........................................................... p. 90 2.1 Pratica turistica come segno di distinzione ................................................. p. 91 2.2 Pratica turistica come ricerca dell’autenticità ............................................. p. 96 2.3 Il turismo al di là dell’autenticità: il post-turista ....................................... p. 102 2.4 Sguardo collettivo e sguardo romantico: la ricerca dello straordinario nell’esperienza turistica .............................................. p. 105 3. La costruzione sociale dell’immaginario turistico .............................................. p. 107 3.1 Il ruolo dei media e dell’apparato di servizio nella formazione dell’immaginario turistico ............................................. p. 110 3.2 Verso la costruzione di nuovi immaginari: dalla rappresentazione iconica alla performance partecipativa .................................................. p. 113 3.3 Immaginario delle catastrofi e rischi globali ............................................ p. 118 Capitolo Quarto IL TURISMO TRA GLOBALE E LOCALE 1. Ripensare il luogo: mobilità come paradigma del mondo globale? .................... p. 122 1.1 Dell’immobilità. Nuove classi sociali all’ombra della globalizzazione ............ p. 125 1.2 Lo “sguardo del vincitore”: turismo globale tra fascinazione neo-esotica e neo-colonialismo ........................................................... p. 127 2. Tornare a casa. Le conseguenze della globalizzazione sui contesti locali occidentali .............................................................................. p. 133 2.1 Dell’incertezza localizzata. Ovvero, il destino di chi rimane immobile …........ p. 134 2.2 Semi-nomadi. Ovvero il radicamento della comunità locale nell’era globale .......................................................................................... p. 137 2.3 L’autenticità altrove. Recupero e costruzione del passato e della ruralità nei contesti locali (post)moderni …................................... p. 140 2.4 Natura e ruralità come risorsa turistica “glocale” …................................. p. 142 3. Il paradigma emergente della sostenibilità …...................................................... p. 145 3.1 Turistizzazione o responsabilizzazione? …............................................... p. 149 4 3.2 Il concetto di turismo responsabile e sostenibile …................................... p. 151 3.3 Eco-turisti o ego-turisti? …........................................................................ p. 157 3.4 Capacità di carico e sostenibilità: diverse tradizioni di pensiero ….......... p. 160 3.5 La sostenibilità in una prospettiva multi-stakeholder …........................... p. 164 Capitolo Quinto IL TURISMO PER UNO SVILUPPO LOCALE SOSTENIBILE 1. Premessa all’indagine empirica ........................................................................... p. 168 2. Che consumatore (turistico) sostenibile sei? ....................................................... p. 171 2.1 La “nicchia” del turismo sostenibile …..................................................... p. 172 2.2 Alcuni aspetti metodologici ...................................................................... p. 174 2.3 L’analisi dei dati ….................................................................................... p. 177 3. L’analisi qualitativa a Cerreto Alpi e nelle Valli trentine ................................... p. 181 3.1 Alcuni aspetti metodologici ...................................................................... p. 181 4. L’esperienza del turismo di comunità ................................................................. p. 185 4.1 Cerreto Alpi: un borgo “fantasma” denso di storia e tradizione .............. p. 186 4.2 Il ritrovato senso del luogo ....................................................................... p. 188 4.3 Il turismo di comunità: un’opportunità per il territorio ............................ p. 190 4.4 Il turismo di comunità: un’esperienza partecipata .................................... p. 194 4.5 Il rispetto dei luoghi: un modello di gestione sostenibile ......................... p. 197 4.6 Esportare un modello. Il turismo di comunità in Val di Rabbi e in Val di Fiemme .................................................................................... p. 199 4.7 Il rapporto con i turisti e dei turisti col territorio ...................................... p. 207 4.8 Lo sguardo del turista... sul turismo di comunità ..................................... p. 210 Conclusioni Bibliografia Sitografia Appendice metodologica 5 Introduzione: il filo rosso All’interno di mutamenti strutturali che si allargano e riguardano l’intero globo terrestre, ogni luogo è tutti i luoghi e la dimensione e la coscienza umana sembrano come smarrirsi. Il mondo diventa semplicemente un continuum, senza barriere, senza confini. Le guerre che sconvolgono il continente africano o il Medioriente sembrano oramai periferie del centro convulso delle nostre vite tanto ci sono familiari, seppur lontane. Pechino, come Shangai, diventano quasi il sinonimo di un orizzonte metropolitano in continua espansione, le cui diramazioni più periferiche sembrano arrivare fin nelle nostre città: merci e negozi, prodotti e produzioni, fabbriche e lavoratori cinesi ovunque nelle strade e nei mercati, dove, «grazie all’artiglieria pesante dei loro bassi prezzi», fanno breccia nelle economie stantie della vecchia Europa, un tempo centro del mondo. Più l’informazione si fa istante, più viene meno la comunicazione significativa. Più l’orizzonte spazia lontano, meno siamo capaci di osservare da vicino. Il senso panico dell’estensione ci trova sgomenti. Lo spazio, come il tempo, perdono di significato. Oppure no. Ne acquistano di nuovi. Non si tratta più di scoprire nuove terre o “nuovi mondi”. Oggi tutto è noto. Tutto è scoperto. Eppure tutto appare in mutamento. É sempre possibile che l’oggi vada riscoperto domani. Ogni luogo è tutti i luoghi, ma ognuno con un intreccio diverso di flussi, di persone e di possibilità. Ogni luogo è tutti noi ma ognuno di noi lo vive in maniera diversa nell’esperienza individuale, nella percezione personale e soggettiva. L’esperienza è un «vivere attraverso»: attraverso gli spazi, attraverso il tempo, attraverso di noi. L’esperienza diventa così una tensione irrinunciabile. Espressione stessa del paradigma della mobilità. A ben vedere paradigma stesso della modernità. Il nuovo, l’inedito, il mai visto prima e il continuo cambiamento hanno caratterizzato lo sviluppo dell’era moderna la quale si staglia come una cesura netta con quanto siamo soliti definire “tradizione”: cultura, usi, costumi che si sedimentano nel tempo fino a divenire un qualcosa di monolitico e riconoscibile. Mentre il protocapitalismo produttivista sciolse i legacci della tradizione, il turbocapitalismo consumistico di oggi rende impossibile la sedimentazione di qualunque cosa possa essere pensata come stabile, ferma, riconoscibile una volta per tutte. Il mondo materiale degli oggetti e delle cose umane è costretto ad un perpetuo mutamento che trascina con sé il mondo del sociale, con le sue relazioni. L’identità stessa, soggettivizzata e intimizzata, ancorata al centro di noi stessi, si fa “flessibile”, per adattarsi al meglio al cambiamento. Ancora una volta, è il cogito cartesiano che ci rassicura di noi stessi mentre dubitiamo di tutto ciò che ci circonda. Così, mentre esperiamo il cambiamento, possiamo sentircene parte, sentire che non ci travolge come un ramo secco piegato dalla corrente della piena, immaginandoci già salvi sull’Arca, guardando sempre avanti verso la prossima rinascita, verso un nuovo istante che non cambia una virgola del presente. Attraverso rinnovate esperienze promesse e permesse da un sistema produttivo smaterializzatosi e resosi indistinguibile dal fruire stesso della vita, l’esistenza si smercia, si commercializza e si svende, mentre di noi non rimane che ciò che si trova tra gli interstizi, tra le fessure, che come in un muro di pietre nere rendono possibile solo 6 l’attecchire di piccoli muschi verdi. A queste misere radici affondate nella poca polvere raccoltasi tra strette fessure si è ridotta allora la nostra esistenza? Eppure non c’è mai stato tanto da fare, tanto da pensare, tante opportunità. L’eterno presente non è senza dinamicità bensì senza storia. Ma senza il senso di un percorso e di una direzione, la nostra identità si fa come sospesa, incapace di tracciare quel filo rosso che lega il passato al presente e che ci proietta in un qualsiasi futuro. L’instabilità e l’incertezza sono il prezzo da pagare per una libertà illusoria, magra consolazione per chi non ha più terra sotto i propri piedi. La dimensione nomadica del presente rappresenta questa libertà. Una libertà in potenza, mai definitivamente attualizzata perché ogni determinazione diverrebbe prigione, diverrebbe “narrazione” e storia. E la storia, si sa, è relegata al passato, non certo al presente e tanto meno al futuro. La fine della storia, allora, non è tanto la fine di ogni tensione utopica o progettualità futura, quanto l’inerzia di un movimento automatico, di un esperienza che non si radica nel mondo e che in questo modo non lo può mai cambiare veramente perché non possiede, in senso collettivo, significato alcuno: la storia si riduce a tempo. A tempo presente. Sempre uguale seppur diverso in ogni momento. La storia cessa di essere storia universale nel momento in cui viene soggettivizzata come biografia individuale e quest’ultima ridotta a cumulo di esperienze senza senso se non quello fornito ad esse dal soggetto stesso che le esperisce. E quel che è peggio è che neppure quando queste esperienze vengono socializzate si trasformano in qualcosa di diverso dal mero desiderio: materiale grezzo per nuovi sogni collettivi e nuove ambizioni individuali. Così, lo “spirito del consumismo moderno” si perpetua ed avanza, allargando ad ogni strato sociale il desiderio della “possibilità”. Non tanto di avere, ma di “essere”. Di essere altrimenti. “Avere” non è affatto - o non più solo - un fine in sé, ma torna a farsi strumentale: strumento del “poter essere” altrimenti. La strumentalità dei beni di consumo riguarda la loro capacità di traghettare l’individuo in una dimensione immaginifica nella quale egli diventa altro da sé, in una tensione mistica verso la propria identità: secolare ascesi intramondana del consumo. È in questa coincidenza della vita con l’esperienza mercificata che opera il “biocapitalismo”, struttura sistemica complessa che mentre promette e permette l’esperienza della massima libertà possibile ci invischia nelle sue logiche, mostrando invece di assecondare le nostre. Il capitalismo si fa “esistenziale” nel momento in cui, abbracciando ogni ambito della vita, mostra di sostenere i nostri più reconditi desideri e i nostri più intimi bisogni. Il viaggio, l’esperienza dell’altro e dell’altrove come tensione e istinto umano innato, primordiale e forse primario, appare allora inevitabilmente corrompersi e commercializzarsi non appena si fa “esperienza turistica”. Il termine turismo, etimologicamente legato all’ideale aristocratico del Gran Tour, perde di fatto ogni legame con l’esperienza colta, coltivata, con l’idea di una crescita interiore attraverso l’esperienza. Con il romanticismo tale accezione viene assegnata al “viaggio”, che è 7 anche, e forse soprattutto, viaggio interiore, ricerca del proprio sé più autentico. Mentre il disprezzo altolocato per la democratizzazione presso le masse incolte ed ignoranti della pratica di viaggio finisce per attribuire al termine “turista” un’accezione negativa, puro intrattenimento per le classi rozze che farebbero meglio a continuare con le “lotte tra galli”. Ma è soprattutto la massificazione del turismo e la sua dimensione palesemente commerciale, testimoniata dall’evoluzione dell’industria turistica, ad associare anche al turismo la medesima critica mossa alla società dei consumi nel suo complesso. Una critica che arriva fino ad oggi e che vede nell’impresa materiale rappresentata dal viaggio turistico lo spazio per una commercializzazione dell’esistenza che appare tale proprio nel momento in cui le motivazioni turistiche vanno al di là del mero leisure, per farsi, appunto, maggiormente “esistenziali”. Bisogni profondi di conoscere e di conoscersi. Di ritrovare la dimensione relazionale, seppur altrove, come possibilità in atto in contesti “altri”, da parte di persone “altre”. Come possibilità di sperimentare possibili altrimenti nel contesto di una società che non ci offre tutto quello che ci promette. Soprattutto non ci offre la “felicità”, questa costante tensione cui ambiscono le società moderne. Il viaggio allora diventa tensione verso un luogo che non è tanto fisico o geografico, ma è soprattutto un contesto altro, diverso, un qualunque esotico mondo in cui appagare la nostra necessità di evasione. Un luogo che esiste innanzitutto nella nostra mente, che abbiamo sognato, che abbiamo immaginato o che “ci” hanno fatto immaginare. Il capitalismo esistenziale si nutre infatti innanzitutto di sogni, di bisogni dell’anima. Una lezione che hanno da tempo imparato gli addetti dell’industria culturale, i quali hanno capito fin troppo bene che il consumismo moderno non si nutre più tanto (o non solo) dell’invidia imitativa insita in una società fortemente stratificata, bensì dei bisogni esistenziali di una società individualizzata e funzionalmente organizzata. Per questo motivo, per quanto siano buoni e onorevoli i nostri sentimenti, l’incontro con l’altro rischia sempre di essere «mancato», di riflettere sempre e comunque l’immagine di noi stessi e dei nostri desideri. Così, l’attività turistica, come ogni attività di consumo, finisce per essere “egoistica” e tenere in poca considerazione le esigenze dell’altro e dell’altrove, mancando del rispetto che gli è dovuto. Questa consapevolezza, tuttavia, si fa strada nel più ampio panorama della “riflessività” che interessa le società tardo moderne attuali e tende ad una diffusione crescente dei paradigmi della sostenibilità anche nell’attività turistica. Un paradigma che, pur facendo riferimento in particolare ai rischi ambientali connessi alle conseguenze non previste della modernizzazione e dell’industrializzazione tecnologica, si va allargando ad un crescendo di ambiti trasversali, compreso quelli economico, sociale e culturale. Un paradigma allora, quello della sostenibilità, che va inteso soprattutto come crescente presa di coscienza e responsabilizzazione nei confronti delle conseguenze dell’agire razional-strumentale dell’uomo moderno. Una riflessività che sollecita di necessità una ripoliticizzazione degli ambiti di vita e di esistenza ampiamente colonizzati dal mercato e dalle sue logiche e che, quindi, proprio entro tali logiche trovano forme innovative di azione. 8 L’individualizzazione moderna è anche e forse soprattutto privatizzazione dei contesti vitali e di azione. Una formula che trova la sua massima espressione nella pervasività delle logiche di consumo attraverso le quali trova quindi anche naturale sfogo la sensibilità alla sostenibilità attraverso quella che è vista come una inedita “politicizzazione del consumo”. La quale si esplica nelle forme innovative dell’«azione collettiva individualizzata» e dell’«assunzione individualizzata di responsabilità». Una formula, quindi, che discosta la questione politica sia dalle tradizionali arene del dibattito pubblico, sia dai concetti tradizionali di azione collettiva, per fare maggiore riferimento piuttosto ad aspetti sistemici come la drammatizzazione mediatica dei rischi globali e la dinamica della domanda nei mercati globali. Tuttavia, nel turismo, il senso dell’azione individualizzata in direzione di una maggiore sostenibilità appare più complesso. In particolare, seppur conti molto la drammatizzazione mediatica dei rischi spesso innescati proprio dall’attività turistica oppure delle tragedie umanitarie che l’attività turistica, se praticata in un certo modo, potrebbe contribuire a risolvere, l’azione di consumo non è sempre connessa al suo contrario, cioè ad una industria fonte di tutti i mali. Molto spesso, infatti, quando ad essere “consumati” sono beni collettivi di natura fisica, come gli ambienti naturali, i paesaggi o i monumenti, oppure di natura culturale, come i popoli e le culture, i loro usi e costumi, ecc., non è tanto la presenza o meno dell’intermediazione dell’industria turistica che fa la differenza, bensì è la presenza stessa del turista, che distrugge tutto ciò che trova nel momento stesso in cui lo trova. In questo senso, l’azione sostenibile assume valenze fortemente “auto-riflessive” nel turismo che spingono molti a sostenere che, alla fine di tale processo, il turista dovrebbe giungere all’unica opzione possibile: desistere del tutto dai suoi intenti. Tuttavia, sottolineando anche le positività che il turismo come forma economica comporta, altri sostengono piuttosto che esso possa rivelarsi anche una opportunità, ovviamente se strutturato e gestito in modo adeguato. In altri termini, in linea con l’impostazione istituzionalmente più propagandata riguardo agli obiettivi di sostenibilità in generale, anche la sostenibilità nel turismo non dovrebbe rinunciare alle opportunità di sviluppo, anche se esse vanno radicalmente ripensate rispetto al passato. In questo senso, il concetto di sostenibilità viene in qualche modo depotenziato e relativizzato, per diventare, certo entro limiti fisici calcolabili e per molti versi stringenti, un’opportunità in mano alle comunità dei contesti locali per progettare un proprio modello di sviluppo o per ripensare lo sviluppo fin qui intrapreso. Molto spesso, infatti, l’aggettivo responsabile o sostenibile viene usato proprio per sottolineare le potenzialità del turismo nel contribuire allo sviluppo dei luoghi visitati, soprattutto quando questi si trovano in paesi poveri. Si tratta allora di organizzare uno sviluppo che sia in sintonia con le esigenze della comunità locale e che eviti da un lato squilibri nella ditribuzione delle risorse e, dall’altro, un impatto non aggressivo sulla comunità ospitante. In quest’ultima accezione, la responsabilità turistica passa forse più per la parte dell’offerta che della domanda, cioè riguarda la capacità dei contesti locali di progettare forme di turismo che vadano incontro alle proprie esigenze, intese come responsabilità 9 nei confronti del territorio e dei suoi beni, ivi compresa la comunità stessa, le sue tradizioni, le sue specificità. In un’ottica che vada comunque al di là del mero sviluppo economico e che anzi riesca a domarlo secondo una precisa pianificazione. La sfida diventa allora quella di incontrare quella domanda più sensibile e maggiormente disposta ad accettare un’offerta turistica così strutturata. I turisti più sensibili ad un turismo alternativo e responsabile certo, ma anche, soprattutto nei contesti occidentali, quei turisti più attenti alle tematiche ambientali e che cercano il contatto rigenerativo con la natura e gli ambienti incontaminati, come i cosiddetto ecoturisti. Oppure, ancor più in generale, quei turisti “interstiziali”, amanti dei contesti non battuti dai flussi turistici di massa, che cercano un contatto più diretto con i luoghi e le loro specificità. Turisti che cercano soprattutto nei contesti rurali e naturali una dimensione semi-spirituale che passa tanto per la suggestione dei paesaggi quanto per il contatto con una dimensione comunitaria rassicurante, nella quale il tempo sembra fermarsi e sembra possibile il riaffermarsi di valori considerati tradizionali. Nel momento in cui il desiderio di partire, di viaggiare, per trovarsi o ri-trovarsi, si fa più pressante, in un momento in cui la libertà di definirsi come biografia individuale viene insidiata dalle incertezze di un mondo globale, cresce anche il desiderio e la necessità di un punto fermo, di una qualsiasi Itaca cui tendere. Chi la trova sempre e comunque altrove e chi la trova invece a casa propria, nel contesto locale, da riscoprire nella sua identità, quella radicata nel passato e nella tradizione, così come nei contesti non palesemente artefatti, quali quelli naturali e rurali, nuovi centri di interesse ed attrazione turistica che, se da un lato possono rappresentare nella motivazione del turista una sorta di ricerca di un esotismo nostrano, dall’altra rappresentano anche, come dicevamo, un’importante opportunità di sviluppo per i contesti locali. Uno sviluppo che non ha bisogno di stravolgere gli equilibri del luogo ma anzi che da quegli stessi equilibri trova la propria linfa vitale. Nomadismo e radicamento, due tensioni da sempre contrapposte, finiscono per toccarsi come in un cerchio che si chiude. Ogni luogo non è più allora “tutti i luoghi” ma assume una propria specificità che lo contraddistingue da tutti gli altri. Una specificità che può essere valorizzata in termini spiccatamente responsabili e sostenibili sia nel senso “conservativo”, sia in un senso che tenga conto della dinamicità dei luoghi in quanto spazi vissuti ed in divenire. Ed è soprattutto in questo secondo senso che il ruolo partecipativo della comunità locale diventa l’ambito d’eccellenza di uno sviluppo “riflessivo” dei contesti locali. Quello che vogliamo cercare di capire allora, è come e perché proprio il turismo, quale forma peculiare di consumo esperienziale, può divenire, nella tarda modernità, la chiave di volta per uno sviluppo sostenibile degli ambiti locali in contesti di prima modernizzazione. L’ipotesi che viene formulata è che proprio il turismo responsabile e di comunità risulti essere l’elemento che, mentre àncora il territorio locale alla proprio identità che affonda nel passato, permette anche allo stesso di strutturare e costruire il proprio futuro, contribuendo affinché i contesti locali delineino autonomamente il proprio modello di sviluppo. 1 0

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LA SOCIETÀ DEI CONSUMI E IL CONSUMO DELL'ESPERIENZA. 1. postmoderno è alla perenne «ricerca di se stesso» e, proprio per questo, lo scrittore brittannico Aldous Huxley ne “Le porte della percezione” (1954) .. La filosofia di fondo dell'Agenda 21 locale è che le grandi problematiche
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