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L'Ape e l'architetto: paradigmi scientifici e materialismo storico PDF

296 Pages·1976·1.928 MB·Italian
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L'APE E L'ARCHITETTO Paradigmi scientifici e materialismo storico Introduzione di Marcello Cini Giovanni Ciccotti Marcello Cini Michelangelo de Maria Giovanni Jona-Lasinio FELTRINELLI Prima edizione: febbraio 1976 Copyright by Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano ... l'ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggiore architetto dall'ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera. Alla fine del processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nella idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente. Non che egli effettui soltanto un cambiamento di forma dell'elemento naturale; egli realizza nell'elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, da lui ben conosciuto, che determina come legge il modo del suo operare, e al quale deve subordinare la sua volontà. K. MARX, Il Capitale, Libro I, Editori Riuniti, Roma 1964, p. 212. Avvertenza 1 In questo volume sono raccolti alcuni scritti che hanno un argomento e un fine comune: il tentativo di comprendere nel suo stadio più evoluto, e perciò anche nel suo sviluppo storico, la funzione del sistema della ricerca in termini di quell'attività sociale umana che è l'appropriazione teorico- pratica della natura, ed entro ciò di comprendere il valore della scienza. Questo tentativo si avvale degli strumenti della concezione materialisticostorica marxiana, ma non pretende di essere, né ambisce a esserlo, una interpretazione autentica o ortodossa di ciò che Marx intende per scienza. Vogliamo solo contribuire all'individuazione delle categorie concettuali adeguate a una ricostruzione corretta del ruolo e del significato della scienza nella società capitalistica contemporanea. Tale ricostruzione secondo noi può essere compiuta soltanto attraverso un'analisi del mutamento qualitativo che il sistema della ricerca e i suoi valori hanno subito nel passaggio dalla fase tecnica del capitalismo industriale alla fase tecnologica del capitalismo monopolistico. Tale analisi deve essere tuttavia preceduta da un tentativo di approfondimento teorico dell'intreccio natura-società, ossia dell'interazione fra rapporto uomo-natura e rapporti sociali di produzione, quale esso risulta esplicitamente o implicitamente dall'opera di Marx, e in particolare dalla sua concreta costruzione di una scienza della società caratterizzata da un intreccio oggettività-soggettività che è al tempo stesso intreccio fra causalità, cioè materialismo, e finalità, cioè storia. È appunto ciò che abbiamo tentato di cominciare a fare nei primi saggi di questa raccolta. In particolare il saggio sul dibattito epistemologico affronta nella sua seconda parte alcune questioni generali che sono state successivamente approfondite e chiarite in quello che apre la raccolta. Abbiamo tuttavia, per evidenti ragioni di chiarezza, deciso di non seguire l'ordine cronologico nel presentarli al lettore. Per quanto eterogenei questi saggi possano a prima vista apparire, essi sono in realtà legati da un filo conduttore comune, rappresentato dalla concezione 2 materialistico-storica della scienza che abbiamo tentato di delineare. Si noterà che a uno di questi scritti ha contribuito Elisabetta Donini che non condivide con noi la responsabilità delle tesi sostenute nel libro, anche se in varia misura ne accetta le idee generali. Vogliamo perciò ringraziarla non solo per aver acconsentito a includere il suo articolo in questa raccolta, ma anche per aver contribuito con discussioni, suggerimenti e critiche al nostro lavoro. Infine abbiamo cercato di fornire al lettore un ausilio interpretativo di tutto il materiale presentato, con una introduzione che cerca di ricostruire, anche attraverso le memorie dirette di uno di noi, la evoluzione delle idee e delle concezioni sul ruolo della scienza che si sono succedute nell'ambito della sinistra italiana negli ultimi vent'anni. A documentazione di questa ricostruzione vengono riprodotti in appendice alcuni vecchi articoli che hanno in qualche modo aperto la strada a quel processo di elaborazione e di maturazione collettiva che ci ha portato a formulare le tesi presentate in questo libro. Queste rapide avvertenze sarebbero incomplete, se non contenessero un esplicito ringraziamento per i numerosi amici e compagni che ci hanno ascoltato pazientemente, aiutato generosamente e criticato acutamente. Fra loro ricordiamo soprattutto D. Capocaccia e M. Lippi per aver contribuito attivamente durante la stesura di questi saggi, A. Baracca, E. Damascelli, A. Gaiano, G. Jacucci, B. Morandi, F. Navach, A. Rossi, G. Suffritti, T. Tonietti per le critiche e i suggerimenti, F. Marchetti per aver contribuito alla fase iniziale di questi lavori. Infine, più che un ringraziamento un commosso ricordo da parte del più vecchio di noi. Senza Raniero Panzieri e lo stimolo della sua lucida e acuta intelligenza i primi articoli del '65-66 non sarebbero mai stati scritti. Alla sua memoria di militante rivoluzionario, oltre che di amico fraterno, è dedicato ciò che ne è risultato negli anni successivi. Gli Autori Roma, settembre 1975 3 Introduzione DI MARCELLO CINI 01 I compiti che vent'anni fa il movimento operaio organizzato poneva ai ricercatori scientifici della sinistra italiana erano chiari. In primo luogo favorire tutte quelle iniziative in grado di raccogliere le forze più aperte e moderne del mondo della ricerca per rivendicare nei confronti della classe dirigente un impegno di mezzi e un potenziamento di strutture e di funzioni a favore delle istituzioni scientifiche. Gli interessi di sviluppo dell'economia nazionale nel suo complesso — si legge a esempio nella risoluzione del convegno di ricercatori scientifici, economisti, tecnici e parlamentari comunisti e socialisti tenuto all'Istituto Gramsci nel settembre 1955 — esigono che [...] lo sfruttamento della nuova fonte di energia [nucleare, N.d.A.] e l'applicazione delle nuove tecniche abbia come obiettivo la riduzione dei costi e il potenziamento dell'intero apparato produttivo. [...] nel quadro di una politica organica che coordini l'impiego di tutte le fonti di energia al servizio del pubblico interesse. [...] D'altra parte la rivoluzione incipiente nel campo della produzione non è esclusivamente connessa alla utilizzazione della energia atomica, bensì all'apertura di molte altre possibilità legate a tecniche avanzate quali l'impiego dei radioisotopi, della elettronica e più in generale l'uso sistematico e consapevole dei servomeccanismi. [...] E oggi più che mai evidente che l'introduzione e lo sviluppo di siffatte tecniche ha, come una delle sue necessarie condizioni, una ricerca scientifica organizzata, e aggiornata in tutti i suoi rami. I progressi, infatti, della ricerca scientifica odierna nella maggior parte dei suoi settori non sono più affidati tanto a studiosi singoli di eccezionale ingegno, dei quali è cosi ricca da secoli la tradizione scientifica italiana, quanto al 4 concorde lavoro di schiere di ricercatori, all'entità dei mezzi messi a loro disposizione secondo un organico programma nazionale, e alla loro persuasione di contribuire al progresso e al benessere dell'umanità. In secondo luogo si doveva operare a livello internazionale per la ricomposizione di una comunità scientifica che, al disopra di una contingente spaccatura derivante dall'appartenenza dei suoi membri ai due blocchi, trovasse nella neutralità e universalità della scienza un terreno di intesa che fosse garanzia di una comune aspirazione umanitaria e pacifista. Né l'uno né l'altro di questi obiettivi apparivano d'altra parte in contraddizione con una prospettiva politica più radicale, di trasformazione sociale all'interno e di rafforzamento del "campo socialista" su scala mondiale. Anzi ne costituivano tappe intermedie indispensabili per raggiungere quelle mete. Per di più, tali obiettivi non scaturivano soltanto dall'articolazione settoriale di una linea politica contingente, ma avevano un fondamento teorico in una tradizione marxista che, anche senza accettare in pieno i pesanti condizionamenti dello stalinismo, si rifaceva in modo assai dogmatico all'Engels del Antidühring e della Dialettica della Natura e al Lenin del Materialismo ed empiriocriticismo. In quanto ponevano l'accento sul significato gnoseologico delle scienze della natura, questi scritti, infatti, potevano ben essere presi a riferimento concettuale per una concezione del mondo fondata su una netta separazione tra natura e storia. Secondo tale concezione, codificata nel "materialismo dialettico," nella sfera della prima, a una realtà data ed esterna all'uomo non può che corrispondere, almeno se ci si limita al piano gnoseologico, una sola scienza possibile: unica fonte di conoscenza oggettiva in quanto rispecchiamento di quella realtà e, perciò, al tempo stesso unico strumento per trasformarla e dominarla. Nella sfera della seconda, invece, si affrontano le classi sociali 5 all'interno di rapporti che, sia pure attraverso mediazioni e rotture, sono determinati, in ultima analisi, dal quadro oggettivo costituito dalle tecniche incorporate nel modo di produrre, cioè dal livello raggiunto nel controllo della natura da parte dell'uomo. Di qui l'impegno prioritario dello scienziato marxista nell'ambito specifico del proprio campo di ricerca. Impegno che, fallito il tentativo staliniano di fondare sulle leggi della "dialettica materialistica" lo sviluppo di una scienza "socialista" della natura più valida e penetrante di quella "borghese," non poteva che ridursi — finché questa dicotomia non fosse stata rimessa in discussione — all'accettazione incondizionata di quest'ultima, anzi alla sua giustificazione — apparentemente a posteriori ma in realtà a priori — nei suoi metodi e nei suoi fini, nelle sue motivazioni e nei suoi risultati. Tale impegno era per di più rafforzato dalla convinzione che, cosi facendo, lo scienziato marxista contribuiva a' far avanzare una visione del mondo laica e razionale, affermando la superiorità della metodologia scientifica nei confronti di una cultura tradizionale, sedicente umanistica, in realtà fatta soprattutto di oscurantismo e di vacua retorica. Intendiamoci bene. Nessuno vuole rimpiangere Zdanov. Si vuole soltanto sottolineare che, se si assume che il processo di appropriazione della natura da parte dell'uomo sia indipendente dai rapporti sociali che intercorrono fra gli uomini, o — in altre parole — se si considera l'evoluzione delle scienze della natura come una accumulazione di dati oggettivi che porta a una ricostruzione sempre più approfondita e fedele di una realtà naturale data, anche se inesauribile, con la graduale espulsione dal loro corpo di ogni elemento socialmente determinato, ci sono solo due possibili scelte. O l'assunzione di uno strumento esterno alla scienza, le "leggi della dialettica," come chiave per aprire tutti i forzieri ove sono racchiusi i segreti della natura, o la santificazione di ogni risultato della scienza come passo avanti nel cammino dell'umanità "dal regno della necessità al regno della libertà." 6 La prima scelta non poteva non rivelarsi, come ogni metafisica, fallace. Né d'altra parte fu mai, in realtà, presa molto sul serio da noi in Italia. L'allineamento alle tesi del materialismo dialettico sovietico sulle questioni della scienza non venne infatti imposto all'interno del Partito comunista (al tentativo di Sereni di accreditare ufficialmente il lysenkismo i biologi comunisti espressero un rifiuto). È anche vero tuttavia che critiche aperte alla filosofia ufficiale sovietica non trovarono facilmente spazio. Soltanto dopo il XX Congresso si cominciò a discutere di questi problemi. La seconda scelta è una illusione sempre risorgente, e tutt'oggi vivissima all'interno della sinistra. Per l'appunto essa risultò rafforzata, per reazione, dal fallimento del Diamat. Questa reazione traspare chiaramente, a esempio, nella risposta — peraltro non pubblicata — che ebbi occasione di scrivere a un questionario inviato nel 1956 dalla rivista "Il Contemporaneo" ad alcuni intellettuali comunisti. Alla domanda: "In che misura, a tuo avviso, si è realizzato nel PCI il giusto e necessario rapporto tra l'attività culturale e la direzione politica?" rispondevo: Nell'esaminare la questione del rapporto fra direzione politica e attività culturale in un partito marxista è necessario tener presente che la prima non può e non deve predeterminare o circoscrivere a priori i risultati della seconda, sotto pena di isterilirla e ridurla a una ripetizione di formule prive di valore conoscitivo. Un partito marxista trae infatti dall'analisi della struttura della società attuale, nelle sue contraddizioni e nel suo sviluppo, lo spunto per la propria azione politica, intesa a trasformare questa società. Tale azione però sarà destinata al successo solo se l'indagine, libera da ipoteche precostituite, avrà rivelato i fatti quali essi sono e non quali si vorrebbe che fossero. Per limitarmi a parlare di argomenti più prossimi al mio campo di attività mi pare necessario che ci ricordiamo quali gravi danni sono derivati alla scienza sovietica, e indirettamente alla nostra capacità di affermazione nella cultura italiana, dalla mancata applicazione dei principi sopra accennati. Pretendere che un organismo di direzione politica possa giudicare della validità o meno di una teoria scientifica in biologia o in fisica o in chimica, sulla base di princìpi generali comuni a tutte le scienze, è altrettanto 7 metafisico e antiscientifico che costruire un sistema filosofico per spiegare a priori la realtà alla maniera dei filosofi idealisti. Non si vuole con questo asserire che i marxisti non debbano rivolgere la loro critica verso quegli scienziati — spesso grandissimi scienziati ma cattivi filosofi — i quali con estrapolazioni arbitrarie dal campo della fisica o delle scienze naturali arrivano a teorie inaccettabili sullo sviluppo della società o a concezioni idealistiche del mondo. È chiaro però che la critica non si deve fare capovolgendo meccanicamente il procedimento. Ugualmente meccanicistico è ritenere che il rapporto struttura/sovrastruttura sia così immediato da determinare una automatica superiorità della scienza e della cultura nella società socialista su quelle della società capitalistica. Per realizzare un rapporto fra direzione politica e attività culturale che non conduca a manifestazioni di dogmatismo ma anzi sia di stimolo alla ricerca, mi sembra indispensabile non fermarsi alla contrapposizione dei due termini, identificando le due funzioni in categorie distinte e quasi antagoniste di comunisti, ma occorre stimolare nel politico un'attività di produzione culturale e richiedere all'intellettuale specialista un impegno ad allargare il proprio orizzonte ai problemi di fondo dello sviluppo della società. Né si trattava soltanto degli scienziati della sinistra, che finalmente potevano sentirsi a loro agio nel loro ambiente, liberati da una imbarazzante connivenza. L'illusione era intrinsecamente connessa alla cultura ufficiale del PCI. Anche la svolta in questo campo rappresentata dall'immissione di Della Volpe e di altri intellettuali della sua scuola nella direzione della rivista "Società" ebbe questo segno. Se da un lato, infatti, essa ebbe un'influenza positiva — come ricorda Colletti nella sua recente intervista — sulla formazione di molti giovani intellettuali comunisti, che vennero indirizzati a ricercare in Marx e in Lenin le fonti di un marxismo che era stato abbondantemente adulterato, dall'altro essa ribadì il primato metodologico delle scienze della natura in quanto riconosceva agli "scienziati," con l'identificazione di Marx come il "Galilei del mondo morale," il possesso dell'unico metodo corretto di conoscenza della realtà. Non soltanto tale riconoscimento costituiva dunque una conferma ideologica per ogni ricercatore comunista della 8 validità del proprio impegno professionale. Esso rafforzava anche la convinzione che l'intera "corporazione" degli scienziati fosse intrinsecamente e oggettivamente progressista, e giustificava la scelta di appoggiare ogni iniziativa che raccogliesse i suoi esponenti più autorevoli, indipendentemente dalla loro posizione politica individuale. La manifestazione culminante di questa linea fu la lotta, alla quale partecipò in prima fila la sinistra, condotta dai fisici alla fine del '59 per "ottenere un definitivo assestamento della organizzazione della ricerca nel campo delle scienze nucleari." Essa ebbe successo nel senso che assicurò per qualche anno — fino al "caso Ippolito" nel 1963-64 — una relativa larghezza di mezzi alla ricerca nucleare, e in particolare al settore più costoso delle ricerche fisiche cosiddette fondamentali, quello delle "particelle elementari." Non a caso questo settore dove era concentrata la maggioranza dei fisici più dinamici, collegati a una "corporazione" internazionale particolarmente forte e prestigiosa, era stato la punta di diamante dell'agitazione. Il suo successo, tuttavia, frutto anche del consenso e dell'appoggio di ambienti esterni al mondo della ricerca, può essere considerato il primo sintomo di un'attenzione per la scienza da parte di alcuni settori della classe dirigente che rappresenta una novità di rilievo rispetto agli anni Cinquanta. Nel '60 la Confindustria organizza un convegno a Ischia nel quale si sollecita l'intervento statale a sostegno di una ricerca scientifica di cui le imprese avrebbero potuto utilizzare i risultati. Un anno dopo, nel dicembre '61, la DC tiene un convegno sul tema "Una politica per la ricerca scientifica" destinato a presentare la piattaforma programmatica del nascente centro-sinistra in questo campo e ad assicurare in questo modo al nuovo corso politico l'adesione della maggior parte degli scienziati progressisti. Elemento qualificante del nuovo corso è la programmazione economica: in questa prospettiva la ricerca scientifica assume, almeno nelle intenzioni, un ruolo qualitativamente importante. Tra i comunisti comincia a porsi il problema dell'inadeguatezza delle posizioni 9

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