ebook img

Le memorie di Barry Lyndon PDF

367 Pages·2015·1.749 MB·Italian
Save to my drive
Quick download
Download
Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.

Preview Le memorie di Barry Lyndon

Le strade 249 William Makepeace Thackeray Le Memorie di Barry Lyndon I edizione marzo 2015 © 2015 Fazi Editore srl Via Isonzo 42, Roma Tutti i diritti riservati Titolo originale: The Luck of Barry Lyndon ISBN: 978-88-7625-192-4 www.fazieditore.it www.facebook.com/fazieditore @FaziEditore www.youtube.com/EditoreFazi Google plus Fazi Editore Barry Lyndon: nascita, fortuna, e (imprevista) innocenza del personaggio moderno Le Memorie di Barry Lyndon danno la parola a una canaglia in buona fede. Al di là dell’indubbio valore d’intrattenimento del racconto, al di là del fascino della ricostruzione storica, è la scelta di questo punto di vista che ha fatto giungere il libro fino a noi. William Makepeace Thackeray lo scrisse sulla traccia di alcuni precedenti: il Jonathan Wild di Fielding, che racconta le avventure di un truffatore; altre opere della cosiddetta literature of roguery, la letteratura delle canaglie; e più in generale, il romanzo picaresco. Ma Barry Lyndon conserva un sapore tutto suo, perché la particolare prospettiva dell’eroe richiede al lettore uno sforzo interpretativo i cui risultati non sono affatto scontati. Non leggiamo la confessione umile o sfrontata di un criminale, ma l’autobiografia di un uomo che si crede onesto, anzi benemerito. Ogni frase può venir letta in modo diverso a seconda del credito che vogliamo dare al narratore. Se Thackeray ci fa capire fin dall’inizio, con le spropositate vanterie di Barry sulla sua nobile stirpe, che non dobbiamo prendere in parola tutto ciò che il suo eroe dice, ci lascia però la libertà di decidere fino a che punto credergli. Perciò le reazioni della critica e del pubblico sono state, nel corso degli anni, diversissime. Per i contemporanei Barry Lyndon era un’opera gravemente immorale. Nel corso della pubblicazione a puntate sul «Fraser’s Magazine» nell’anno 1844, Thackeray dovette aggiungere via via delle note esplicative in cui l’immaginario curatore Fitz-Boodle prende le distanze dal racconto di Barry e fornisce versioni “oggettive” dei fatti narrati, accusando il narratore di averli deformati. La progettata edizione in volume venne comunque accantonata per dodici anni. Quando finalmente uscì, le note di Fitz-Boodle erano in buona parte scomparse (restituendo all’opera il suo vero significato); eppure nei suoi 1 ultimi anni Thackeray ancora sconsigliava il libro alla figlia Anny . Queste polemiche e queste riserve, che ammantano Thackeray di una bizzarra aura celiniana, possono farci sorridere. Ma anche i lettori moderni di Barry Lyndon descrivono il protagonista situandosi su ogni punto dello spettro che va dalla ripugnanza alla simpatia. E ciò che più conta, nei giudizi sul romanzo ricorre una categoria essenzialmente (e paradossalmente) non estetica, la gradevolezza: è gustoso, questo libro, o non è neppure digeribile? «Le Memorie di Barry Lyndon sono molto piacevoli da leggere. Non c’è nulla di scioccante o disgustoso», scrive Trollope. «Non c’è qualità d’arte che possa rendere gradevole al lettore medio un racconto simile», ribatte Leslie Stephen. E Theodore Martin parla dell’esperienza quasi claustrofobica di chi si lascia prendere dalla vivacità della storia solo per ritrovarsi imprigionato in 2 compagnia di «libertini e truffatori, bari e ruffiani» . Evidentemente qualsiasi lettura di Barry Lyndon ha come premessa necessaria l’esperienza di una inquietante introiezione, un coinvolgimento. Più che le avventure dei picari o dei rogues il romanzo può ricordare – in quanto audace sperimentazione sulle potenzialità del punto di vista narrativo – Il castello Rackrent di Maria Edgeworth, o il più tardo Ciò che Maisie sapeva di Henry James. Ma in queste opere la prospettiva, rispetto a Barry Lyndon, è rovesciata: invece di un mascalzone parla una creatura ingenua e angelica (il servo Thady, la piccola Maisie) che fraintende sistematicamente le malefatte di coloro che hanno potere su di lei. Tale contesto ci invita, ovviamente, a interpretare i fatti narrati nel senso più negativo, e questo in conseguenza della radicale polarizzazione etica. Barry invece non è un cattivo-cattivo. È coraggioso, generoso, pronto a mescolarsi a gente di ogni ceto; nutre un amore timoroso per sua madre, rispettoso per suo zio, e tenerissimo per suo figlio. Tutte queste virtù sono in parte manifestazioni di ambizione, vanità e snobismo, ma appunto per questo vanno a formare l’immagine di un uomo completo che ci affascina forse meno per i suoi tratti positivi, sempre macchiati di motivazioni perlomeno dubbie, che per la straordinaria energia che mette nel vivere la sua vita: vita fatta di luci e di ombre, ma sempre ben sua. Questa felice mancanza di manicheismo nella caratterizzazione di Barry lo distingue dagli eroi di Edgeworth e James. Del resto Thackeray stesso, nel primo accenno al romanzo che ci sia giunto (in una lettera del 1841), dice di aver trovato «materiali (anzi un personaggio) 3 per una storia» . Barry è questo: un vero personaggio; per questo si torna sempre a interpretarlo. Non bisogna dunque ridurre la strategia di queste Memorie a una mera trovata, la scusa per un tour de force letterario. Se il racconto ha qualche rallentamento, qualche pagina non riuscita, qualche piccola contraddizione interna, è certo per via delle costrizioni che pesano sul lavoro di ogni autore di feuilleton – ma ancor più perché Barry Lyndon è il libro di un’idea-forza, e si affida ad essa senza troppo curarsi di dettagli e rifiniture formali. Thackeray recupera l’uso della prima persona, che nel romanzo settecentesco era ancora in gran parte un effet de réel (da Defoe al romanzo epistolare), per costruire uno strumento narrativo flessibilissimo, con una profondità di 4 campo assolutamente moderna . Si tratta ancora di un tentativo, una semplice ipotesi. In La fiera delle vanità avremo di nuovo un narratore onnisciente pienamente inserito nella tradizione del romanzo vittoriano (anche se presentato come «burattinaio» di un teatro insieme affascinante e misero: dunque con un significativo elemento di ironia). Ma appena venti anni dopo incontreremo un parente molto prossimo dell’io-Barry, stavolta non nella prigione di Fleet Street ma ancora più giù, nel sottosuolo. «Sono un malato... 5 sono un malvagio» . La differenza cruciale, naturalmente, è che l’eroe di Dostoevskij tematizza precisamente la sua ambiguità morale: ci parla di un luogo della coscienza in cui volere il proprio bene e volere il proprio male concidono. Ai suoi occhi, l’ampia incastellatura retorica con cui Barry cerca di dimostrarsi onesto e onorevole ricadrebbe in un’obsoleta opposizione virtù/vizio e Barry stesso somiglierebbe moltissimo a quegli «uomini di carattere» o «d’azione» contro cui l’abitante del sottosuolo scaglia i suoi penetranti sarcasmi – proprio come l’«ometto» che Barry si trova accanto nel suo “sottosuolo” carcerario, nelle ultime pagine del romanzo: «Oggi, nella prigione di Fleet Street in cui scrivo queste pagine, c’è un ometto che sta sempre a deridermi, si prende gioco di me e mi sfida anche a lottare con lui; e io non ho il coraggio di toccarlo». Ma se questo narratore-nanerottolo è proprio il “lettore implicito” che il romanzo di Thackeray presuppone, allora Barry Lyndon – con la sua ironia onnipresente ma impossibile da fissare lungo uno spartiacque manicheo, con la sua urgente richiesta di un lettore che si appropri del libro e lo riscriva – fa strada ai Ricordi del sottosuolo. E noi siamo abitanti del sottosuolo perché possiamo leggere una frase di Barry: «Sono proprio una di quelle persone nate per guadagnarsi una fortuna, ma non per tenersela» (cap. XVII), e concludere con l’eroe di Dostoevskij che «l’uomo è creatura avventata e assurda, e forse a lui come al giocatore di scacchi interessa soltanto il processo di raggiungimento dello scopo, non già 6 lo scopo stesso» . Oppure ci troviamo davanti una pagina come questa (cap. X): I ricchi e i grandi vengono sempre accolti con un sorriso sullo scalone del mondo; i poveri che nutrono qualche aspirazione devono arrampicarsi su per i muri, o farsi largo a spintoni per le scale di servizio, o perfino strisciare dentro qualsiasi conduttura della casa, per sporca e stretta che sia, purché porti in alto. Lo sfaticato senza ambizioni vuol farci credere che non vale la pena di arrivare in cima, rinuncia senz’altro alla lotta e si fa chiamare filosofo. Io dico che è un vigliacco, un pusillanime. È quasi un manifesto (del resto gli anni sono proprio quelli) e determina la precisa distanza tra le due opere, cioè tra i due punti di vista. Ma a varcare quella distanza c’è l’immagine del palazzo sventrato, che in Thackeray ha valenze sociali, in Dostoevskij è una grande metafora psicologica. Barry Lyndon è dunque una foce attraverso cui il largo fiume del moralismo a sfondo sociale dell’epoca vittoriana sbocca paradossalmente nel rigagnolo fetido, ma profondissimo, dell’analisi etico-psicologica moderna. Questo può accadere perché Thackeray si è procurato un passaporto per entrare nel corpo di un personaggio – il villain, il “cattivo” – generalmente imprigionato in un “lui”, l’indiscutibile oggettività di un paradigma morale negativo. Barry è l’adamica “prima persona” di una tradizione narrativa cruciale dell’età moderna. E la sua autobiografia può vivere e respirare soltanto in un’atmosfera almeno parzialmente depurata dalle soffocanti norme vittoriane della morale comune e della giustizia poetica. Nel «Fraser’s Magazine» un lungo capoverso apriva il capitolo XVII. Diceva tra l’altro: «Il

See more

The list of books you might like

Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.