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L'enigma di Marte PDF

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Graham Hancock – Robert Bauval John Grisby L’enigma di marte Titolo originale The Mars Mystery Traduzione di Lucia Corradini © 1998 Graham Hancock, Robert Bauval. John Grisby © 1999 Casa Editrice Corbaccio Edizione Mondolibri S.p.A. – Milano su licenza Casa Editrice Corbaccio NOTE DI COPERTINA Marte è un pianeta avvolto nel mistero che da sempre infiamma l’immaginazione dell’umanità. E sono alcuni dei suoi segreti che, strettamente legati al nostro pianeta, potrebbero custodire messaggi di estrema importanza per il nostro futuro. Il Pianeta Rosso è un mondo che oggi appare devastato da una catastrofe terrificante. È un luogo infernale, spietato, spoglio, invivibile. Ma non è stato sempre così. Nel 1996 la NASA ha annunciato di aver trovato tracce di microrganismi in un meteorite staccatosi da Marte 13.000 anni fa. E questo non è l’unico indizio che può indurre a ritenere che, in un tempo lontanissimo, ci sia stata vita su quel pianeta. Venti anni prima il modulo orbitale Viking 1 aveva fotografato il cosiddetto «Volto» e le «piramidi», strutture che sembrano scolpite sulla superficie di Marte e che, incredibilmente, hanno caratteristiche assimilabili a quelle delle piramidi terrestri. L’enigma di Marte presenta le ultime prove scientifiche di una pericolosa minaccia che si aggira nel sistema solare: i frammenti di una gigantesca cometa che 20.000 anni fa hanno bombardato e «ucciso» Marte. E mentre sulla Terra sembrano farsi sempre più numerose le testimonianze di una precedente civiltà che ha abitato il nostro pianeta prima di essere distrutta da un cataclisma, gli autori studiano le molteplici possibilità che una civiltà, altrettanto progredita, possa essere stata spazzata via dal Pianeta Rosso dalla stessa terribile catastrofe. Faremo anche noi la stessa fine? Cosa possono insegnarci le più recenti ricerche condotte su Marte? Nel giungere alle loro straordinarie conclusioni, gli autori si trovano coinvolti in una rete di coincidenze, avvenimenti insoliti e intrighi che inducono a porsi pressanti domande riguardanti la NASA, il governo degli Stati Uniti, i lavori clandestini che si svolgono nella piana di Giza in Egitto… e soprattutto il nostro passato e il nostro futuro. GRAHAM HANCOCK Sociologo e giornalista, è il celebre autore dei best-seller Impronte degli dei (13 ristampe), Specchio del cielo e Custode della genesi (3 ristampe), scritto a quattro mani con Robert Bauval. ROBERT BAUVAL Ingegnere e scrittore, è autore anche di Il mistero di Orione, altro grande successo (6 ristampe). JOHN GRIGSBY È uno storico, archeologo e studioso di miti. INDICE PARTE I: IL PIANETA ASSASSINATO 1 Un mondo parallelo 2 C’è vita su Marte? 3 La madre della vita 4 Il pianeta Giano PARTE II: IL MISTERO DI CYDONIA 5 Incontro ravvicinato 6 Una probabilità su un milione 7 L’enigma Viking 8 Gesù in una tortilla 9 Il Volto che ricambia lo sguardo 10 Ozymandias 11 I compagni del Volto 12 La pietra filosofale 13 Coincidenze PARTE III: OCCULTAMENTI 14 Disinformazione 15 Camera oscura 16 Le città degli dei 17 Il serpente piumato, l’uccello di fuoco e la pietra PARTE IV: L’OSCURITÀ E LA LUCE 18 La Luna in giugno 19 Segni nel cielo 20 Apocalypse Now 21 Incrocio Terra 22 Pesci nel mare 23 Viaggio sull’abisso 24 Il visitatore che viene dalle stelle 25 Il toro del cielo 26 Stella buia Nota degli autori L’enigma di marte PARTE I IL PIANETA ASSASSINATO I UN MONDO PARALLELO Benché siano separati da decine di milioni di chilometri di spazio vuoto, tra Marte e la Terra esiste un misterioso legame. Tra i due pianeti si sono verificati ripetutamente scambi di materiali: i più recenti riguardano astronavi inviate dalla Terra e sbarcate su Marte fin dall’inizio degli anni Settanta. Inoltre, in base alle nostre conoscenze attuali, possiamo dire che grossi detriti rocciosi si staccano da Marte e cadono periodicamente sulla Terra. Nel 1997 una dozzina di meteoriti è stata identificata con assoluta certezza come proveniente da Marte in base alla composizione chimica. Tecnicamente si tratta di meteoriti «SNC» (da «Shergotty», «Nakhla» e «Chassingy», i nomi assegnati ai primi tre meteoriti di questo genere che è stato possibile reperire) e studiosi di tutto il mondo stanno cercandone altri. Il dottor Colin Pillinger del Planetary Sciences Research Institute del Regno Unito ha calcolato che «ogni anno arrivano sulla Terra più di cento tonnellate di materiale proveniente da Marte». Uno dei meteoriti di Marte, ALH84001, fu rinvenuto in Antartide nel 1984. E’ composto da sottili strutture tubolari per le quali, nell’agosto del 1996, gli scienziati della NASA hanno trovato la seguente, sensazionale definizione: «È possibile che si tratti di fossili microscopici di organismi simili a batteri vissuti su Marte più di 3,6 miliardi di anni fa». Nell’ottobre del 1996 gli scienziati dell’«università aperta» britannica annunciarono che era stato trovato un secondo meteorite di origine marziana, EETA7901, contenente a sua volta tracce chimiche di vita, in questo caso ancor più sorprendenti: «organismi che potrebbero essere vissuti su Marte in un tempo relativamente recente, cioè 600.000 anni fa». Semi di vita Nel 1996 la inviò su Marte due sonde, Mars Pathfinder, un modulo di NASA atterraggio con un veicolo telecomandato (lander/ rover), e Mars Surveyor, un modulo orbitale (orbiter). Per il 2005 sono previste altre missioni, allo scopo di tentare di raccogliere un campione della superficie rocciosa o del suolo di Marte per poi portarlo sulla Terra. Anche Russia e Giappone stanno mandando sonde su Marte per intraprendere una serie di test e di esperimenti scientifici. Con termini temporali più lunghi si fanno progetti di terraforming, ossia «terraformare» il Pianeta Rosso. Questo implicherebbe l’introduzione di gas prodotti in serre e di comuni batteri provenienti dalla Terra. Nel corso dei secoli gli effetti termici dei gas e i processi metabolici dei batteri trasformerebbero l’atmosfera di Marte, rendendola abitabile da specie sempre più complesse o introdotte o evolutesi localmente. Quante probabilità ci sono che l’umanità riesca a «seminare» la vita su Marte? Apparentemente si tratta soltanto di trovare il denaro occorrente. La tecnologia necessaria per realizzare l’impresa, invece, esiste già. Paradossalmente, tuttavia, l’esistenza di vita sulla Terra stessa rimane uno dei grandi misteri irrisolti della scienza. Nessuno sa quando, come o perché ebbe inizio. Sembra che sia esplosa improvvisamente, dal nulla, in una fase molto antica della storia del pianeta. Benché si ritenga che la Terra si sia formata 4,5 miliardi di anni fa, le rocce più antiche che ancora rimangono sono relativamente più recenti, risalendo infatti a 4 miliardi circa di anni fa. Sono state rinvenute anche tracce di organismi microscopici databili a 3,9 miliardi di anni fa. Questa trasformazione della materia inanimata in vita è un miracolo che da allora non si è mai ripetuto, e neppure i più evoluti laboratori scientifici sono in grado di replicarlo. Dobbiamo veramente credere che una simile, sorprendente manifestazione di alchimia cosmica si sia verificata per caso soltanto nelle prime, poche centinaia di milioni di anni della lunga esistenza della Terra? Alcune ipotesi Il professor Fred Hoyle dell’università di Cambridge non la pensa così. E’ convinto infatti che l’origine della vita sulla Terra a una distanza temporale tanto breve dalla formazione del pianeta dipenda dal fatto che è stata importata dall’esterno del sistema solare su grandi comete interstellari. Alcuni frammenti entrarono in collisione con la Terra, liberando germi rimasti in stato di morte apparente nel ghiaccio delle comete. I germi si diffusero e attecchirono in tutto il pianeta di recente formazione che ben presto risultò densamente colonizzato da microrganismi particolarmente resistenti, in grado di compiere un’evoluzione lenta ma diversificata… producendo alla fine l’immensa varietà di forme di vita che oggi conosciamo. Una teoria alternativa e più radicale, sostenuta da un certo numero di scienziati, è che la Terra sia stata deliberatamente «terraformata» 3,9 miliardi di anni fa… proprio come ora noi stiamo accingendoci a «terraformare» Marte. Questa teoria presuppone l’esistenza di una civiltà evoluta sviluppatasi su una stella itinerante (oppure, più probabilmente, di molte civiltà di questo genere) che abbia percorso l’intero universo. Alla maggior parte degli scienziati, tuttavia, non sembra necessario chiamare in causa comete o alieni. Secondo la loro teoria, che è quella più ampiamente condivisa, la vita nacque sulla Terra accidentalmente, senza interferenze esterne. Inoltre, in base a calcoli sulle dimensioni e la composizione dell’universo accettati quasi unanimemente, risulta probabile che ci siano centinaia di milioni di pianeti come la Terra disseminati a caso attraverso miliardi di anni luce di spazio interstellare. Questi scienziati fanno notare quanto sia improbabile che, in mezzo a tanti pianeti ugualmente adatti, la vita si sia evoluta soltanto sulla Terra. Perché non Marte? Nel nostro sistema solare il pianeta più vicino al Sole, ossia il piccolo Mercurio sempre in fermento, è ritenuto poco congeniale a qualsiasi forma di vita immaginabile. Lo stesso vale per Venere, il secondo pianeta in ordine di distanza dal Sole, dove nuvole tossiche si sprigionano per ventiquattro ore al giorno da una concentrazione di acido solforico. La Terra è il terzo pianeta in ordine di distanza dal Sole. Il quarto è Marte, indiscutibilmente il più «simile alla Terra» tra i pianeti del sistema solare. L’inclinazione dell’asse marziano è pari a 24,935 gradi rispetto al piano della sua orbita attorno al Sole (l’asse della Terra è inclinato di 23,5 gradi). Marte compie una rotazione completa attorno al proprio asse in 24 ore, 39 minuti e 36 secondi (il periodo di rotazione della Terra è di 23 ore, 56 minuti e 5 secondi). Come la Terra, è soggetto all’oscillazione assiale ciclica che gli astronomi chiamano precessione e, analogamente al nostro pianeta, non è una sfera perfetta, ma è leggermente schiacciato ai poli e il suo piano equatoriale è molto inclinato sull’orbita. Al pari della Terra, ha quattro stagioni, ha calotte polari ghiacciate, montagne, deserti e tempeste di polvere. E sebbene oggi Marte sia assolutamente gelido e invivibile, esiste la prova che, in tempi molto antichi, era vivo, con oceani e fiumi, e godeva di un clima e di un’atmosfera del tutto simili a quelli della Terra. Quante probabilità ci sono che la scintilla che accese la vita sulla Terra abbia lasciato il segno anche sui pianeti vicini, come Marte? In altre parole, se la Terra fu «terraformata» deliberatamente, o se ricevette semi di vita da comete cadute, oppure ancora, se in effetti la vita vi nacque spontaneamente e accidentalmente, è ragionevole sperare di poter trovare tracce dello stesso genere di processo su Marte. Ma se queste tracce non si trovano, le possibilità di essere soli nell’universo aumentano e le probabilità di scoprire vita altrove sono estremamente ridotte. Questo implica che le forme di vita sono emerse sulla Terra in condizioni così circoscritte, particolari e uniche, e nello stesso tempo così fortuite, che non potrebbero essere riprodotte neppure in un mondo vicino appartenente alla stessa famiglia solare. E’ dunque quasi impensabile che si presentino in mondi alieni che orbitano attorno a stelle lontane. Per questo motivo l’argomento della vita su Marte dev’essere considerato come uno dei grandi misteri filosofici del nostro tempo. Ma è un mistero che, grazie alle rapide evoluzioni nell’esplorazione del pianeta, è destinato a esser presto risolto. Tracce di vita Finora ogni prova riguardante Marte si è basata sui seguenti quattro aspetti principali: 1) osservazioni dalla Terra per mezzo di telescopi; 2) osservazioni e fotografie da astronavi in orbita; 3) test chimici e radiologici eseguiti su campioni del suolo di Marte grazie ai landers della NASA (i cui risultati vengono ritrasmessi alla Terra per essere sottoposti ad analisi); 4) esame al microscopio di meteoriti dei quali sia nota la provenienza da Marte. Alla fine del diciannovesimo secolo e all’inizio del ventesimo, l’uso di telescopi piazzati sulla Terra indusse a credere, con grande scalpore, che «su Marte ci fosse vita»: fu possibile affermare, infatti, che il pianeta era suddiviso da una gigantesca rete di canali di irrigazione che portavano acqua dai poli alle inaridite regioni equatoriali. L’autore di questa dichiarazione, della quale parleremo ulteriormente nella Parte II poiché lasciò una traccia indelebile nell’immaginario collettivo degli americani, era Percival Lowell, insigne astronomo statunitense. Tuttavia, la maggior parte degli scienziati ridicolizzò le idee di Lowell e negli anni Settanta le sonde della Mariner 9 e Viking 1 e 2, in orbita attorno al pianeta, inviarono fotografie che NASA dimostravano una volta per tutte che su Marte non ci sono canali. Oggi si ammette che Lowell e gli altri che, al pari di lui, sostennero di aver visto i canali, furono tratti in inganno dalla qualità scadente delle immagini telescopiche e da un’illusione ottica che induce la mente umana a collegare configurazioni diverse e non unite tra loro in linee rette. A tutt’oggi, nessun telescopio posizionato sulla Terra ha una definizione d’immagine tale da consentirci di risolvere il mistero della vita su Marte. Per le nostre deduzioni dobbiamo dunque servirci degli altri tre tipi di prove disponibili: meteoriti provenienti da Marte, osservazioni mediante moduli orbitali, osservazioni mediante moduli d’atterraggio. Come abbiamo già visto, due dei meteoriti di Marte sembrano contenere tracce di microrganismi primitivi, anche se molti scienziati non condividono questa interpretazione. E’ invece meno noto il fatto che un certo numero di test eseguiti nel 1976 dai moduli d’atterraggio Viking risultò positivo anche agli effetti della vita. Dalle dichiarazioni che la NASA rese pubbliche a quell’epoca si trae l’impressione che il pianeta sia sterile, perché in nessuno dei due punti di atterraggio sulla sua superficie sono state trovate molecole organiche. Eppure, per quanto possa apparire sconcertante, i campioni di Marte hanno dato risultati positivi relativamente a processi come la fotosintesi e la chemiosintesi che normalmente sono associati alla vita.Anche l’esperimento conosciuto come «scambio di gas», eseguito con campioni di suolo che liberarono quantità rilevanti di ossigeno in risposta al trattamento con una sostanza nutriente organica, potè esser considerato pienamente riuscito. Un altro risultato positivo ottenuto con un esperimento a «rilascio controllato» era assente in un campione di controllo che era stato cotto in forno a temperatura elevata (proprio com’è logico aspettarsi se la reazione originaria è stata provocata da un agente biologico). Ma non dobbiamo ignorare l’opera dei moduli orbitali. Nei fotogrammi inviati dal Mariner 9 e dal Viking 1 si possono vedere oggetti stranamente familiari interpretati da alcuni scienziati non solo come tracce di vita ma come la prova che un tempo, su Marte, doveva esistere una vita intelligente evoluta… Le piramidi di Elysium Le prime immagini anomale risalgono al 1972 e mostrano una zona di Marte nota come Elysium. Inizialmente a queste foto fu prestata scarsa attenzione. Poi, nel 1974, una breve notizia uscì sulla elitaria rivista Icarus. Scritto da Mack Gipson Jr. e da Victor K. Ablordeppy, l’articolo riferisce quanto segue: Sulla superficie di Marte sono state osservate strutture triangolari a forma di piramide. Situate nella parte centro-orientale della regione di Elysium, queste configurazioni sono visibili nelle fotografie del Mariner, in particolare nei fotogrammi B, MTVS 4205-3 DAS 07794853 e MTVS 4296-24 DAS 12985882. Le strutture proiettano ombre triangolari e poligonali. A pochi chilometri di distanza si vedono coni vulcanici con i lati scoscesi e crateri da impatto. Il diametro medio della base delle strutture piramidali triangolari è approssimativamente di 3 chilometri, mentre il diametro medio delle strutture poligonali è approssimativamente di 6 chilometri. Un’altra immagine del Mariner, il fotogramma numero 4205-78, mostra con estrema chiarezza quattro piramidi massicce a tre lati. Nel 1977 Carl Sagan, astronomo della Cornell University, le commentò nel modo seguente: «Le più grandi sono larghe tre chilometri alla base e alte un chilometro, molto più grandi cioè delle piramidi sumere, egizie, o messicane. Sembrano molto antiche e sono forse solo piccole montagne erose dalla sabbia nel corso del tempo. Ma esse meritano – penso – un esame accurato». Le quattro strutture immortalate da quest’ultimo fotogramma sono particolarmente interessanti in quanto disposte sulla superficie di Marte secondo uno schema o allineamento preciso, molto simile ai siti delle piramidi terrestri. Quanto a questo, hanno molto in comune anche con le altre «piramidi» di Marte che si trovano in una regione conosciuta con il nome di Cydonia, approssimativamente a 40 gradi nord di latitudine, quasi agli antipodi rispetto all’Elysium. Le piramidi e il «volto» di Cydonia Le piramidi di Cydonia furono fotografate nel 1976 dal modulo orbitale Viking 1, da un’altezza di 1500 chilometri, e vennero identificate per la prima volta nel fotogramma 35A72 del Viking dal dottor Tobias Owen (ora professore di astronomia all’università delle Hawaii). Lo stesso fotogramma, che ricopre approssimativamente da 55 a 50 chilometri (l’equivalente dell’estensione di Londra con i suoi sobborghi), mostra anche molte altre configurazioni che potrebbero essere artificiali. Un’occhiata superficiale coglie soltanto un’infinità di colline, crateri e dirupi. Gradatamente, però, come se si sollevasse un velo, l’immagine confusa incomincia ad apparire organizzata e strutturata… troppo intelligente per essere il risultato di processi naturali fortuiti. Su scala decisamente più ampia, corrisponde alla visione che si potrebbe avere di certi siti archeologici della Terra se li si fotografasse da un’altezza di 1500 chilometri. Più lo si esamina da vicino, più appare evidente che potrebbe davvero trattarsi di un enorme insieme di monumenti in rovina sulla superficie di Marte. Particolarmente sorprendente è un «Volto» gigantesco simile alla Sfinge che la NASA ufficialmente liquida come un’illusione ottica, un gioco di luci e ombre. Questa spiegazione incominciò a esser messa seriamente in discussione soltanto dopo il 1980, come vedremo nella Parte II, quando Vincent DiPietro, esperto di informatica che collaborava con il Goddard Space-flight Center della nel Maryland, scoprì NASA un’altra immagine del Volto (fotogramma 70A13). Questa seconda immagine, acquisita 35 giorni marziani dopo la prima e in differenti condizioni di luce, rese possibili confronti di immagini e misurazioni dettagliate del Volto. Quest’ultimo, completo della sua caratteristica acconciatura, è lungo, a quanto pare, quasi 2,6 chilometri dalla corona al mento, è largo 1,9 chilometri e alto poco meno di 800 metri. Potrebbe trattarsi di una piccola montagna, alterata dagli agenti atmosferici. Ma quante montagne hanno il lato destro e quello sinistro così simili, nella loro complessità? Gli esperti di analisi delle immagini sostengono che la «simmetria bilaterale» del Volto, che sembra simulare un aspetto naturale, quasi umano, non può essersi realizzata per caso. L’impressione, del resto, è confermata da altre caratteristiche che in seguito sono state identificate grazie a un miglioramento dell’immagine tramite il computer. Tra queste figurano i «denti» nella bocca, linee bilateralmente incrociate sugli occhi e strisce laterali regolari sulla testa, che fanno pensare, almeno stando a quanto sostengono alcuni ricercatori, alla nemes, il copricapo degli antichi faraoni egizi. Secondo il dottor Mark Carlotto, esperto in elaborazione dell’immagine, tutte «queste caratteristiche appaiono in entrambe le immagini del Viking, tra le loro forme c’è una certa corrispondenza e strutturalmente sono parte integrante dell’oggetto; perciò non possono essere addebitate né a dicerie né ad artifici causati dal restauro dell’immagine o dalla tecnica usata per migliorarla». «Un improbabile miscuglio di anomalie…» Lo stesso vale per la piramide (così chiamata da DiPietro e dal suo collaboratore D&M Gregory Molenaar, che la scoprirono). Questa struttura a cinque lati si erge a 16 chilometri circa dal Volto e, come la Grande Piramide d’Egitto, presenta un allineamento quasi perfetto nord-sud-asse di rotazione del pianeta. Il lato più corto misura 1,5 chilometri, il suo lungo asse si estende fino a 3 chilometri, è alta quasi 800 metri e si ritiene che possa contenere circa 2 chilometri cubi di materiale. Commentando la vicinanza del Volto e della piramide il ricercatore statunitense D&M, Richard Hoagland pone una domanda esplicita: «Quante probabilità ci sono che su un pianeta così lontano e praticamente nella stessa collocazione esistano due ‘monumenti dall’aspetto terrestre’?» Hoagland ha compiuto uno studio dettagliato dei fotogrammi 35A72 e 70A13 e ha identificato altre caratteristiche forse artificiali. Tra queste figurano il cosiddetto «Forte» con i suoi due tipici margini diritti, e la «Città», che descrive come «un insieme insolitamente rettilineo di strutture massicce disseminato di numerose ‘piramidi’ più piccole (alcune formano un perfetto angolo retto con strutture più grandi) e persino di ‘edifici’ più piccoli a forma di cono». Hoagland, inoltre, attira l’attenzione su un altro elemento scioccante che riguarda la «Città»: sembra che sia stata volutamente ubicata in modo tale che i suoi eventuali abitanti godessero di una vista perfetta del Volto, come se quest’ultimo dovesse inserirsi in una specie di rito. L’impressione che si tratti di un grande centro rituale nascosto sotto la polvere del tempo è rafforzata da altre caratteristiche di Cydonia quali il «Tholus», un’altura massiccia simile alla britannica Silbury Hill, e la «Piazza della Città», un raggruppamento di quattro alture che ne circondano una quinta, più piccola. Questa configurazione particolare, che fa pensare a una croce di collimazione, risulta ubicata esattamente al centro di un lato della Città. Inoltre, in tempi recenti, un gruppo di ricercatori britannici che ha base a Glasgow ha identificato quella che sembra una massiccia piramide di quattro lati, la cosiddetta piramide NK, 40 chilometri a ovest del Volto e alla stessa latitudine (40,8 gradi nord) della piramide D&M. «Considerando Cydonia nel suo complesso e il modo in cui tutte queste strutture sono situate», afferma Chris O’Kane del Mars Project britannico, «la mia sensazione istintiva è che si tratti di qualcosa di artificioso. Non ritengo credibile che un sistema di allineamenti così complesso sia puramente casuale.» La convinzione di O’Kane è rafforzata dal fatto che «molte di queste strutture non sono frattali». In altri termini, grazie a computer altamente sofisticati del tipo normalmente usato nelle guerre dei nostri tempi per individuare e fotografare l’ubicazione di carri armati e artiglieria durante le ricognizioni aeree, si è constatato che i loro contorni sono stati delineati artificiosamente (non naturalmente). «Ci troviamo davanti, dunque», sottolinea Chris O’Kane, «a un improbabile miscuglio di anomalie. Allineamenti pianificati, divisioni in gruppi l’uno diverso dall’altro, e mancanza di frattali. Tutto considerato, dobbiamo ammettere che è decisamente insolito.» Cydonia ed Elysium non sono gli unici siti ad aver fornito prove fotografiche di strutture insolite e apparentemente artificiose. Altre configurazioni di Marte inequivocabilmente non-frattali comprendono una linea retta di quasi 5 chilometri, scandita da una fila di piccole piramidi situate sul margine di un cratere gigantesco, estese recinzioni romboidali nella regione polare meridionale, e uno strano edificio a forma di castello che culmina in una torre alta più di 600 metri. Una galleria di misteri

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