Ladri di Biblioteche La Cultura 702 Paul Bloom La scienza del piacere L’irresistibile attrazione verso il cibo, l’arte, l’amore Traduzione di Bruna Tortorella La casa editrice, esperite le pratiche per acquisire i diritti di riproduzione delle immagini, rimane a disposizione di quanti avessero a vantare ragioni in proposito. www.saggiatore.it © Paul Bloom, 2010 © il Saggiatore S.P.A., Milano 2010 Titolo originale: How Pleasure Works: The New Science of Why We Like What We Like La scienza del piacere a mio padre, Bernie Bloom Prefazione C’è un aspetto animalesco nel piacere umano. Quando torno da una corsa con la mia cagnetta, io crollo sul divano e lei sulla sua cuccia. Io bevo un bicchiere di acqua fresca, lei lappa dalla sua ciotola, e siamo entrambi molto felici. Questo libro parla di piaceri più misteriosi. Ci sono adolescenti che amano tagliarsi con il rasoio, e uomini che pagano profumatamente per essere sculacciati da una prostituta. L’americano medio passa più di quattro ore al giorno davanti alla televisione. Il pensiero di fare sesso con una vergine eccita enormemente molti uomini. L’arte astratta può essere venduta per milioni di dollari. I bambini piccoli si divertono a giocare con amici immaginari e trovano conforto in una coperta di sicurezza. Gli automobilisti rallentano per guardare un incidente cruento e c’è chi va al cinema per piangere. Alcuni dei piaceri di cui parlerò sono esclusivamente umani, come quello per l’arte, la musica, le pratiche masochistiche e la religione. Altri, come quelli per il cibo e il sesso, non lo sono, ma cercherò di dimostrare che il piacere che gli esseri umani traggono da queste attività è profondamente diverso da quello che provano altri esseri viventi. La mia tesi è che il piacere ha radici profonde. Quello che più conta non è il mondo come appare ai nostri sensi. Il godimento che traiamo da qualcosa deriva da ciò che pensiamo che sia. Questo vale per i piaceri intellettuali, come l’apprezzamento di un quadro o di un racconto, ma anche per piaceri all’apparenza più semplici, come la soddisfazione della fame o del desiderio sessuale: nel caso di un quadro, riteniamo importante il suo autore; di una storia, conta se è verità o finzione; di una bistecca ci interessa di che animale è e per quanto riguarda il sesso, siamo molto influenzati da chi pensiamo che sia veramente il nostro partner sessuale. Questa teoria del piacere è l’estensione di uno dei concetti più interessanti delle scienze cognitive, e cioè il fatto che le persone danno naturalmente per scontato che gli oggetti del mondo – comprese le altre persone – hanno un’essenza invisibile che fa di loro quello che sono. Gli psicologi sperimentali sostengono che questa visione essenzialista è alla base della nostra comprensione del mondo fisico e sociale, e gli psicologi dello sviluppo e della transcultura suggeriscono che si tratta di una visione istintiva e universale. Siamo essenzialisti per natura. Nel primo capitolo, introdurrò la teoria dell’essenzialismo e sosterrò che può aiutarci a capire i misteriosi piaceri della vita quotidiana. Nei sei capitoli successivi esplorerò diverse sfere del piacere: il secondo e il terzo saranno dedicati al cibo e al sesso, il quarto all’attaccamento che abbiamo per certi oggetti quotidiani, compresi i cimeli di personaggi famosi e le cose che ci danno sicurezza. Il quinto capitolo sarà dedicato alle varie forme di arte, mentre il sesto e il settimo tratteranno dei piaceri dell’immaginazione. Ognuno di questi capitoli può essere letto indipendentemente dagli altri, nell’ultimo invece, farò qualche osservazione più generale e concluderò con alcune riflessioni sul fascino della scienza e della religione. L’obiettivo generale di questo libro è comprendere meglio la natura del piacere esaminando le sue origini a livello dello sviluppo individuale e dell’evoluzione della nostra specie. Per citare la famosa frase del biologo D’Arcy Thompson: «Tutto è com’è perché così è diventato». Ma nel contesto della psicologia il solo accenno all’evoluzione tende a creare allarme e malintesi, quindi sarà bene chiarire alcune cose. Tanto per cominciare, evolutivo non significa «adattivo». Molti aspetti importanti della psicologia umana sono il risultato di un adattamento, esistono a causa dei vantaggi riproduttivi che garantivano ai nostri antenati, e nel corso del libro tratterò di alcuni di essi. Ma altri sono effetti secondari o, per usare un termine introdotto dai biologi evoluzionisti Stephen Jay Gould e Richard Lewontin, sono pennacchi.1 Questo è particolarmente vero per il piacere. Per esempio, a molti piace la pornografia, ma passare il tempo a guardare fotografie o filmati di persone nude non comporta alcun vantaggio riproduttivo. L’attrazione per la pornografia è accidentale, è un effetto secondario dell’interesse per le persone nude in carne e ossa. E potremmo dire che anche la profondità del piacere è essenzialmente accidentale. Abbiamo sviluppato l’essenzialismo per dare un senso al mondo ma, ora che l’abbiamo introiettato, spinge i nostri desideri in direzioni che non hanno niente a che vedere con la sopravvivenza e con la riproduzione. Evoluto non significa «stupido» o «semplice». Qualche tempo fa, durante un seminario di letteratura inglese, parlavo del piacere che ci dà la narrativa e alla fine uno dei partecipanti mi ha detto di essere rimasto sorpreso dal modo in cui avevo trattato l’argomento. In fondo non era stato così terribile come pensava. Si era aspettato che la mia fosse un’ingenua teoria biologica riduzionista e gli aveva fatto piacere sentirmi invece parlare del profondo interesse che hanno i lettori per gli stati mentali di un autore e delle complesse e profonde intuizioni che sono alla base del godimento di un racconto. È stato bello far felice un professore di inglese, ma anche imbarazzante. In realtà la mia era un’ingenua teoria biologica riduzionista. Il suo commento mi ha fatto capire che sto difendendo due tesi che di solito non vanno a braccetto tra loro. La prima è che il piacere quotidiano è profondo e trascendente, e la seconda è che riflette l’evoluzione della nostra natura umana. Queste due tesi possono sembrare in conflitto tra loro. Se il piacere è qualcosa di profondo, si potrebbe obiettare, deve essere appreso e frutto della cultura. Se invece è un risultato dell’evoluzione, dovrebbe essere semplice, dovremmo essere programmati per reagire in un certo modo a certi stimoli, a livello elementare, percettivo e superficiale – vale a dire, stupido. Quindi mi rendo conto che le affermazioni che faccio in questo libro – che il piacere nasce da intuizioni profonde, che è intelligente, ma è anche un prodotto dell’evoluzione e quindi universale e per lo più innato – sono piuttosto insolite. Spero comunque di convincervi della loro validità. Intendo anche sostenere che sono veramente importanti. Nella scienza della mente ci sono ancora molti vuoti da colmare. Lo psicologo Paul Rozin ci fa notare che se sfogliamo un manuale di psicologia, troveremo poco o nulla sullo sport, la musica, il teatro, la letteratura, il gioco e la religione.2 Ma tutte queste cose caratterizzano la nostra umanità, e non le capiremo mai se prima non capiamo che cos’è il piacere. Tutti hanno qualcosa di interessante da dire sul piacere, e molte delle idee che presenterò in questo libro sono emerse da discussioni con familiari, amici, studenti, colleghi e sconosciuti incontrati in aereo. Ma confesso di essere stato particolarmente influenzato da sette studiosi che hanno riflettuto a fondo su questi temi: Denis Dutton, Susan Gelman, Tamar Gendler, Bruce Hood, Geoffrey Miller, Steven Pinker e soprattutto Paul Rozin. Su alcuni punti, dissento da ognuno di loro, ma questo libro è nato in buona parte come risposta alle loro idee, e sono ben lieto di riconoscere il mio debito intellettuale. Sono molto grato alla mia agente Katinka Matson perché, fin dall’inizio della sua stesura, mi ha aiutato a capire quello che volevo dire con questo libro, e ha continuato a darmi il suo sostegno quando avevo bisogno di consigli o mi lasciavo prendere dall’ansia. Ringrazio anche la mia editor alla Norton, Angela von der Lippe, per la fiducia che ha avuto in questo progetto, per i saggi consigli che mi ha sempre dato e i suoi preziosi commenti sulla prima versione del manoscritto. Sono riconoscente anche a Carol Rose per il suo abile e preciso lavoro di revisione del testo. Non potrebbe esserci una comunità di studiosi migliore del dipartimento di psicologia di Yale, quindi ringrazio tutti i miei colleghi, e in particolare i miei studenti del corso di specializzazione e di postdottorato, per il loro sostegno e la pazienza che hanno avuto mentre scrivevo questo libro. In quel periodo, a capo del dipartimento c’era Marcia Johnson, alla quale va il merito di aver creato un ambiente intellettuale così ricco di stimoli e rassicurante. Questo libro contiene anche i risultati di esperimenti che ho condotto in collaborazione con altri studiosi, tra cui Melissa Allen, Michelle Castaneda, Gil Diesendruck, Katherine Donnelly, Louisa Egan, Susan Gelman, Joshua Goodstein, Kiley Hamlin, Bruce Hood, Izzat Jarudi, Ute Leonards, Lori Markson, George Newman, Laurie Santos, David Sobel, Deena Skolnick Weisberg e Karen Wynn. Li ringrazio tutti. Sono riconoscente anche a tutti coloro che hanno avuto la gentilezza di darmi suggerimenti, rispondere alle mie domande o leggere alcuni passi specifici: Woo-kyoung Ahn, Mahzarin Banaji, Benny Beit-Hallahmi, Walter Bilderback, Kelly Brownell, Emma Buchtel, Susan Carey, Emma Cohen, Lisa DeBruine, Rachel Denison, Denis Dutton, Brian Earp, Ray Fair, Deborah Fried, Susan Gelman, Daniel Gilbert, Jonathan Gilmore, Peter Gray, Melanie Green, Lily Guillot, Colin Jager, Frank Keil, Marcel Kinsbourne, Katherine Kinzler, Daniel Levin, Daniel Levitin, Ryan McKay, Geoffrey Miller, Kristina Olson, Karthik Panchanathan, David Pizarro, Murray Reiser, Laurie Santos, Sally Satel, Michael Schultz, Mark Sheskin, Marjorie Taylor, Ellen Winner, Charles Wysocki e Lisa Zunshine. Ringrazio i partecipanti al mio seminario sulla scienza cognitiva del piacere per l’interessante semestre di discussioni e dibattiti che abbiamo trascorso insieme. E sono particolarmente grato a quei coraggiosi che mi hanno dato preziosi consigli dopo aver letto la prima stesura di questo libro: Bruce Hood, Gregory Murphy, Paul Rozin, Erica Stern, Angela von der Lippe e Deena Skolnick Weisberg. Sono sicuro che mi pentirò di non averli seguiti tutti. La mia famiglia – in Connecticut, Massachusetts, Ontario e Saskatchewan – è stata una continua fonte di incoraggiamento. I miei figli, Max e Zachary, sono ormai troppo grandi per costituire materia di riflessione sullo sviluppo, ma in compenso sono diventati persone intelligenti e perspicaci con le quali è divertente conversare, e le discussioni che ho avuto con loro sui temi di questo libro mi sono state molto utili. La persona a cui devo di più, come al solito, è però la mia collega e collaboratrice, nonché moglie, Karen Wynn. La ringrazio per tutte le idee, i consigli, l’incoraggiamento e, soprattutto, il piacere.