Cond _—Fr ont ie Credii on roasae P| I P| ea Digitized by the Internet Archive in 2022 with funding from Kahle/Austin Foundation https://archive.org/details/leconomiadeglisp0000cill sO VSTLIATINDO OLSOMANA ISWVETMOB AIN Sur AQUASS LLO'REENCZOO NCIOLLMAIRIAO “DEGLI SPETTA FORME DEL CAPITALISMO CONTEMPORANEO prefazione di PIETRO BARCELLONA © 1996 manifestolibri srl via Tomacelli 146 - Roma Tn copertina: Nataly Maier, Coppia e single, 1993. ISBN 88-7285-086-X INDICE PREFAZIONE di Pietro Barcellona Parte Prima NUOVE FRONTIERE DELLA CRITICA DELL'ECONOMIA POLITICA: VERSO IL «CAPITALISMO COGNITIVO» 1.1. Punti di vista sul capitalismo 1.2. Un rapporto sociale di produzione 1.3. Capitalismo lavorativo 1.4. Eredità culturali per una nuova teoria 1.5. Capitalismo cognitivo 1.6. Da qui all’eternità Note Parte Seconda L’«IMPERFETTA» DEMOCRAZIA DEL CAPITALE 2.1. Democrazia politica e democrazia lavorativa 2.2. Capitalismo e democrazia 2.3. Esperimenti di democrazia economica e lavorativa 2.4. Micro-autoritarismo dell'impresa 2.5. La democrazia degli spettri 2.6. Forme e proprietà Note Parte Terza IL «SOTTOSVILUPPO RELATIVO»: I DIVARI NELL’ECONOMIA MONDIALE i 3.1. Aspetti di carattere epistemologico 3.2. Un modello storico-economico generale 3.3. Configurazioni del sottosviluppo nella fase «cognitiva» dell’accumulazione capitalistica 3.4. Elementi di un’astrazione determinata: «il sottosviluppo relativo» 151 3.5. Metamorfosi di classe 157 Appendici 161 I. Miseria e impoverimento del Sud 161 II. I«padri fondatori» 168 III. Un riepilogo critico delle teorie del sottosviluppo 178 Note À 207 Parte Quarta FISIONOMIA E CONTRADDIZIONI DEL «NUOVO . ORDINE INTERNAZIONALE» 213 4.1. Una «grande trasformazione»? 219 4.2. Dissoluzione feudale e asiatica dell’Unione Sovietica 224 4.3. Crisi e frantumazione di ordini capitalistici arcaici 244 4.4. Configurazioni mondiali dell’egemonia 278 Note 302 PREFAZIONE Pietro Barcellona 1. In tempi nei quali gli economisti sembrano essere diventati i depositari del destino dei popoli e tuttavia appaiono sempre più incapaci di prospettare la «ricchezza delle nazioni» oltre l’oriz- zonte segnato dai destini della moneta, della borsa, dei vincoli di bilancio, del deficit statale, il libro di Lorenzo Cillario è un con- tributo raro di passione civile e di impegno di studio, nel quale, e non a caso, il problema economico viene nuovamente riproposto come problema di una società che riflette su se stessa per capire come vive, come pensa e lavora. La domanda che Cillario si pone è come potrebbero cambiare i rapporti tra gli individui emanci- pandoli dal pensiero unico del calcolo monetario che su di essi incombe con lo spettro della fine della storia. Passione civile e impegno di ricerca, dicevamo, che il libro di Cillario condivide con le più acute e appassionate ricerche del- la sinistra intellettuale. E basti, per tutti, ricordare i saggi raccolti nel recente volume di Pietro Ingrao e di Rossana Rossanda (Appuntamenti di fine secolo) che cercano di darsi una ragione della sconfitta epocale del comunismo (o meglio del «socialismo reale») e delle metamorfosi sociali ed economiche che ne hanno segnato il declino prima e la repentina scomparsa poi. Una ragione che essi individuano essenzialmente in un difetto di analisi scientifica e nei ritardi accumulati da una sini- stra culturale e politica, attestata su vecchi paradigmi, nell’inten- dere per tempo la portata e i caratteri dei processi di trasforma- zione innescati dalla capacità innovativa del capitale sia sulle tec- niche di produzione che sulle forme dei rapporti economici e sociali che ne hanno dispiegato gli effetti sull’intero pianeta. Come già ribadito nei recenti contributi di Marco Revelli, di Bruno Trentin, di Isidoro Mortellaro e di altri ancora che si sono confrontati con codesto tipo di approccio, anche per Cilla- rio la comprensione dei caratteri propri del cosiddetto postfordi- smo rappresenta il banco di prova di una rinnovata capacità di analisi critica della sinistra, del rilancio di una tradizione che ha visto nella critica dell'economia politica il terreno d’elezione per ripensare politicamente le questioni del conflitto di classe a partire dal modo di produzione capitalistico. Un conflitto, quello tra capitale e lavoro, che appare scompaginato dall’abbandono del paradigma fordista segnato dall’innovazione tecno-organizzativa della produzione cosiddetta a rete, flessibile, ecc., per essere rimesso in forma e rilanciato su scala globale con una cifra ancor maggiore di dominio e sfruttamento. Questo filone di studi è da tempo arricchito dai numerosi contributi che Cillario ha sviluppato intorno ai nuovi rapporti tra scienza e produzione capitalistica (e dai quali peraltro qui ripete le idee fondamentali, pur dispiegandole in un contesto di riflessioni e spunti fortemente articolati). E su tale frontiera infatti che Cil- lario matura la propria analisi e la messa a punto della nozione di capitale cognitivo come nuova frontiera della critica dell’econo- mia politica. Giacché, se è vero che sul fronte dei rapporti tra scienza e produzione il sistema capitalistico ha vinto la sfida posta dalla crisi politico-organizzativa del fordismo-keynesismo, ciò dipende, secondo Cillario, dal fatto che il capitale è riuscito ad attingere quella specifica dimensione cogrzitiva con la quale rideterminare, grazie alle nuove risorse di potere così accurzulate, la natura e la dimensione dei conflitti economici e militari, e le nuove gerarchie politiche mondiali. Le conclusioni che scandiscono ciascuno dei passaggi sopra riferiti si pongono al culmine di una serrata disamina delle tra- sformazioni del modo di produzione capitalistico che qui è opportuno ripercorrere analiticamente per comprendere appie- no la portata di «sintesi teorica» che si intende attribuire alla nozione di capitale cognitivo. Secondo Cillario, la dimensione cognitiva del capitale ricor- re nel momento in cui «il processo lavorativo viene caratterizzato da una profonda trasformazione: la riflessività». La quale dà con- to, innanzi tutto, del nuovo contesto di tecnologie della cono- scenza e della comunicazione che importa necessariamente che il «lavoro operaio deve sempre più occuparsi della propria orga- nizzazione procedurale», abbandonando quella dimensione essenzialmente «esecutiva» delle direttive che il capitalista e/o i suoi agenti gli impartivano. Storicamente una tale rzetazzorfosi del processo produttivo ha segnato il passaggio dalla organizzazione «scientifica» del lavoro dell'impresa fordista (che ha certamente rappresentato il punto più sviluppato della dimensione esecutiva dell’attività lavo-