Antonio Montinaro La tradizione del De medicina equorum di Giordano Ruffo Con un censimento dei testimoni manoscritti e a stampa Biblioteca di Carte Romanze | 4 © 2015 LedizioniLediPublishing Via Alamanni, 11 - 20141 Milano - Italy www.ledizioni.it [email protected] Antonio Montinaro, La tradizione del De medicina equorum di Giordano Ruffo Prima edizione: gennaio 2015 ISBN cartaceo 978-88-6705-275-2 Pubblicato con il contributo del Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università del Salento In copertina: Giordano Ruffo, De medicina equorum, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. N. A. 424, c. 3r. Informazioni sul catalogo e sulle ristampe dell’editore: www.ledizioni.it Le riproduzioni a uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da Ledizioni A Carol e Leonard, che mi ricordano quotidianamente di essere un uomo felice PRESENTAZIONE È opinione diffusa, anche all’esterno delle cerchie degli addetti ai la- vori, che a Galileo Galilei vada attribuita la qualifica di instauratore della nostra prosa scientifica moderna. A questa opinione, senza alcun dubbio condivisibile, si accompagna la constatazione che forme e mani- festazioni molteplici di testi a carattere scientifico circolano ampiamente già nei secoli precedenti. Nel Medioevo nessuna lingua può vantare il monopolio della comunicazione scientifica: alle lingue per così dire pre- vedibili (latino, lingue romanze, lingue germaniche) si affiancano il greco(-bizantino), l’arabo, l’ebraico, in una condizione storica di straor- dinario plurilinguismo intercomunicante fino a quel momento scono- sciuta e, si potrebbe azzardare, mai più ripetuta. In particolare la trattati- stica medica e veterinaria conosce in Italia una grande diffusione: le opere in latino coesistono con un numero crescente di testi in volgare, il nuovo potente strumento comunicativo che poco alla volta erode il terreno pre- cedentemente riservato alla lingua più illustre. Analogo successo il genere della produzione medico-veterinaria riscuote nell’intera Europa, romanza e non romanza. Un vero best seller della veterinaria medievale è il De medicina equorum del calabrese Giordano Ruffo, composto presso la corte sveva fra il 1250 e il 1256. Il testo, originariamente redatto in latino, conosce traduzioni e rimaneggiamenti in varie altre lingue; inoltre costituisce una sorta di ca- postipite, spesso dichiarato o a volte implicito, per altre opere del mede- simo argomento e di diverso autore che si susseguono fino alla diffusione della stampa e anche oltre, fino al Cinquecento. A questa straordinaria fortuna della tradizione testuale fa da involontario contrappasso una obiettiva insufficienza dei materiali editi, a partire dall’originale latino, di cui manca ancora l’edizione critica. Il lavoro di Montinaro persegue vari scopi. In primo luogo censisce e mette in ordine, con ispezioni puntuali quasi sempre di prima mano e analisi diretta dei manoscritti, la variegata e molto intricata diramazione testuale dell’opera; inoltre mette in luce i rapporti macrostrutturali e ma- crocontenutistici tra i testimoni, primo indispensabile passo per ogni stu- dio successivo su singole redazioni pluritestimoniali o su singoli testi; in- 6 La tradizione del De medicina equorum fine di fatto individua, attraverso la presentazione obiettiva dei dati te- stuali, gli esemplari più ragguardevoli, quasi suggerendone studio ed edi- zione agli interessati. La ricognizione di una così vasta e complicata tradizione testuale ri- chiede sistematicità, tenacia e acume. Le primitive indirette indicazioni di cataloghi e studi precedenti si sono rivelate spesso incomplete o errate, fino al punto di suggerire possibili piste che poi si sono dimostrate del tutto fallaci; altrettanto spesso venivano riunificate sotto un’etichetta unica (talora fuorviante) opere diverse, che invece andavano riconosciute e catalogate una per una. Si è ottenuto così un censimento ricchissimo e tendenzialmente integrale, indispensabile base di partenza per chiunque intenda cimentarsi con quest’opera di rilevanza fondamentale per la cul- tura prerinascimentale. Il lavoro è nato quasi ai margini di un’altra indagine, l’edizione di un inedito volgarizzamento quattrocentesco dovuto a un intraprendente maniscalco napoletano, Cola de Jennaro, autore di un trattato Della natura del cavallo e sua nascita (1479), redatto nel corso di una sua sofferta e lunga prigionia presso il sovrano di Tunisi. A questo studio Montinaro attende da anni, presto ne vedremo i risultati. Altrettanto ricco di implicazioni positive è il presente volume, dimo- strazione quasi esemplare di come la paleografia e la codicologia, intelli- gentemente esercitate, siano viatico indispensabile per le ricerche di storia linguistica e di filologia. Rosario Coluccia PREMESSA F ra il 1250 e il 1256 Giordano Ruffo, nobile calabrese al servizio dell’imperatore Federico II, portava a compimento in latino il De medicina equorum, l’opera che segna la rinascita della trattatistica veterinaria medievale. Essa godette di una diffusione talmente ampia da potersi rite- nere un vero e proprio best seller, la cui fortuna si evince dal numero di testimoni superstiti censiti, ben 189 (173 manoscritti e 16 a stampa) in 8 varietà linguistiche differenti: latino, italoromanzo, francese, occitanico, catalano, gallego, ebraico e tedesco. Ed è probabile che altri giacciono, in attesa di essere individuati, in fondi bibliotecari non ancora studiati o poco conosciuti. A fronte di una tradizione così ricca e articolata, il trattato risulta poco studiato. Manca l’edizione critica del testo latino e sono pochissime, solo cinque, le traduzioni edite: tale situazione editoriale rende assai dif- ficoltosa l’identificazione dei percorsi che hanno caratterizzato la diffu- sione romanza e non romanza della mascalcia e problematica l’individua- zione delle famiglie dei testimoni. Il lavoro che qui si presenta, nato per fornire risposte ai quesiti che via via poneva l’allestimento dell’edizione interpretativa del ms. Vat. lat. 10001, oramai in fase avanzata di preparazione a cura di chi scrive, in- tende fare il punto della situazione sulla frastagliata tradizione testuale del De medicina equorum. Dopo aver fornito informazioni su Giordano Ruffo e il suo trattato, si presentano i dati ricavati dalla collazione di un campione di codici: il procedimento ha consentito di isolare significative varianti strutturali e testuali, segnando l’avvio di una prima organica riflessione sulla fisiono- mia del trattato e sulla sua tradizione (i risultati sono formalizzati in arti- colate tabelle, la cui densità rispecchia inevitabilmente l’elaborata struttu- razione del testo). Segue l’elenco dei testimoni manoscritti e a stampa che tramandano l’opera e delle edizioni moderne ad essa relative. Il censimento si basa sull’ispezione diretta di 119 testimoni conser- vati in 20 biblioteche europee e sulla consultazione tramite riproduzione dei restanti 70, custoditi anche fuori d’Europa. I numerosi controlli, di- spendiosi e non privi di difficoltà, si sono rivelati decisivi per identificare nuovi testimoni e per correggere informazioni errate, tramandate non di rado supinamente dalla bibliografia; in svariati casi si sono rettificati dati 8 La tradizione del De medicina equorum riguardanti segnature, localizzazioni del trattato, citazioni testuali e de- scrizioni, arrivando più di qualche volta a escludere l’attribuzione a Ruffo di testi ritenuti erroneamente latori del De medicina equorum. Nel congedare il lavoro mi è gradito ringraziare le persone che a vario titolo hanno contribuito alla sua realizzazione. Innanzitutto Anna Corna- gliotti e Alfonso D’Agostino, che hanno accolto il volume nella «Biblio- teca di Carte Romanze». Matteo Milani, Luca Bellone e Dario Mantovani ne hanno agevolato la pubblicazione, fornendomi amichevole e qualifi- cato supporto. Un sentito ringraziamento devo a Luca Serianni e Ugo Vignuzzi, tutori della mia tesi di dottorato, da cui questo volume ha preso avvio, e a Marcello Aprile, Mario Pagano, Aldo Fichera, Gerardo Pérez Barcala e Anna Luisa Rubano, che hanno letto lo studio prima della sua pubblicazione. Numerosi sono i docenti, i colleghi e gli amici che hanno facilitato in vario modo la ricerca: Sandro Bertelli, Klaus-Dietrich Fi- scher, Vincenzo Ortoleva, Martina Giese, Enrico Leone, Rosanna Ne- stola, Niceta Antonio Pedone e Cecilia Quarta. Il personale che si è suc- ceduto nella Biblioteca Dipartimentale Aggregata di Studi Umanistici (Se- zione di Filologia, Linguistica e Letteratura), Gabriele Luciani, Filomena Mastore e Maria Consiglia Piccinni, mi ha semplificato il reperimento di materiale bibliografico. La realizzazione del volume ha comportato un quotidiano contatto de visu ed epistolare con bibliotecari di istituzioni sparse in Europa e anche al di fuori di essa, riscontrando quasi sempre professionalità e cortesia: anche a tutti loro, pur non potendoli nominare singolarmente, va la mia riconoscenza (i contributi puntuali sono regi- strati nelle schede descrittive dei testimoni). Un affettuoso pensiero va ai miei genitori, mamma Rita e papà Luigi, che oramai da anni condividono con me gioie e ansie del lavoro di ricerca. Un ringraziamento particolare rivolgo al mio maestro, Rosario Coluccia, che ha seguito con pazienza e generosità ogni fase del lavoro, fornendomi suggerimenti, segnalazioni e amichevoli incoraggiamenti. Ogni eventuale errore, va da sé, è responsa- bilità di chi scrive. 1. GIORDANO RUFFO* S u Giordano Ruffo, miles in marestalla dell’imperatore Federico II,1 si hanno poche notizie, non sempre interpretate univocamente, anche a causa dell’omonimia con altre figure dello stesso casato (cf. Trolli 1990a: 18).2 * Parte della documentazione esposta nei capp. 1 e 2 è stata anticipata in Montinaro 2011a. 1 Molin 1818: VII ritiene che l’appellativo di militem in marestalla corrisponda all’ita- liano scudiere (proposta accolta da Palma 1924: 208); fornisce una identificazione simile Gualdo 2005: 83b, il quale afferma che «la carica di miles in marestalla corrisponde al ruolo di un ufficiale di second’ordine», mentre Causati Vanni 2000: XLIX, L, affermando che nel Medioevo la carica di «miles in marestallas, ovvero di marestallus», «designava il veteri- nario-maniscalco, vale a dire colui che deteneva il potere di guarire i cavalli» (stessa affermazione in Causati Vanni 2005: 129), offre un’interpretazione simile a Dunlop– Williams 1996: 225, i quali traducono il termine marescallus con ‘veterinarian’. In età fe- dericiana «la marestalla, che comprende stalla, scuderia e ricovero dei cavalli, è il nucleo delle aratie, vere e proprie aziende zootecniche di produzione equina» (Gualdo 2005: 82b). Leclainche 1995b: 197 ritiene che Giordano Ruffo fosse «alto giustiziere e gran scudiero (marescallus major) di Federico II». Sull’appellativo cf. anche Pérez Barcala 2013: 44, n. 98. 2 Sulle origini della casa Ruffo informa Caridi 1995: 4 (cui si rinvia per la biblio- grafia), il quale riferisce che «diverse e talvolta palesemente fantasiose sono state le ipo- tesi formulate da genealogisti e studiosi di famiglie nobili già nei secoli scorsi e in seguito spesso acriticamente riproposte. Qualcuno, come Filadelfo Mugnos, faceva risalire ad- dirittura ad Enea le radici di questa famiglia; altri, fra i quali il Ritonio e l’Imhoff, crede- vano di rintracciarne gli antenati nella romana gens “Rufa”, mentre, a sua volta, il Fazello riteneva che fosse originaria della Calabria e che avesse conseguito notevole potenza già sotto i Bizantini. Qualche storico poi ha sostenuto la provenienza transal- pina dei Ruffo, che sarebbero però discesi in Italia per la prima volta al seguito di Carlo I d’Angiò. Tutte queste illazioni sono state rigorosamente confutate dal Pontieri che, sulla scorta di alcuni documenti superstiti, ha ipotizzato invece per la casa Ruffo origini normanne ed emigrazione di alcuni rami in Inghilterra e Meridione d’Italia nella seconda metà del secolo XI» (la relazione dei Ruffo con alcuni sovrani normanni sembra provata da «un privilegio di re Ruggero II [1095-1154], datato aprile 1146, con il quale si conce- devano al Cavaliere calabrese Gervasio Ruffo [...] le terre di “Minzillicar e Chabucas” site nel tenimento di Sciacca» [Ruffo 1995: 21b-c]). «Quella dello storico calabrese resta tuttora la congettura più attendibile, anche se un passo, peraltro abbastanza incerto, della Chronica Casinensis di Leone Ostiense, relativo ad eventi svoltisi intorno al Mille, è stato utilizzato sia in passato che recentemente per attestare una presenza dei Ruffo in 10 La tradizione del De medicina equorum Sembra certa la nascita in Calabria intorno al 1200,3 sebbene sull’esatto luogo le opinioni siano discordanti. Roth 1928: 4, ripreso da Zahlten 1971: 21, crede che sia originario di Gerace (oggi in provincia di Reggio Calabria), Klein 1969: 8 ritiene che sia nato nel territorio di Vibo Valentia, nei dintorni del Monastero di Sant’Onofrio di Cao,4 mentre Ruffo 1995: 23a e Piromalli 1996, I: 54 affermano che provenga da Tro- pea.5 Probabilmente fu fratello di Folco Ruffo, uno dei rimatori della Scuola Poetica Siciliana, di cui ci è giunto un solo componimento poetico, tramandato esclusivamente dal ms. Vat. lat. 3793, D’amor distretto vivo do- loroso.6 Calabria anteriore alla conquista normanna» (Caridi 1995: 4; le stesse informazioni in Caridi 1999: 19). Riguardo alle varianti che indicano la casa Ruffo, Pontieri 1958: 8, n. 5 informa che «troviamo indistintamente adoperate, sia negli scrittori che nei documenti cancellereschi del secolo XIII, le forme Ruffus e Rufus, Russus e Rusus, e ciò per lo scam- bio, dovuto alla somiglianza della grafia, della f con la s. Qualcuno, smanioso di classi- cizzare, arrivò a scrivere anche Rubeus, donde la conseguente traduzione in Rosso [...]. Ma in questo caso si badi di non confondere i Ruffo con i Russo o con i Rosso, ch’erano altre potenti casate di feudatari che nel secolo XIII troviamo in Sicilia [a Messina, cf. Ruffo 1995: 21b], a Roma e nel Nord Italia» (Caridi 1995: 237, n. 11 riprende parzial- mente queste osservazioni, senza citarne la fonte); sul nome della casa Ruffo cf. anche De Gregorio 1904: 371, Olrog Hedvall 1995: 1, 11 e Prévot 1991: 3. 3 Cf. Molin 1818: V, Roth 1928: 4 (citato da Zahlten 1971: 21), Prévot 1991: 4, Causati Vanni 2000: XLVIII, Causati Vanni 2005: 130 e Gualdo 2005: 83b. 4 A carta 57v del ms. L VI 15 conservato nella Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena si legge: «Jordano Rosso da Chau di Calavria chavaliere e famiglare de lo inpe- radore Federigo sicondo» (per questa informazione cf. anche Moulé 1891-1923, II, II: 28, Russo 1962: 35 e Lupis–Panunzio 1992: 27, n. 25, che tuttavia presentano impreci- sioni nella trascrizione del passo). 5 All’origine calabrese di Giordano Ruffo allude l’aggettivo calabriensis (che pre- senta numerose varianti), giustapposto al nome dell’autore negli incipit o negli explicit di molti manoscritti del trattato (cf. Gualdo 2005: 83); Gaulin 1994: 425, n. 7 rileva che un Jordanus de Calabria è citato nelle due redazioni della cronaca di Riccardo di San Ger- mano (Trolli 1990a: 18 fa riferimento solo a una delle due redazioni). Sull’origine cala- brese cf. già Molin 1818: V. 6 Per questo componimento cf. l’edizione con commento approntata da Aniello Fratta in Antonelli–Di Girolamo–Coluccia 2008, II: 769-77; per Folco di Calavra (così è denominato Folco Ruffo nel ms. Vat. lat. 3793), cf. anche Caridi 1995: 3-6 e Ruffo 1995.