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Le origini del totalitarismo PDF

58 Pages·2014·0.59 MB·Italian
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Le origini del totalitarismo – Hannah Arendt Il totalitarismo si distingue dalla tirannide tradizionale perché il terrore non viene utilizzato strumentalmente per liquidare avversari politici o per mettere a tacere l’opposizione, ma è piuttosto uno strumento permanente con cui governare masse assolutamente obbedienti. Il regime totalitario non aspetta la disubbidienza per punire, ma colpisce vittime che sono perfettamente innocenti anche dal punto di vista del persecutore. Questo fu il caso degli ebrei sotto il nazismo o dei milioni di cittadini russi che finirono trucidati da Stalin. Se è vero che il terrore una volta innescato si autoalimenta in quanto le vittime sono impossibilitate a ribellarsi, è anche vero che l’affermazione di un regime totalitario è preceduta da varie tappe storiche ed ideologiche. In questi casi l’ideologia – divenendo ideologia della maggioranza – consente l’affermazione di regimi brutali. Se è inutile soffermarsi sui meccanismi attraverso i quali il totalitarismo si autoalimenta è possibile e necessario tuttavia indagare su quali siano le cause che hanno consentito a certe ideologie di affermarsi. Una di queste è l’antisemitismo. Quali le cause? 1) teoria dell’eterno antisemitismo (scartata dalla Arendt). Teoria alimentata in modo abbastanza miope anche dagli ebrei per consentire la sopravvivenza di un popolo che era privo di storia politica. 2) Teoria del capro espiatorio (non spiega – ma sposta all’indietro il problema). Tesi di Hannah Arendt. Con l’affermazione dello stato nazione nel corso del XIX secolo agli ebrei spettò un destino del tutto peculiare rispetto agli altri gruppi. Gli “ebrei di corte” erano coloro che prestavano soldi allo stato. Ad essi spettavano privilegi e vantaggi illimitati; potevano risiedere dove volevano, viaggiare, etcc… ma ad essi tuttavia era impedito l’accesso alle cariche politiche o al mondo capitalistico. Coloro che non rientravano fra gli ebrei di corte erano una massa di diseredati, senza diritti politici e sociali. Infatti la deliberata politica di prevenire il processo di assimilazione degli ebrei (politica sostenuta dagli ebrei medesimi) comportava che gli ebrei rimanessero un gruppo a se stante, sebbene non caratterizzato per l’appartenenza ad alcuna classe. Con l’ascesa dello stato nazionale il potere degli ebrei di corte si consolidò; sebbene la fonte dei finanziamenti fu estesa anche ad altri soggetti. La borghesia era stata tradizionalmente indifferente alla politica e alla finanza pubblica in particolare, sicché l’ascesa degli ebrei fu ancora più rapida. La situazione era diversa nell’Europa orientale in cui non essendosi affermato il concetto di stato nazione l’elites degli ebrei non si creò mai. Con il declino dello stato nazione alla fine del XIX e con l’ascesa dell’imperialismo gli ebrei persero gran parte della propria influenza, e sicuramente persero il monopolio del credito allo stato. Inoltre i banchieri ebrei avevano bisogno di scarso appoggio delle proprie comunità; sicché spesso finivano per distaccarsi completamente dalle proprie comunità. Come gruppo l’ebraismo dei paesi occidentali si disintegrò di pari passo con lo stato nazionale durante gli anni che precedettero lo scoppio della prima guerra mondiale. L’antisemitismo di fine ottocento e dei primi del novecento si inasprì proprio mentre gli ebrei perdevano il proprio potere di influenza politica pur mantenendo le proprie ricchezze. TESI DI ARENDT: la classe ricca è tollerata se gestisce potere, ma se perde potere viene percepita come puramente parassitaria. Non c’è ragione della ricchezza, sicché la disuguaglianza diventa insopportabile. Vi sarebbe dunque un ISTINTO POLITICO che spinge gli individui a tollerare le oppressioni in quanto il potere comunque preserva la comunità dalla disintegrazione. Ma quando il ceto abbiente perde potere diventa insopportabile (situazione simile si era verificata prima della rivoluzione francese in cui la borghesia aveva perso potere politico). “In un’Europa il cui equilibrio era stato sconvolto per sempre, il cui senso di solidarietà era stato soppiantato da un nazionalismo che concepiva il confronto fra le nazioni come una lotta concorrenziale fra gigantesche imprese economiche, l’elemento ebraico, non vincolato ad alcuna nazione, tradizionalmente intereuropeo, divenne oggetto di odio universale per la sua inutile ricchezza, oggetto di disprezzo universale per la sua palese impotenza”. Il potere degli ebrei nel corso dell’ottocento derivava sia dal finanziamento a certe operazioni belliche (ad esempio la guerra anti-napoleonica fu in buona parte finanziata dagli ebrei, e quando Bismarck chiese al parlamento nuovi finanziamenti per la guerra contro la Francia furono i Bleichroeder ad intervenire) ma anche per le loro relazioni internazionali (ad esempio i Rotschild consentirono a Bismarck un collegamento con Disraeli). Ma gli ebrei servivano solo fino a quando sussisteva la speranza di un accordo fra stati. Quando la prospettiva fu invece quella dell’annientamento totale del nemico il ruolo degli ebrei svanì (cfr. Nietzsche – il buon ebreo, buon europeo). Gli ebrei sostenevano con i loro finanziamenti la politica di vari stati, ma non per questo condizionavano le scelte politiche. Anzi essi sorprendono per la loro assoluta mancanza di ambizione politica (si pensi ai Rothschild presenti in Spagna, Francia, Germania, Inghilterra). Sicché, visti come una casta mercantile internazionale, da un lato furono identificati col potere statale, dall’altro tuttavia con nessun elemento della società (e quindi potenzialmente destabilizzanti). L’antisemitismo cresce con l’assimilazione. Imperialismo L’imperialismo nacque quando la classe dominante cozzò contro le limitazioni nazionali all’espansione dei suoi affari. La borghesia si dedicò alla politica spinta dalla necessità economica; perché se non voleva buttare a mare il sistema capitalistico, basato sulla legge del costante sviluppo industriale, doveva imporre questa legge ai rispettivi governi proclamando l’espansione come il fine ultimo della politica estera. Tuttavia la competizione fra imperi che si innescò alla fine dell’ottocento fu vista soltanto come tappa. Perché la concorrenza – al pari dell’espansione – non racchiude in sé alcun principio politico: entrambe hanno bisogno di un potere politico che le freni. La struttura politica – a differenza di quella economica – non può estendersi all’infinito, perché non si basa sulla produttività umana, che è invero illimitata. Di tutte le forme di ordinamento quella nazionale è la meno adatta all’espansione perché il consenso, che ne è alla base, non può essere ottenuto da popoli sottomessi. Uno stato nazionale non potrebbe mai soggiogare popoli stranieri mantenendo pulita la coscienza, perché ciò è possibile solo al conquistatore che è convinto di imporre una legge superiore a dei barbari (cfr. Harold Nicolson, The Last Phase). Il vero obiettivo degli imperialisti era l’ampliamento della sfera di potere senza la creazione di un corrispondente corpo politico. Le ragioni dell’espansione sono essenzialmente economiche. Il capitale “superfluo” doveva essere investito all’estero, fuori dai confini nazionali. Ed infatti così fu. L’espansione politica seguì il denaro: fu la risposta politica ad un’economia che stava diventando troppo speculativa. Il decennio che precedette l’imperialismo fu contraddistinto da scandali finanziari. Gli ebrei che avevano visto drasticamente ridurre i propri profitti per effetto dell’istituzione di saldi meccanismi di pressione fiscale cominciarono ad investire i propri guadagni all’estero. Tuttavia il ruolo dei finanzieri ebrei fu ben presto soppiantato dagli industriali. Gli industriali si trasformarono ben presto in funzionari governativi, e cominciarono a governare le colonie con la violenza inaudita di chi pensa solo all’accumulazione e non si sente legato da alcun vincolo etico con la comunità dei governati. L’imperialismo segnò il primo ingresso della borghesia nell’arena politica. POTENZA. Hobbes. Nell’interpretazione di Hannah Arendt Hobbes è colui che meglio ha anticipato il ritratto dell’uomo borghese. La ragione, secondo Hobbes, non è altro se non calcolo. La potenza è il controllo accumulato che permette all’individuo di fissare i prezzi e regolare la domanda e l’offerta in modo che tornino a suo vantaggio. Il cittadino non è mai leale ad uno stato se non in quanto gli garantisce sicurezza. Ma questa lealtà per esempio non può essere richiesta al prigioniero politico.Il commonwealth è una delegazione di potere non di diritti: potere in cambio di sicurezza. Hobbes è l’antesignano della tesi secondo quanto più cresce l’accumulazione tanto più assoluto deve essere il potere, perché più grande è l’accumulazione più alto è il rischio di instabilità. La filosofia borghese non predica i valori della libertà e dell’autonomia, ma solo quelli dell’accumulazione e del potere. Solo il potere è il fine della storia: e siccome i beni sono per natura deteriorabili il sommo potere sta nella possibilità di distruggere. Il nichilismo fu espressione di questa volontà di potenza – e soppiantò la fede nel progresso settecentesca ed ottocentesca, ma mantenendone inalterato lo spirito: “se l’ultimo vincitore non può passare all’annessione dei pianeti, non gli resta che distruggersi per ricominciare da capo il processo senza fine”. Le teorie razziali si affermarono proprio nell’epoca dell’imperialismo e fecero presa anche sulla plebe perché la plebe – che è figlia della borghesia ma non è vittima dell’ipocrisia borghese – era la meglio titolata ad esprimere senza false riserve la politica della distruzione. L’idea di razza è antitetica all’idea di umanità – che invece è alla base del diritto internazionale. RAZZISMO Poche ideologie sono sopravvissute nel ventesimo secolo. La prima interpreta la storia come una lotta economica fra classi; l’altra che vede nella storia il conflitto fra razze. Le ideologie non sono frutto di scienza, ma sono ARMI POLITICHE. Comunemente si associa il razzismo al nazionalismo e il conflitto fra classi all’internazionalismo. In realtà il razzismo ha una portata distruttrice dello stato nazione, ed al contempo distrugge anche l’idea di un equilibrio internazionale (in quanto nega l’idea di umanità). L’insistenza dei nazionalisti tedeschi, durante e dopo la guerra franco prussiana, sui vincoli di sangue come presupposto essenziale per la nazione ed il risalto dato dai romantici alla personalità innata e alla nobiltà naturale prepararono la via al pensiero razzista in Germania. Dalla prima derivò la concezione organica della storia con le sue leggi naturali; dal secondo nacque il superuomo. Razzismo francese: i borghesi erano i discendenti degli schiavi gallo-romani, gli aristocratici dai germanici (teoria elaborata dai fuorisciti prima della rivoluzione francese, ma fatta propria nel 1853 da Gobineau). Le tesi di Gobineau erano tuttavia pessimistiche (decadenza della civiltà dovuta alla decadenza della razza per effetto della mescolanza con razze inferiori); ed in un periodo di ottimismo scientifico non fecero grande presa (G. in realtà cantava la decadenza della sua classe di appartenenza, l’aristocrazia; e dunque fu razzista quasi per caso).. Solo dopo la prima guerra mondiale, quando si affermò la filosofia di morte, le tesi di G.. divennero famose. Il razzismo francese sin dagli inizi non ebbe nulla a che vedere con il nazionalismo. In Inghilterra ed in Germania le cose non andarono così. In origine vi fu identità. Ma lentamente il razzismo inglese divenne un’ideologia neutrale rispetto al nazionalismo o all’internazionalismo. L’idea della superiorità razziale si scoprì per quello che era: e cioè uno strumento per salvaguardare un’identità in crisi ed il senso di insicurezza che il confronto con il diverso comportava. L’eugenetica e l’evoluzionismo darwiniano, tradotti nelle teorie biologico sociali di Herbert Spencer, tentarono all’inizio di fare dell’uomo un dio (sull’assunto dell’ereditarietà di certe qualità innate). Quando la borghesia si appropriò delle teorie della razza, lo fece essenzialmente per giustificare un movimento politico e cioè l’imperialismo. Solo la combinazione di teorie della razza ed imperialismo avrebbe partorito le mostruosità del ventesimo secolo. Le prime forme di regime politico fondato sul razzismo si ebbero in Sudafrica: fu l’esperienza più che un’ideologia a trasformare l’amministrazione di una colonia in una forma di bieco saccheggio in cui gli amministratori si erano ridotti allo stato brado dei governati (la scoperta dei diamanti e dell’oro creò nuovi feticci). La burocrazia con cui l’impero britannico governò sulle colonie -. Sebbene in apparenza più umanitaria del saccheggio senza regole – in realtà segnò l’affermazione della legge d’eccezione sul principio di diritto. Gli esperti governavano e non le leggi – cosa che fece sentire i burocrati slegati dai valori occidentali e titolati a governare secondo l’occasione. I massacri amministrativi si pongono in quest’ottica. Gli agenti segreti appartengono invece alla categoria donchisciottesca di chi va a combattere il drago (Lawrence d’Arabia, Kim di Kipling, etc…). L’imperialismo inglese poteva sfociare nel totalitarismo. Tuttavia prevalse la moderazione – che Churchill seppe afferrare. I PAN- MOVIMENTI Nazionalismo tribale e imperialismo continentale. I pan-movimenti nati verso il 1870 (e cioè il pangermanesimo e il panslavismo) furono quelli che maggiormente hanno influenzato il nazismo ed lo stalinismo. Il nazionalismo tribale si diffuse specialmente fra I popoli dell’impero Austro-Ungarico (che aveva governato secondo il motto dividi et impera). L’imperialismo continentale (dei pan-movimenti) disprezzò più apertamente la legalità di quanto non abbia fatto l’imperialismo d’oltremare: in quanto in questo secondo caso c’era maggiore distanza fra l’illegalità delle colonie e la legalità metropolitana. In aggiunta i pan-movimenti hanno avuto origine in paesi che non avevano mai conosciuto il sistema di governo costituzionale. L’ascesa dei movimenti totalitari fu dovuta a molti fattori, ma essenzialmente al crollo dello stato nazione con la sua triade POPOLO GOVERNO E TERRITORIO. Il partito nazista, ma anche quello comunista nelle elezioni del 1932 si presentò come un movimento: un movimento che aveva la pretesa di soppiantare lo stato e il popolo. Non rappresentava più alcun interesse ma incarnava la rivoluzione in sé, l’assoluto. LA FINE DEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE E LA QUESTIONE DEGLI APOLIDI La fine della prima guerra mondiale squarciò un velo sull’infausto destino dei diritti umani. Con la sconfitta dell’impero Austro-Ungarico e goffo tentativo del trattato di Versailles di creare tanti stati nazione dalle ceneri dell’impero in realtà fu lasciata irrisolta la questione delle “MINORANZE” – che non vedendosi riconosciute in alcun corpo politico potevano confidare solo nella protezione della Lega delle Nazioni. Ma la protezione da parte di un organismo internazionale è uno strumento del tutto effimero. Col dilagare delle tesi razziste, imperialiste (sia oltremare che continentali), dei pan-movimenti la questione dei diritti umani fu ridotta a quella dei diritti dei popoli (nelle sue versioni della pseudoteologia del nazionalismo tribale o dell’imperialismo) ma al contempo si cominciò a distruggere l’idea di umanità che è alla base dei diritti dell’uomo. Gli ebrei prima di essere deportati nei campi di concentramento venivano privati della cittadinanza, e le pratiche di naturalizzazione furono frequenti anche in Francia ed in altri stati europei. La massa di apolidi, di gente privata del DIRITTO ALL’AZIONE, prima ancora che della libertà, crebbe a dismisura; ma il problema non interessò nessuno. DIRITTO DELL’UOMO. Nella concezione aristotelica, fatta propria dalla Arendt, il diritto dell’uomo deriva dal potere dell’uomo di pensare e parlare: e cioè dalla CAPACITA’ DI REGOLARE NELLA CONVINVENZA, CON LA PAROLA anziché CON LA FORZA, GLI AFFARI, SOPRATTUTTO QUELLI PUBBLICI. Solo la perdita di una comunità politica esclude l’uomo dall’umanità. I diritti umani del diciottesimo secolo erano desunti dalla natura – come prima erano visti come diritti storici. Ma nel ventesimo secolo la natura ha assunto un aspetto sinistro. Come il diciottesimo secolo si è sbarazzato della storia così il ventesimo si è sbarazzato della natura. Ma l’umanità è un fatto inevitabile: il diritto ad avere diritti, il diritto a far parte di una comunità o all’umanità deve essere garantito. Hitler diceva: diritto è ciò che giova al popolo tedesco. Fino a quando il diritto viene fatto coincidere con l’utile, il rischio di crimini contro i diritti umani è sempre in agguato (del resto l’utilità sostituisce le massime trascendenti della religione o del diritto naturale). Già Edmund Burke aveva intravisto questo possibile declino, quando aveva tacciato i diritti umani di astrazione. I diritti umani sono un’eredità tradizionale, che scaturiscono dall’intimo di una nazione, ma non dalla razza. ALTRE CAUSE L’ascesa dei movimenti totalitari fu dovuta anche ad altri fattori. Ad esempio i movimenti attecchirono meglio in un sistema politico multipartitico rispetto che ad un sistema bipolare. Nel sistema bipolare il partito è un centro di ORGANIZZAZIONE DI AZIONI POLITICHE che ruota intorno a vari interessi. L’opposizione si tiene viva per il fatto che sa la prossima elezione potrebbe essere la propria occasione. Il sistema multipartitico (come quello presente nella Repubblica di Weimer o in Italia) poi è più vulnerabile in quanto nessuno si assume veramente la responsabilità delle scelte. I ministri vengono selezionati non per i loro meriti ma per effetto di contrattazione con i segretari di partito, e l’intera coalizione può vivere sotto il ricatto di un piccolo gruppo. Il sistema dei partiti è comune connesso al sistema classista. I partiti sono portatori di interessi e pertanto non si identificano con lo stato (nel sistema bipolare tale immedesimazione può avvenire ma riducendo lo stato al compromesso fra gli interessi espressi dal partito di governo e non all’interesse di tutti). I movimenti invece avevano la pretesa di esprimere interessi di tutti: al di là degli interessi individuali. Facendo appello ad ideologie che ricordavano pseudoteologie – nazionalismo tribale, pan-movimento – razza, etc… si ponevano addirittura al di là dello stesso stato: e sicuramente dello stato nazione (che presuppone che l’idea di cittadinanza non schiacci e soverchi il permanere di interessi individuali o di gruppo contrapposti). L’apatia della classe borghese contribuì all’ascesa dei movimenti: ma non nel senso che l’individualismo borghese dovesse necessariamente portare all’ascesa di regimi totalitari (in quanto al contrario vi è un netto contrasto fra totalitarismo che mira alla soppressione delle personalità individuali e spirito borghese che si ripiega sugli interessi privati) ma unito al dramma economico sociale che seguì la prima guerra mondiale produsse una miscela esplosiva. Se lo spirito borghese in un certo senso predicava il disinteresse per gli affari pubblici (se non nella forma sanguinaria e accumulatrice della politica internazionale espansionista in cui il governo veniva di fatto identificato con l’impresa capitalistica) esso tuttavia per sopravvivere (almeno nel breve termine) doveva mantenere intatta l’energia (e dunque la personalità) privata. Se è vero che lo spirito di accumulazione possa degenerare nello spirito di distruzione (da questo punto di vista Hobbes è il teorico più lucido della sorte spietata del Commonwealth e del nichilismo insito nell’insito nell’istinto di accumulazione) tuttavia i movimenti totalitari fecero innanzitutto presa su masse diseredate che oltre a non aver mai percepito alcun interesse per gli affari pubblici

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