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Lege agere damni infecti PDF

38 Pages·2006·0.44 MB·Italian
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Giovanni Gulina «Lege agere damni infecti» e «pignoris capio» Esegesi e logica di Gai., inst. 4.31 ( * ) 1. Posizione del problema e stato della dottrina – 2. Critiche degli argomenti addotti per la identificazione nel- la pignoris capio del rito del lege agere damni infecti : il ‘commodius ius …’ – 3. ‘… et plenius ’: l’apporto del cap. XX del- la lex Rubria de Gallia Cisalpina – 4. Segue: la «significativa differenza» della legis actio damni infecti … – 5. … e la partizione del centumvirale iudicium – 6. La simmetria di Gai., inst. 4.31 e la costruzione espositiva della parte ini- ziale del quarto commentario – 7. Conclusione: la sopravvivenza eccezionale del rito antico. 1. Il quarto commentario del manuale istituzionale di Gaio si apre, come è notissimo, con l’illustra- zione di una serie di partizioni generali tra categorie di azioni, l’ultima delle quali – la terza – è ricavata dalla contrapposizione tra quelle ‘quae ad legis actionem exprimuntur ’ e quelle che invece ‘sua vi ac potestate constant ’ 1. Ciò che offre l’occasione al giurista classico di tratteggiare sommariamente i termini del processo delle legis actiones, così da porre il proprio lettore in grado di cogliere appieno il significato della partizione proposta 2. E’ inutile ricordare che la trattazione gaiana dei modi del rito antico, pur sostanzialmente parentetica, apre e chiude al tempo stesso il panorama delle fonti in materia 3. Nell’avviarsi a riportare il discorso nella direzione del processo formulare, Gaio si sofferma brevemente non tanto sul modo e sul perché della estinzione del rito antico (richiamando in tal sen- *) Questo studio è dedicato al ricordo del professor Gennaro Franciosi: licenziato nel luglio 2005, esso è de- stinato alla raccolta di scritti che sarà pubblicata in sua memoria. 1) Gai., inst. 4.10. La struttura della parte iniziale del quarto libro – sulla quale, infra, § 6 – è stata molto studiata, specie in relazione all’inquadramento in essa dell’ampia parentesi dedicata alle legis actiones, della successiva impor- tante lacuna e della chiusura finale del discorso nei §§ 32 ss. Da ultimo, ex professo, C.A. CANNATA, Introduzione ad una rilettura di Gai 4.30-33, in «Sodalitas. Scritti A. Guarino», Napoli, 1984, IV, p. 1869-1882; nell’ambito di prospettive più generali, A. MAGDELAIN, Gaius IV 10 et 33: naissance de la procédure formulaire, in «TR.», LIX, 1991, p. (239-257) 240 ss. (riportato con variazioni minime in ID., De la royauté e du droit de Romolus à Sabinus, Roma, 1995, p. [151-178] 152 ss., da cui si citerà), M. TALAMANCA, Il riordinamento augusteo del processo privato, in «Gli ordinamenti giudiziari di Roma imperiale. Princeps e procedure dalle leggi Giulie ad Adriano. Atti del convegno di Copanello 5-8 giugno 1996», Napoli 1999, p. (63-260) 102 ss., e G. FALCONE, Appunti sul IV commentario delle Istituzioni di Gaio, Torino 2003, p. 1 ss. e 104 ss. 2) Tale almeno la giustificazione addotta in Gai., inst. 4.10, subito prima di avviare la digressione. In letteratura si è seriamente dubitato della effettiva necessità di diffondersi tanto per la sola illustrazione della terza partizione: un più veloce ragguaglio sui modi dell’antico processo sarebbe infatti stato più che sufficiente a tale scopo e non avrebbe appesantito il discorso introduttivo circa le divisiones summae, così invece costretto a prolungarsi almeno fino al § 31. Sul punto R. MARTINI, Appunti di diritto romano privato, Padova, 2000, p. 172; in senso contrario però MAGDELAIN, De la royauté, cit., p. 154, ha ritenuto la necessità dell’excursus, dovendosi «montrer que l’ancienne procédure se reflè- te dans la nouvelle». Diversa la giustificazione – evidenziazione de «la distanza tra l’esasperato formalismo degli an- tichi modi agendi e le esigenze di tecnicismo formale dei concepta verba» – per FALCONE, Appunti, cit., p. 104 ss. (si ve- dano, ivi, gli orientamenti più antichi, riferiti nelle note bibliografiche n. 224, 225 e 226) e p. 107. 3) Non hanno alcuna sistematicità, limitandosi alla allegazione di particolari sostanzialmente occasionali, le al- tre fonti giuridiche concorrenti (come i pochi versetti delle legge delle Dodici Tavole, nella forma tramandataci, nonché i frammenti del manuale di Pomponio restituitici dal Digesto) né quelle letterarie ed antiquarie disponibili, tra cui si considerino comunque le pur preziose e notissime testimonianze (che non è il caso di specificare qui) di Varrone, Festo, Aulo Gellio, Valerio Probo, Tito Livio e Cicerone. Rivista di Diritto Romano - VI - 2006 http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/ ( 1 ) 323 «Lege agere damni infecti» e «pignoris capio». Esegesi e logica di Gai., inst. 4.31 so l’efficienza sostanziale della ‘nimia subtilitas veterum ’ e formale della legge Ebuzia e delle duae Iulia- e ) 4, quanto sui casi di ‘lege agere ’ che sopravvissero alla riforma augustea. Il passo che interessa, se in principio è chiaramente leggibile e sintatticamente completo, è però gravemente mutilo nella sua parte finale, dove si apriva un secondo periodo, del quale neppure può dirsi se introducesse un nuovo discorso o se chiudesse il vecchio, impegnando la lacuna detta ben ventiquattro linee 5: Gai., inst. 4.31: Tantum ex duabus causis permissum est lege agere: damni infecti, et si centumvirale iu- dicium futurum est. Sane quidem cum ad centumviros itur, ante lege agitur sacramento apud praetorem urbanum vel peregrinum. Damni vero infecti nemo vult lege agere, sed potius stipulatione, quae in edic- to proposita est, obligat adversarium suum, idque et commodius ius et plenius est. [31a ] Per pignoris ca- pionem … [vacat ] … apparet. I due casi di applicazione delle legis actiones sopravvissuti alla riforma augustea sono il procedimento articolato sulla prestazione del sacramentum 6 idoneo alla apertura dell’incidente centumvirale 7 e quel- lo per il danno temuto, ormai desueto al tempo di Gaio. Sul primo dei due la fonte spende qualche parola. Sull’altro – sembrerebbe – no, anche se il ri- lievo del grave stato di sua ineffettività è materialmente vergato in chiusura del foglio e dunque in prossimità della lacuna di cui si è detto, da essa separato dai due soli segni consecutivi ‘per ’ e ‘pigno- ris ’ 8. Il problema rimesso all’interprete è perciò capire se con questi ultimi il giurista intendeva aprire 4) La nostra fonte omette ogni riferimento alla iurisdictio inter cives et peregrinos, quale ambito di formazione del processo formulare; l’attenzione del giurista è infatti concentrata non sulla origine del nuovo rito, ma sul supera- mento di quello delle legis actiones ; successione che conseguì in effetti alla sclerotizzazione delle antiche forme, im- passibili di tener dietro alle mutate esigenze. L’aspetto è già stato ben rilevato da FALCONE, Appunti, cit., p. 16, sulla scia di G. NICOSIA, Institutiones. Profili di diritto privato romano, I, Catania, 1991, p. 189 s. 5) Nel codice Veronese risulta infatti illeggibile l’intero foglio 77v. («de pagina exteriore nihil nisi incertissimae litterarum umbrae supersunt »: W. STUDEMUND, Gaii Institutionum commentarii quattuor Codicis Veronensis denuo collati Apographum, Berlin, 1873 (rist. Osnabrück, 1965), p. 199 nt.; ancor meno, «nihil legi potuit», per E. BÖCKING, Gaii Institutionum commentarii quattuor Codicis Veronensis Apographum, Leipzig, 1866, p. 199), formato di ventiquattro linee (così almeno negli apografi appena citati, dove sono tracciate appunto ventiquattro linee completamente bianche, salvo – in STUDEMUND, op. cit., p. 199 – un ‘vel ’, di dubbia lettura, alla l. 9; sarebbero invece ventitré le linee desidera- tae per V. ARANGIO–RUIZ, A. GUARINO, Breviarium iuris romani 7, Milano, 1989, p. 159). L’edizione seguita in queste pagine, alla quale si rinvia in punto di lezione della fonte, è quella curata da E. SECKEL e B. KÜBLER (Stuttgart 1935 7, rist. 1968). Quando è stato necessario il confronto diretto con il manoscritto, nell’impossibilità di consultare il codice Veronese, si è fatto ricorso a STUDEMUND, Gaii Institutionum, cit., p. 198 s., nonché BÖCKING, Gaii Institu- tionum, cit., p. 198 s. 6) Inizialmente in rem, conformemente alla natura reale del bene - diritto oggetto della pretesa; successivamente in personam, applicandosi il modello dell’agere in rem per sponsionem, come incidentalmente attestato – senza menzione d’alternativa – in Gai., inst. 4.95: ‘ceterum si apud centumviros agitur, summam sponsionis non per formulam petimus, sed per legis actionem ’. Si apprezza bene, in tal caso, il portato della eccezione giulia di sopravvivenza della legis actio : in età classica (le pretese reali erano ormai conosciute con la formula petitoria ) si provocava l’accertamento pregiudiziale conseguen- te la deduzione dell’impegno pretestuosamente costituito ricorrendo ancora al sacramentum, in luogo tanto dell’actio formulare ex stipulatu, quanto di una legis actio speciale, che nelle applicazioni ordinarie dell’agere in rem per sponsionem dovette, da subito o quasi, portare al superamento effettivo del sacramentum, anche in personam, nell’ambito dei giudi- zi reali. 7) E’ chiaro – lo precisa criticamente (ed esattamente) G. FALCONE, Sulle tracce del lege agere damni infecti, in «AUPA.», XLIII, 1995, p. (519-534) 522 – che si tratta del procedimento occasionante l’incidente centumvirale, piuttosto che del centumvirale iudicium in senso stretto, nel quale non era prevista in effetti la prestazione di alcun sa- cramentum (sul punto, infra, § 5). Il discorso del giurista, per quanto non esente da quella critica formale, è comunque sostanzialmente corretto, nella misura in cui ellitticamente esso lascia intendere il significato sotteso al significante, imponendo d’intuito al lettore una sorta di traslazione logica. Peraltro si può oggi rilevare lo stesso vizio espositivo rimproverato al giurista in F. BERTOLDI, La lex Iulia iudiciorum privatorum, Torino, 2003, p. 111. 8) Con buona verosimiglianza ogni editore ha su di essi innestato il segno ‘capionem ’, così orientando ulterior- mente la ricostruzione del contenuto della parte iniziale del foglio mancante. Se da un lato ‘capionem ’ è frutto dun- que di sola congettura, dall’altro il segno ‘per ’ deriva da una lettura filtrata della fonte, che reca chiaramente solo la parola pignoris, preceduta da due lettere non facilmente leggibili. Dall’apografo di STUDEMND, Gaii Institutionum, cit., p. 198, si ricava la seguente successione: «commodiusiusetplen iusepi pignoris »; se è vero che il segno ‘per ’ può ben es- sere reso con l’abbreviazione « P » (anche se STUDEMUND – nonché BÖCKING, Gaii Institutionum, cit., p. 198 – indica Rivista di Diritto Romano - VI - 2006 http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/ ( 2 ) 000 Giovanni Gulina un discorso legato al lege agere damni infecti, dettagliandone minimamente lo svolgimento, oppure no 9. La soluzione negativa, accolta nelle pagine che seguono, si contrappone alla affermativa, pro- pria delle più recenti ed autorevoli letture che del passo sono state offerte in letteratura 10, replican- do e, in parte almeno, superando antiche e nuove obbiezioni 11. Ad oggi i migliori spunti fondativi come possibile anche la « R »), qualche problema resta per quella lettera, forse una « E » significante ‘est ’ (ovvero, pro- blematicamente, una « C »), compresa tra il «ius», supposta terminazione di ‘plenius ’ (si veda però la diversa lettura nell’apografo di BÖCKING, Gaii Institutionum, cit., p. 198 – ‘renius ’, o forse ‘penius ’, senza però spazio per la « L » che, pur dubitativamente, STUDEMUND vi legge nel supporre ‘plenius ’ –, su cui alla nt. 23) e la « P » con la quale si inten- derebbe la preposizione reggente l’accusativo congetturato ‘capionem ’, interposta la specificazione genitiva ‘pignoris ’. 9) Una concisa analisi formale dell’economia del passo sarà svolta, infra, § 6, nel delineare congetturalmente la improbabilità del prosieguo del discorso sul lege agere damni infecti nel § 4.31a (per larghissima convenzione è sottorubri- cata con la lettera a la seconda parte del paragrafo 31, compresa tra ‘per pignoris ’ e ‘apparet ’ – ovvero l’intero testo con- servato prima e dopo la lacuna –, restando al § 31 semplice la parte iniziale, aperta da ‘tantum ’ e chiusa da ‘plenius ius ’). 10) Fondamentalmente B. ALBANESE, Gai. 4.31 e il lege agere damni infecti, in «AUPA.», XXXI, 1969, p. (5-25) 6 ss. e 24 s. (con letteratura), ora in Scritti giuridici, I, Palermo, 1991, p. 649-671, ID., Il processo privato romano delle legis ac- tiones, Palermo, 1987, specie p. 54 s. e p. 55 nt. 191, F. BETANCOURT, Recursos supletorios de la cautio damni infecti en el derecho romano clasico, in «AHDE.», XLV, 1975, p. (7-121) 12, nonché il citato contributo di FALCONE, Sulle tracce, cit., p. 524 ss., i quali coltivano e sviluppano gli antichi orientamenti degli autori citati in ALBANESE, Gai. 4.31, cit., p. 5 nt. 2, tra cui, soprattutto, O. KARLOWA, Der römische Civilprocess zur Zeit der Legisactionen, Berlin, 1872, p. 216 ss. (ove è citazione di letteratura ulteriomente precedente), e Römische Rechstgeschichte, II, Leipzig, 1901, p. 481, con lettura va- riata (ferma la forma della pignoris capio, l’autore era infatti dapprima orientato nel senso di una iniziativa di sempli- ce coazione indiretta; mutava poi l’avviso per una finalità di prevenzione del danno – riparazione a cura del vicino – e di garanzia in ordine al rimborso delle spese sostenute). Più di recente ha incidentalmente aderito alla lezione della continuità tra i paragrafi anche E. BIANCHI, Fictio iuris, Padova, 1997, p. 219 nt. 3 e 251 s. (anche se una seconda te- si, promiscua e – sembrerebbe – poziore, è formulata a p. 256: illustrazione del modus agendi del danno temuto e sue controindicazioni nonché, al contempo, introduzione delle azioni ad legis actionem expressae, recanti la fictio della sola pignoris capio : sul punto, con maggiore diffusione, si veda infra, nt. 93); cfr. ID., Le actiones quae ad legis actionem expri- muntur in Gaio. Una nuova ipotesi sulla catégorie d’actions négligée par les romanistes, estratto anticipato, 1-39, da «Processo civile e processo penale nell’esperienza giuridica del mondo antico. Atti del convegno in memoria di Arnaldo Bi- scardi» (Pontignano 2001), in corso di pubblicazione, p. 6, con bibliografia (ibidem, nt. 21). L’ultimo passaggio in let- teratura è, invero, nel senso del ritorno alla lettura di Branca, sulla quale si veda alla nota seguente: così infatti TA- LAMANCA, Il riordinamento, cit., 115, che però tratta solo incidentalmente la questione, sui particolari della quale si sofferma appena, ivi, nt. 206. 11) L’esclusione del nesso logico di continuità tra i §§ 31 e 31a porta da sola allo svilimento dell’idoneità della locuzione ‘per pignoris ’ alla indicazione del modus agendi applicato al rito per il danno temuto. E’ quasi inutile ricordare che la divisione in paragrafi del testo è opera degli editori e che perciò l’articolazione del discorso in essi è frutto del loro approccio alla fonte. Per brevità convenzionale – come sempre, in letteratura – anche qui si farà riferimento ai paragrafi, intesi però come unità meramente metriche del testo in esame. Nel senso della esclusione della continuità logica tra i paragrafi è tuttora fondamentale la posizione di G. BRANCA, Danno temuto e danno da cose inanimate, Pado- va, 1937, p. 7 ss., con citazione ed ampia discussione di letteratura più antica, cui si fa rinvio (con le parole ‘per pigno- ris ’ – op. cit., p. 8 – si avviava il discorso sulle fictiones che vediamo proseguire in Gai., inst. 4.32; la natura di legis actio del procedimento per il danno temuto – op.cit., p. 9 – è fuori discussione, mentre è ben dubbia, giusta Gai., inst. 4.29, per la pignoris capio in genere; «le ipotesi di applicazione della pignoris capio, ricordate da Gaio …, sono tali che ricomprendono sempre un interesse di stato o di culto – op.cit., p. 8 –; non così nel danno temuto»; è inverosimile che una corrispondenza così evidente, sotto i profili lato sensu possessorii della pignoris capio e della missio in possessio- nem, tra rimedi fra di loro succedanei – op.cit., p. 10 – non abbia naturalmente comportato una più marcata assimila- zione, inducendo il pretore ad orientarsi verso un modello più strettamente pigneratizio; il commodius ius et plenius di Gai., inst. 4.31 – op.cit., p. 9 s. – non è apprezzabile nel passaggio dalla pretesa legis actio per pignoris capionem al rimedio edittale dell’età classica: rilievo che, almeno a partire dalla continuazione di U. BURCKHARD a F.C. GLÜCK, Ausfürli- che Erläuterung der Pandekten nach Hellfeld, Erlangen, 1790-1892, trad. it. – Commentario alle Pandette –, Milano, 1888-1909, XXXIX.2, Milano, 1905 (cur. P. BONFANTE), p. 70 ss., è ormai un «leitmotiv» – da ultimo, TALA- MANCA, Il riordinamento, cit., p. 115 nt. 206 – della letteratura critica delle tesi di KARLOWA, Der römische Civilprocess, cit., p. 216 ss., e Römische Rechstgeschichte, cit., II, p. 481: cfr. infra, §§ 2 e 3. Ciò premesso, il BRANCA, Danno temuto, cit., p. 32 s., pone la natura illecita della situazione – op.cit., p. 39 ss. – e si orienta per la iudicis arbitrive postulatio – op.cit., p. 52 s.). Si veda inoltre, precedentemente al BRANCA e con l’approccio conseguente l’impianto sistematico dell’opera, P. BONFANTE, Corso di diritto romano, II.1, rist. Milano, 1966, p. 389 (congetturalmente orientato per il sa- cramentum in personam o la iudicis arbitrive postulatio, sul presupposto di un profilo illecito della fattispecie, con modifica della precedente tesi, ricavabile dalla nota alla traduzione di BURCKHARD [cont. a GLÜCK], op. cit., p. 79 nt. g ); succes- sivi allo studio del BRANCA, invece A. MOZZILLO, ‘Denuncia di nuova opera e di danno temuto (diritto romano) ’, in «NNDI.», V, Torino, 1957, p. (457-466) 458, e Contributi allo studio delle stipulationes praetoriae, Napoli, 1960, p. 84, 91 Rivista di Diritto Romano - VI - 2006 http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/ ( 3 ) 000 «Lege agere damni infecti» e «pignoris capio». Esegesi e logica di Gai., inst. 4.31 della soluzione affermativa sono esposti in due studi, l’uno di Bernardo Albanese, l’altro di Giusep- pe Falcone, comparsi entrambi negli «Annali del Seminario giuridico dell’Università di Palermo», negli anni, rispettivamente, 1969 e 1995. Da questi si prenderanno perciò le mosse 12. Secondo Albanese 13, nel chiudere il discorso sulle legis actiones, proposito di Gaio sarebbe stato quello di illustrare brevemente le due ipotesi di loro applicazione sopravvissute alla sublatio augustea: ciò che in effetti egli fa in punto di centumvirale iudicium, precisando che in quel caso ‘ante lege agitur sa- cramento apud praetorem ’, ma che non sembra invece fare circa il procedimento per il danno temuto. Lo farebbe in realtà – questa la tesi – nel lacunoso prosieguo, che quindi costituirebbe continuazio- ne del discorso. Va da sé che, aprendosi il § 31a con le parole ‘per pignoris ’, la illustrazione del rito i- nizierebbe proprio dalla menzione del modus agendi di articolazione. L’argomento principale è basato perciò sull’indizio testuale delle parole di apertura del para- grafo e dalla altrimenti insoddisfatta esigenza di «logica simmetria» tra la parte conservata, dove si dettaglia il lege agere sacramento in vista del centumvirale iudicium, e quella da necessariamente supporsi, di illustrazione del procedimento di danno temuto. Un ulteriore argomento testuale di Albanese 14 consiste nella osservazione del modo «significa- tivamente differente» con il quale sono espresse le due ipotesi di sopravvivenza: in termini di chiara bipartizione ‘si centumvirale iudicium futurm est ’ (e poi ancora: ‘ante lege agitur sacramento apud praetorem ’); in termini di più stretta contestualità rituale in caso di lege agere damni infecti. L’argomento indurrebbe, per quest’ultimo caso, nel senso della individuazione di un modus agendi non bipartito e dunque, in unione con l’indizio testuale del § 31a, ancora verso la pignoris capio. Il terzo argomento, tale anche in ordine di specifica attinenza testuale e finemente dotato di indole construens e destruens al tempo stesso 15, è rappresentato dal rilievo della improbabilità che la ss. (posto, per D. 39.3.3.2, D. 39.3.14.2 e D. 39.3.11.3, il parallelo con la decemvirale actio acquae pluviae arcendae – op.cit., p. 60 ss., 73 ss. e 82 –, l’autore ritiene articolata la legis actio damni infecti sulla iudicis arbitrive postulatio : op.cit., p. 84, con letteratura conforme), con possibile condanna dell’intimato a patientiam paestare (op.cit., p. 90) e possibilità di autotutela in caso di suo «atteggiamento negativo», per il quale si intende non collaborazione processuale in punto di progresso del rito) e H. LÉVY-BRUHL, Recherches sur les actions de la loi, Paris, 1960, p. 327 s. (che, tra sacramentum e pignoris capio, escluse tassativamente le altre legis actiones, propende per la seconda). Dopo lo studio di Albanese sono intervenuti sul tema C.ST. TOMULESCU, Sur la legis actio damni infecti, in «RIDA.», XIX, 1972, p. 435-448 (su cui cfr. nt. 16), M. RAINER, Bau- und nachbarrechtlichte Bestimmungen im klassichen römischen Recht, Graz, 1987, p. 137 ss. (che, previa efficace sintesi – p. 143 ss. – delle tesi in campo, sulla scorta del già rilevato parallelo con l’actio acquae pluviae arcendae, opta – p. 144 – per la forma della iudicis arbitrive postulatio, con la quale è, in parte, glissato il problema diffi- cile – che si oppone gravemente alle ricostruzioni articolate sulla prestazione del sacramentum in personam – della con- figurazione della posizione dell’intimato in termini di obligatio ; mentre è superato positivamente – p. 146 – il con- fronto con il procedimento edittale, che infatti si mostra comparativamente in grado di procurare quel commodius ius et plenius di cui dice Gai., inst. 4.31, il quale fatica invece a mostrarsi ove il punto di partenza sia la pignoris capio : cfr. infra, §§ 2 e 3), CANNATA, Introduzione, cit. – cfr. anche ID., Profilo istituzionale del processo privato romano, II, Il processo formulare, Torino, 1982, p. 61 nt. 2 – (sul quale si veda infra, § 6), nonché, incidentalmente, TALAMANCA, Il riordina- mento, cit., p. 115, specie nt. 206, che, disattese le ipotesi più recenti, fa propria la tesi di BRANCA, Danno temuto, cit., p. 5 ss., L. MAGANZANI, Publicani e debitori di imposta. Ricerche sul titolo edittale de publicanis, Torino, 2002, p. 44 (parziale adesione alla tesi di CANNATA, Introduzione, cit.: si veda però la recensione di M. GENOVESE, in «Iura», LIII, 2002, p. (353-370) 361, ove è stigmatizzata la disinvoltura con la quale è accantonata la tesi corrente della continuità), non- ché – con lo stesso rilevato difetto, ancorché in chiave probabilistica – L. MAGANZANI, I poteri di autotutela dei publi- cani nel Monumentum Ephesenum (lex portus Asiae), in «Minima epigraphica et papyrologica», III, 2000, p. (129-153) 138, ovvero – identico in parte qua – EAD., La pignoris capio dei publicani dopo il declino delle legis actiones, in «Cunabula iuris. Studi G. Broggini», Milano 2002, p. (175-227) 181. Per ultima aderisce alla lettura suggerita da Cannata, sciogliendo quindi il nesso tra i paragrafi e ritenendo – apoditticamente – abrogata la pignoris capio «in quanto Gaio non la men- ziona tra le eccezioni», BERTOLDI, La lex Iulia, cit., p. 112 s., la quale ascrive (p. 112 nt. 25) la posizione contraria della continuità del discorso anche a RAINER, Bau- und nachbarrechtlichte Bestimmungen, cit., 142 ss., della cui diversa opinione sinteticamente già si è detto, supra, in questa stessa nota. 12) La compiuta metabolizzazione in essi degli argomenti affini degli autori più antichi esime qui dal rasse- gnarli dettagliatamente, salva la loro sintetica discussione in nota. 13) ALBANESE, Gai. 4.31, cit., p. 9. 14) ALBANESE, Gai. 4.31, cit., p. 12. 15) ALBANESE, Gai. 4.31, cit., p. 11 ss.: l’autore passa a tratteggiare il contesto di inserimento del brano già og- getto di analisi e, mentre coltiva gli elementi di conferma della tesi esposta, evidenzia quelli che giovano alla confu- Rivista di Diritto Romano - VI - 2006 http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/ ( 4 ) 000 Giovanni Gulina tensione aperta con la terza delle partizioni fondamentali, introduttive – come si è detto – del quar- to commentario, e lasciata in sospeso a crescere nel tempo della illustrazione dell’antico processo, fosse infine chiusa con una parte del discorso necessariamente molto concreta (cominciando con per pignoris non può certo involvere i «massimi sistemi»), e perciò evidentemente eterogenea rispetto a quella iniziale, cui pure doveva riferirsi. E’ facile ricavarne che il giurista avrebbe avviato la conclu- sione del discorso sicuramente nello spazio impegnato dalla lacuna del § 31a, ma soltanto dopo la chiusura definitiva della illustrazione delle legis actiones, di cui aveva fatto la storia e detto la fine e di cui si accingeva – su di un piano molto concreto e specifico – a precisarne le sopravvivenze ed i modi di esse, dettagliando il primo nel § 31, il secondo nel § 31a, dove appunto ne allegava l’articolazione sul quinto modus agendi di Gai., inst. 4.11-29. In tempi relativamente recenti, la tesi qui sopra riportata è stata – come anticipato – ripresa e sviluppata da Falcone, che ha enucleato ben sette ulteriori argomenti che si aggiungono a quelli tracciati dal Maestro 16. Con primi due egli evidenzia le rispondenze della peculiarità di immediatez- za rituale della pignoris capio alle fattispecie del danno temuto (situazioni di pericolo imminente e conseguente emergenza, con decalendarizzazione dell’esperimento e sua possibilità di svolgimento absente adversario ). Il terzo nuovo argomento ed il quarto fanno leva sulla notissima locuzione ‘commodius ius et ple- nius ’, con la quale Gaio sintetizza la preferibilità della situazione ottenuta con il procedimento cau- zionale e spiega conseguentemente la desuetudine dell’antico rimedio in favore del nuovo: il compa- rativo di relazione avrebbe bisogno – e non solo grammaticalmente – della illustrazione del compa- rato, da allocarsi per forza nella parte, introdotta da ‘per pignoris ’, nella quale precisamente si illustra- va la scomodità del rito antico e la sua minore attitudine alla salvaguardia delle ragioni dell’intiman- te, precisandone nell’occasione il modo di svolgimento in forma di pignoris capio 17. tazione delle concorrenti, di cui passerà poi – con elegante gradualità – a trattare criticamente in chiusura del saggio, con osservazioni che saranno qui vagliate infra, § 6. 16) Cfr. FALCONE, Sulle tracce, cit., p. 524 ss. respinge le costruzioni nel frattempo proposte da TOMULESCU, Sur la legis actio, cit., p. 438 ss., da RAINER, Bau- und nachbarrechtlichte Bestimmungen, cit., p. 143 ss. (articolazione in forma di iudicis arbitrive postulatio ) e da CANNATA, Introduzione, cit., p. 1869 ss., le quali effettivamente non si confron- tano con la tesi di Albanese pur tratteggiando conclusioni con questa incompatibili, anche quando orientate nel sen- so della pignoris capio : secondo TOMULESCU, Sur la legis actio, cit., p. 442 s., il procedimento involverebbe infatti quel rito, ma consisterebbe principalmente – e preliminarmente – in una (diversa) legis actio, intesa nel senso debole di at- to conforme alla previsione di legge (actio ex lege e non modus agendi : «acte extrajudiciaire accompli devant témoins», per mutuare le parole illustrative del punto 5 dello schema riassuntivo delle accezioni di legis actio – op.cit., p. 440 s.), seguito eventualmente da un rito con attitudine autotutelativa o autosatisfattiva, avente forma di (atipica) pignoris capio, con il quale si attuerebbe una responsabilità da mancipium, di stampo quasi nossale (una bipartizione simile era stata trat- teggiata anche da M. WLASSAK, Römische Processgesetze. Ein Beitrag zur Geschichte des Formularverfahrens, I, Leipzig, 1888, p. 269, il quale però ricostruiva il secondo momento in termini di iudicis arbitrive postulatio ). La tesi di Tomulescu non supera il confronto con Gai., inst. 4.30-31, nella parte in cui il giurista riferisce della abrogazione ebuzio-giulia di ‘i- stae legis actiones ’: a prescindere dal problema della configurabilità di «actions de la loi» diverse dai cinque modus agendi di Gai., inst. 4.12, il dimostrativo ‘istae ’ deve condurre l’interprete verso i procedimenti che il giurista aveva poco prima trattato, ossia i cinque ridetti, all’interno del cui insieme opera di necessità la eccezione di sopravvivenza per le due causae che il legislatore ha conservato (sul punto si veda anche infra, nt. 63). In tempi recenti è riaffiorata, in MAGANZANI, Publicani, cit., p. 44, la tesi di una pignoris capio diversa dalla omonima legis actio : una diversità non però originaria, quanto invece determinatasi progressivamente per via della deformalizzazione crescente del rito riservato ai publicani e divenuta infine assoluta in conseguenza della abrogazione generalizzata delle legis actiones, disposta dal- la legge Giulia, che – per la suddetta specialità – non aveva riguardato il rito esattoriale, infatti sopravvissuto nelle ll. 87-88 del Monumentum Ephesenum o lex Portus Asiae (per le edizioni del quale si vedano T. SPAGNUOLO VIGORITA, Lex portus Asiae. Un nuovo documento sull’appalto delle imposte, in «I rapporti contrattuali con la pubblica amministazione nell’esperienza storico-giuridica», Napoli, 1997, p. [115-190] 115 nt. 2, e G. PURPURA, Le province romane d’Asia, i pu- blicani e l’epigrafe di Efeso (Monumentum Ephesinum), in «Iura», LIII, 2002, p. [177-198] 177 nt. 1 e – bibliografica – nt. 2). La precisazione della sopravvivenza, e della non imputazione di essa ad una terza eccezione al disposto abroga- tivo giulio avrebbero per l’autrice impegnato parte almeno della lacuna del § 31a (sul punto, cfr. anche PURPURA, Le province, cit., p. 192). 17) Se la precisazione sia incidentale, ovvero necessaria (nel senso che il disagio era dovuto proprio alla subtili- tas del rito antico) non influenza il portato della costruzione proposta, che cioè si agiva con la pignoris capio. Rivista di Diritto Romano - VI - 2006 http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/ ( 5 ) 000 «Lege agere damni infecti» e «pignoris capio». Esegesi e logica di Gai., inst. 4.31 Con il quinto argomento Falcone riprende in parte i primi due, ipotizzando che la sopravvi- venza del rito antico alla riforma augustea (e concorrenza, illo tempore effettiva con quello pretorio) sia da imputarsi alla specialissima possibilità di suo esperimento anche al di fuori dei tempi tradizio- nalmente riservati alla amministrazione della giustizia da parte del pretore 18, osservati pur quando gli fosse dedotta una situazione di sostanziale emergenza, quale quella caratteristicamente fondate il ricorso al rimedio in questione: se davvero la ragione della conservazione deve rinvenirsi in tale possibilità, si ha l’ulteriore conferma dello specifico modus agendi adottato, giacché quella preziosa ca- ratteristica è data solo in caso di legis actio per pignoris capionem 19. Ciò premesso, Falcone traccia un suggestivo parallelo (è il sesto degli argomenti in rassegna) tra lo svolgimento della quinta legis actio di Gaio ed il procedimento pretorio del danno temuto, en- trambi caratterizzati – ecco il legame – da una denuntiatio preliminare alla apprensione del possesso (o immissione in esso), con conseguente delineazione di un nesso genetico di derivazione del nuovo rimedio dall’antico che, ancora una volta, porta nel senso della imputazione della parte iniziale del § 31a, che reca l’elemento attraente ‘pignoris capio ’, al prosieguo del discorso svolto nel § 31. Il settimo argomento (più difesa preventiva che ricostruzione della tesi) riprende infine uno spunto di Albanese, il quale aveva rilevato il diverso modo gaiano di indicazione delle due applica- zioni sopravvissute: per esso si intuirebbe la bipartizione dell’una e la indivisione dell’altra; Falcone ribadisce la concludenza della lettura del Maestro, pur concorrente con il possibile riferimento alla struttura caratteristicamente articolata del giudizio centumvirale. 2. Lo scopo, limitato ed interlocutorio, di queste pagine è quello di ripensare criticamente gli argomenti allegati in fondamento della fusione logica dei §§ 31 e 31a, che – si ritiene – deve essere revocata in dub- bio: nulla di più. Congetture in materia, del resto, ve ne sono in abbondanza e tutte sono possibili: l’addentellato loro infatti non può conoscere la riprova selettiva di una frizione sulla fonte, che, sfortu- natamente quanto irrimediabilmente, non c’è. O meglio: per alcuni – lo si è detto – vi sarebbe, consi- stendo essa proprio in quel ‘per pignoris ’, che però non è punto certo che debba riferirsi al procedimento desueto e non invece ad altro ignoto argomento, la cui trattazione era proprio allora avviata 20. Modificando l’ordine cronologico degli argomenti sopra esposti, converrà metodologicamente affrontare per primi quelli specifici o, per dir così, maggiormente concreti, rinviando l’esame dei più generali e necessariamente evanescenti alla fine 21, dove sarà proposto un criterio di lettura formale di Gai., inst. 4.31, nonché – senza pretesa di novità – un tracciato della parte iniziale del quarto com- mentario sul quale orientare le parti di testo conservate nel codice Veronese prima e dopo della im- portante lacuna del § 31a 22. Il vaglio dei primi argomenti sarà operato alla luce del dato gaiano del ‘commodius ius et plenius ’ 18) L’autore – op.cit., p. 528 – accenna soltanto al problema (difficile) se l’interpositio del magistrato sia o meno atto d’imperium e se risenta dei vincoli di calendario. L’aspetto non sarà neppure qui affrontato, salvo sfiorarlo appe- na più approfonditamente nel trattare del rito introdotto dal capitolo XX della lex Rubria (cfr. infra, § 3). 19) Gai., inst. 4.29: ‘… pignoris capio extra ius peragebatur, id est non apud praetorem, plerumque etiam absente adversario, cum alioquin ceteris actionibus non aliter uti possent quam apud praetorem praesente adversario, praeterea quod nefasto quoque die, id est quo non licebat lege agere, pignus capi poterat ’. 20) In punto di continuità o non continuità dei paragrafi, ferma la loro convenzionalità (di cui si è detto supra, nt. 11, in principio) cfr. infra, § 7. Circa l’indizio testuale del ‘per pignoris ’, si tenga presente lo stato del palinsesto ve- ronese in parte qua, come precisato supra, nt. 7. 21) L’evanescenza deve naturalmente aversi per oggettiva, in quanto propria del tipo di argomento. Per mi- gliore economia, il vaglio dei rilievi addotti da Falcone (§§ 2, 3 e, parzialmente, §§ 5 e 7), in genere più specifici, tendenzialmente precede l’esame di quelli di Albanese (§§ 4, 5 e 6). Le due parti si saldano idealmente sulla conside- razione del ritenuto indizio gaiano di non partizione del modus agendi esperito in caso di danno temuto che, per pro- fili parzialmente diversi, fonda al contempo il settimo argomento di Falcone ed il secondo di Albanese, nella sintesi che se ne è fatta al numero precedente. 22) L’impianto del manuale gaiano e la sua sistematica sono oggetto di recenti studi importanti, l’ultimo dei quali, cui si fa rinvio anche per la letteratura (salvo ritornarvi superficialmente al § 6) è quello di FALCONE, Appunti, cit., specialmente p. 104 ss. e nt. 224. Rivista di Diritto Romano - VI - 2006 http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/ ( 6 ) 000 Giovanni Gulina conseguente l’esperimento cauzionale, indicato dal giurista come motivo efficiente la progressiva desuetudine del rito antico 23. La maggiore resistenza che infatti si avverte nell’accoglimento della ri- costruzione, qui criticata, per la quale il procedimento antico del danno temuto si sarebbe articolato sulla pignoris capio, consiste esattamente nella difficoltà di individuare i termini della maggiore «co- modità» e «pienezza» 24 del rimedio edittale, rispetto a quello quiritario che, se veramente imperniato sul quinto dei modus agendi, appare – ed è insolito 25 – processualmente agilissimo tra quanto sia stato concepito mai dal diritto romano, non solo antico. E’ nella stessa letteratura che sostiene la identifi- cazione qui contrastata che si rinvengono i termini di tale agilità 26, peraltro notissima. I primi due argomenti di Falcone sembrano provar troppo: è vero che alla situazione speciale del danno temuto ben calzerebbero le caratteristiche di versatilità della pignoris capio, per le quali si poteva ricorrere al rimedio extra ius, senza condizionamento calendariale ed absente adversario. E’ però vero che, sotto tale profilo, la «evoluzione» del rito nella forma cauzionale avrebbe rappresentato un incomodo non indifferente e quindi piuttosto una «involuzione»; e ciò, se anche fosse stato giudica- to complessivamente inferiore per peso ai vantaggi indubbiamente offerti dal procedimento preto- rio, avrebbe determinato senza dubbio la sopravvivenza del rito antico anche nell’effettività della pratica giurisdizionale (ma Gaio riferisce del contrario), tanto più che (anzi: proprio perché) questo eccezionalmente era sopravvissuto alla sublatio augustea. L’argomento è perciò complessivamente contraddittorio: la rilevata maggiore agilità, congiunta alla non abrogazione giulia, porterebbe con grande forza suggestiva verso la conservazione anche effettiva del rimedio, eventualmente poi uti- lizzato residualmente al nuovo rito, nei casi in cui questo si mostrasse meno comodo nell’espe- rimento 27. Ciò però si scontra e soccombe con la testimonianza delle Istituzioni, dalla quale si evin- 23) Un sintetico confronto della ricostruzione di FALCONE, Sulle tracce, cit., con la locuzione gaiana è già in TALAMANCA, Il riordinamento, cit., p. 115 nt. 206. Non è inopportuno ricordare che la fonte non reca chiaramente il segno ‘plenius ’, che è letto congetturalmente da STUDEMUND, Gaii Institutionum, cit., p. 198, innestando sulle lettere terminali leggibili ‘ius ’, le lettere ‘plen ’, non altrettanto chiare. Diversamente per BÖCKING, Gaii Institutionum, cit., p. 198, che legge con sufficiente chiarezza la (supposta) terminazione ‘renius ’, evidentemente incompatibile con la let- tura nel testo considerata (se la « R » fosse in realtà una « P », come è possibile per la forte somiglianza grafica dei se- gni, non vi sarebbe posto per la « L »; se invece di « R » si tratta, non è possibile integrare il segno con la « L » per la in- compatibilità fonetica tra le due liquide). Nel discorso che si sviluppa, l’aspetto del filtro valutativo degli editori – al- trimenti di fondamentale importanza – può restare, ancorché presente, in secondo piano: si conserva infatti il fon- damento per le considerazioni svolte nel testo anche nel caso in cui il nuovo rito dovesse profilarsi soltanto ‘commo- dius ’ rispetto all’antico. 24) La evidente, supina letteralità della traduzione ora offerta delle qualificazioni gaiane esime quasi dal preci- sarne la assoluta convenzionalità, idonea per il momento, al superamento aproblematico della difficoltà del rendi- mento fedele dei segni ‘plenius ’ e ‘commodius ’, inevitabilmente pregiudicato da questioni interpretative di carattere, ol- tre che linguistico, anche e soprattutto giuridico. Sulla seconda locuzione si veda, per esempio, G. CRIFÒ, Commo- dius, in «Scritti G. Bonfante», Brescia, 1976, I, p. 183-190, dove però – sostanzialmente trascurato Gai., inst. 4.31 (p. 188 s.) – il segno in esame è studiato nel contesto del frammento, sempre gaiano, tratto dal commento all’editto provinciale e riportato in D. 7.5.7. Sulla locuzione nel contesto in esame, BRANCA, Danno temuto, cit., p. 54 (cfr. an- che p. 82 nt. 1, circa il ‘damni infecti stipulatio latius patet ’ di D. 39.2.39.2); nonché, incidentalmente, F. SERRAO, La iu- risdictio del pretore peregrino, Milano, 1954, p. 177. 25) Come è noto, le anomalie non sfuggirono neppure ai contemporanei, alcuni dei quali dubitarono seria- mente della riconducibilità della pignoris capio alle legis actiones (Gai., inst. 4.29): sul punto specialmente CANNATA, In- troduzione, cit., p. 1873 s., che su tale circostanza fonda una ricostruzione alternativa del discorso svolto nel § 31a (su cui, infra, § 6). 26) FALCONE, Sulle tracce, cit., 524 ss. 27) Lo stesso argomento del ‘commodius ’ può opporsi, unitamente agli altri indicati alla nt. 16, alla ricostruzione di TOMULESCU, Sur la legis actio, cit., p. 441 ss. («sommation en mots solemnelles» seguita sanzionativamente da una atipica pignoris capio ), nella parte in cui (specie p. 447 s.) sono rassegnati i vantaggi del supposto antico procedimen- to, libero anche dal filtro discrezionale del magistrato giusdicente. Il motivo di conservazione formale dell’antico rimedio da parte del legislatore augusteo, è individuato nei profili di sua celerità da LÉVY-BRUHL, Recherches, cit., p. 328, per il quale «on comprend que, en raison de l’urgence, on ait maintenu ce moyen de pression»: ciò che sembra, per gli stessi motivi opposti alla tesi di FALCONE, confliggere con il ‘commodius ’ di Gaio. Né può ricostruirsi una suc- cessione temporale per la quale il rimedio cauzionale sarebbe stato introdotto soltanto dopo le leggi Giulie che a- vrebbero dunque conservato la legis actio (non più abolita) «jusqu’à ce que le préteur eût créé une procédure aussi ef- ficace et plus moderne, qui ne tarda pas à la supplanter»: maturo o in embrione che sia, il procedimento cauzionale Rivista di Diritto Romano - VI - 2006 http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/ ( 7 ) 000 «Lege agere damni infecti» e «pignoris capio». Esegesi e logica di Gai., inst. 4.31 ce precisamente che, nonostante la formale accessibilità, il rimedio quiritario era caduto irreversi- bilmente in desuetudine, tanto da non richiedere neppure una parola in punto di rito 28. In senso contrario potrebbero essere formulati due rilievi: per rivendicare, con il primo, al lemma ‘commodius ’ un campo di applicazione semantica sostanziale e non processuale 29; per allegare, con il secondo, la natura magis imperii quam iurisdictionis del procedimento di precostituzione della ga- ranzia o di imposizione della cauzione, ricavandone così lo svincolo dalla maggior parte dei condi- zionamenti della attività di iurisdictio in senso stretto (non forse del contraddittorio, però). Sarebbero tuttavia deboli rilievi: pur nei contenuti limiti propri di una difesa in prevenzione, basterà infatti osservare che l’endiadi comparativa ‘commodius – plenius ’ intende coprire nel comples- so gli ambiti processuale e sostanziale, nei quali due 30 si era evidentemente manifestato lo schiac- ciante vantaggio del rito cauzionale, che non aveva lasciato scampo al vecchio rimedio, in breve di- venuto odioso come già da tempo lo erano le legis actiones in genere: ‘nemo vult ’, dice infatti Gaio.31 è già presente, alla metà del I secolo a.C., nella lex Rubria (ivi solo accidentalmente derivato dall’editto del pretore peregrino: BONFANTE, Corso, cit., II.1, p. 389 ss. e 394) e per essa comunque offerto inter cives, tali essendo – non- stante la contraria opinione di TOMULESCU, Sur la legis actio, cit., p. 447 nt. 41, e BERTOLDI, La lex Iulia, cit., p. 111 – i municipes cisalpini: per tutti U. LAFFI, La lex Rubria de Gallia Cisalpina, in «Athenaeum», LXXIV, 1986, p. (5-44) 10 (= ID., Studi di storia romana e di diritto, Roma, 2001, p. [237-295] 244). 28) Come è stato anticipato e come sarà detto, infra, § 6, si ritiene che il § 4.31 esaurisse la trattazione dei casi superstiti di lege agere e che il § 31a avviasse un discorso diverso. Sulla possibilità di intendere in termini relativi e non assoluti il rapporto di preferenza dell’un rito all’altro si veda, infra, nt. 31. 29) Si utilizzano, qui e nel seguito (specialmente § 3), qualificazioni dogmatiche proprie della moderna teoria del diritto, come «processuale» e «sostanziale», in relazione alle situazioni giuridiche soggettive. Ciò che costituisce evidente applicazione di categorie estranee al pensiero giuridico romano. Lo si fa ciononostante per ragioni di bre- vità logica e perché si reputa comunque la possibilità di una loro riuscita (almeno descrittiva) sulle posizioni ricono- sciute dal diritto romano. L’approccio dello storico – si ritiene – deve infatti essere di consapevole rilievo della di- versità culturale delle realtà del passato che egli studia, ma non perciò di rinuncia o rifiuto (peraltro impossibili) de- gli strumenti epistemologici propri dello specifico ambiente del quale egli è – che lo voglia o meno – espressione. Si tratterà semmai di farne prudente e sorvegliata applicazione, onde non cadere nell’eccesso opposto di una sterile quanto inutile ricostruzione astorica. 30) Si consideri ancora la riserva operata alla nota precedente. Utilizzando categorie estranee al pensiero giuri- dico romano non si intende imporre una lente deformante, ma proporre una chiave di lettura della fonte. La diffi- coltà di individuare una chiara distinzione tra l’ambito sostanziale e quello processuale è messa bene in luce da R. SANTORO, Appio Claudio e la concezione strumentalistica del ius, in «AUPA.», XLVII, 2002, p. (295-365) 295 s. e 305, nonché – con riguardo alla locuzione ‘ius ’ nei certa verba della legis actio e critica delle letture della riconducibilità di essa al significato di rito – ID., Potere e azione nell’antico diritto romano, in «AUPA.», XXX, 1967, p. (103-664) 153 ss. e 333. 31) Il rapporto tra i due rimedi è stato recentemente letto in chiave di preferibilità tecnica dell’uno all’altro, piuttosto che di attestazione della intervenuta desuetudine: FALCONE, Appunti, cit., p. 82 ss., ha infatti osservato la impostazione «in chiave di veri e propri consigli» di parte del quarto libro delle Istituzioni, come ben si vede, nella trattazione delle actiones adiecticiae qualitatis, quando (Gai., inst. 4.74), concorrendo più rimedi, il giursta sconsiglia il ri- corso all’actio de peculio e raccomanda invece l’esperimeto della institoria o della exercitoria, aggirandosi così l’onere probatorio circa esistenza e capiente consistenza del peculio in capo al soggetto materialmente contraente: ‘sed nemo tam stultus erit, – si legge nella fonte – ut qui aliqua illarum actionum sine dubio solidum consequi possit, vel in diffcultatem se de- ducat probandi habere peculium eum cum quo contraxerit ’. Stesso discorso ove vi sia il concorso tra le azioni de peculio, tribu- toria e de in rem verso (Gai., inst. 4.74a ): l’attore dovrà orientarsi nella scelta in funzione delle proprie «chances» proba- torie, previa considerazione dei variabili elementi costitutivi della pretesa con esse azioni dedotta. «L’approccio caute- lare» nella scelta dei formulari in specie di confronto delle soluzioni concorrenti e di indicazione di quella ritenuta preferibile è dall’autore rinvenuto – op.cit., p. 84 s. – anche in punto di confezione di un iudicium con o senza prae- scriptio, come nel caso in cui ‘in singulos annos vel menses certam pecuniam stipulati fuerimus ’ (Gai., inst. 4.131: ‘necesse est ut cum hac praescriptione agamus ’), ovvero in quello nel quale ‘ex empto agamus, ut nobis fundus mancipio detur ’, senza pregiudi- zio per l’obbligazione di trasferimento della vacua possessio (Gai., inst. 4.131a : ‘debemus hoc modo praescribere ’). Alla luce di ciò, FALCONE, Appunti, cit., p. 85, legge nel ‘nemo vult ’ del § 31 «l’indicazione dello strumento-conceptio più vantag- gioso», preferendosi «generelmente impiegare il meccanismo, ‘più comodo e più completo’, della stipulatio praetoria », pur potendosi (ancora) ricorrere all’antica legis actio. Per quanto un approccio cautelare, o comunque un filtro prati- co, sia innegabilmente implicito nella trattazione tutta delle azioni da parte di Gaio (come efficacemente ha dimo- strato proprio FALCONE, op. ult. cit., p. 81 ss.), non si ritiene che nel caso specifico del § 4.31 il confronto tra i rime- di vecchio e nuovo per il danno temuto sia forgiato in quella chiave: la locuzione ‘nemo vult ’, infatti si discosta da quelle più immediatamente tecnico-cautelari utilizzate in nei §§ 74a (‘hac potius actione uti ’), 131 (‘necesse est ut ... aga- mus ’), 131a (‘debemus … praescribere ’), ovvero – con minore evidenza, però – nei §§ 4 (‘certum est non posse nos … petere ’: Rivista di Diritto Romano - VI - 2006 http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/ ( 8 ) 000 Giovanni Gulina Intendendo invece la locuzione pleonasticamente limitata alla sostanza del risultato raggiunto con il nuovo rito – ciò che è abbastanza possibile, ancorché improbabile – resterebbe attivo, ed insupera- to, il dubbio (solo mutatosi in metatestuale) del disinteresse completo verso la pignoris capio ed i suoi vantaggi procedurali, tanto evidenti da non poter essere qualificati come «meno comodi»: per quan- to paradossale, lo dimostra virtualmente proprio la tesi che costringe al pleonasmo. Anche l’altro rilievo sarebbe da respingere 32: la interpositio del magistrato che riceve il ricorso del postulante ed impone la cauzione non è attività di imperium : il cap. XX della lex Rubria de Gallia Cisalpina 33 ne attesta infatti il compimento da parte del giusdicente municipale il quale – è pacifico – ‘quae magis imperii quam iurisdictionis sunt facere non potest ’ 34. Che poi quella non sia attività di imperium emerge ancora meglio da: Ulp. 1 ad edictum, D. 39.2.4.7: in eum, qui quid eorum quae supra scripta sunt non curaverit, quanti ea res est, cuius damni infecti nomine cautum non erit, iudicium datur… Passo che prova il grado altissimo dell’aspettativa legittima dell’intimante acché in suo favore sia or- dinata la precostituzione dell’impegno per il danno futuro (‘quae supra scripta sunt ’), tanto da configu- rarsi un’azione reipersecutoria contro il magistrato (municipale, nella specie) che non si sia adopera- to imponendola alla controparte 35. Anche il terzo argomento su cui fa leva Falcone deve essere confrontato con la locuzione ‘commodius ius ’, adesso in unione con il complementare ‘et plenius ’, nel senso, per il momento, del so- lo apprezzamento del portato comparativo della locuzione complessiva, impregiudicato il campo semantico impegnato dalla sua seconda parte 36. Il ragionamento è fondato sulla necessità di scio- glimento della tensione creata con il comparativo mediante l’allegazione dei termini comparati, di minore comodità e pienezza. Termini che sarebbero da collocare nel § 31a, perciò attratto, quale prosieguo, al § 31. L’argomento, di per sé debole, può essere svuotato ancora di portanza, indiriz- zando la rilevata tensione verso la ‘stipulatio quae in edicto est ’, la quale peraltro ne è destinataria inne- dove tuttavia si è prossimi all’impossibilità teorica, piuttosto che all’inopportunità pratica), 86-87 (sugli accorgimenti serventi la correttezza della trasposizione della responsabiltà processuale), 106-107 (sulla necessità dell’exceptio rei iu- dicatae vel in iudicium deductae ). Maggiore assonanza vi è invece tra il ‘nemo vult ’ del § 31 ed il ‘nemo tam stultus erit ’ del § 74 (di cui si è detto, supra, in questa stessa nota): ciononostante si osserva una differenza importante tra le due locu- zioni, delle quali l’una sembra registrare una causalità esterna e preassunta dal giurista come data o presupposta, tan- to da essere fuori della portata del proprio insegnamento o suggerimento (non è Gaio a sconsigliare l’uso del rime- dio inviso); l’altra invece, costruita al futuro e dunque latamente precettiva, appare – sola – idonea a portare un con- tenuto pratico-cautelare, alla cui elementare evidenza peraltro ben si addice il segno ‘stultus ’, da intendersi in un sen- so compreso tra lo sprovveduto e l’irragionevole. La lettura di FALCONE in commento presuppone inoltre la suc- cessiva illustrazione delle ragioni della preferibilità pratica, conformemente a quanto accade nei passi richiamati a modello. Illustrazione che – secondo la tesi già sostenuta dall’autore in Sulle tracce, cit., passim – troverebbe luogo nella lacuna del § 31a, con conseguente riferimento della parte iniziale leggibile – ‘per pignoris ’ – al rito antico del danno temuto. Sulle difficoltà che però si frappongono alle ricostruzioni che vedono il proseguimento della tratta- zione delle legis actiones, oltre il § 31, nel seguente (impegnando parte della pagina mancante) si veda, nel testo, il § 6. 32) Ferma la condizione apposta (e non sciolta) al rilievo anche da FALCONE, Sulle tracce, cit., p. 528, alla effet- tiva libertà dei tempi delle attività ‘magis imperii quam iurisdictionis ’. 33) Sulla quale si veda il § 3. E’ molto improbabile che l’interpositio sia atto d’imperium eccezionalmente rimesso al magistrato municipale dalla legge Rubria: sul punto, G. GULINA, I modelli urbano e municipale cisalpino del procedimento di danno temuto, in «Gli statuti municipali» (cur. L. CAPOGROSSI COLOGNESI, E. GABBA), Pavia, 2006, specialmente p. 244, nonché la successiva nt. 52. 34) Paul. 1 ad edictum, in D. 50.1.26: il passo richiama, tra i provvedimenti preclusi, anche il ‘bona rei servandae causa iubere possideri ’, che ricorda molto da vicino l’immissione nella detenzione e poi possesso di D. 39.2.7.pr. Dalla lettura di D. 2.1.4 potrebbe apparentemente ricavarsi la necessità dell’imperium anche in sede di interpositio magistra- tuale in punto di precostituzione della garanzia: si veda però la lettura del passo proposta in GULINA, I modelli, cit., p. 245 nt. 27, che stempera il (falso) contrasto. 35) Così in GULINA, I modelli, cit., p. 245: difficilmente – si riteneva e si ritiene – possono coesistere responsa- bilità da omissione e discrezionalità (e quindi causae cognitio ) in punto di azione. 36) Il significato sostanziale di ‘plenius ’ rappresenterà lo strumento del vaglio, al § 3, degli ulteriori argomenti fondati sul risultato concreto delle inziative secondo i riti vecchio e nuovo. Rivista di Diritto Romano - VI - 2006 http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/ ( 9 ) 000 «Lege agere damni infecti» e «pignoris capio». Esegesi e logica di Gai., inst. 4.31 gabile, in quanto essa per prima introdotta comparativamente da un ‘sed potius ’, con il quale era trac- ciata compiutamente la comparazione tra i riti, solo ribadita, quanto alla motivazione della preferen- za, con la locuzione in commento. L’argomento quarto è uno sviluppo dei primi due: la prospettiva in esso si amplia nella ricerca retorica di uno strumento alternativo alla pignoris capio, che però offra le stesse … incomodità: «chi – infatti – ha immaginato l’esperibilità di legis actiones diverse dalla pignoris capio, non ha potuto fornire una spiegazione persuasiva della loro minore comodità». Come gli argomenti da cui deriva, anche questo sembra provar troppo e si ritorce contro la tesi che dovrebbe corroborare: non è infatti dato di cogliere la spiegazione persuasiva della minore comodità – neppure e soprattutto – della pignoris ca- pio, rispetto al procedimento pretorio. E’ per questo, forse, che il discorso viene allora portato nell’am- bito sostanziale delle conseguenze del procedimento, richiamando ad esse, oltre a ‘plenius ’ (come è naturale) anche il lemma ‘commodius ’, che però, tra i due, resterebbe più processualmente caratterizzato. 3. Nella ricerca di un contesto quiritario di lege agere dove ambientare la maggiore difficoltà del rito antico rispetto al procedimento cauzionale, si viene all’ambito sostanziale degli effetti dell’esperi- mento, vano essendo stato fin qui il confronto provato tra il rimedio della pignoris capio e quello della stipulazione edittale, risultato sempre il primo, paradossalmente, più versatile e dunque migliore, almeno in punto di rispondenza alle esigenze proprie della fattispecie di danno temuto. Riuniti perciò gli argomenti quarto, nella parte residua, e sesto di Falcone 37, si passa alla consi- derazione della situazione lato sensu possessoria conseguente l’esperimento della pignoris capio ed al confronto con quella frutto del decreto del pretore. A tale ultimo riguardo gioverà il vaglio del capi- tolo XX della lex Rubria. Nella lettura proposta da Falcone 38, l’esercizio della pignoris capio da parte del soggetto istante avrebbe comportato per lui il dovere o l’onere di attivarsi con lavori di manutenzione per evitare il danno temuto. Il ricorso al procedimento cauzionale gli avrebbe invece evitato ogni attività materia- le, garantendogli al tempo stesso una sicura tranquillità in ordine al risarcimento di future conse- guenze dannose, relativamente al quale aveva ottenuto un credito convenzionale, pur eziologica- mente coartato. L’argomento tiene ed ha notevole forza: sembra infatti riuscire lo spostamento del significato di ‘commodius ’ dall’ambito prettamente processuale a quello processuale e sostanziale in- sieme (conseguenze sostanziali della posizione processuale del procedente, costretto ad attività ma- teriali), conservandosi un campo semantico specifico e differente al lemma ‘plenius ’, avente riferi- mento soltanto al sostanziale puro 39. Restano però due problemi: la comodità del non attivarsi in prevenzione materiale è sostituita con la garanzia di risarcimento nel caso di evento. Detto risarcimento è dunque condizionato al ma- terializzarsi del danno temuto e consiste nella corresponsione di una somma di denaro, commisura- ta al pregiudizio, ovvero all’onere di ricostruzione. Ricostruzione cui però materialmente dovrà fare fronte il postulante, seppure a spese dell’avversario 40: la comodità è allora circoscritta all’interno del tasso fisiologico dei casi di danno erroneamente temuto, che però sono quelli – si può ritenere – meno oneranti in punto di intervento preventivo 41. Con questo non si vuol sostenere che le due opzioni (intervento preventivo in alieno a seguito di pignoris capio e intervento successivo in suo ) siano parimenti comode o incomode, specialmente sotto il profilo del tempo e del modo dell’intervento. 37) Si rinvia per adesso l’esame del quinto (imputazione della sopravvivenza del rito antico alla possibilità di suo esperimento senza vincoli di calendario), che sarà affrontato in conclusione, al § 7, in corrispondenza della nt. 125. 38) FALCONE, Sulle tracce, cit., p. 526. 39) Evitando quindi la improbabile endiadi formale e pleonastica di cui poco sopra si è detto, nel paragrafo precedente. 40) Doveva peraltro valere anche nel mondo classico il dato di esperienza comune per il quale, in genere, l’attività sufficiente alla prevenzione di un evento è materialmente più semplice e meno onerosa di quella necessaria al rimedio delle conseguenze dannose di esso. 41) L’intervento preventivo è ovviamente più semplice, dal punto di vista materiale, nei casi di infondato ti- more: verosimilmente, l’errore di prognosi doveva incidere maggiormente sui piccoli fenomeni che non sui grandi. Rivista di Diritto Romano - VI - 2006 http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/ ( 1 0) 000

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1869-1882; nell'ambito di prospettive più generali, A. MAGDELAIN, Gaius IV 10 et 33: naissance de la procédure formulaire, in «TR.», LIX, 1991, p.
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