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Le origini dell’ideologia fascista (1918-1925) PDF

495 Pages·1996·0.72 MB·italian
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Indice Introduzione La modernità totalitaria Prefazione Capitolo primo L’ideologia di Mussolini dal socialismo all’interventismo 1. L’eretico del socialismo 2. Un socialismo di supemomini 3. L’eretico contro il socialismo 4. La nuova via dell’«homme qui cherche» 5. L’interventismo di Mussolini Capitolo secondo I miti del dopoguerra 1. Il grande evento 2. Il mito del nemico interno: le due Italie 3. Il combattentismo 4. L’antipartito 5. Il sindacalismo nazionale e ideologia della «terza via» Capitolo terzo Gli aristòcrati del combattentismo 1. Combattentismo aristocratico 2. Gli arditi 3. I futuristi Capitolo quarto Il fascismo sansepolcrista 1. Mussolini e i Fasci di combattimento: «Niente è eterno nell’universo» 2 2. Nazionalismo fascista 3. Antibolscevismo fascista 4. Ordine lirico e ordine politico Capitolo quinto Sviluppo e metamorfosi del fascismo 1. Il fascismo dei ceti medi 2. La definizione del fascismo 3. Nazionalismo e fascismo: il corteggiamento dei padri nobili 4. Relativismo fascista: le premesse ideologiche dello Stato antidemocratico 5. La richiesta di potere Capitolo sesto Rivoluzione, reazione, revisione 1. Rivoluzionari senza rivoluzione 2. Farinacci e il fascismo intransigente 3. La rivolta contro il mondo moderno 4. La rivoluzione intellettuale di Giuseppe Bottai Capitolo settimo Il mito dello Stato nuovo 1. Alla ricerca di un’Idea 2. Idealismo militante e fascismo 3. La teologia politica di Giovanni Gentile e la riforma politicoreligiosa degli italiani 4. Stato sindacale e Stato politico. Il fascismo secondo Alfredo Rocco 5. «Mimetica» e «metessica» del fascismo 6. L’ideologia di un «capo» Conclusione 3 Emilio Gentile LE ORIGINI DELL'IDEOLOGIA FASCISTA (1918-1925) Società editrice il Mulino, 2011 ISBN: 978-8815233387 4 Introduzione La modernità totalitaria Il progresso della storiografia sul fascismo, durante gli ultimi tre decenni, ha prodotto una sostanziale revisione della immagine che di questo fenomeno avevano dato le interpretazioni prevalse fino all’inizio degli anni Sessanta. C’è stato, durante questo periodo, un continuo arricchimento delle conoscenze, un rinnovamento profondo delle prospettive di analisi, un notevole ampliamento dei temi e dei campi di indagine. Ma il progresso maggiore consiste nella diversa sensibilità culturale, nella visione più storica e più realistica, sempre meno condizionata da schemi ideologici e pregiudizi politici, con cui si è cominciato ad osservare e ad analizzare il fenomeno fascista nella complessità dei suoi aspetti, acquistando una sempre maggiore consapevolezza critica di ciò che esso è stato nella storia contemporanea1. Il rinnovamento più significativo forse si è avuto nello studio dell’ideologia del fascismo e, in senso lato, della sua cultura. Le nuove ricerche nell’universo ideologico e mitologico fascista, sempre più orientate verso l’analisi concreta della realtà storica, sono state accompagnate da un dibattito, talora non privo di astrattezza e di verbosità, in cui sono stati coinvolti storici e studiosi di scienze sociali, impegnati a discutere sul ruolo che l’ideologia ha avuto nella formazione e nel successo del fascismo, sulle sue matrici, sui suoi contenuti, e sulla parte che all’ideologia va assegnata nella elaborazione di una definizione teorica del fenomeno fascista. 5 A tale rinnovamento ha contribuito, nei limiti che gli sono propri, questo libro, scritto fra il 1973 e il 1974, e pubblicato nella sua prima edizione nel 1975 (Bari, Laterza)2. Si tratta del primo studio complessivo - e rimasto tuttora, per molti aspetti, l’unico - sulle idee e sui miti del fascismo nel periodo che va dalla grande guerra alla fondazione del regime fascista. Esaurito da oltre un decennio, il libro viene ora ripubblicato grazie alla fiducia che il nuovo editore ha nella sua attuale validità scientifica. Per questa nuova edizione, il testo è stato sottoposto ad un’ampia revisione sti]istica, intesa a snellire e a render più chiara l’esposizione, ma è rimasto invariato nel contenuto, anche se il giudizio dell’autore, su alcune specifiche questioni, è mutato, così come si è venuta allargando la sua prospettiva di analisi, col proseguimento della ricerca nel campo dei miti e della organizzazione del fascismo. Conservando sostanzialmente inalterate la ricostruzione, le argomentazioni e le valutazioni allora formulate, anche quando la riflessione e la ricerca successive hanno indotto l’autore a mutare parere, si è inteso attribuire al libro, nella presente edizione, anche il carattere di documento, crediamo non del tutto marginale, di una particolare stagione della storiografia italiana sul fascismo: un documento nel quale, come il lettore potrà verificare, sono stati affrontati o proposti, in certi casi per la prima volta, temi e problemi, che occupano oggi un posto centrale nel dibattito sul fascismo e sulla sua ideologia, sia nella storiografia italiana che in quella internazionale. Su alcuni temi trattati in questo libro si sono avuti durante questo ultimo ventennio nuovi studi e nuovi apporti documentari, ma non ci sembra che essi abbiano prodotto risultati tali da 6 richiedere una revisione generale della nostra ricostruzione e della nostra interpretazione, che risultano, invece, come vedremo, largamente confermate dalle ricerche sull’ideologia fascista apparse dopo il 1975. Con questa introduzione non intendiamo passare in rassegna i commenti suscitati dal libro e neppure fornire una bibliografia critica degli studi sull’ideologia fascista pubblicati nell’ultimo ventennio: intendiamo soltanto illustrare al lettore i criteri con i quali la nostra ricerca è stata condotta e i risultati cui essa è pervenuta, e fare quindi alcune considerazioni e precisazioni sul problema dell’ideologia fascista, alla luce dei risultati della nuova storiografia, soffermandoci sui problemi ed i temi che hanno particolare rilievo nell’attuale dibattito scientifico. Quando, nel corso degli anni Sessanta, prese l’avvio in Italia una nuova storiografia sul fascismo - soprattutto per merito delle ricerche condotte da Renzo De Felice con indipendenza intellettuale non comune e con genuina curiosità scientifica - fra gli studiosi dominava pressoché incontrastata la convinzione che il fascismo non aveva avuto una propria ideologia; era stato, cioè, un movimento senza una propria visione della vita e della politica, senza un suo progetto di organizzazione della società e dello Stato. Se al fascismo si concedeva una qualche ideologia, era considerata ideologia di scarto o di seconda mano, mutuata dal movimento nazionalista, oppure era considerata ideologia esclusiva-mente «negativa» (antidemocrazia, antiliberalismo, antimarxismo, antiparlamentarismo ecc.) senza alcuna formulazione «positiva». L’ideologia fascista, insomma, era un coacervo di improvvisazioni demagogiche, di aspirazioni e di propositi velleitari o mistificatori, e 7 comunque materia di scarsa o nessuna rilevanza per la conoscenza e la comprensione della realtà storica del fascismo. L’indifferenza, se non addirittura l’avversione, per lo studio degli aspetti ideologici del fascismo era tale, che scarsa eco ebbero allora, nella storiografia italiana, gli studi di Ernst Nolte, Eugen Weber, George L. Mosse, James A. Gregor: studi fra di loro molto diversi per impostazione, metodo e interpretazione, e tuttavia concordi nel riconoscere l’esistenza di una ideologia fascista e nel ritenere che essa era aspetto non trascurabile della realtà storica del fascismo. Ancora all’inizio degli anni Settanta, erano rarissimi, almeno in Italia, gli storici i quali ritenevano che fosse utile e necessario, per comprendere storicamente il fascismo, prendere in esame non solo i fatti, le azioni, i risultati - considerati esclusivamente nel campo dei giochi politici e degli interessi di classe - ma fosse altresì necessario studiare gli atteggiamenti mentali, le credenze, i valori, i miti, le visioni del passato, le interpretazioni del presente, le aspirazioni del futuro. Il fascismo - era allora opinione della maggioranza degli storici - non meritava di essere studiato come si studiano altri movimenti politici, come il liberalismo, il socialismo, il comunismo, prendendolo cioè seriamente in considerazione anche come movimento di idee. Lo storico del fascismo doveva occuparsi solo dei «fatti», delle «azioni» e dei «risultati» e non anche delle «idee», delle «intenzioni» e dei «progetti». A sostegno di tale atteggiamento si citavano la discordanza fra ideologia e pratica politica, l’incoerenza programmatica, i cambi di rotta, gli adattamenti e i compromessi dopo la conquista del potere, il contrasto fra gli obiettivi dichiarati e i 8 risultati effettivamente conseguiti, la sproporzione fra le ambizioni perseguite e l’esito fallimentare dell’esperienza fascista. Questo atteggiamento, in realtà, appare motivato pregiudizialmente dalla sottovalutazione dell’aspetto ideologico del fascismo più che dalla peculiarità della sua esperienza o dalla validità scientifica di un criterio aprioristicamente discriminatorio fra «idee» e «fatti». Se tale criterio di interpretazione fosse applicato, comeper coerenza scientifica dovrebbe avvenire, a tutti i movimenti politici, intere biblioteche dedicate alle idee del liberalismo, del socialismo, del comunismo, dell’anarchismo e via dicendo, potrebbero apparire come patetici monumenti all’inutilità, fra i quali andrebbero collocate insieme, con spirito di imparzialità, le opere di Giovanni Gentile e le opere di Antonio Gramsci. In tutti i movimenti politici si può riscontrare discordanza fra ideologia e azione, incoerenze programmatiche, mutamenti di rotta, compromessi e adattamenti alle contingenze dopo la conquista del potere o a seconda della condizione in cui si trova il movimento nei confronti del potere. In ogni movimento politico vi è un complesso di princìpi fondamentali che ne definiscono l’identità pur attraverso gli inevitabili cambiamenti determinati dal suo stesso divenire, e ne indicano i valori e le mete, che rimangono permanenti nonostante gli adattamenti e i compromessi, prima e dopo la conquista del potere, fissandone in modo definitivo il nucleo ideologico, come fu per il fascismo il mito dello Stato totalitario, e per il nazionalsocialismo il razzismo antisemita. E un grado, più o meno alto, di discrasia fra ideologia e prassi politica è sempre inevitabilmente presente nei 9 movimenti rivoluzionari, prima e dopo la conquista del potere. Certamente nel fascismo ci fu una dose di pragmatismo e di relativismo forse maggiore che in altri movimenti, ma non si trattava solo di opportunismo e di carenza ideologica: pragmatismo e relativismo erano aspetti di un atteggiamento mentale e ideologico, che contrapponeva l’esperienza alla teoria, lo sperimentalismo dell’azione alla coerenza dottrinaria, la fede nel mito alla persuasione razionale. L’adattamento contingente, la variabilità dei programmi, la discordanza fra progetti e risultati non pregiudicano comunque l’utilità dello studio dell’ideologia per conoscere e definire l’identità e la natura di un movimento politico, neppure quando questo movimento, come nel caso del fascismo, era nato con un atteggiamento attivistico antiteorico e antideologico. «Duro a morire - osservava nel 1979 Alberto Asor Rosa - è il pregiudizio, tutto sommato di origine idealistica e crociana, che il fascismo, siccome non ebbe un’alta cultura, non ebbe affatto cultura»3. Ma tale pregiudizio, occorre precisare, era largamente condiviso anche dagli storici marxisti e dagli storici radicali, gli uni e gli altri non meno degli storici liberali di discendenza crociana, restii ad accogliere - come scrive ancora Asor Rosa - «il convincimento che attribuire al fascismo la capacità di controllare masse estese d’intellettuali non significa riconoscergli una patente di nobiltà di fronte alla storia ma soltanto cercare di capire meglio e più a fondo le reali modalità operative di un’esperienza totalitaria». Alla base di questo pregiudizio vi era una sorta di riluttanza a riconoscere che il fascismo, in quanto movimento e regime, aveva avuto una propria ideologia, e tale riluttanza, 10

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