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L'aquila e il giglio. 1266: la battaglia di Benevento PDF

132 Pages·2015·2.117 MB·Italian
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L’aquila Aculei Aculei Una visione pungente della storia. Collana diretta da La battaglia di Benevento del 1266 è Quando il passato torna a trafiggere Alessandro Barbero comunemente presentata come una sorta come una lama. di malvagio scherzo del destino ai danni di e il giglio Manfredi, il figlio dell’imperatore Federico II, Ultimi volumi pubblicati: che venne sconfitto dalle forze di Carlo d’Angiò, al quale riuscí in tal modo di impadronirsi del 13. RENATA DE LORENZO, Regno di Sicilia. A partire dalla narrazione Borbonia felix. Il Regno delle Due Sicilie alla vigilia “guelfa” degli eventi, che spiegava la clamorosa del crollo, pp. 232. quanto imprevista vittoria di Carlo con la 14. LUCIO VILLARI, sacralità della sua missione, voluta dal papa «America amara». Storie e miti a stelle e strisce, pp. 120. 1266: la battaglia di Benevento e benedetta da Dio, ha replicato una versione 15. FABIO NICOLUCCI, “ghibellina”, appoggiata dall’autorità dantesca, Sinistra e Israele. La frontiera morale dell’Occidente, con l’immagine del Manfredi «biondo, bello e pp. 284. di gentile aspetto», che vedeva nella corruzione 16. MARIA TERESA MILICIA, e nel tradimento dei nobili il motivo della o Lombroso e il brigante. Storia di un cranio conteso, i sconfitta dello svevo. l pp. 168. Un re scomunicato, un esercito di musulmani, una ig Si tratta però di un’immagine deformata che g 17. EUGENIO DI RIENZO, “guerra santa” promossa da un papa francese e da un queste pagine vogliono correggere, restituendo l Afghanistan il Grande Gioco 1914-1947, pp. 160. i tutta la complessità di una vicenda impossibile conte ambizioso. Ecco il 1266: una crociata in Italia. e 18. ANTONELLO BATTAGLIA, a da ridurre alle letture nazionaliste/regionaliste Sicilia contesa. Separatismo, guerra e mafia, pp. 144. il o clericali/anticlericali del secolo passato. u 19. BRUNO BIGNAMI, q La Chiesa in trincea. I preti nella Grande Guerra, a PAOLO GRILLO è professore di Storia Medievale L’ pp. 144. presso l’Università degli Studi di Milano. Tra le 20. GIULIO FERRONI, sue pubblicazioni piú recenti: Legnano 1176. La scuola impossibile, pp. 124. Una battaglia per la libertà (Roma-Bari 2010), 21. PAOLO GRILLO, Milano guelfa (1302-1310) (Roma 2013), e Le L’aquila e il giglio. 1266: la battaglia di Benevento, guerre del Barbarossa. I comuni contro l’Impero pp. 136. (Roma-Bari 2014). Volumi di prossima pubblicazione: 22. CLAUDIO VERCELLI, Il dominio del terrore. Deportazioni, migrazioni O forzate e stermini nel Novecento. L L I R Paolo G O L O A P G r i l l o € 12,00 La battaglia di Benevento del 266 è comunemente 1 presentata come una sorta di malvagio scherzo del destino ai danni di Manfredi, il figlio dell’imperatore Federico II, che venne sconfitto dalle forze di Carlo d’Angiò, al quale riuscí in tal modo di impadronirsi del Regno di Sicilia. A partire dalla narrazione “guelfa” degli eventi, che spiegava la clamorosa quanto imprevista vittoria di Carlo con la sacralità della sua missione, voluta dal papa e benedetta da Dio, ha replicato una versione “ghibellina”, appoggiata dall’autorità dantesca, con l’immagine del Manfredi «bion- do, bello e di gentile aspetto», che vedeva nella corruzione e nel tradimento dei nobili il motivo della sconfitta dello svevo. Si tratta però di un’immagine deformata che queste pagine vogliono correggere, restituendo tutta la comples- sità di una vicenda impossibile da ridurre alle letture na- zionaliste/regionaliste o clericali/anticlericali del secolo passato. aculei cOllaNa DiReTTa Da alessaNDRO baR beRO 21 paOlO gRillO l’aQuila e il gigliO 1266: la baTTaglia Di beNeVeNTO saleRNO eDiTRice ROMa Composizione presso Grafica Elettronica, Napoli Copertina: Concept and graphic design: Andrea Bayer (www.andreabayer.it) 1a edizione pdf: novembre 2015 ISBN 978-88-6973-120-4 1a edizione cartacea: novembre 2015 ISBN 978-88-6973-000-9 Tutti i diritti riservati - All rights reserved Copyright © 2015 by Salerno Editrice S.r.l., Roma PREMESSA DUE RE FRA STORIA E MITO 1. All’ombra del Poeta Nella landa che dalle sponde del mare porta alle pendici dell’im- mensa montagna circondata da rocce, i due poeti procedevano cauti, cercando una via d’accesso alla salita. improvvisamente, alcune per- sone comparvero e si avvicinarono, sicché i viaggiatori li interpellaro- no, chiedendo informazioni sulla strada. Dal gruppo si distaccò una figura che si rivolse a uno dei letterati, quello che, curiosamente, proiettava un’ombra, chiedendogli se si fossero mai conosciuti in ter- ra. l’uomo era bello, biondo e di aspetto nobile, benché deturpato da due ferite: un taglio in viso e una ferita al petto. siamo, molti l’avran- no intuito, nel canto iii del Purgatorio, dove avviene l’incontro fra Dante, Virgilio e l’anima di Manfredi, il re di sicilia caduto in batta- glia a benevento. Ne segue un colloquio carico di pathos, nel quale Manfredi spiega che grazie all’infinita misericordia di Dio egli aveva potuto salvarsi, pentendosi all’ultimo istante dei suoi peccati, benché fosse stato scomunicato. il ritratto dantesco di Manfredi è indubbiamente segnato dalla de- scrizione fisica, brevissima, ma condensata in un verso di tale efficacia da esser divenuto proverbiale: « biondo era e bello e di gentile aspet- to ».1 in tal modo, Dante ha eternato un’immagine ben precisa di Manfredi: il giovane bello e sfortunato, colpito da un destino improv- vido. efficace sul piano letterario, tale immagine è però parziale e falsante, tanto che lo stesso testo dantesco, proseguendo nella lettura, mostra un ritratto ben piú articolato. l’incisività del verso sull’aspetto estetico del re ha fatto premio sugli altri, nei quali il poeta dimostra un atteggiamento comunque critico nei confronti di Manfredi. in effetti, dato che lo scopo dell’episodio è mostrare la grandezza della misericordia divina, in grado di mondare anche i peccati piú gravi, Dante ha appositamente scelto quale protagonista una figura che in vita era stata controversa e la cui immagine – in gran parte costruita 7 premessa dalla propaganda guelfa e pontificia – era negativa. la stessa anima di Manfredi in effetti ammette che « Orribil furon li peccati miei / ma la bontà infinita ha sí gran braccia / che prende ciò che si rivolge a lei ».2 ancora, il Manfredi di Dante fa una mossa che quello reale non avrebbe mai compiuto: durante il suo monologo rinnega clamorosa- mente i genitori, l’imperatore Federico ii e la sua amante bianca lancia d’agliano, saltando una generazione e presentandosi quale discendente della nonna paterna: « poi sorridendo disse: “io son Manfredi, / nepote di costanza imperadrice” ». la cautela del Man- fredi purgante potrebbe essere legata alla volontà di celare l’imbaraz- zante circostanza della propria nascita illegittima (Federico e bianca, infatti, non erano sposati), ma il rifiuto di qualsiasi ricordo del sangue svevo, col solo ricordo della normanna costanza d’altavilla sembra rimandare a un contesto politico piú complesso. Dante, in effetti, non sembra avere avuto una particolare simpatia per il padre di Man- fredi, l’imperatore Federico ii. l’uomo attorno al quale tanta storio- grafia fra Otto e Novecento ha costruito un mito, viene quasi ignora- to dal poeta, che lo relega nell’inferno, fra gli eretici del sesto cerchio, attribuendogli peraltro una citazione puramente cursoria nelle paro- le di Farinata degli uberti, che lo menziona fra i suoi compagni di pena, rinchiuso nel sarcofago ardente: « Dissemi: “qui con piú di mil- le giaccio, / qua dentro è ’l secondo Federico / e ’l cardinale e de li altri mi taccio” ».3 insomma, nel Purgatorio Dante sembra voler svin- colare lo stesso Manfredi dall’ingombrante figura dell’imperatore considerato eretico. peraltro, neppure corradino, il nipote di Man- fredi, altrettanto sfortunato avversario di carlo d’angiò, ha uno spa- zio significativo nella poesia dantesca. Manfredi rimane dunque un unicum, forse perché piú legato alla memoria e alle tradizioni fioren- tine, in quanto in stretti rapporti con quello stesso Farinata degli uberti di cui il poeta, pur condannandolo all’inferno, esalta la ma- gnanimità. 2. Ripensando la battaglia il Manfredi di Dante è dunque una figura sfaccettata e non unila- teralmente positiva. come spesso accade per i versi del poeta, però, è 8 premessa tale l’efficacia del ritratto iniziale (« biondo era e bello e di gentile aspetto ») che quell’unico endecasillabo si è consolidato nell’immagi- nario collettivo, eternando l’immagine di Manfredi kalòs kai agathòs, bello e quindi anche buono, secondo i criteri dell’epica classica. Di conseguenza, come ha rilevato brillantemente uno dei biografi del sovrano siciliano, la battaglia di benevento è comunemente presen- tata come una sorta di malvagio scherzo del destino ai danni di Man- fredi, dato che « in fondo percepiamo la sua fine come ingiusta ».4 in che cosa consiste, però, questa ingiustizia? alla narrazione “guelfa” degli eventi, che spiegava la clamorosa quanto imprevista vittoria di carlo con la sacralità della sua missione, voluta dal papa e benedetta da Dio, ha replicato una versione “ghibel- lina”, appoggiata dall’autorità dantesca, che vedeva nella fellonia dei nobili e nell’« argento de’ Franceschi » il motivo della sconfitta di Manfredi. col passar dei secoli, ovviamente, la prima spiegazione ha perso efficacia, mentre la seconda conserva intatta tutta la sua vitalità. come si vedrà nelle prossime pagine, però, nessun cronista contem- poraneo fa menzione di atti di corruzione da parte di carlo d’angiò e tale versione dei fatti sembra essersi diffusa non meno di mezzo secolo piú tardi, forse proprio in connessione con l’opera di Dante. l’elemento che forse ha piú impedito una corretta comprensione degli eventi del 1266 è stata la prevalente lettura della battaglia di be- nevento come momento a sé, decontestualizzata e separata dagli av- venimenti precedenti. Nello studio di una guerra, invece, le ragioni puramente militari non sono mai completamente soddisfacenti. co- me aveva già osservato con grande acume lev Tolstoj nel suo Guerra e pace, all’occhio dello storico esse appaiono tali soltanto perché sono ricostruite ex post, a risultato già acquisito. spesso la stessa capacità di agire di un pur abile comandante risulta fortemente condizionata dal contesto politico e sociale in cui egli si trova ad agire. alla classica domanda se l’esito di un conflitto dipende solo dalle personali doti dei diversi comandanti e dall’imprevedibile ruolo della sorte o se questi sono solo alcuni dei protagonisti – non necessariamente di primo piano – in un quadro piú complesso, nel quale rientrano altri fattori politici, sociali, economici e culturali, la risposta ormai comu- nemente accettata è la seconda. 9 premessa la battaglia di benevento va dunque considerata quale il dramma- tico momento conclusivo di una guerra fra carlo e Manfredi che durava ormai da un anno, coinvolgendo l’intera penisola, e che aveva visto grandi vittorie angioine nel lazio, in lombardia e nella campa- nia settentrionale. si trattava di successi che, agli occhi dei contempo- ranei, non potevano che certificare il favore divino che accompagna- va la spedizione. Noi, ovviamente, restiamo scettici di fronte a tale interpretazione, ma fatto sta che carlo d’angiò e la maggior parte dei suoi uomini ci credevano. il principe, sebbene assai meno devoto di suo fratello re luigi iX di Francia (il futuro san luigi), era cresciuto nello stesso clima di fervore religioso che caratterizzava la corte di parigi, pervasa da un misticismo che nella società guerriera dell’ari- stocrazia francese prendeva le forme della guerra santa, un tema ossessivo nel pensiero e nella letteratura dell’epoca. Da piú di mezzo secolo, ormai, le crociate potevano rivolgersi a mete lontane da ge- rusalemme, ma comunque proclamate importanti per la cristianità: Tolosa e albi dove si rifugiavano gli eretici catari, le regioni orientali del baltico popolate da slavi ancora pagani, le coste egiziane al fine di mettere sotto pressione i sultani che dominavano la Terrasanta. Non vi era dunque alcun motivo perché un regno tenuto da colui che ve- niva presentato come un fratricida scomunicato, che comandava un esercito composto in gran parte da mussulmani non potesse essere un legittimo obiettivo per una guerra santa. un vero clima di crociata è evocato per esempio dal poeta francese Rutebeuf, piú noto come autore di testi satirici, che nel 1265 compose la Canzone di Puglia per invitare tutti a unirsi a carlo d’angiò nella guerra voluta da Dio contro il blasfemo Manfredi: « Vassalli che siete all’oste / o studenti vaganti / non siate cosí legati al mondo / non siate cosí incoscienti / da perder la grande luce / dei cieli ove mai fa buio: / ora si vedrà il vostro valore / prendete la croce! Dio vi chia- ma ».5 Nella mentalità dell’epoca, era facile interpretare gli eventi favore- voli come segni del favore divino verso un’impresa, dunque il conte di provenza e il suo seguito lessero in tale direzione l’incapacità della flotta siculo-pisana di intercettare le navi che portavano carlo e la moglie a Roma, l’inverno eccezionalmente mite che permise la rapi- 10

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