"Tenete amente che nessuno ha visto tutto. Vi dico solo quello che ho visto io. E vi chiedo preventivamente scusa se vi parrà troppo poco." Inviato dal "Corriere della Sera" a seguire le drammatiche giornate della rivolta in Ungheria, Indro Montanelli arriva a Budapest il 1° novembre, mentre i carri armati russi abbandonano la città; vi rientreranno pero pochi giorni dopo. Raccoglie gli entusiasmi dei patrioti, certi di un futuro "indipendente, neutrale e occidentale". Assiste poi alla fulminea occupazione sovietica della città con cinquemila carri armati; alle "cento ore di disperata battaglia" e, infine, alla repressione violenta. Costretto a liberarsi dei propri appunti si rifugia a Vienna dove comincia a stendere il suo racconto. In primo piano, la cronaca in diretta della battaglia di Budapest; sullo sfondo gli intrighi della politica internazionale: le incertezze di Tito, i raggiri di Kruscev, le cautele di Nixon, lo stallo delle democrazie occidentali. La riflessione politica dei suoi scritti, raccolti per la prima volta in questo volume, individua con straordinaria preveggenza i semi del collasso del comunismo, che sopraggiungerà più di trent'anni dopo. Ma i contemporanei in Italia non lo capirono, anzi: censurarono la tesi controcorrente dei suoi reportage e il suo umano sostegno per i ribelli. I quali non erano nemici del popolo né democratici in lotta contro un'ideologia, ma "poveri fanti improvvisati e scalcagnati", comunisti quanto i loro avversari eppure decisi a riprendersi la propria patria. Montanelli seppe trarre dalla rivolta ungherese un messaggio universale: la lotta contro l'oppressione, chiunque sia il tiranno, non può rimanere senza seguito. "Avete ancora qualcosa da fare" ammonisce "per mostrarvi degni del messaggio d'amore che, morendo o rinchiusi nelle gabbie dei deportati, gli studenti di Budapest vi hanno lanciato."
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