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L'arte egizia. Il potere dell'immagine PDF

66 Pages·2005·3.405 MB·Italian
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Giuseppina Capriotti Vittozzi L’ARTE EGIZIA Il potere dell’immagine ARACNE Copyright © MMV ARACNEeditrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN88–548–0311–1 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: dicembre 2005 Sommario 1. Introduzione 11 2. Storia e mito 12 2.1 Le origini del mondo: il cosmo 13 2.2 II caos fuori della valle 13 2.3 II sovrano, tra storia e mito 14 2.4 L'immagine del faraone trionfante 15 3. Realtà e immagine 18 3.1 Creazione: parola e immagine 18 3.2 La capacità creatrice dello scriba e dell'artista 19 3.3 La magia 20 3.4 II potere magico dell'immagine-segno 21 3.5 Un'arte funzionale 23 4. L'immagine e la persona 26 4.1 L'immagine del sovrano 26 4.1.1 L'Antico Regno ••• 26 4.1.2 II Medio Regno 28 4.1.3 II Nuovo Regno 3 0 4.1.3.1 UN NUOVO RAPPORTO TRA IMMAGINE E FRUITORE 32 4.1.3.2 L'EPISODIO DI AMARNA 32 4.1.4 II periodo tardo 35 4.1.5 L'epoca tolemaica e romana, 36 4.2 La scultura privata 39 4.2.1 L'Antico Regno 39 4.2.2 II Medio Regno 42 4.2.3 II Nuovo Regno 42 4.2.4 II periodo tardo 44 4.2.5 L'epoca tolemaica e romana 45 5. Identità funzionale di immagine e scrittura geroglifica 47 5.1 II dono della rigenerazione 47 5.2 La barca di Mutemuia 49 5.3 Ptah signore di Maat 49 5.4 Un rebus per Ramesse 49 6. L'arcaismo 51 7. I modi della rappresentazione artistica 53 7.1 Immagine frontale e di profilo 54 1.2 L'introduzione della dimensione spazio-temporale nell'arte 56 8. Lavorare la pietra in Egitto 57 8.1 Le pietre 57 8.2 Tra interrogativi e incertezze 58 8.3 1 vasi in pietra 60 8.4 La scultura in pietra tenera 60 8.5 La scultura in pietra dura 61 8.6 L'ottimizzazione delle risorse nelle officine 62 9. L'architettura come immagine 63 10. Il retaggio dell'arte egizia 65 11. Breve bibliografia ragionata • 67 12. Cronologia 69 io . Introduzione Volgendoci a considerare l’arte dell’antico Egitto, dobbiamo tener presente che abbiamo davanti uno sviluppo lungo più di tre millenni, a partire dal periodo predinastico, fino all’Impero Romano. Soprav- vivenze dell’iconografia egizia si rintracciano inoltre nell’arte copta, avendo la chiesa dei cristiani d’Egitto conservato anche l’antica lingua in quella liturgica. Questo sviluppo, che si protrae lungamente nel tempo, dà l’impressione di una incredibile capacità di auto–conserva- zione, e dunque ha spesso stimolato l’idea di un non–sviluppo, come se la cultura e l’arte egizia fossero immutabili nel tempo, chiuse in una sorta di torre d’avorio che è la Valle del Nilo, impermeabili a contatti e stimoli e dunque sempre uguali a se stesse. Tale errore di lettura è reperibile ancora oggi in pubblicazioni di argomento storico. La fedeltà dell’arte egizia alla propria tradizione è indubbiamente un dato chiaro, che verrà commentato in questo qua- derno, ma dobbiamo anche tener conto del fatto che essa ci è tanto più evidente perché la nostra considerazione dell’arte è focalizzata in parti- colare sull’arte della corte regale e dell’ambiente che da essa promana. La tentazione di chi si avvicina a studiare, e presentare ad un pubbli- co, un periodo o un ambito della storia dell’arte, è invariabilmente quel- la di scegliere gli oggetti più significativi, spesso i più sorprendenti per bellezza, raffinatezza tecnica, fascino. Se tale scelta comporta dei rischi, essi sono tanto più gravi quando ci accingiamo a considerare l’arte di una civiltà lontana nel tempo, laddove intorno all’eccellenza di tali picchi 11 emergenti, spesso il fondovalle è avvolto nella nebbia e solo qualche sprazzo è visibile o riconoscibile. D’altra parte, operare delle scelte è ine- vitabile e, a causa della stessa nebbia, esse cadono spesso, necessaria- mente, sulle opere prodotte dall’ambiente regale, insomma sull’arte uffi- ciale. Assolutamente indispensabile, dunque, per chi si avvicina allo stu- dio dell’arte egizia, è la coscienza di tale parzialità, che investe la stessa produzione di ambiente regale; un caso esemplare è quello dell’architet- tura templare: le grandi costruzioni del Nuovo Regno hanno quasi com- pletamente obliterato l’architettura templare dei periodi precedenti, ad esempio quella del Medio Regno, e solo alcune strutture, a suo tempo smontate e sepolte, o utilizzate come riempitivo, all’interno delle aree templari, sono state “ripescate” e ricostruite dagli archeologi, come ad esempio la cappella della barca di Sesostri I a Karnak. È questa una vera perla, ma ormai completamente fuori contesto. La coscienza della parzialità delle nostre conoscenze, deve tener conto anche di un fondamentale processo formativo della civiltà egizia: ciò che gli Egiziani ricordarono sempre come l’unificazione delle Due Terre, la Valle e il Delta. La realtà arcaica, semplificata dall’ideologia faraonica come una duplicità, dovette essere ben più variegata e mul- tiforme. Ciascun centro, ogni città, aveva culti propri, miti e tradizioni diverse, diverse culture formali. Una traccia evidente di questa diversità originaria si trova nei periodi successivi, soprattutto a un livello mitolo- gico e religioso, laddove sotto lo smalto dell’unificazione riemergono divinità e miti locali, che a tratti si confondono sotto una sovrapposizio- ne di figure divine — più che un sincretismo — ma sempre riappaiono, dandoci quell’impressione di un politeismo confuso e infinitamente pro- lisso. La molteplicità delle origini, che riusciamo ancora a distinguere nei fenomeni religiosi, resta invece molto più nascosta per quanto riguarda l’arte figurativa, durante lo sviluppo dell’epoca dinastica. 2. Storia e mito Ogni civiltà ha di se stessa una certa immagine e una concezione delle proprie origini. Gli Egizi del periodo dinastico concepivano se stessi par- ticolarmente in rapporto all’ambiente, il cui elemento unificante era il grande fiume, e in rapporto all’organizzazione politica, facente capo al sovrano. La concezione del mondo fu dunque profondamente influenza- ta dal peculiare ambiente fisico dell’Egitto: un grande fiume che percor- re il deserto in direzione sud–nord dando vita ad un’oasi stretta e lunga 12 centinaia di chilometri, l’infuocato astro solare che, su un percorso est–ovest torna giornalmente alla vita; un ambiente deserto, mortale e affascinante insieme, nel quale si celavano ricchezze ma che velava al con- tempo un mondo sconosciuto e caotico. In rapporto a questo ambiente nacquero dunque i miti cosmogonici e si sviluppò la concezione del reale. 2.1 Le origini del mondo: il cosmo Come narra lo storico greco Erodoto, quando il Nilo straripava, l’Egitto assumeva l’aspetto di un immenso lago dal quale emergevano, qua e là, delle collinette. Da questa immagine scaturì la riflessione mi- tologica e religiosa e si ritrova nei vari racconti cosmogonici legati ai diversi centri religiosi dell’Egitto antico. Nella molteplicità dei miti, ri- conosciamo comunque l’elemento acquatico, un oceano primordiale (Nun), dal quale emerge un’isola, un tumulo primordiale, o sul quale si coagula un agglomerato di canne, un’isola natante. Sulle acque può nascere anche il sole, all’aprirsi mattutino della ninfea azzurra. 2.2 Il caos fuori della valle La visione egizia dell’ambiente lungo il fiume, cosmo perfetto che emerge dalle acque primordiali, comporta tuttavia il riconoscimento di ampie zone marginali e incontrollabili, che premono ai confini del mondo ordinato che è l’Egitto. Lo stesso oceano primordiale, cui si deve l’emer- gere del cosmo, è un elemento incontrollabile e imprevedibile, che in- goierà la creazione alla fine del tempo. Ciò che sta ai margini, dunque, presenta per gli Egizi un doppio valore: un aspetto fecondo e creativo, uno pericoloso e distruttivo. Particolarmente significativi di questo ambiente di confine sono gli acquitrini, i folti papireti, densi di vita e di pericoli, la cui flora e fauna sono generalmente connessi con la rigenerazione della vita. Dall’altro lato il deserto, arido e ostile, racchiude tesori preziosi d’oro e pietre e cela le vie per paesi lontani e ricchi di beni esotici. Gli acquitrini sono rappresentati molto spesso, sia in ambiente fune- rario che templare. Una pittura proveniente dalla tomba tebana di Ne- bamon, conservata al British Museum (fotografia in copertina), mostra il defunto armato di bastone da lancio mentre si avvicina al papireto su una barchetta; dietro di lui sta la sposa adorna di fiori di loto e munita di menat, accessorio caro ad Hathor. Un gatto fulvo, che attacca un uccello davanti al defunto, ricorda l’animale che nel cap. 17 del Libro dei Morti aggredisce il serpente Apopi, nemico della rinascita del sole. Sulla prua 13 della barca si vede un’oca, così come in un’altra immagine ambientata nei papireti che si trova nel mammisi di Kom Ombo: essa potrebbe rap- presentare la teologia ermopolitana, alludendo all’uovo cosmico e pri- mordiale, dal quale viene il soffio della vita. 2.3 Il sovrano, tra storia e mito Nella concezione egizia del mondo e della storia, figura irrinunciabi- le è il faraone, garante dell’ordine e del buon funzionamento del cosmo davanti agli dei, al punto che, quando in epoca romana il sovrano — l’imperatore romano — sarà figura lontana e a tratti di incerta identità, i sacerdoti nelle iscrizioni templari non rinunceranno alla figura regale ma lasceranno vuoto il cartiglio, che abitualmente ne avvolge il nome e lo rende immediatamente individuabile, o scriveranno all’interno sem- plicemente il titolo faraonico pr aA, (per aa,Grande Casa, dal quale deri- va il nostro termine “faraone”). Senza il sovrano, nella concezione egi- zia, l’Egitto non potrebbe sopravvivere. La visione del passato, per gli Egizi, era dunque confrontabile ad una fila di sovrani nelle cui mani si era tramandato il governo, e quindi la vita del paese. Elenchi di nomi regali furono scolpiti sulle pareti di templi e di tombe, e qui citiamo solo la lista del tempio di Abido, realizzata durante la XIX dinastia. Questi elenchi monumentali attingevano a delle opere esistenti indub- biamente nelle biblioteche, in particolar modo templari, nelle quali si conservava la memoria del passato. Conosciamo il nome di uno di que- sti sacerdoti compilatori, ai quali dobbiamo notizie di una storia che si ammanta di mito: Manetone, vissuto quando l’Egitto aveva ormai farao- ni di origine macedone, i Tolemei, successori di Alessandro Magno. La visione del passato, così come quella della realtà geografica, si confonde con il mito, ma questo è un modo di intendere solo nostro, e non rispondente a quello egizio, per il quale non sarebbe stato com- prensibile un tale sdoppiamento: la realtà vibrava di forze e potenzia- lità in essa connaturate, poiché in essa abitavano le divinità; la storia portava i semi di una rigenerazione che per noi non è facile cogliere. La letteratura ci conserva, ad esempio nelle Lamentazioni del princi- pe Ipu, scritto nel periodo seguente la caduta dell’Antico Regno, la visione terrifica del mondo allorquando si sfalda il potere regale e il caos prende il sopravvento sul cosmo ordinato: Si va ad arare con lo scudo (…). Il Nilo scorre ma non si ara per lui 14 poiché ciascuno dice “Non sappiamo ciò che avverrà nel Paese” (…). Le donne sono sterili e non si diviene più incinte. Khnum non crea più (…) Il fiume è pieno di sangue (…). Il deserto si è esteso sulla terra coltivata. Traduzione di S. Donadoni Questi stessi periodi in cui il mondo sembra rovesciarsi non ci hanno tramandato, generalmente, immagini regali. L’arte di corte, con il suo linguaggio artistico capace di far vivere fino a noi le immagini dei farao- ni, sembra allora spegnersi così come, per gli Egizi, sembrava spegnersi la vita stessa del paese. In alcuni casi, tuttavia, sono questi i momenti pro- pizi per intravedere altri aspetti dell’arte egizia, quelli che lasciano rie- mergere tradizioni locali, espressioni non ufficiali e “accademiche” . 2.4 L’immagine del faraone trionfante Come esempio per la comprensione del rapporto tra storia e mito — utilizzando i nostri parametri — e dell’importanza dell’immagine del sovrano in questo ambito, possiamo analizzare un modulo icono- grafico antichissimo e molto diffuso, quello del sovrano che, levato il braccio, abbatte i nemici dell’Egitto. Una faccia della famosa tavolozza di Narmer, datata agli albori dell’unità delle Due Terre (fine del IV mil- lennio a.C.), ci mostra il sovrano che, indossando la Corona Bianca dell’Alto Egitto abbatte i nemici. Nel corso di tutta la storia dinastica troviamo lo stesso modulo ampia- mente rappresentato soprattutto nei rilievi templari (fig. 1): nella struttu- ra architettonica del tempio, che il Nuovo Regno ha canonizzato e tra- mandato, tale immagine, di grandi proporzioni, era rappresentata di soli- to sui piloni e comunque sui muri esterni, dove doveva rendere presente il re e il suo potere di dominare le forze del caos. L’insieme dei nemici, tenuti dal faraone per i capelli, rappresenta l’altra faccia del mondo oltre i confini, quella pericolosa, e tuttavia vitale, e ben se ne comprende allo- ra la rappresentazione sui piloni del tempio, ai confini del cosmo perfet- to da esso rappresentato (si veda anche § 9). Si è spesso scritto che la tavo- lozza di Narmer ricorda l’unificazione delle Due Terre da parte di questo re e sappiamo dalle iscrizioni che le grandi immagini di abbattimento dei nemici di ambiente templare fanno talora riferimento a precise popola- zioni, tuttavia non dobbiamo considerare queste rappresentazioni come 15

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