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L’economia del noi. L’Italia che condivide PDF

135 Pages·2011·0.96 MB·Italian
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Saggi Tascabili Laterza 351 Carlini.indd 1 11/02/11 10.09 Carlini.indd 2 11/02/11 10.09 Roberta Carlini L’eConomia deL noi L’italia che condivide Editori Laterza Carlini.indd 3 11/02/11 10.09 © 2011, Gius. Laterza & Figli Prima edizione 2011 www.laterza.it Questo libro è stampato su carta amica delle foreste, certificata dal Forest Stewardship Council Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel marzo 2011 SEDIT - Bari (Italy) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 978-88-420-9576-7 Carlini.indd 4 11/02/11 10.09 Introduzione La grande recessione ha portato via con sé parecchie certezze. Oltre a milioni di posti di lavoro, case, mutui, pensioni, sanità, scuole e università; oltre a molte imprese e qualche banca; oltre a molte vite umane; oltre al mito della stabilità e della crescita come elementi naturali del sistema; oltre al castello di carte dell’economia finanziaria e a un bel pezzo dell’economia reale, la grande crisi ha fatto cascare anche una certa concezione dell’economia. Ossia, quel corpus di idee e teorie prevalenti che ha do- minato sulla scena politica, culturale e accademica negli ultimi trent’anni. I segnali di questa crisi sono parecchi. Ha cominciato subito la regina Elisabetta, con la sua celebre domanda naïf agli attoniti economisti della London School of Eco- nomics circa la mancata previsione del crollo («come mai non se n’era accorto nessuno?»). Ha proseguito l’Accade- mia di Stoccolma, che dopo il disastro ha fatto uscire per un po’ il Nobel per l’economia dai ristretti confini della teoria mainstream in cui era rimasto, salvo rare eccezio- ni, per anni e anni; portandolo addirittura dagli algoritmi super-specialistici del mercato al campo interdisciplinare dei «commons», premiando Eleanor Ostrom e le sue ricer- che sulla gestione collettiva dei beni comuni, e così ripor- tando l’economia con i piedi per terra, dentro la società. Se ne sono accorti la comunità scientifica e i media, con ­v Carlini.indd 5 11/02/11 10.09 una produzione ricchissima di libri e articoli con critiche, autocritiche, processi alla «scienza triste». Nei convegni degli economisti è comparsa la parola «felicità» e il relati- vo filone di studi ha trovato nuova linfa. Intanto si è andata allargando al di fuori dell’ambito degli addetti ai lavori la critica alla crescita del Pil come so- la misura del benessere delle nazioni: una critica di lungo periodo che ha permeato studi e movimenti, ma che è stata sussunta a livello istituzionale in Francia con la Commis- sione Stiglitz-Sen-Fitoussi, è entrata anche nei programmi scientifici di istituti di statistica nazionali tra i quali il no- stro Istat, ed è diventata argomento ricorrente e persino di moda nella pubblicistica economica. Anche in questo caso è in gioco l’allargamento dei confini dell’economico, e l’ingresso di indicatori di qualità sociale al fianco dei tradizionali indici relativi alla sfera dell’economia intesa in un senso assai ristretto. Sulla stessa interpretazione della crisi, si sono fronteg- giate una versione minimalista, che ha chiamato in causa disfunzioni della finanza e disattenzioni del regolatore, e altre più attente a fattori strutturali globali; queste ulti- me indagano sul ruolo che la crescita delle diseguaglianze sociali nelle società occidentali ha avuto nell’innescare la crisi del debito, e dunque sottolineano l’importanza dei fattori distributivi, sociali e istituzionali sui fatti dell’eco- nomia: riequilibrando così i pesi tra mercato, società e politica, per un lungo periodo decisamente squilibrati a favore del primo. Si tratta di segnali per un po’ di tempo molto evidenti anche nella percezione pubblica e poi rapidamente di- menticati dopo che la crisi finanziaria è rientrata – grazie al pronto soccorso dei governi – mentre è esplosa in tutta la sua distruttività quella economica – contro la quale l’in- tervento della politica è stato meno rapido se non assente. Segnali di diversa natura, tutti però concordanti nel met- tere in discussione l’assunto che ha nutrito per trent’anni il senso comune dell’economia: quello per cui è l’interesse ­vi Carlini.indd 6 11/02/11 10.09 individuale l’unico motore e l’unica chiave interpretativa dei comportamenti umani nella sfera della produzione e dello scambio. In quest’ottica, il mercato da luogo istitu- zionale dove si scambiano beni, servizi e denaro diventa centro di gravitazione universale, e l’individuo – l’io isola- to al centro della scena economica – il protagonista di un modello che, con teorie e tecniche via via più raffinate, ha sempre continuato a battere sullo stesso chiodo: lasciate fare gli interessi individuali, e la loro interazione ci darà il massimo raggiungibile per tutti. Una concezione del mondo che pareva fallita e incar- tocciata negli scatoloni dei broker di Lehman Brothers, e che è stata momentaneamente accantonata proprio dai suoi più accaniti fautori, quando sotto le strette della crisi hanno chiesto e ottenuto un salvataggio pubblico per ri- mediare ai guasti privati. Salvo poi tornare sani e salvi al «business as usual», rifiutando innovazioni radicali sulle regole finanziarie e sullo stesso sistema economico. Gli interessi costituiti, o meglio ricostituiti, si sono ripresi la scena, ma non è una gran scena in un mondo occidentale alle prese con disoccupazione, povertà, instabilità, rischi ecologici crescenti e crescenti paure; mentre la politica, al- la quale era stato ridato un piccolo scettro nell’emergenza della crisi finanziaria, l’ha subito perso, non sapendo bene come usarlo o non riuscendo a farlo per sproporzione di forze. È in questo quadro – di macerie ma anche di una tran- sizione potenzialmente fertile – che emergono sempre più nella società comportamenti che sostituiscono il «noi» all’«io», la condivisione alla divisione, la cooperazione alla frammentazione. Definiamo l’economia del noi come un insieme di esperienze fondate sui legami sociali, nelle quali gruppi di persone entrano in relazione e cercano soluzioni comunitarie a problemi economici, ispirate a princìpi di reciprocità, solidarietà, socialità, valori ideali, etici o reli- giosi. Fuori dalla logica esclusiva dell’homo oeconomicus, ­vii Carlini.indd 7 11/02/11 10.09 spesso contro di essa, ma dentro il mercato. Fuori dalla scena politica istituzionale, ma con l’ambizione di porta- re una propria visione politica nel fare quotidiano. Fuori dall’universo chiuso della proprietà privata, nello spazio aperto dei beni comuni. Di esperienze del «noi» la storia del capitalismo è co- stellata sin dalle origini. Dalle società di mutuo soccorso in poi, è lunga la lista di esempi di quella che Polanyi de- finiva «l’autodifesa della società» dal mercato, e che gli anti-utilitaristi del Mauss chiamano la «persistenza del dono nelle società moderne». Lunga, diversificata, e con ondate cicliche. Ha preceduto e accompagnato l’ascesa dell’azione collettiva organizzata nei sindacati e nei partiti di massa, gettando le basi di istituti che sarebbero poi di- ventati pilastri del welfare state; e ha accompagnato la crisi dello Stato sociale, svolgendo un ruolo di integrazione o di sostituzione rispetto ai suoi servizi. Ha prosperato, con le cooperative bianche e rosse del dopoguerra, in epoca di politica «forte», sorretta da robusti schemi di cambia- mento del sistema economico e sociale; ed è ritornata, con gruppi che praticavano modelli alternativi di consumo, di risparmio, di bilanci, in epoca di politica debole, debolis- sima, a contrapporre alla povertà di vedute di quest’ultima le sue «utopie del ben fare» (per citare il bel titolo di un libro di Giulio Marcon, excursus esaustivo e critico nella storia delle organizzazioni della società civile in Italia). È cresciuta, nel mondo occidentale e anche in Italia, negli stessi decenni in cui a livello politico mondiale le istanze dell’economia «giusta» venivano mandate in soffitta o de- legate al mondo della religione o della filantropia. Adesso, l’economia del noi gode di due fattori congiun- turali favorevoli. Il primo è in negativo, ed è nel declino delle fortune teoriche dell’individualismo economico, nel- la consapevolezza diffusa dell’esaurimento di un modello che ha provocato guasti sociali e sta portando al collasso ambientale, nell’urgenza di un’innovazione di sistema. Il secondo è in positivo, ed è nell’economia della conoscen- ­viii Carlini.indd 8 11/02/11 10.09 za: il cambiamento del paradigma tecnologico seguìto alla rivoluzione della rete, che non solo dà ai gruppi (oltre che ai singoli) un formidabile strumento di comunicazione, organizzazione e azione, facilitando la messa in pratica di molti progetti di innovazione sociale; ma che è essa stessa, strutturalmente, un’economia di comunità, fondata sulle relazioni, dove la cooperazione vince perché è più efficace e non solo perché è più buona, e nel quale sono la colla- borazione e il dono a produrre valore. Dai gruppi d’acquisto di quartiere alle nuove comunità del free software, dai gruppi di abitazione o di autocostru- zione al coworking, dalle banche del tempo all’economia di comunione, dalle cooperative sociali alla finanza etica: le pratiche dell’economia del noi sono molte, assai diverse tra loro, e varie sono le motivazioni di chi vi partecipa. Le stesse realtà organizzative possono assumere connotazio- ni differenti a seconda del contesto in cui agiscono o del momento storico. Ad esempio, i gruppi d’acquisto solida- li, nati sull’esigenza di coniugare consumo ed etica, sono cresciuti esponenzialmente sull’onda delle crisi alimentari e relativi effetti di panico; sono diventati uno strumento molto potente nella riconversione ecologica dell’econo- mia; e hanno modellato i propri caratteri sulle priorità del territorio nel quale operano in organizzazioni che si stan- no sempre più strutturando. In Sicilia, dove sono sbarcati non da molto, e più in generale nel Mezzogiorno, stanno sempre più assumendo l’obiettivo della lotta alla mafia co- me prioritario, e conducono questa lotta con lo strumento principale del consumo critico: il portafoglio. Mentre al Nord, dove sono nati e in massa cresciuti, gli stessi gruppi si sono trovati ultimamente anche a guidare o aiutare il sal- vataggio di aziende in crisi. E ovunque, la rete dei gruppi d’acquisto ha messo a fuoco i costi e i guasti della filiera lunga della catena che va dai campi al piatto, salvando letteralmente dalla crisi molti piccoli produttori strozzati dalla grande distribuzione. Nel far questo, ha incrociato un movimento d’opinione vasto e crescente e trovando ­ix Carlini.indd 9 11/02/11 10.09

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