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Le meraviglie del mondo antico PDF

185 Pages·2014·5.51 MB·Italian
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Il libro La Grande Piramide di Cheope a Giza, immensa dimora di riposo eterno per il faraone e monumento di tale titanica complessione da sfidare sotto certi aspetti l’umana comprensione: la più antica fra le Sette Meraviglie e l’unica che sopravvive ancora oggi. I Giardini Pensili sospesi sul paesaggio di Babilonia, costruiti da un grande monarca per la sposa che aveva nostalgia delle sue montagne boscose: la più evanescente delle Sette Meraviglie, quella più fantasmatica, invano cercata e inseguita da archeologi e poeti, da epigrafisti e indagatori delle antiche fonti. E poi l’Artemision di Efeso, gigantesco tempio dedicato al culto della dea Artemide, voluto dal munifico re di Lidia Creso. Il Colosso di Rodi, l’enorme statua di bronzo che sorgeva su una piccola isola in mezzo al mare. E ancora, il Mausoleo di Alicarnasso, la monumentale tomba dove riposava il satrapo Mausolo, nell’attuale Bodrum, in Turchia. Il Faro di Alessandria in Egitto, che una volta indicava la via alle mille imbarcazioni che si avvicinavano a quel porto favoloso. E la statua di Zeus a Olimpia, grandiosa creazione del mitico scultore Fidia. Sono queste le Sette Meraviglie del mondo antico. Già indicate come tali diversi secoli prima della nascita di Cristo, furono contemporaneamente visibili solo nel periodo fra il 300 e il 227 a. C.; successivamente andarono a una a una distrutte per cause diverse, salvo appunto l’inattaccabile Piramide di Cheope, scalfita soltanto dalle mani distruttrici degli uomini. Al canone classico Valerio Massimo Manfredi aggiunge la favolosa ipotesi di un’ottava meraviglia, regalandoci il racconto di come sia sorto e di che cosa abbia rappresentato il mausoleo di Commagene, la tomba-santuario del re Antioco, che utilizza come base una montagna intera, alta 2150 metri, nuda, aspra e solitaria: il Nemrut Dagi, nell’Anatolia orientale, vicino al confine con la Siria, la montagna dove secondo il mito Nemrot, il re della torre di Babele, andava a caccia. Lungo pagine avvincenti, dense di racconti favolosi, Valerio Massimo Manfredi si confronta con le massime realizzazioni dell’umanità, e le riporta in vita per noi nel modo più grandioso, 2 raccontandoci i miti e le storie che accompagnarono questi monumenti destinati a entrare nella leggenda. E con il corredo di immagini preziose, la sua epica compie un esperimento strepitoso: restituisce ai nostri occhi, regalandoci l’emozione di visitarle, opere di straordinaria complessità e arditezza, meraviglie mitiche e perdute per sempre nella notte del tempo. 3 L’autore Valerio Massimo Manfredi è un archeologo specializzato in topografia antica. Ha insegnato in prestigiosi atenei in Italia e all’estero e condotto spedizioni e scavi in vari siti del Mediterraneo pubblicando in sede accademica numerosi articoli e saggi. Come autore di narrativa ha pubblicato con Mondadori i romanzi: Palladion, Lo scudo di Talos, L’Oracolo, Le paludi di Hesperia, La torre della Solitudine, Il faraone delle sabbie (premio librai città di Padova), la trilogia Alèxandros pubblicata in trentanove lingue in tutto il mondo, Chimaira, L’ultima legione da cui è tratto il film prodotto da Dino De Laurentiis, L’Impero dei draghi, Il tiranno (premio Corrado Alvaro, premio Vittorini), L’armata perduta (premio Bancarella), Idi di marzo (premio Scanno), Otel Bruni e i due volumi de Il mio nome è Nessuno. Inoltre tre raccolte di racconti e due saggi. Conduce programmi culturali televisivi in Italia e all’estero, collabora al “Messaggero” e a “Panorama”. 4 Valerio Massimo Manfredi 5 Le meraviglie del mondo antico A Paola e Valter Mainetti amici carissimi che condividono con me la passione per un mondo scomparso 6 Pochi uomini hanno braccia così lunghe da poterne abbracciare il pollice. PLINIO, Naturalis Historia, XXXIV, 41 7 Le sette meraviglie Sono le opere più straordinarie e impressionanti del mondo antico, l’orgoglio di tutte le grandi civiltà: giardini sospesi sul paesaggio di Babilonia, costruiti da un grande monarca per la sposa che aveva nostalgia delle sue montagne boscose nell’Elam; una piramide di calcare con il nocciolo di granito, splendente come un diamante sotto il sole dell’Egitto, iperbolica tomba per un uomo solo; una statua di bronzo alta 32 metri, sfida di un discepolo al suo inarrivabile maestro; un dio con la carne d’avorio e le vesti d’oro, assiso in trono dentro il suo tempio, così enorme che se si fosse alzato in piedi avrebbe sfondato il tetto; una torre di luce al centro di un’isola, capace di lanciare un raggio a quasi 50 chilometri nel mare notturno per segnalare il porto sicuro ai naviganti dispersi. E ancora un’altra tomba, spettacolare sepolcro colonnato di un piccolo sovrano pretenzioso, il tempio più grande mai costruito, eretto per la madre di tutte le madri. Di tutte queste meraviglie rimane solo quella più antica, inattaccabile, soltanto scalfita dalla mania distruttiva degli uomini: la Grande Piramide. Questo elenco nacque dalla consapevolezza di un mondo ideale, che esisteva per la prima volta, che non sarebbe esistito mai più. Queste opere, vera e propria sfida all’impossibile, coprono un arco cronologico di oltre venticinque secoli. Una sola sopravvive, la Grande Piramide di Giza, e il fatto che esista ancora significa che solo un dio, o un uomo creduto un dio, ebbe l’autorità e il potere di adunare un popolo intero a lavorare per decenni all’impresa. Non ha ornamenti, non colonnati, fregi, trabeazioni: solo la sua nuda geometria le ha consentito di durare per quarantacinque secoli. Tutte le altre sono andate distrutte in varie epoche e per cause diverse. Cinque di esse sono edifici, due sono statue monumentali di dimensioni eccezionali, descritte dalle fonti antiche con parole di attonito stupore. 8 Molte altre di queste audaci costruzioni furono solo ideate e mai nemmeno incominciate. Si dice che un architetto di nome Dinocrate, mezzo nudo, con la pelle di leone e la clava come Ercole, si sia presentato ad Alessandro, che voleva progettare la prima città con il suo nome sul braccio occidentale del delta del Nilo, proponendogli un progetto iperbolico, una realizzazione che avrebbe dovuto paralizzare di stupore chiunque l’avesse veduta. Si trattava di scolpire nella rupe del monte Athos l’immagine di Alessandro in trono in atto di libare. In una mano avrebbe tenuto la tazza alimentata da un fiume deviato, nell’altra mano l’intera città. Viene da chiedersi come avrebbe mai potuto funzionare un simile insediamento, come i suoi abitanti avrebbero mai potuto uscire e rientrare, approvvigionarsi di cibo, vendere e acquistare. Ma chissà che Dinocrate non avesse già delle idee al riguardo: forse la cascata avrebbe mosso una ruota a pale che a sua volta, con pulegge e altre ruote, avrebbe potuto azionare dei montacarichi. Non lo sapremo mai. Ma quello fu un tempo in cui tutto pareva possibile. Alessandro scartò quell’idea che gli sembrò bislacca; stese la sua clamide macedone per terra vicino alla sponda del Mediterraneo e disse: «Ecco, fammi una città così, disposta in questo modo attorno al golfo». Quello schema a forma di mantello divenne la più grande metropoli del Mediterraneo per oltre quattro secoli. Si costruì un molo lungo più di un chilometro che collegava la terraferma all’isola di Faro e sull’isola sarebbe sorta una torre di segnalazione alta 120 metri che lanciava un raggio di luce a quasi 50 chilometri di distanza: una delle Sette Meraviglie. Sul promontorio di fronte, il Lochias, all’interno del palazzo reale, sarebbe stata costruita la più grande biblioteca del mondo. Poco lontano, sotto un grande tumulo di terra, ci sarebbe stata la camera sepolcrale di Alessandro, il suo sarcofago d’oro massiccio. Quelle idee straordinarie, quelle immagini iperboliche, Dinocrate le aveva avute perché viveva in Egitto e la sua fantasia di greco era stata incendiata dalle immani costruzioni della valle del Nilo. Forse aveva visto i colossi di Abu Simbel o il Ramses del Ramesseum che dovevano averlo affascinato ancora più delle piramidi: esseri giganteschi dal sorriso immortale e immutabile, così grandi perché il popolo fosse certo di essere governato da dèi. Forse lo stesso Alessandro, piccolo di statura, dovette essere ispirato da 9 quell’ideologia del gigantismo quando nella lontana India, muovendo il campo, lasciava dietro di sé armature enormi, spade e lance fuori scala, come per far credere a un’armata di smisurati, invincibili guerrieri. Pur scartando la proposta di Dinocrate, Alessandro dovette rendersi conto che quell’uomo era un visionario, che il colosso che teneva nella mano destra una città e nella sinistra la sorgente di un fiume era un’immagine straordinaria e stupefacente, e per questo meritava comunque di costruire Alessandria. L’elenco più conosciuto, una specie di vulgata delle Sette Meraviglie del mondo antico, è attribuito a Filone di Bisanzio, uno scienziato vissuto a cavallo fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. Ma sembra che, sulla base di elementi stilistici e filologici del testo, il suo trattatello sia stato steso nel V secolo d.C. Ma è possibile allora datare la stesura dell’elenco classico delle Sette Meraviglie? L’unico modo è forse di calcolare il lasso di tempo in cui esistettero tutte e sette in contemporanea. È stato osservato che quel periodo va dal 300 circa al 227 a.C., anno in cui un terremoto abbatté il Colosso di Rodi a soli sessantasei anni dalla sua erezione a opera di Carete. La tradizione vuole che il grande architetto-scultore si fosse accorto di aver commesso nella costruzione un errore irrimediabile che prima o poi ne avrebbe provocato il crollo e che si sia suicidato per il dolore. In realtà il Colosso, benché crollato, continuò a esistere ancora per otto secoli, ad attirare migliaia di visitatori da ogni parte del Mediterraneo e a suscitare stupore. Ma perché le meraviglie e perché sette? Non avrebbero potuto essere cinque o dieci o dodici? Ovviamente sì e di certo si tratta di un elenco arbitrario: nel periodo ellenistico e anche durante la decadenza dell’Impero romano furono in auge opere letterarie che narravano non solo grandi monumenti ma anche prodigi, fenomeni inspiegabili. In questi eventi straordinari la gente trovava distrazione dalle preoccupazioni quotidiane, dalla consapevolezza di aver perso, con il tramonto della polis, le libertà politiche e la possibilità di influire sul proprio destino e sul proprio futuro. Quell’elenco era la conta di quanto di più grande e mirabile le civiltà antiche avevano lasciato in eredità. Si trattava di valori ed estetiche incomparabili fra loro, difformi e disparate, che venivano 10

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