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Le tentazioni di sant'Antonio PDF

135 Pages·1981·2.32 MB·Italian
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GUANDA BIBLIOTECA DELLA FENICE WILHELM FRAENGER LE TENTAZIONI DI SANT’ANTONIO CON UN SAGGIO INTRODUTTIVO DI MASSIMO CACCIARI P a sempre l’arte di Hieronymus Bosch ha sollecitato le più diverse, e talora antitetiche, ipotesi di lettura in coloro che si sono accostati ad essa col proposito di svelarne finalmente la segreta geometria, l’enigma indecifrabile. La specificità dell’interpretazione di Wilhelm Fraenger, che all’opera del grande pittore fiammingo dedicò lunghi anni di appassionate ricer­ che e che nei due saggi qui presentati sulle Tentazio­ ni (rispettivamente conservate nel Museo Nazionale di Lisbona e al Prado di Madrid) raccolse il frutto dei suoi ultimi studi sull’argomento, consiste nel privile­ gio da lui accordato - come punto di riferimento ini­ ziale dell’analisi - alla funzione originaria delle tavo­ le. Bosch non è soltanto uno straordinario inventore di immagini: la sua è una visione del mondo che in ogni particolare obbedisce a un disegno allegorico di vaste dimensioni, in cui fonti teologiche, tradizione ermetica e metamorfosi alchemiche vengono evoca­ te con metafore di eccezionale pregnanza figurativa. Fraenger approfondisce qui le tesi già espresse nel precedente saggio II Regno millenario (pubblicato in questa stessa collana) sull’appartenenza di Bosch alla comunità misterica dei «Fratelli e Sorelle del Li­ bero Spirito», da cui avrebbe ricevuto la commissio­ ne dei due dipinti. Più in particolare, la pala di Lisbo­ na - oggetto del saggio più lungo e articolato - sareb­ be, al di là della fitta trama di richiami simbolici e si­ gnificati esoterici in essa contenuti, la rappresenta­ zione dell’assassinio, consumato ad opera di una set­ ta rivale, della moglie e del figlio del capo della co­ munità, il Gran Maestro del Libero Spirito. Una tesi rivoluzionaria, cui l’autore perviene al termine della sua minuziosa ricognizione attraverso i luoghi del di­ pinto. Queste pagine, come afferma Massimo Cac- ciari nel suo «Commento» introduttivo, rappresenta­ no, «per complessità, intelligenza e coerenza... senza dubbio la migliore guida all’inferno delle Tentazio­ ni»: un viaggio di singolare suggestione lungo i labi­ rintici meandri di una fra le opere più «segrete» della rinascenza e di tutta la civiltà occidentale. In copertina: Hieronymus Bosch, Le tentazioni di sant’Antonio (Museo Na­ zionale di Lisbona), particolare. Titoli originali: Die Versuchungen des heiligen Antonius (National Museum Lissabon) Traduzione dal tedesco di Irene Bernardini Die Versuchung des heiligen Antonius (Madrid) Traduzione dal tedesco di Enza Gini © 1975 VEB Verlag der Kunst Dresden © Ugo Guanda Editore s.r.l., via Daniele Manin 13, Milano, 1981 WILHELM FRAENGER LE TENTAZIONI DI SANT’ANTONIO una nota introduttiva di Massimo Cacciari GUANDA Il mutus liber di Hieronymus Bosch Commento ai saggi di Wilhelm Fraenger sul Giardino delle delizie e le Tentazioni di sant’Antonio di Massimo Cacciari L’intera interpretazione che il Fraenger offre di Bosch si regge, come è noto, sul presupposto dell’appartenenza del maestro fiam­ mingo alla setta dei Fratelli e Sorelle del Libero Spirito o, meglio, a quel ramo della setta denominato degli Homines intelligentiae che, all’inizio del ’400, aveva conosciuto una particolare fioritura a Bruxelles. Jacob van Almaengien, ebreo battezzato a ’s-Hertogenbosch nel 1496 alla presenza di Filippo il Bello, sarebbe il dotto commit­ tente e ispiratore dei due grandi trittici ‘ermetici’ del Bosch, Le tentazioni di Lisbona e, soprattutto, Il Giardino delle delizie del Prado, in quanto occulto gran maestro della setta. Sull’assenza di base documentaria a favore di questa ipotesi ha da tempo insistito la critica. Nulla di specifico sappiamo non solo sull’appartenenza del Bosch e delPAlmaengien agli Homines intelligentiae, ma neppure sull’effettiva esistenza e diffusione di movimenti del Libero Spirito a ’s-Hertogenbosch all’epoca della piena maturità dell’artista. Questa semplice constatazione, però, è lungi dal costituire una confutazione critica delle tesi del Fraenger: a questo fine occorrerebbe mostrare come il riferimento ai motivi fondamentali dell’eresia ‘seduca’ ri­ spetto al senso autentico della complessa simbolica del Bosch, e come, di conseguenza, il rifiuto di quel riferimento e l’adozione di altri punti di vista conducano ad una comprensione più piena e coerente delle opere in esame. Più forte l’obiezione che si può muovere al Fraenger a partire dall’accertata appartenenza sia del Bosch che delPAlmaengien alla Confraternita di Nostra Signora, fondata nel 1318 e poi profondamente influenzata dai Fratelli della Vita Comune, i cui insegnamenti traggono fondamentale impulso dal grande sviluppo della mistica tedesca e fiamminga del ’300, in particolare da Jan van Ruysbroeck. Ora, come è possibile che Bosch appartenesse ad una setta eretica segreta esplicitamente attaccata, 7 nelle sue opere, dal Ruysbroeck, come già lo era stata anche dal- l’Eckhart, se era membro di una confraternita che al Ruysbroeck esplicitamente si richiamava? E che al grande mistico fiammingo il Bosch guardasse, lo dimostra esplicitamente l'Ascesa all'empireo di Venezia. Senonché anche il Ruysbroeck, come, più gravemente, l’Eckhart, il Taulero, il Suso vennero spesso 'confusi' col begar- dismo, fin dalle sue origini vicino, per alcuni aspetti, alle dottrine del Libero Spirito. Il crogiolo di motivi eretici, riformatori, mille- naristici che sta alla base di questi movimenti non è facilmente dipanabile, per cui dobbiamo ritornare alla domanda: è essenziale il riferimento al Libero Spirito per intendere l’universo simbolico del Bosch? E, prima ancora, è davvero convincente l’interpretazione che il Fraenger fornisce di questo movimento ereticale? Stranamente, i critici del Fraenger non si sono posti questa se­ conda, decisiva questione - decisiva, poiché è evidente che se l’in­ terpretazione non è fedele alla sostanza dell’eresia, nulla sarà possibile concludere a proposito della sua influenza su Bosch. Numerosi studi danno ormai un’idea relativamente precisa sugli sviluppi storici e le dottrine fondamentali della setta. Essa appare, al Grundmann, l’erede più radicale del millenarismo gioachimita, per un verso, e del monismo amalriciano, chiaramente influenzato da Giovanni Scoto Eriugena, per l’altro. E come le tesi di Amalrico vengono condannate a Parigi nel 1212, poco dopo la sua morte, così Onorio III condanna in una bolla del 1225 il De divisione naturae, primo, grande scritto della metafisica medievale, nel quale è postu­ lata l’assoluta identità del mondo a Dio, in quanto essenza di tutte le cose: « Egli è tutto nel mondo, tutto intorno al mondo, tutto nella creatura sensibile, tutto nella creatura intelligibile; è tutto nel creare l’universo, tutto diviene nell’universo, è tutto in tutto l’universo, è tutto nelle parti di esso, perché egli stesso è tutto e parte e non è né tutto né parte ». Amalrico sviluppò in senso pan­ teistico la visione di Scoto collegandola all’idea gioachimita del Regno dello Spirito, alla nova religio dell 'unica legge, la lex liber- tatis, che succede a quelle del Padre e del Figlio. In Giovanni Scoto il processo della creazione è ininterrotta teofania: le cose non sono che teofanie, che hanno perciò in Dio soltanto verace sussi­ stenza. Per gli amalriciani « Deus operatur omnia in omnibus » e perciò tutte le cose appaiono già come redente; già l’homo viator, nel suo stato attuale, può cogliere il mondo in questa luce divina, come un traboccare del divino. Già all’homo viator è concessa la visio facialis: perfectio libertatis, libertas contemplationis: intui­ zione puramente spirituale del divino. Il millenarismo gioachimita attualizza, per così dire, l’epistrophé del grandioso disegno dello Scoto; mentre in Giovanni Scoto permane evidentissima l’idea della divina trascendenza pur nel processo della sua autorivelazione, il gioachimismo degli amalriciani finisce coll’intuire ogni cosa, poiché teofania, come già redenta o risorta, come corpo glorioso, col dei­ ficare panteisticamente gli effetti ed ordini dell’universo per i quali ineffabilmente trabocca la fonte divina. 8 Di queste idee l’eresia del Libero Spirito costituirebbe lo sviluppo più radicale. Vuoi attraverso importanti apporti dalla mistica araba (l’insania amoris del sufismo) e bizantina (messaliani e euchiti, per i quali, raggiunta la visio beatifica cessava la necessità di ogni sacramento e rito, non potendo il perfetto più peccare), vuoi at­ traverso diversi intrecci con gli Spirituali dell’ordine francescano (la figura di Jacopone, in particolare) e con il begardismo (le Visioni della Hadewych e, testo di particolarissimo rilievo per lo studio del Libero Spirito, il Miroir des âmes simples di Margherita di Hainault, detta Porete, bruciata a Parigi nel 1310 - Eckhart è a Parigi nel 1311 e poco dopo soltanto inizia la sua predicazione più ardita), fino a quei ‘ libertini ’ dei Paesi Bassi, contro i quali Calvino polemizzerà ferocemente (« vogliono rendere gli uomini simili agli animali selvaggi », sopprimono « la distinzione di bene e male », abusano « della libertà cristiana »), setta antinomistica del ceppo anabattista, che dovrebbe costituire, anche per ragioni geografiche, l’ultima propaggine degli Homines intelligentiae, sulla cui dottrina si basa, come abbiamo visto, l’interpretazione del Bosch da parte di Fraenger - lungo tutto il ’200 e ’300 e l’autunno del Medioevo è un pullulare, dalla Francia ai Paesi Bassi, dall’Italia alla Ger­ mania, di idee e movimenti (a Romana Guarnieri dobbiamo la loro puntuale rassegna) che insistono sulla possibilità di un ritorno attuale allo stato di vera innocenza, sulla attualità del « Deus in omnibus » che libera spiritualmente da ogni male o dèmone o inferno e rende ogni gesto espressione di carità e puro amore. Il meraviglioso giar­ dino per il quale in ‘ociosa vita' vanno i fanciulli e le fanciulle del Trittico delle delizie è dunque il Regno gioachimita dello Spirito? « Vrais nuz » chiamava i perfetti la Porete: nudi per la loro povertà, nudi perché risorti ad uno stato edenico e dunque senza vergogna, nudi perché spiritualmente liberi. Nel loro mondo « Deus est ubi- que »: nella pietra, nella pianta, in ogni membro dell’uomo, poiché siamo membri di Cristo e con Cristo siamo risorti. Chiaro, lumi­ noso è il corpo dei veri innocenti, fanciulli ormai liberi dal peccato, per i quali lo stesso atto sessuale assume valore mistico: quasi festa che ripete il rapporto edenico tra Adamo e Èva anteriore alla vergogna e alla cacciata. Sull’ars amandi del Libero Spirito insiste soprattutto il Fraenger nella sua spiegazione del pannello centrale del Trittico. Nel Giardino si celebrerebbe il trionfo dell’innocente Voluptas, sommo grado, per Ficino, dell’Eros, ritorno dell’essere a Dio, deificano dell’esistenza, morte dell’Io singolo e diviso, restitutio dell’anima alla sua patria celeste. Nello sbocciare delle loro unioni frutto di puro amore, i putti paradisiaci del Giardino pongono fine al regno della separatezza e delle differenze e rappresentano la nuova religio dello Spirito, il cui archetipo sarebbe simboleggiato nell’Eden del pannello di sinistra. Questa linea interpretativa pone due questioni essenziali: essa ri­ solve troppo ‘direttamente’ il problema del rapporto tra ascesi mi­ stica e acclivitas sensuale nel Libero Spirito e cosi, di conseguenza, ne può sussumere le dottrine in un’idea di umanesimo ottimistico, 9 quasi 'progressivo'. Il Fraenger immanentizza la problematica del Libero Spirito, facendone prefigurazione di un 'troppo umano’ illuminismo, tutto teso a emancipare i naturalia dalle dogmatiche teologiche e dalle superstizioni religiose. Un ottimistico panteismo costituirebbe, per lui, la dominante del Giardino', in esso « la ses­ sualità è percepita come gioia pura, pura estasi », gli uomini vi si aggirano « con l’innocenza di un fiore », celebrano la deificazione della loro stessa carne, ne scoprono la bellezza, si liberano di ogni concezione dualistica del rapporto Dio-mondo, spirito-natura. In questo schema, sostanzialmente 'evolutivo', per il quale l’immagine ermetico-neoplatonica della Dignitas hominis diviene sinonimo di sprofondamento di ogni dimensione di trascendenza e felice combi­ nazione tra spirito e delizia sensuale, schema che ricorda in parti­ colare i lavori di Ernst Bloch sulla filosofia della Rinascenza, la nova religio cessa di essere religio, perde ógni sostanziale rapporto con la dimensione ascetica che la caratterizza fin dalle origini e i suoi stessi termini, il suo stesso linguaggio ci viene restituito in una chiave meramente profana, secolarizzata. Se si vuole, cioè, seguire coerentemente una lettura libero-spiri- tuale del Trittico del Prado, è necessario vederne le 'delizie' in quanto manifestazione di acclivitas mistico-ascetica, in un senso opposto a quello immanentistico del Fraenger. L’accento non batte sulla bellezza 'liberata' del corpo in quanto tale, inesauribile fonte di pura gioia, ma sul processo della liberazione in quanto restitu­ zione-resurrezione. Le numerose testimonianze di cui disponiamo non lasciano dubbi a proposito: anche nei casi di più violento anti- nomismo, le delizie sensuali non valevano che come simbolo della nudità, dell’innocenza e della carità dell’anima intelligente. D’al­ tronde, e qui tocchiamo un punto fondamentale, proprio se si enfa­ tizzano i tratti più apparentemente orgiastici di certe correnti del Libero Spirito, dove più forte è quella ' licenza ' intellettuale e fisica, contro la quale si batterà Calvino, proprio tali tratti contraddicono radicalmente l’immanentistico ottimismo dell’interpretazione del Fraenger. La presenza di rituali orgiastici, cioè, l’enfatizzazione del- l’antinomismo eretico, non sono elementi che avvalorano la tesi fraengeriana della deificazione dei naturalia quale unico, vero sog­ getto del Trittico, ma, all’opposto, la contraddicono, poiché essi non risultano storicamente altrimenti spiegabili che nell’ambito della persistente presenza di dottrine gnostiche all’interno dei movimenti del Libero Spirito o, comunque, nel quadro dell’ipotesi di un rap­ porto, pur vario nell’intensità e nei contenuti, tra tradizioni gnosti­ che, da un lato, e il ceppo, presumibilmente originario, gioachimita- amalriciano della setta, dall’altro. Le cronache delle celebrazioni di banchetti rituali, sotto la presidenza di Coppie sacre, che terminavano con la testimonianza della perfetta innocenza recuperata attraverso il simbolo del corpo nudo e dell’atto sessuale senza vergogna, sono stret­ tamente affini agli antichi racconti di agapi gnostiche - ma l’agape gnostica, anche laddove non si limitasse alla comunione con le donne per l’utilizzazione rituale dello sperma, non significava che deliberata io opposizione alla Legge del Demiurgo, indifferenza sprezzante per la carne, libera, sì, dal peccato, ma poiché non reca nulla in sé del­ l’origine celeste dell’anima umana. Insomma, se si ricorre a termini del linguaggio gnostico per la comprensione di un’opera come il Trittico delle delizie, diverrebbe necessario concludere che in esso non si canta la ritrovata bellezza dell’esistente, ma esattamente l’op­ posto: la perfetta innocenza della carne in quanto opera non del Dio supremo, Protopadre immutabile e immobile, speculante in perfetto silenzio con il proprio Pensiero, ma del Demiurgo e dei suoi arconti. In questo senso si potrebbe giungere a vedere nel Trittico non la glorificazione della natura creata, ma, semmai, il trionfo dei Reprobi per i quali la Legge vetero-testamentaria nulla più può, dei Liberi perché a conoscenza dell’inganno del Demiurgo, e dunque infinitamente superiori alle sue Tavole. Quanto tali tradi­ zioni permangano più o meno 'dissimulate' all’interno delle eresie medievali, nelle correnti millenaristiche dopo il iooo, nella lettera­ tura ermetica e alchimistica, nella Kaballah ebraica e cristiana, è problema cui non è qui possibile neppure accennare - certa, però, è la contraddizione concettuale in cui si cade nel volere, da un lato, esasperare gli elementi antinomistici del Libero Spirito e insieme, dall’altro, dare dei suoi esiti una interpretazione contraddittoria ri­ spetto al disperato pessimismo proprio della visione gnostica della creazione, tanto ampiamente ormai analizzato dai Puech, dai Doresse, e da Wolfson per la sua opposizione alla tradizione cattolica. Né mancherebbero davvero importanti motivi per una interpreta­ zione in chiave rigorosamente gnostica del Trittico. Esso rappresen­ terebbe, allora, diversi momenti del grande dramma divino cui la gnosi inizia. Nel pannello di sinistra il paesaggio dell’Eden è già tutto abitato da immagini mostruose e di morte. Il Demiurgo crea­ tore del mondo è autore dei mali, amante delle guerre, incostante, geloso, duro e malvagio. A capo degli angeli del cielo più basso, egli afferma di essere il solo Dio, ma in realtà non rappresenta che lo smarrimento di Sophia (la civetta al centro del pannello) preci­ pitata nelle regioni inferiori dell’ilico o del meramente psichico, accecata d’amore per la materia. La presenza del Cristo Salvatore non sarebbe affatto contraddittoria con questo contesto. Non la crea­ zione qui, infatti, verrebbe rappresentata, ma l’arrivo del Figlio del Padre, Gesù la Luce, che libera l’anima incatenata nel corpo crea­ zione dell’Arconte delle tenebre, che la risveglia (anamnesis), che la restituisce all’intelligenza della sua patria celeste. Gesù è inviato per salvare le scintille spirituali dell’arcaica Sophia che ancora abi­ tano nella creazione anche se indistricabilmente confuse con i diversi regni della materia. Lo sguardo di Adamo è chiaramente acceso di concupiscenza nei confronti della meravigliosa figura di Èva, ma ciò non contraddice affatto il valore soteriologico della venuta del Cristo, poiché Èva venne creata dal Demiurgo, dopo Adamo, come più salda prigione delle scintille di Luce che la catastrofe del Pleroma aveva disseminato per la creazione, e ora Adamo, desiderando^ ar­ dentemente Èva, è in realtà attratto da queste scintille, è risvegliato il

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Da sempre l’arte di Hieronymus Bosch ha sollecitato le più diverse, e talora antitetiche, ipotesi di lettura in coloro che si sono accostati ad essa col proposito di svelarne finalm ente la segreta geometria, l’enigma indecifrabile. La specificità dell’interpretazione di W ilhelm Fraenger, c
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