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Lenin sul parito PDF

55 Pages·1970·1.786 MB·Italian
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ANTONIO CARLO LENIN SUL PARTITO CD DE DONATO EDITORE 1 1 Lenin su l Partito Questo ebook è stato realizzato e condiviso per celebrare il Centenario della Rivoluzione russa 1917-2017 A C n t o n i o a r l o L P e n i n s u l a r t i t o Indice 02 Introduzione 04 Le primitive posizioni di Lenin (1895-1896) 08 La svolta del 1897 e le opere che precedono il Che fare? 13 Le tesi del Che fare? 16 Le tesi del Che fare? ed il marxismo 19 Le incongruenze logiche e storiche del Che fare? 23 La polemica sul Che fare? nella socialdemocrazia 26 II 1905 e la svolta di Lenin 29 II consuntivo della svolta leniniana. La sostanziale ritrattazione delle tesi del Che fare? 32 Lenin nel 1917.1 Soviet e Stato e rivolutone 36 La svolta burocratica del 1919-1920 40 II tentativo di sintesi degli ultimi anni. La lotta alla burocrazia 43 Conclusioni e premesse 44 Appendice 1. Louis Althusser tra Hegel e la teoria delle élites 48 Appendice 2. Messa a punto critica sul problema del partito nei confronti dei trockisti 51 Appendice 3. Il prof. Milliband e le tesi del Chefare? Alcune precisazioni De Donato editore, Bari 1970 Antonio Carlo Introduzione È senza dubbio di grande interesse, oggi, ricostruire il pensiero di Lenin sul rapporto avanguar­ dia-masse. In genere si ritiene che le tesi definitive di Lenin sul problema siano espresse nel cele­ bre Che farei, opera, come si sa, assai discussa. Per alcuni il Che farei rimane in ogni caso l’unica ri­ sposta scientifica che sia stata data al problema del passaggio da “classe in sé” a “classe per sé”,1 non sufficientemente sviluppato da Marx ed Engels; per altri, invece, questo lavoro impregnato di intellettualismo e di idealismo e divenuto un classico dell era staliniana, sarebbe alla radice di tutte le deviazioni burocratiche dell’esperienza sovietica.2 A nostro avviso, senza dubbio, il Che farei è un’opera negativa; ma è assolutamente errato vedere in essa l’unica e la piu importante posizione di Lenin sul rapporto avanguardia-masse. In realtà il pensiero del rivoluzionario russo è su questo punto estremamente tormentato e contraddi ttorio: dopo il 1902 (anno del Che fare?), infatti, esi­ stono una serie di analisi e di asserzioni del tutto contrastanti con le tesi del Che farei e che impli­ cano il loro obbiettivo abbandono (del resto anche il punto di partenza di Lenin era ben diverso). E difficile dire fino a che punto Lenin fosse cosciente di questo revirement; che fu ampiamente in­ dotto e condizionato dallo sviluppo storico del movimento operaio russo. Certo Lenin, come an­ che Marx, non fu un pensatore senza contraddizioni. Egli subi uno sviluppo e ciò implica, in ge­ nere, che certe analisi precedentemente fatte vengano superate e messe da parte. Di questo svi­ luppo Lenin non sempre ebbe chiara coscienza: a lui, come a Marx, mancò una “scienza della propria scienza”; sicché l’interprete deve necessariamente fare capo alle analisi contenute obbiet­ tivamente nelle sue opere per vedere fino a che punto esse siano riconducibili nell’ambito di un sistema concettuale non contraddittorio. Sotto questo aspetto non mancano alcuni fuggevoli accenni in Lenin: nel 1921 sembra che Le­ nin dicesse al marxista francese Max Levien che il Che farei poteva essere tradotto in francese solo con la prefazione di un autorevole bolscevico, che chiarisse i dubbi e gli equivoci che l’opera po­ teva ingenerare.3 La testimonianza è senza dubbio verosimile poiché nel 1907 lo stesso Lenin ave­ va ammesso che sul problema del rapporto spontaneità-coscienza (tema centrale del Chefare?) egli aveva usato frasi non molto precise e non molto felici alle quali i suoi contraddittori (soprattutto Plechanov) si erano appigliati.4 5 Su questo punto, come vedremo, Lenin è piuttosto ambiguo (quali sono le particolari frasi in­ felici e fino a che punto lo sono?); sennonché, fin dal 1905 il grande bolscevico riteneva il Che fa­ re? Un’opera scritta quanto meno in condizioni storiche superate, il che implica che solo tre anni dopo la pubblicazione di quell’opera, lo sviluppo delle polemiche e dei fatti era stato tale che Le­ nin non riteneva piu di poter difendere l’attualità storica delle teorizzazioni espresse nel Chefarei? 1 Queste, come è noto, sono le tesi dei vari gruppi neo-stalinisti; ad es., in Italia, del gruppo che fa capo a Lavoropobtico. 2 Ciò è stato di recente sostenuto nell’editoriale di Classe e stato n. 5 (“Praga: la dialettica della restaurazione”, pp. 9 segg.). Le critiche da sinistra a Lenin si riallacciano in genere alle critiche della Luxemburg (su cui ritorneremo) e di Korsch (v. K. KORSCH, Anticritica, in Marxismo e filosofia, Milano, 1966, pp. 7 segg.). Anche per moltissimi altri scrittori il Che farei contiene Tultima parola di Lenin sul partito: cff. ad esempio G. H. SABINE, Storia delle dottrine politiche, Milano, 1964, pp. 637 segg.; H. MEYER, Il leninismo, Milano, 1965, pp. 31 segg.; L. GRUPPI, “Introduzio­ ne” a LENIN, Chefarei, Roma 1968, pp. 7 segg. 3 Su questo punto v. AMODIO, “Il contrasto Lenin-Rosa Luxemburg sull’organizzazione del partito”, in Quaderni pia­ centini, n. 21, p. 12 in nota. 4 LENIN, Dodid anni, in LENIN, Opere, vol. XIII, Roma, 1965, p 94. 5 LENIN, I nostri compiti e il Soviet dei deputati operai, in LENIN, Opere, vol. X, Roma, 1961, p. 12. 2 Lenin sul Partito Senza dubbio, oggi, ricostruire ì processi psicologici di Lenin non è certo possibile e non è possibile sapere con esattezza ciò che egli pensasse della sua opera qui esaminata; ma è ormai in­ controverso che il pensiero di un autore abbia una propria portata ed un proprio significato og­ gettivi, indipendentemente da quello che ne pensi il suo creatore. Il nostro lavoro è proprio rivol­ to a questo, a ricostruire, cioè, nel suo ambiente storico, lo sviluppo tortuoso del pensiero di Le­ nin indipendentemente dalla coscienza che egli potesse avere del carattere contraddittorio delle sue formulazioni. 3 Antonio Carlo Le Primitive Posizioni di Lenin (1895-1896) In genere la storiografia ufficiale sovietica rappresenta Lenin come un individuo infallibile, assolu­ tamente coerente, che capisce sempre tutto prima di tutti e che risolve con anni di anticipo quello che i comuni mortali non sono in grado di risolvere: in questa maniera la figura di un gigantesco rivoluzionario, il cui pensiero si sviluppa in continua (e sempre aperta e problematica) dialettica con la stona, viene trasformata in quella del santo protettore della rivoluzione.6 Non sarà questo il nostro metodo. Noi, anzi, cercheremo di chiarire come il pensiero di Lenin sia, su questo punto, quanto mai tortuoso e come esso abbia risentito dell’ambiente storico in cui ha operato e delle sue modificazioni. I primi scritti di Lenin sul nostro tema, risalenti al 1895, indicano un punto di partenza del tut­ to opposto a quello del Che fare?: fondamentale è sotto questo aspetto il Progetto e spiegatone del pro­ gramma delpaHito soàalista democraticoJ In questo lavoro Lenin si pone il problema dei compiti della costituenda socialdemocrazia rus­ sa: essa deve sviluppare la coscienza di classe del proletariato; tuttavia non si ritiene in alcun mo­ do che questa coscienza debba essere elaborata e portata dall’esterno agli operai; essa in realtà na­ sce nella fabbrica, dal rapporto operaio-padrone, e si sviluppa “ineluttabilmente” nella lotta eco­ nomica, sicché il compito dei socialdemocratici è quello di inserirsi in questa lotta e sostenerla, in maniera da aiutare lo sviluppo interno della coscienza della classe operaia.8 Le tesi di Lenin sono cosi chiare che lasciamo a lui la parola: “La lotta degli operai di fabbrica si trasforma quindi, ineluttabilmente nella lotta contro tutta la classe dei capitalisti, contro l’intiera struttura sociale fondata sullo sfruttamento del lavoro da parte del capitale.”9 Dalla lotta degli operai, dunque scaturisce “ineluttabilmente” una coscienza che non è tradeu- nionista semplicemente (come Lenin sosterrà nel 1902, distinguendo esplicitamente la coscienza e la politica socialdemocratica da quella tradeunionista), poiché la classe non lotta contro alcuni a- spetti particolari del capitalismo (salan bassi o cattive condizioni di lavoro) ma contro tutta la struttura capitalistica: fin dalla lotta economica, dunque, matura una coscienza rivoluzionaria. Po­ co piu avanti Lenin riassumendo scrive: Gli operai acquisiscono una coscienza di classe quando comprendono che l’unico mezzo per migliorare la propria situazione e per conseguire la loro emancipazione sta nella lotta 6 Un caso di questo genere è dato dalla biografia di Lenin curata da un gruppo di storici sovietici. Cfr. A.A.V.V., Le­ niti, Roma, 1961. 7 LENIN, Opere, vol II, Roma, 1955, pp. 83 segg. * LENIN, Opere, op cit., pp. 86 segg., in particolare pp 94 segg.. 9 LENIN, Opere, op cit., p. 97. A Lenin sul Partito contro la classe dei capitalisti e dei fabbricanti, classe che è stata creata dalle grandi fabbri­ che e officine. Inoltre, coscienza degli operai significa comprensione del fatto che gli interessi di tutti gli operai di un dato paese sono identici, solidali, che gli operai costituiscono un’unica classe, diversa da tutte le altre classi della società. Infine coscienza di classe degli operai significa consapevolezza del fatto che, per raggiungere i propri scopi, gli operai devono necessa­ riamente poter influire sugli affari dello Stato, come già hanno fatto e continuano a fare i proprietan terneri ed i capitalisti. In che modo gli operai acquisiscono consapevolesga di tutto questo? Gli operai dacquisiscono attingendola incessantemente dalla stessa lotta che cominciano a condurre contro i fabbricanti e che si estende sempre di­ viene sempre piu aspra e coinvolge un numero sempre maggiore di operai mano a mano che si moltiplicano le grandi fabbriche ed ojfiäne. In ter%o luogo questa lotta sviluppa la cosden^apolitica degli operai. Le masse operaie sono poste dalle loro stesse condizioni di vita in una situazione tale che (non possono) non hanno né tempo né modo di riflettere su una qualsiasi questione politica. Magli operai nel corso della lotta che essi condu­ cono contro i fabbricanti per' le loro necessità quotiàane, sono indotti in modo spontaneo ed inevitabilmente ad in­ teressarsi degli affari dello Stato, dei problemi politià, ad esaminare, doè, come è governato lo Stato russo, come vengono promulgate le leggi ed i regolamenti ed a quad interessi essi servono. Ogni vertenza di lavoro pone necessa­ riamente gli operai in confitto con le leggi ed i rappresentanti del potere stat alef Da questi brani di Lenin appare chiaro come la coscienza politica nasce “in modo spontaneo ed inevitabile” dalla vita e dalle lotte di fabbrica. È da queste lotte che il lavoratore è portato ad una posizione radicalmente antagonistica con il capitalismo (la lotta a “tutta” la struttura sociale capi­ talistica cui prima accennava Lenin), ed a capire la natura di classe della legge e dello Stato. Lo sbocco immediato di queste lotte è la consapevolezza che bisogna influenzare “la politica dello Stato russo”; ma ciò può avvenire solo, nota Lenin, attraverso Pacquisizione dei diritti poli­ tici garantiti dalla Costituzione (e cioè attraverso Pabbattimento dell’autocrazia zarista).10 11 Questo tipo di coscienza (lotta per distruggere l’autocrazia) è coscienza politica socialde­ mocratica e non v’è dubbio che essa per il Lenin del 1895-1896 trovi la sua fonte nel rapporto e nelle lotte di fabbrica, poiché è da esse che l’operaio comprende “quali interessi” servano le leggi e lo Stato e quindi la loro natura classista e la necessità della lotta per i diritti politici. Nel Chefane?y invece, Lenin sosterrà: La coscienza politica di classe può essere portata all’operaio solo dall’esterno, cioè dall’esterno della lotta economica, dall’esterno della sfera dei rapporti operai-padroni. Il so­ lo campo dal quale è possibile attingere questa coscienza è il campo dei rapporti di tutte le classi e di tutti gli strati della popolazione con lo stato e con il governo, il campo dei rap­ porti reciproci di tutte le classi.12 10 LENIN, Opere, op. cit, p. 103. 11 LENIN, Opere, op. cit., p. 108. 12 LENIN, Che fan?, in LENIN, Opere, vol. V, Roma, 1958, pp. 389-90. Antonio Carlo Del tutto opposto è, come si è visto, il punto da cui parte il Lenin di sette anni prima per cui la funzione del partito è quella di aiutare lo sviluppo della coscienza inserendosi nelle lotte di fabbri­ ca da cui verrà fuon ineluttabilmente e 1 avversione del lavoratore a tutta la struttura capitalistica (e non solo ad alcuni aspetti secondari della stessa, come nel tradeunionismo) e la sua volontà di lotta contro 1 autocrazia e per la Costituzione (in maniera da garantirsi un terreno di lotta piu a- vanzato). E chiaro, però, che questa impostazione, che vede coscienza ed organizzazione politica del proletariato come frutto ineluttabile e quindi spontaneo delle lotte sindacali è affine sostan­ zialmente all’economicismo, anche se Lenin si pone il problema di accelerare questo processo “i- neluttabile”. Questo è ultenormente provato da ciò che Lenin scrive poco dopo, nel 1896: Gli scioperi del 1895-1896 non sono passati invano, essi hanno reso un grande servigio agli operai russi, mostrando loro come si deve lottare per i propri interessi. Essi hanno educato gli operai a comprendere la situazione politica e le esigenze politiche della classe operaia.13 Gli scioperi, quindi, generano la coscienza politica; né Lenin distingue qui, come farà qualche an­ no piu tardi, tra coscienza politica rivoluzionaria e tradeunionista. Si pone dunque il problema della collocazione storica delle posizioni originarie di Lenin. Ora ci sembra indubbia l’influenza sul giovane Lenin del pnmitivismo dominante nei circoli socialisti russi dal 1894 al 1901. Il primitivismo, come chiarirà lo stesso Lenin, affrontava il problema della lotta operaia in maniera artigianale ed approssimativa (di qui il nome “primitivismo”): i rappre­ sentanti dei circoli, cioè, si buttavano a capofitto nella lotta operaia (economica), senza porsi pre­ liminarmente il problema di formare una salda e centralizzata organizzazione di rivoluzionari. Questa tendenza, poi, partoriva anche una propria teoria, che giustificando l’agire spontaneo e di­ sorganizzato dei circoli, di fatto sottometteva alla spontaneità il movimento, che veniva “congela- to” al suo livello iniziale.14 Lenin definirà il primitivismo, nel 1901, come la radice delPeconomicismo e di ogni forma di spontaneismo, e perciò il nemico principale da battere.15 Un anno dopo farà un’analisi del fenomeno che in parte suona come autocritica. Infatti, alla do­ manda: “che cosa è il primitivismo?”, Lenin nsponderà esemplificando in base all’attività di un tipi­ co circolo russo nel periodo 1894-1901; ed è notorio che nel periodo 1894-1895 Lenin stesso fosse politicamente legato ad un “tipico” circolo socialdemocratico (Ifunione di lotta dà Pietroburgo). Vero è che in precedenza l’autore del Che farei ha posto in luce che vi erano in Russia sin dal 1895 elementi socialdemocratici (tra cui lui stesso) che miravano alla costituzione del partito; ma egli pone in luce, nel contempo, gli errori e le ristrettezze di questo “primitivo” lavoro di natura artigianale.16 Anche, dunque, dalle stesse ammissioni di Lenin risulta come egli fosse all’epoca coinvolto nel “primitivismo”: certo nell’ambito di questo fenomeno Lenin aveva una posizione molto avanzata, 13 LENIN, Al governo arista, in LENIN, Opere, vol. II cit., p. 118. 14 LENIN, Che farei, op. cit., pp. 409 segg. e 411 segg. 15 LENIN, Lettera a Zederbaum, in LENIN, Opere, vol. XXXIV, Roma, 1955, p. 60. 16 LENIN, Che fare?, op. cit., pp. 347-348. Anche in altra occasione Lenin rileva il carattere primitivo ed artigianale del proprio lavoro in quell’epoca: cfr. LENIN, Progetto di Programma del nostro partito, in LENIN, Opere, vol. IV, Roma, 1957, p. 232. 6 Lenin sul Partito avendo compreso Pimportanza immediata del problema del partito;17 tuttavia è indubbio che egli vedesse il problema del sorgere della coscienza rivoluzionaria come un effetto spontaneo- meccanico della lotta di fabbrica; compito dei socialdemocratici era solo quello di accelerare que­ sto fenomeno visto chiaramente in chiave spontaneista.18 E bene precisare che qui non si ritiene certo affermare il carattere esterno, rispetto alla lotta di classe elementare, della coscienza (sul modello del Chefareì)\ tuttavia lo spontaneismo primitivo di Lenin cade nelPeccesso opposto. In altri termini, se è vero che la coscienza rivoluzionaria può na­ scere solo sul terreno della lotta di classe degli operai (sia interna sia intemazionale) e non può importarsi dalPestemo, è anche vero che in ogni dato momento storico il passaggio dalla lotta di classe elementare alla coscienza non avviene in maniera meccanica né “ineluttabilmente”. Come vedremo piu oltre,19 il processo in esame è un processo dialettico, il cui sbocco, proprio per que­ sto, non è determinato “a priori” (secondo la prospettiva meccanico-spontaneista). La coscienza politica di classe può nascere solo sul terreno della lotta operaia ma non “necessariamente”. Lo sbocco del processo è sempre possibile, ma mai dovuto (o garantito) aprioristicamente. 17 Nell’ambito dei circoli il problema del partito non era sottovalutato poiché il tentativo di dar vita ad un partito na­ sce da essi (nel 1898); tuttavia gli spontaneisti vedono il partito come conseguenza automatica del movimento e sono portati a dargli una struttura decentralizzata (una federazione di circoli) del tutto disadatta alla lotta contro Tautocrazia. Soprattutto per il prevalere di questa tendenza il tentativo del 1898 rimase sulla carta. 18 Cff. i brani citati alle note 8, 9,10. 19 V. i capitoli “Le incongruenze logico storiche del Chef are?' e “La polemica della socialdemocrazia sul Chef are?'. 7 Antonio Carlo La svolta del 1897 e le opere che precedono il Che fare? Nel corso del 1897 si verifica qualcosa di nuovo nel nascente movimento operaio russo: i grandi scioperi del 1895-1896 sono terminati con un bilancio nettamente passivo poiché da essi non sembra siano nati spontaneamente né la coscienza né il partito politico. L’unico nsultato tangibile, ad un anno di distanza (1897), è una legge-aborto sulle condizioni e gli orari di lavoro in fabbrica. Come sempre accade, però, i fatti precedono la coscienza, ed il primitivismo per quanto battu­ to nei fatti resiste tenacemente nella coscienza dei nascenti gruppi (e circoli) socialdemocratici. Non solo, esso genera addirittura la corrente politica delPeconomicismo, che ne precisa ed artico­ la le posizioni e che tende ad istituzionalizzare le esperienze del 1895-1896. Lenin, d’altro canto (ed in questo già si rivela il grande rivoluzionario pronto a recepire la le­ zione dei fatti), comincia a porsi il problema della insufficienza della mera azione economico- sindacale. In occasione della nuova legge sulle fabbnche egli scrive un opuscolo dedicato all’analisi critica di essa. Le conclusioni sono decisamente negative: la legge, che segue gli scioperi del 1895-1896, non solo offre una serie di scappatoie ai datori di lavoro ma in sostanza non modifica il numero di ore lavorative globale erogato dalla classe operaia, sicché il principale obbiettivo del movimen­ to degli scioperi è fallito.20 E tuttavia positivo che il governo abbia dovuto fare, seppure formalmente, delle concessioni; sicché si avvicina il momento in cui “queste masse guidate dal solo partito socialdemocratico por­ ranno tutte assieme le loro rivendicazioni” ed “il governo non se la caverà con una concessione cosi insignificante”.21 22 Solo il partito, dunque, per la cui costituzione esiste ormai la precondizione necessana (il fatto che il movimento non ha piu carattere pietroburghese ma nazionale), può assicurare alle lotte e- conomiche dei lavoratori uno sbocco politico adeguato. Senza il partito anche le semplici lotte sindacali non producono che concessioni insignificanti. Il ca­ rattere essenziale del partito, anche nell’ambito delle lotte economico-sindacali, nonché la rilevanza autonoma della fase politica sono qui sottolineati con un vigore a nostro avviso pnma assente. Verso la fine del 1897 Lenin riprende e chiarisce il tema di fondo del lavoro precedente in un opuscolo di indubbia importanza: I compiti dei socialdemocratici russi}1 Qui si sottolinea 20 LENIN, La nuova legge sulle fabbriche, in LENIN, Opere, vol. II cit., p. 257 segg. 21 LENIN, op ult. cit., p 292. Già in precedenza Lenin (Progetto..., op. cit., p. 108) aveva notato come il governo era costretto a fare concessioni agli operai disorganizzati, sicché col sorgere dell’organizzazione socialdemocratica le cose sarebbero senza dubbio migliorate. Nell’ultimo lavoro da noi esaminato, però, si pone l’accento sul carattere aleatorio ed inutile di queste concessioni e quindi sui limiti della lotta di fabbrica, con un vigore del tutto nuovo ri­ spetto ai lavori dell’anno prima, incentrati invece essenzialmente sulla lotta economica, da cui sarebbe derivata ine­ luttabilmente la coscienza 22 LENIN, Opere, vol. II cit., pp 317 segg. 8 Lenin sul Partito l’importanza e l’autonomia della lotta politica, che nei lavori del 1895-1896 era vista come con­ seguenza necessaria e riflessa della lotta economica e, quindi, subordinata sostanzialmente a questa. Scrive, infatti, Lenin: Sia l’agitazione economica sia quella politica sono parimenti importanti per sviluppare la coscienza di classe del proletariato; l’una e l’altra sono parimenti indispensabili come guida della lotta di classe degli operai russi, giacché ogni lotta di classe è lotta politica.23 Se la coscienza politica (e quindi la lotta politica) fosse ancora considerata come un riflesso spon­ taneo e meccanico della lotta economica non ci sarebbe stato bisogno di sottolineare l’importanza autonoma e paritaria del momento politico. Non solo, ma Lenin precisa - con uno spunto che anticipa il Che farei — che mentre nella lotta economica l’operaio entra in conflitto con i soli capi­ talisti, nella lotta politica egli entra in contatto con tutte le altre classi della popolazione.24 25 È bene però precisare che I compiti... sono ancora un lavoro per così dire di transizione, poiché la lotta economica non è ancora subordinata a quella politica (come nel Che farei)?* ma vi ha una importanza pari. Inoltre la coscienza non viene portata al proletariato dall’esterno, da un gruppo di intellettuali borghesi che l’abbiano elaborata al di fuori del terreno economico-politico. Lenin, anzi, fa degli intellettuali un’analisi abbastanza pessimistica, da cui si arguisce che essi devono es­ sere egemonizzati dal proletariato (sicché non possono certo considerarsi ì portatori della co­ scienza del proletariato): Gli uomini colti, gli intellettuali in generale, non possono non insorgere contro la selvaggia repressione poliziesca dell’assolutismo che strozza il pensiero e la scienza, ma i loro interes­ si materiali li legano all’assolutismo, alla borghesia, li costringono ad essere incoerenti ed a stipulare compromessi, a vendere il loro ardore di oppositori e rivoluzionan per uno sti­ pendio statale o per la partecipazione a profitti e dividendi.26 Dopo il 1897 la situazione in Russia tende a stagnare e ad “incancrenirsi”. Nel 1898, il tentativo “primi ti vis ta” dei circoli di costituire il partito dal basso fallisce dando origine solo ad una federa­ zione, per nulla unitaria, di circoli del tutto decentrati ed autonomi, in cui allignano le varie forme di spontaneismo.27 28 Lenin, dunque, (ed altri intellettuali che avevano le sue stesse esigenze) dà inizio ad una pole­ mica con lo spontaneismo che culminerà, poi, nel Che farei e nel II Congresso (in realtà il I) del partito. Può darsi anche che nel corso del suo forzato abbandono della politica attiva (tra il 1895 ed il 1899 Lenin è prima in galera poi al confino) che, però, segue da vicino, Lenin, che sta scrivendo il suo monumentale Lo sviluppo del capitalismo in Russia™ sia stato naturalmente portato ad accen- 23 LENIN, Opere, vol. II cit, pp. 322. 14 LENIN, Opere, vol. II cit., pp. 323 25 Sul Che fare? vedi il V capitolo di questo lavoro. 26 LENIN, I compiti..., op. cit., p. 325. 27 Su questo punto vedi P. BROUÈ, Storia del partito comunista deirU.R.S.S., Milano, 1966, pp. 32-33; R SCHLESINGER, Il partito comunista deirU.R.S.S., Milano, 1962, pp. 41-42. 28 LENIN, Opere, vol III, Roma, 1956. 9

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