Brian Bates LA SAPIENZA DI AVALON Alle fonti del pensiero celtico Indice Ringraziamenti. Introduzione. L’antica sapienza dei nostri antenati. 1. Come vivevano i nostri antenati. 2. Incantesimi: entrare in sintonia con gli spiriti guaritori. 3. Guardiani: imparare dagli animali dotati di potere magico. 4. Madre Terra: liberare il flusso della forza vitale. 5. Acque profonde: consultare i pozzi della sapienza. 6. Tessitrici del destino: mutare i nostri modelli di vita. 7. Nani: trasformarsi con la Rete del Wyrd. 8. La veggente: predire attraverso l'intuizione profonda. 9. Cuore del lupo: trascendere la natura guerriera. 10. Viaggio visionario: scalare l’Albero della Conoscenza. 11. Giganti: affidarsi alla morte e alla rinascita. 12. Magia amoroso: creare l’elisir della vita. 13. Riflessioni. Bibliografia. Rizzoli Traduzione di Brunello Lotti Proprietà letterari riservata © 1996 Brian Bates © 1998 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 88-17-85017-9 Titolo originale dell’opera: The Wisdom of the Wyrd Prima edizione: aprile 1998 Alla gente del nostro antico passato, per la loro saggezza e per la illuminazione che ci hanno trasmesso attraverso i secoli E alla memoria di Violet Wood RINGRAZIAMENTI Fra le tante persone a cui sono legato da un particolare debito di gratitudine due sono ormai passate nell’Oltremondo. Lo scomparso Alan Watts mi diede, l’incoraggiamento di cui avevo bisogno quando iniziai la mia ricerca di una tradizione occidentale parallela alle grandi tradizioni della sapienza orientale sulle quali egli aveva scritto opere di grande lucidità. Il suo riso straordinario e i suoi suggerimenti pratici mi aiutarono ad avviare il progetto che ha condotto al mio primo libro, La via del Wyrd, e ora a questo volume. Dopo la stesura del primo libro ebbi la fortuna di ricevere i consigli e di attingere alla notevole dottrina e al vivace ingegno del compianto R.D. Laing; gli sono grato per la sua ispirazione sciamanica, per le sue capacità di trasformazione e per le molte discussioni notturne. Peter Lattin mi ha appoggiato, incoraggiato e consigliato per molti anni nel corso di questo e di altri progetti. Ho tratto grande beneficio dalla sua vasta e singolare dottrina, dalla comprensione simpatetica che ha mostrato per il mio lavoro e dal suo caldo senso dell’umorismo: egli contribuisce spesso a suscitare in me le idee migliori. John Cleese mi ha ispirato, sia con l’esempio sia con varie discussioni, a cercare di porre quelle difficili domande che permettono di rendere accessibile un’attività che altrimenti si sarebbe perduta nell’astrattezza. La sua onestà e il suo rigore mi hanno aiutato in tutti i progressi che ho fatto in questa direzione e lo ringrazio per tutto il suo incoraggiamento e sostegno. Ringrazio anche Spenny e Pamela Northampton per le molte entusiasmanti avventure e discussioni sulla mitologia, la spiritualità, i misteri dell’alchimia e la natura dei draghi; i miei amici UIrico e Beatrice Obrecht per le stimolanti «tavole rotonde» e per il piacere archetipico di scrivere fra le incisioni in legno della loro casa di montagna a Klosters; l’artista tedesca Fion per la sua profonda comprensione della mia opera e per le sue immagini Wyrd; Roger e Joan Evans dell’Istituto di Psicosintesi per il loro incoraggiamento e sostegno al mio lavoro. Nello sviluppare le implicazioni per la vita odierna della sapienza di Avalon, soprattutto nell’ultimo decennio ho tenuto corsi, guidato gruppi di lavoro, scritto e diretto opere teatrali, partecipato a seminari, indirizzato ed esaminato tesi di ricerca, praticato la psicoterapia e altro ancora. Da queste attività traggo molte intuizioni, idee, critiche, materiali e preziose fonti e riferimenti, e sono certo che senza di esse il mio lavoro non avrebbe potuto progredire. Ringrazio le tante persone che hanno partecipato a queste attività, specialmente quanti si sono avventurati con me sul sentiero dello sciamanismo Wyrd nei miei gruppi di ricerca sperimentale in diverse località in Inghilterra, Svizzera e America. L’amico e collega Michael Tucker, che di tanto in tanto ha collaborato con me come docente del corso di Coscienza sciamanica all’Università del Sussex, mi ha fornito aiuti e consigli preziosi ed è stato un compagno divertentissimo lungo il percorso sciamanico. Tra gli amici e colleghi con i quali ho discusso diversi aspetti della ricerca che ha condotto a questo libro e che mi hanno dato preziosi pareri, vi sono Alan Bleakley, Paul Devereux, Norman Dixon, Simon Drake, Richard Dufton, John Goodman, Joan Halifax, Chris Hall, Katherine Hunt, Francis Huxley, Ruth-Inge Heinze, Theodore Itten, Tim Jasper, Stephen and Robin Larsen, Mimi Lattin, Jane Mayers, Lisbet Meyer, Penny Morse, Susanne Nessensohn, Philip Nadin, Richard e Shelley Olivier, Nigel Pennick e Gabrielle Roth. Li ringrazio per la loro dottrina, le loro intuizioni e il loro incoraggiamento. Dei tanti miei colleghi all’Università del Sussex che hanno appoggiato il mio lavoro sono grato particolarmente a John Simmonds, Stuart Laing e Brian Short che, nella loro veste di presidi di facoltà, hanno autorizzato i miei periodi di assenza per motivi di studio e mi hanno aiutato in diversi altri modi. Ringrazio Anthony Sheil per il paziente appoggio che mi ha offerto in tutti gli anni in cui ho sviluppato questo progetto. Il defunto Oliver Caldecott: fu il primo editor che ha esaminato questo libro quando esso era ancora in fase di progetto iniziale; ho molto apprezzato il suo entusiasmo e il suo incoraggiamento. Più di recente Judith Kendra ha assolto questa funzione redazionale con una sensibilità e una determinazione che mi hanno aiutato a portarlo a compimento. Infine, ma soprattutto, ringrazio la mia famiglia. Mia madre scomparsa, Vicky Bates, mi lesse Bengazi, il gatto magico quando avevo quattro anni e con ciò diede inizio al mio interesse per la magia e lo sciamanismo! Da allora in poi il suo incoraggiamento non venne mai meno. Mio padre Clifford Bates mi ha sempre meravigliosamente sostenuto e mi ha dato affettuosi consigli. Mia moglie Beth comprende con acume profondo il Wyrd e i miei sforzi di riportarlo in vita e molti suoi suggerimenti e idee sono stati per me chiarificatori. Mia figlia Pearl incarna la sapienza di Avalon nella sua vita e nella sua opera di artista e disegnatrice e mi insegna come viverla praticamente. Mio figlio Robin offre incoraggiamento e consigli persuasivi che derivano dalla sua profonda comprensione di me stesso e del mio lavoro. Li ringrazio tutti per il loro amore e il loro sostegno. INTRODUZIONE. L’ANTICA SAPIENZA DEI NOSTRI ANTENATI Riconoscere il nostro retaggio tribale PER I NOSTRI antenati celti Avalon era un’isola mitica dove si trovavano i segreti di tutta la vita. Avalon era un regno che conteneva le chiavi per accedere alla conoscenza e alla visione interiore. Questo libro rivela le sacre dottrine del Wyrd, ossia la sapienza segreta di Avalon, e ci restituisce l’ispirazione spirituale di quei tempi perché noi possiamo avvalercene nel presente. Oggi molti di noi desiderano ardentemente una guida che ci insegni a vivere la nostra vita nel modo migliore. Sentiamo che se trovassimo questa guida, le nostre esperienze personali e sociali sarebbero più ricche e soddisfacenti. Questo libro offre una nuova via di nutrimento spirituale; un viaggio lungo un percorso di sapienza che fu già il nostro migliaia di anni fa, quando abitavamo come popolo indigeno nell’antica Europa. Credo che abbiamo bisogno di riscoprire la sapienza del nostro patrimonio ereditario «nativo», il sapere dei nostri antenati che può servire a infondere nuovo significato alla nostra vita. Nel corso dei secoli la nostra primitiva cultura tribale è stata soppiantata dalle forze del «progresso». Ma oggi ci stiamo interrogando sulla qualità della nostra vita proprio in mezzo alle relative comodità materiali che il progresso stesso ci ha procurato. Nell’emisfero occidentale disponiamo oggi di tutti i vantaggi della scienza, dell’ingegneria e della medicina moderne. Ma la sofisticazione ha molte forme. Recentemente abbiamo capito che i popoli indigeni tuttora esistenti, pur essendo meno progrediti di noi dal punto di vista tecnologico, dispongono di una conoscenza su come vivere che sembra in sintonia con le profonde armonie dell’anima e sembra in contatto con importanti verità che abbiamo perduto. Alcuni potrebbero considerare romantiche queste mie affermazioni, ma non c’è bisogno di una profonda analisi per ammettere che abbiamo urgente necessità di modificare il nostro punto di vista dinanzi alla crisi sociale, ecologica, politica e, fatto assai più fondamentale, dinanzi alla profonda crisi psicologica e spirituale che dobbiamo oggi affrontare. Di conseguenza, nel cercare nuove strade di arricchimento della propria esperienza, un numero sempre crescente di occidentali si stanno rivolgendo alle intuizioni degli sciamani delle culture indigene e dei mistici dell’antico Oriente, nella convinzione che verità permanenti sulla vita e sulla morte possano essere sopravvissute con loro. Oggi questa ricerca è essenziale nella vita di milioni di occidentali, europei e nordamericani, o di membri di altre società tecnologicamente avanzate come l’Australia. Non si tratta più semplicemente della passione di una piccola minoranza di fautori della «controcultura». Molti di noi leggono libri, guardano programmi televisivi, vedono film e partecipano a seminari e a gruppi di ricerca sulla sapienza delle culture antiche e dei popoli indigeni - i buddisti tibetani, gli indiani d’America, i Kogi del Sudamerica, i boscimani africani, gli aborigeni australiani che sperimentano il «tempo onirico» - alla ricerca di ispirazione per affrontare la nostra vita personale e le grandi questioni del nostro tempo [La ricerca di forme di «sapienza alternativa» ha luogo in diverse discipline, come testimoniano quei fisici che cercano un parallelismo con la propria attività scientifica nel misticismo orientale: F. Capra, The Tao of Physics, Wildwood House, London 1982 (trad. it., Il Tao della fisica, Adelphi, Milano 1989). Sull’interesse molto alto per l’applicazione del pensiero buddista a temi contemporanei vedi F. Fremantle e Chogyam Trungpa, The Tibetan Book of the Dead, Shambhala, Boston 1990; Sogyal Rinpoche, The Tibetatn Book of Living and Dying, Rider, London 1992. Le opere classiche di L. van der Post sulla sapienza dei boscimani africani sono: The Heart of the Hunter, The Hogarth Press, London 1961 e The Lost World of the Kalahari, Chatto and Windus, London 1986. Il notevole interesse per l’applicazione delle concezioni dello sciamanismo tribale in contesti occidentali è documentato dal testi di psichiatri e psicologi quali R. Walsh, The Spirit of Shamanism, Tarcher, Los Angeles 1990 e H. Kalweit, Dreamtime and Inner Space, Shambhala, Boston 1988. Un libro eccellente su un approccio sciamanico alle arti: M. Tucker, Dreaming with Open Eyes: The Shamanic Spirit in Contemporary Art and Culture, Harper Collins, London 1993. La cultura aborigena australiana è stata documentata da J. Cowan, The Mysteries of the Dreamtime, Prism Press 1989; sull’integrazione in tale cultura di geografia fisica e geo- grafia sacra vedi B. Chatwin, The Songlines, Jonathan Cape, London 1987. Molti documentari televisivi e persino film cinematografici hanno come tema le culture indigene di popolazioni il cui sapere è andato «perduto», tra essi La foresta di smeraldo, L’ultimo dei Moicani, Balla coi lupi e persino, in cartoni animati, Pocahontas]. Ma ora le culture indigene stanno cominciando a mettere un freno alle nostre indagini sui loro mondi sacri. Alcuni indiani d’America, a esempio, inizialmente contenti che le loro credenze e le loro consuetudini fossero finalmente trattate con rispetto invece che essere denigrate, stanno ora cambiando idea e sospettano che la «cultura bianca», che dapprima rubò la loro terra e quindi minò la loro struttura sociale, sta ora cercando di privarli anche della loro religione. Agli stregoni di molte tribù è stato recentemente proibito da parte degli anziani della tribù di insegnare la loro sapienza alle moderne culture occidentali [Comunicazione personale di Bernhard Schaer, direttore della Tantra Gallery a Interlaken, Svizzera, uno dei centri pilota europei per gruppi di ricerca sciamanica e tra i primi a presentare al mondo occidentale gli uomini della medicina degli indiani d’America]. Trovo perfettamente comprensibile questa reazione. È una reazione che capita anche al momento opportuno, perché può servire a farci intraprendere un viaggio atteso da molto tempo; un viaggio alla riscoperta del nostro retaggio sacrale, perché tutti siamo stati un tempo popoli indigeni. Perciò, invece di viaggiare per chilometri e chilometri allo scopo di apprendere la sapienza di altre culture, questo libro si appresta a fare un viaggio diverso, nel tempo. La nostra destinazione, che coinvolge gli antenati di molti odierni europei e nordamericani, è la civiltà largamente dimenticata dei popoli europei della foresta, la civiltà della cultura tribale an- glosassone e celtica, la sapienza degli «europei nativi» di mille e più anni fa con i loro modi di profonda comprensione della vita che io ho definito Wyrd, ossia la sapienza di Avalon. Oggi la parola «weird» in inglese significa «strano», «inspiegabile», «bizzarro». Qualcosa di «weird» è al di là della normale comprensione. Ma nelle antiche culture europee, la parola aveva un senso molto diverso. La forma originale e arcaica significava in anglosassone «destino», ma anche «potenza» o «magia» o «conoscenza profetica» [R. Metzner, The Well of Remembrance, Shambhala, Boston 1994, p. 217. Questo prezioso volume considera l’importanza della mitologia germanica in particolare per la nostra emergente coscienza ecologica]. «Wyrd» significava comunque l’«inspiegabile», ma l’inspiegabile era il sacro, il fondamento vero e proprio dell’esistenza, la forza che soggiace alla vita tutta; è una tradizione del nostro patrimonio culturale equivalente al grande Tao dell’Oriente, alla sapienza perenne del buddismo e al Grande Spirito degli indiani d’America. Recuperare l’antica sapienza Un millennio può sembrare un tempo molto lungo quando viene espresso in anni, ma si tratta solo della successione di quaranta o cinquanta generazioni ed è un arco di tempo sufficiente a portarci indietro al periodo storico in cui i nostri antenati vivevano in paesaggi largamente ricoperti di foreste, in piccole comunità tribali composte di capitribù locali, di sciamani, di guerrieri, di cacciatori e di agricoltori. Sotto un certo punto di vista quell’epoca è da considerare un periodo storico recente. Indizi di insediamenti umani nell’Europa occidentale risalgono infatti ad almeno mezzo milione di anni fa, all’epoca in cui gli elefanti, i rinoceronti e altri animali di grossa taglia che oggi associamo con l’Africa scorrazzavano nella campagna europea oggi coltivata. Ma pochi secoli prima della nascita di Cristo, le centinaia di comunità tribali sparse nel Continente europeo e in Gran Bretagna avevano modi di vita che cominciano a essere identificabili da parte degli archeologi e degli studiosi dei primi documenti scritti. Anche se dobbiamo essere molto cauti nel ricostruire quel passato dalle testimonianze in nostro possesso, è indubbio che dalle ombre della nostra ignoranza storica sta iniziando a uscire il profilo di quel mondo antico. Le culture tribali in tutto il mondo, sia quelle ancor oggi sopravvissute in mezzo alle società moderne (pochissime sono le culture che seguono tuttora un modo di vita simile a quello dei loro antenati) sia le migliaia che un tempo plasmavano le comunità umane, hanno caratteristiche specifiche nella loro complessità. Ogni piccola comunità ha i suoi costumi e i suoi riti, la sua iconografia e la sua arte, un’organizzazione sociale e una profonda identità spirituale. Ma una volta riconosciuta l’unicità di ogni comunità tribale, resta comunque il fatto che, se paragoniamo le comunità tribali alla società occidentale contemporanea, la loro varietà subito impallidisce e diventa relativamente insignificante di fronte alle somiglianze. C’è una comunione di esperienza, un nucleo essenziale nel modo di essere nel mondo, che contraddistingue i suoi modi tradizionali di vita in quanto radicalmente diversi dalla cultura contemporanea quale noi la sperimentiamo. In questo libro mi propongo di attenermi a questo livello di analisi. La vita tribale dell’antica Europa, ricca e varia, risulta sufficientemente omogenea in confronto con la vita odierna, e funge da destinazione unica del nostro viaggio a ritroso nel tempo, specialmente nei suoi percorsi verso la psicologia del profondo e verso il sacro. La «natura tribale» degli insediamenti dell’antica Europa era caratterizzata dalla presenza di un capotribù (nella lingua degli anglosassoni il capotribù era designato con un termine che significava «il capo parente») considerato sacro, pieno di mana o forza vitale, e la tribù veniva percepita come la sua famiglia allargata, anche se in senso simbolico piuttosto che biologico. Le identità di queste piccole comunità venivano consolidate attraverso i riti e i costumi propri d’ognuna di esse e grazie ai totem e alle immagini che simboleggiavano quella identità [S.O. Glosecki considera come le primitive società anglosassoni corrispondano alle caratteristiche principali delle culture tribali in Shamanisin and Old English Poetry, Garland, New York 1989]. Con poche eccezioni credo che questi popoli tribali dell’Europa antica sperimentassero e praticassero in gradi diversi il modo di conoscenza che ho definito Wyrd, ossia sapienza di Avalon. In questo libro espongo materiale relativo a culture tribali dislocate in tutta l’Europa nordoccidentale e in Scandinavia. La mia ricostruzione della sapienza di Avalon tiene conto soprattutto dell’Inghilterra, non solo perché in questo paese ho svolto la maggior parte della mia ricerca ma anche perché la cultura dell’Inghilterra per tutto il primo millennio (dalla nascita di Cristo fino all’anno Mille) fu rappresentativa dei modi di vita dei popoli di tutta l’Europa: emigranti che provenivano dai gruppi tribali del continente europeo (soprattutto da terre corrispondenti alle attuali Germania, Olanda e Danimarca) sbarcarono in Inghilterra in gran numero nel primi secoli del millennio e si unirono alle tribù già presenti; in seguito verso la fine del millennio ci furono altri emigranti (alcuni direbbero invasori) che venivano dalla Scandinavia, i vichinghi. Inoltre l’Inghilterra si rivelò un mutevole terreno di incontro per i due gruppi di popoli tribali dell’antica Europa che vengono spesso distinti dagli studiosi sotto i termini generali di popoli germanici (compresi gli scandinavi) e di quella famiglia di popoli noti (ai romani) come celtici. Alla radice della distinzione tra popoli germanici e popoli celtici stavano differenze linguistiche, ma in un cangiante caleidoscopio di tribù in migrazione questa distinzione può apparire esagerata. Negli ultimi dieci o vent’anni la moderna ricerca storica ha modificato la nostra opinione al riguardo e ora si ritiene che questi due popoli condividessero credenze spirituali, rituali e di altro tipo. Certamente tra le tribù dei due popoli ci furono guerre, ma il processo di emigrazione, di invasione e di insediamento dei gruppi germanici in un’isola occupata in precedenza da popoli prevalentemente celtici viene ora interpretato come una serie di rapporti assai più complessi che andavano dalla contrapposizione [Una dissertazione recente e ben articolata su questo punto in R. Hutton, The Pagan Re1igions of the Ancient British Isles, Blackwell, Oxford 1990, soprattutto il capitolo 7, e in H.R.E. Davldson, Myths and Symbols in Pagan Europe, Manchester University Press, 1988. P. Berresford Ellis, Celt and Saxons: The Struggle for Britain AD 410-937, Constable, London 1993, offre, in alternativa a questa nuova concezione di una comunanza dei due popoli, una descrizione completa delle guerre combattute tra sassoni e celti nel corso dei secoli] fino alla collaborazione. Concentro per lo più la mia attenzione sulle tribù dei popoli anglosassoni, germanici e scandinavi, non senza fare qualche riferimento anche a quelli abitualmente designati come celtici. In parte ciò si deve al fatto che la tradizione celtica è stata sottoposta a indagini molto più ricche, che si sono dirette soprattutto sulle leggende medievali di Merlino e di Artù, mentre a ogni livello si è prestata scarsissima attenzione alla sapienza tribale dei popoli anglosassoni e scandinavi. Le distinzioni tra i due popoli sono minime se paragonate alla comune esperienza di vivere in società tribali in territori relativamente non toccati dall’intervento umano, e talvolta ho fatto riferimento alla tradizione celtica in quegli aspetti in cui ho ritenuto che la differenza tra le credenze e le consuetudini dei due popoli fosse trascurabile [Dei molti libri che hanno considerato in dettaglio la tradizione sacra dei celti alcuni dei migliori sono: A. Ross, Pagan Celtic Britain, nuova edizione, Constable, London 1992, che è prevalentemente una trattazione archeologica; N. Tolstoy, The Quest for Merlin, Hamish Hamilton, London 1985, che esplora il materiale storico e leggendario su Merlino, J. Markale, Women of the Celts, Inner Traditions, Pochester, Vermont 1986, sul ruolo delle donne nelle testimonianze folcloriche e leggendarie, e J. Matthews, Taliesin, Aquarian, London 1991 sul poeta celtico Taliesin]. La storia di questo periodo, benché sempre più documentata da archeologi e storici, è stata in genere ignorata a vantaggio delle precedenti culture della Grecia e di Roma, anche se nell’Europa nordoccidentale si comincia ora a presentare a scuola ai bambini la storia dei loro antenati. Quel periodo, noto come «epoca dei secoli bui», è stato considerato fino a poco fa un tempo sfortunatamente primitivo che l’Europa attraversò dalla conclusione dell’età illuminata dell’occupazione romana, verso il 400 d.C., fino alla piena affermazione del cristianesimo in Europa e in Scandinavia, all’incirca verso il Mille. Ma la ricerca in un’ampia gamma di discipline sta rivoluzionando la nostra visione dei popoli dell’antica Europa e mi consente di sviluppare un punto di vista molto diverso. Io sottolineo quegli aspetti della cultura dei nostri antenati da cui ritengo che possiamo oggi trarre giovamento e sebbene questa analisi inevitabilmente non sia una valutazione globale di ogni elemento del modo di vivere del primo millennio e benché io non affermi che i popoli indigeni dell’antica Europa rappresentino una sorta di società utopica, quei popoli sono ben lungi dall’appartenere ai cosiddetti «secoli bui» della nostra storia. Anzi, considerato dal punto di vista di ciò che offrono ai nostri bisogni odierni, il meglio della loro antica civiltà rappresenta un millennio di cultura tribale splendida e gloriosa, ricca di conoscenza e di intuizione in campi della vita nei quali noi oggi siamo relativamente poveri. La natura del Wyrd Un tema principale di questo libro riguarda la riscoperta della vita spirituale dei nostri antenati. Intendo esporre come, fondamentalmente, i nostri antenati tribali e i mistici dell’antica Europa vissero secondo una visione della vita chiamata Wyrd: un modo di essere che trascende le nostre nozioni convenzionali di libero arbitrio e di determinismo. Tutti gli aspetti del mondo erano considerati in un flusso e in un movimento continuo fra le polarità psicologiche e spirituali del fuoco e del ghiaccio: una visione organica e creativa analoga ai classici concetti orientali dello yin e dello yang e rie- cheggiata nei recenti sviluppi della fisica teorica in base ai quali il mondo viene concepito in termini di rapporti e di schemi di relazioni. Dal concetto del Wyrd discendeva una visione del cosmo, dagli dèi fino al mondo infero, come una realtà connessa da un enorme e onnicomprensivo sistema di fibre simile a una tela di ragno tridimensionale. Ogni cosa era collegata da filamenti di fibre alla rete globale. Ogni evento, dovunque, dava luogo a ripercussioni che si riverberavano per tutta la rete. Questa immagine è assai più ambiziosa delle nostre attuali concezioni ecologiche, in cui abbiamo ampliato le nozioni di causa e di effetto per includere nella comprensione del mondo naturale concatenazioni più lunghe e più la- terali. La rete di fibre dello sciamano anglosassone offre un modello ecologico che racchiude gli avvenimenti della vita individuale come pure i fenomeni generali fisici e biologici, gli avvenimenti materiali e quelli non materiali, e mette in discussione proprio quelle concatenazioni di causa e di effetto dalle quali dipendono le nostre teorie ecologiche. Gli sciamani anglosassoni, persone ritenute in grado di mediare fra il mondo quotidiano e il regno del sacro, erano in diretto contatto con la forza vitale, un’energia vitale che permeava tutto, ma che negli umani era generata nella testa, scorreva lungo la spina dorsale e da lì fluiva in tutto il corpo. Questo sistema di energia, che ha somiglianze affascinanti con i concetti orientali di prana e chi, racchiude poteri fisici, psicologici e spirituali entro un sistema singolo, unificato. La manipolazione della forza vitale è essenziale per l’attività di guarigione degli sciamani e presenta conseguenze inte- ressanti per gran parte del dibattito contemporaneo nella medicina olistica riguardo all’interazione mente/corpo, alle energie di guarigione e ai modi alternativi e complementari di affrontare il problema della salute. La forza vitale collega il funzionamento dell’individuo umano con le pulsazioni del ritmo della Terra in una dimensione psicologica e spirituale della vita che è stata esclusa dall’involucro tecnologico nel quale siamo avvolti. Nella cultura anglosassone un mondo dinamico e pervasivo di spiriti coesisteva con il mondo materiale. Gli spiriti, manifestazioni di forze appartenenti al Wyrd, erano invisibili alla maggior parte degli umani, anche se secondo le superstizioni degli anglosassoni giocavano un ruolo notevole nella vita quotidiana. Ma gli spiriti erano visibili agli sciamani, perché si riteneva che gli sciamani fossero dotati naturalmente di abilità percettive al di là del normale, ossia che possedessero la capacità di vedere, di sentire e di sperimentare cose che noi probabilmente attribuiremmo alla sfera del paranormale e della follia. Queste capacità venivano riconosciute, coltivate e educate come prove dell’idoneità di un individuo a essere ammesso al rango di sciamano. Gli spiriti in cui credevano i nostri antenati tribali parevano dare forma e identità a molti fenomeni della vita che la psicologia contemporanea ammette, ma che spesso non riesce a trattare direttamente: la coincidenza, le paure radicate nel profondo, le esperienze medianiche, i sogni e gli incubi profetici e altri aspetti di noi che restano inconsci. Recenti sviluppi nella psichiatria esistenziale e nelle nuove psicoterapie hanno segnato l’avvio di una ricerca per operare direttamente con quelle forze ignote. Questo è dunque uno sguardo riassuntivo di quella singolare visione del mondo e di quel modo di vivere. Riscoprire il Wyrd in funzione della vita di oggi Da psicologo credo che il compito che dobbiamo affrontare nel riscoprire la sapienza dei nostri antenati e nel valutarne l’importanza per la nostra vita odierna non è tanto quello di protendersi verso qualcosa di «altro», qualcosa che non possediamo, ma è invece quello di rimuovere gli strati di ignoranza e di repressione che ci impediscono di conoscere ciò che già sappiamo e che giace nel profondo della nostra memoria culturale tribale. Il passato è sempre dentro di noi, nel cuore e nella mente, appena al di sotto della superficie della vita, codificato e incastonato in una moltitudine di forme culturali e di moduli linguistici che risalgono ai tempi della nostra vita tribale, ma al quali non attribuiamo più un particolare rilievo. Questa conoscenza è in ognuno di noi, ma è confinata nelle profondità dell’inconscio, separata e bandita dalla vita quotidiana. Talvolta riemerge spontaneamente alla superficie in modi divertenti e sorprendenti. Per esempio nel linguaggio colloquiale degli anni Sessanta riaffiorò qualcosa che si avvicinava all’antico significato di Wyrd, anche se eravamo inconsapevoli delle origini del concetto; «Weird, man!» (La frase equivale a espressioni italiane come: «Accidenti, ragazzi, che cosa strana!»; «Ehi, gente, una cosa da non credere!». Ndt) diventò una frase usatissima nell’ambiente «hippy». Di solito quella frase veniva usata in reazione a un fatto, a un’affermazione, a un pensiero o a un sentimento che sembravano sfiorare ciò che sta «oltre», ciò che presenta strane coincidenze e che si trova «al di là dei limiti». In quel decennio, che conobbe la riscoperta di interessi mistici e spirituali, «weird» fu la parola che serviva a co- lorare con una sfumatura positiva, di approvazione e persino di riverenza, gli aspetti strani e inspiegabili della vita. La parola acquistò un significato speciale. Oggi l’espressione «Weird, man!» è diventata motivo di nostalgia, di divertimento o di imbarazzo a seconda delle opinioni che si hanno sulla cultura degli anni Sessanta. Può semplicemente trattarsi di una bizzarra coincidenza che quella parola tornasse a essere usata con un’accezione particolare. Ma siccome credo che la potenza originale del concetto del Wyrd e profondamente impressa nel nostro retaggio culturale, è possibile che esso sia riemerso all’interno della ricerca del sacro che si ebbe nella cultura degli anni sessanta, anche se taluni aspetti di quella ricerca possono essere stati meno profondi di quanto sarebbe stato desiderabile. Il Wyrd, insieme con molti elementi dell’antica psicologia culturale, è stato codificato nella memoria collettiva dei popoli che vivono oggi nell’Europa occidentale e nel Nordamerica a partire dalle originali culture sciamaniche dell’antica Europa. Il concetto e l’energia di questo principio sono rimasti nell’ombra, appena al di sotto della superficie della nostra coscienza, In attesa del tempo in cui poteva di nuovo rendersi necessaria la loro ricomparsa. Quel tempo è ora venuto. Inizio buddista Più di vent’anni fa, durante l’estate del 1971 in California, mi stavo recando a far visita a uno degli eroi della mia giovinezza, il filosofo e scrittore Alan Watts. Egli era e resta tuttora, due decenni dopo la sua morte, uno dei rappresentanti più autorevoli delle grandi vie di liberazione orientali, soprattutto della sapienza eterna del buddismo e del taoismo [Il primo libro di Watts che ebbe un grosso impatto fu The Way of Zen, Pantheon Books, New York 1957. Il suo ultimo libro, Tao: the Watercourse way, Jonathan Cape, London 1976, contiene alcuni dei suoi scritti più raffinati. Delle sue numerose opere le più importanti per questo libro sono Nature, Man and Woman, Pantheon, New York 1958 e Psychotherapy East and West, Pantheon, New York 1965]. All’inizio degli anni settanta stavano prendendo forza una interrogazione sui presupposti della nostra cultura e una ricerca di intuizioni più chiare, di nuove prospettive e di modi migliori di comprendere i temi psicologici, sociali e spirituali. Come molte altre persone interessate a simili argomenti, ero stato affascinato, ispirato e stimolato dagli scritti di Alan Watts. Le sue lucide introduzioni alla sapienza dell’Oriente avevano dischiuso alla mia generazione vedute psicologiche e spirituali mai immaginate in precedenza: l’idea che il benessere materiale, sebbene non debba essere disprezzato, non significa nulla senza le dimensioni più profonde della vita; l’idea che molte basi della nostra vita quotidiana poggiavano solo su presupposti che erano specifici della nostra cultura e che non costituivano l’unico punto di vista sulla realtà e che, anzi, a suo giudizio, non erano affatto il punto di vista migliore; il modo in cui ci definivamo e ci comprendevamo come individui; le nostre idee di amore, energia, libertà; i nostri modelli di salute e di guarigione; il ruolo della fantasia e dell’immaginazione nella vita; le tecniche di meditazione; i nessi profondi fra le persone e l’ambiente: queste e altre idee venivano rimesse in discussione nei suoi lucidi testi. Come molti altri giovani che giunsero ad apprezzare la sua opera, anch’io ero andato all’università per studiare le tradizioni del paradigma scientifico occidentale: nel mio caso, per studiare nei laboratori di psicologia dell’Università della California a Berkeley e dell’Università dell’Oregon. In queste istituzioni mi formai come psicologo scientifico. Oggi, un quarto di secolo dopo, conduco all’Università del Sussex ricerche che studiano le alterazioni psichiche. Ma non è questa la strada che mi ha condotto alla sapienza di Avalon. Per quanto possiamo cercare di vivere razionalmente la no- stra vita, di prendere decisioni «sensate», la maggior parte di noi si accorge che le scelte sul percorso della nostra vita sono raramente di tipo intellettuale. Per quanto ci sforziamo di identificare e di elaborare razionalmente le nostre opzioni, in realtà ci mettiamo in sintonia con un modello interno già potenzialmente sviluppato. Molti di noi avevano da bambini una vita interiore molto viva. Ma, con la crescita, impariamo a reprimere l’immaginario, a negare la familiarità col fantastico a tutto vantaggio del «mondo reale» avallato dal consenso generale. Ma spesso ho avuto l’impressione che nella vita i metodi che ci consentono di andare avanti comportano un ritorno alla sfera dell’esperienza interna, un ritorno nel mondo delle immagini che conoscevamo da piccoli, un viaggio a ritroso verso quella fonte di sapienza che da adulti abbiamo dimenticato. In tal modo le nostre esperienze non sono nuove, ma sono soltanto rinnovate. Retrospettivamente mi rendo conto che il mio cammino nella cultura del Wyrd iniziò davvero nella mia infanzia. Nel periodo che va dai quattro ai nove anni, ebbi molti sogni ricorrenti che riguardavano lupi e aquile e quando ero malato e febbricitante feci l’esperienza di visioni esaltanti. Queste mi spinsero verso il riposto, verso le immagini dell’inconscio. E così, anni dopo, da studente di dottorato in California e nell’Oregon, proprio mentre calcolavo dati statistici e conducevo analisi scientifiche necessarie per la mia ricerca oggettiva rivolta al mondo esterno, capii che la psicologia empirica non poteva comprendere alcuni fra i temi più profondi che mi affascinavano. Cominciai a sospettare che la chiave per la comprensione di noi stessi non si trovasse nell’analisi particolareggiata di fatti, ma piuttosto attendesse di essere scoperta nelle tradizioni sapienziali del mondo, nel grande deposito di conoscenza dello spirito umano accumulato nel corso dei secoli in ogni cultura e codificato in quei computer organici che sono la religione, i riti e l’espressione artistica. Fu allora che scoprii l’opera di Alan Watts e, pur proseguendo la mia attività scientifica, cominciai a leggere testi sulle grandi tradizioni orientali dello Zen e del Tao e a praticare le loro discipline meditative. Il mio sogno era di equilibrare la potenza applicativa della scienza e della tecnologia occidentali con la sapienza dell’Oriente, una sapienza che poteva aiutarci a utilizzare la scienza a beneficio della Terra e non per condurla alla rovina. Questo sogno ovviamente non si è realizzato; abbiamo le conoscenze, la tecnologia e la ricchezza per alimentare tutta la popolazione mondiale, eppure la gente muore ancora di fame in carestie così spaventose come mai ci era capitato di conoscere. La mia eccitazione crebbe quando svoltai nel lungo e nascosto viale d’accesso che conduceva al ritiro montano di Watts sul monte Tamalpais, a nord di San Francisco, e mentre guidavo l’automobile lungo la strada sterrata che si snodava verso la sua casa attraverso boschi di eucalipti alti e argentei, le cui foglie frusciavano nel vento come le onde sulla spiaggia. Avevo un motivo particolare per fargli visita e chiedergli il suo parere. Come Watts anch’io ero nato e cresciuto in Inghilterra e mi ero trasferito da giovane negli Stati Uniti. Vi avevo vissuto per dieci anni, durante i quali avevo abbracciato le credenze e le pratiche del buddismo. Ma ora, dopo essere da poco tornato in Inghilterra, molto più lontano dall’Oriente di quanto lo fossi stato in California, avevo cominciato a pensare a qualcosa di diverso; qualcosa che fosse legato al paesaggio inglese, al patrimonio tradizionale dell’Occidente. Pur essendo ispirato dalla sapienza orientale, mi domandavo se un tempo l’Occidente avesse conosciuto una via analoga, una analoga tradizione di accesso al mondo del sacro, dell’intuitivo e della psiche profonda. Alan Watts fu cordiale e amichevole e mi portò nel piccolo edificio che usava come biblioteca e come studio. Era un luogo singolare. L’edificio era stato ricavato da un enorme barile in legno rosso di sequoia che era servito un tempo come deposito d’acqua. Il barile era stato collocato su una piattaforma di legno conficcata nel pendio della montagna. Un tetto alto a forma conica si allargava sui lati del barile, riparando i gradini di accesso. All’interno lo studio era circolare, il pavimento era coperto da una moquette bianca e c’era una grande vetrata che guardava sul fianco della montagna. La stanza era circondata di scaffali, con etichette scritte a mano in bellissima grafia che dividevano la raccolta di libri per materia: psicologia, buddismo, taoismo, filosofia e così via. La scrivania era in legno di acero con il bordo esterno che non era stato segato, ma era rimasto arrotondato nella forma originale. Nel soffitto sopra la scrivania un pannello di vetro istoriato lasciava entrare una luce tenue. In questa magica stanza ci sedemmo per terra sui cuscini e discutemmo dell’argomento sul quale ero venuto a interrogarlo. Parlammo della mistica cristiana delle origini, delle sue meraviglie e della sua forza, dei suoi fallimenti e delusioni, come parte della tradizione occidentale. Ma io stavo cercando qualcos’altro, forse una tradizione precedente, qualcosa che fosse meno legata a una religione istituzionale e più in sintonia con i sentieri sacri della liberazione spirituale dei buddisti e dei taoisti. Gli domandai se l’Inghilterra poteva mai avere conosciuto una simile via di liberazione. La domanda gli piacque e lo fece ridere. Ci pensò per un po’. Di solito a ogni mia domanda seguiva una breve pausa, durante la quale egli soppesava la questione, per darmi poi una risposta convincente e talvolta geniale; una risposta piena di erudizione, ma priva di ogni presunzione. Dopo quella domanda pensò più a lungo del solito. Quando rispose, mi invitò a mantenere la convinzione che ogni cultura, in qualche epoca della sua storia, ha sviluppato dottrine e tecniche che consentivano agli individui di trascendere la realtà convenzionale in cerca di una visione personale; di una di- mensione nella quale le nozioni di tempo, spazio e causalità sono integrate in un modo che ci aiuta, nella nostra consapevolezza normale, a vivere più pienamente e integralmente. Discutemmo di fonti, libri, tradizioni, comprese quelle druidiche e alchemiche. Watts aveva una cultura vastissima e la sua guida fu preziosa per l’inizio del mio progetto. Forse più di ogni altra cosa rammento il suo riso. Quando Alan Watts rideva, la sua risata aveva il suono più mirabile, caldo, consapevole ed esultante che abbia mai conosciuto, come quello di una sorgente che trabocca dalle acque più profonde della vita. Egli credeva che lo studio, la contemplazione e il lavoro pratico dovessero essere tutti praticati con sincera onestà, ma non con atteggiamento serioso. Infatti proprio la morsa nella quale lo scrupolo delimita la mente e le emozioni strangola il flusso dell’originalità, del naturale e del ricettivo che sono richiesti per simili attività. Mi piace pensare che la sapienza, ogni volta e dovunque la incontriamo, susciti un riso come quello di Alan e che nel cuore del cosmo alberghi un riso profondo. Quando infine me ne andai, sentii che mi era stato dato il miglior avvio che potessi immaginare: provai la sensazione che quello era il mio destino personale e che la ricerca avrebbe impegnato tutta la mia vita adulta, anche se allora non lo sapevo con certezza. Poche settimane più tardi tornai in Inghilterra e iniziai appassionatamente la mia ricerca di una tradizione occidentale che potesse essere analoga a quella delle prospettive orientali. Il «Libro anglosassone degli Incantesimi» Nella British Library si trova un libriccino di formule magiche, scritto in Inghilterra circa mille anni fa, ma che a giudizio degli storici riflette tradizioni orali risalenti a molti secoli prima. È un prontuario di rimedi magici e medici, di procedure di iniziazione, di incantesimi e di rituali a uso degli sciamani indigeni dell’antica Europa. Questo antico libro cambiò la mia vita [Il manoscritto è l’Harleian 585 della British Library]. Per scoprirlo mi ci vollero tre anni. Avevo cominciato la mia indagine alla ricerca di una via occidentale studiando i druidi. I druidi britannici contemporanei (famosi per le loro celebrazioni del solstizio d’estate a Stonehenge) hanno una impostazione spirituale che rispecchia una profonda reverenza per il paesaggio e per le sacre forze della natura. Essi guardano agli antichi druidi di duemila anni fa come a una fonte di ispirazione, anche se non rivendicano una discendenza diretta da loro. Poiché il mio scopo era di trovare un sentiero che provenisse dall’antica tradizione occidentale, cominciai a documentarmi sulle credenze e sulle pratiche druidiche originali, ma rimasi frustrato dalla scarsità del materiale. Volevo trovare una via occidentale con un fondamento di autenticità storica più consistente. Il cammino druidico contemporaneo è ricco di intuizione, ma non era quello che stavo cercando [Una trattazione critica della nostra conoscenza delle antiche pratiche druidiche si trova in Hutton, Pagan Religions, specialmente nel capitolo 5; N.K. Chadwick, The Druids, University of Wales Press, Cardiff 1966; S. Piggott, The Druids, Thames and Hudson, London 1968; un testo di tutto rispetto che esamina le fonti classiche ed è tuttora citato dagli studiosi è T.D. Kendrick, The Druids, London 1927]. Studiai allora l’alchimia, una tradizione che fa pensare ad antichi e segreti laboratori in cui personaggi eccentrici riscaldavano e distillavano sostanze nel crogioli nel vano tentativo di trasformare il vile metallo in oro. Questa è ovviamente un’immagine caricaturale, perché le pratiche alchemiche comprendevano meditazioni sofisticate concernenti la trasformazione interna ed esterna. Queste pratiche mi insegnarono a essere sensibile al mutamento interiore, a osservare il funzionamento della psiche in reazione all’immaginario archetipico e a usare oggetti e interazioni esterne come metafore dell’attività interna. Sono tuttora affascinato dall’alchimia, ma come sistema dottrinario l’alchimia era soprattutto una disciplina privata e interiore [C.G. Jung, Alchemical Studies, vol. 13 of Collected Works, Pantheon Books, Bollingen Series, XX, New York 1967]. Dopo qualche tempo mi resi conto che cercavo piuttosto una via collettiva, un sentiero che potesse includere certe conoscenze esoteriche, ma che fosse stato e potesse tornare a essere più largamente accessibile. Passai quindi allo studio della stregoneria o Wicca. Questo è un filone sapienziale molto ricco. Ebbi la fortuna di studiare con alcune donne straordinarie che mi diedero insegnamenti che sarebbero stati importanti per la mia successiva comprensione del Wyrd. Ma anche se ero persuaso della profondità spirituale dell’arte Wicca, non potevo approfondirla basandomi soltanto sul documenti medievali della caccia alle streghe, quando alle donne si chiedeva, spesso sotto tortura, di confessare atti definiti diabolici dalla Chiesa. Proseguii perciò le mie letture risalendo il corso della storia, cercando le origini di credenze che venivano deformate nei processi di stregoneria; così facendo, mi accorsi che i volumi si riferivano a materiale sempre più antico espresso in linguaggi sempre più arcaici [Il testo che propose in origine la tesi di una tradizione storicamente ininterrotta e spiritualmente valida della stregoneria è M. Murray, The Witch Cult in Western Europe, Oxford University Press, 1921; vedi K. Thomas, Religion and the Decline of Magic, Blackwells, London 1971 per un’analisi di questo materiale più in sintonia con la moderna ricerca storica]. Infine trovai ciò che andavo cercando, anche se non ero sicuro della forma in cui sarebbe apparso. Mentre approfondivo le radici storiche del Wicca, mi imbattei in un rimando all’esistenza di un oscuro documento che in sostanza è il manuale di guarigione o «libro degli incantesimi» di un guaritore o sciamano indigeno della cultura tribale anglosassone dell’antica Inghilterra prima della diffusione del cristianesimo. Le fonti storiche che consultavo descrivevano il libro come una raccolta di «formule magiche»: rimedi magici, riti e incantesimi che, a giudizio degli storici, furono trascritti dai Cristiani nel decimo o undicesimo secolo, anche se è probabile che il materiale fosse stato trasmesso oralmente per parecchie centinaia di anni in epoca precristiana. Mi riferisco a questo testo come al Libro anglosassone degli Incantesimi, o semplicemente al Libro degli Incantesimi. Gli amanuensi: «Incantesimi segreti» Sparsi nel paesaggio boscoso dell’antica Europa vi erano monasteri nei quali vivevano i missionari cristiani. Il loro compito era convertire al cristianesimo i nativi. Molti ecclesiastici condannavano apertamente le credenze e le consuetudini indigene e decisero di sradicarle. Tuttavia, nonostante i pubblici proclami degli uomini di Chiesa, anche quella vicenda non può essere ridotta a una schematica antitesi di bianco e nero come si potrebbe credere a prima vista. Anche se il cristianesimo «ufficiale» aveva la missione di convertire le tribù indigene dell’Europa occidentale, i singoli monaci non erano cloni riprodotti da una macchina evangelica; alcuni di loro capivano e rispettavano i modi di vivere delle popolazioni indigene. Questa è almeno una interpretazione dei motivi che spiegano la trascrizione monastica nel Libro anglosassone degli Incantesimi delle formule magiche dei guaritori indigeni, gli sciamani che praticavano la via del Wyrd. Il Libro anglosassone degli Incantesimi fu scritto tra il 900 e il 1000 d.C., sicuramente in un monastero; forse, a parere di molti storici dell’Inghilterra anglosassone, da amanuensi o da neofiti piuttosto che da veri e propri monaci. Infatti, sebbene le voci sui medicamenti, relative alla preparazione delle piante, ai riti e alle formule di incantesimo, siano di solito «cristianizzate» - a esempio sostituendo ai nomi delle divinità pagane quelli dei santi cristiani -, tuttavia il materiale è fortemente precristiano e parte di esso e così impastato con riti di iniziazione al misticismo Wyrd che è straordinario sia stato raccolto. Secondo gli storici il materiale è troppo eterodosso per essere stato trascritto da monaci [Lo sfondo storico in cui va collocato questo documento è discusso in G. Storms, Anglo-Saxon Magic, Martinus Nijhoff, The Hague 1948; J.H.G. Grattan e C. Singer, Anglo-Saxon Magic and Medicine, Wellcome Historical Medical Museum, Oxford University Press, 1952; F. Grendon, «The Anglo-Saxon Charms», Journal of Arnerican Folk-Lore, XXII, 1909; W Bonser, The Medical Background of Anglo-Saxon England, Wellcome Historical Medical Library, London 1963; N.F. Barley, «Anglo-Saxon Magico-Medicine», Journal of the Anthropological Society of Oxford, 3, 1972, pp. 67-77]. Ovviamente è un’ottima cosa che il materiale sia stato registrato, perché i monasteri erano uno dei pochi ambienti in cui si praticava la scrittura; le culture indigene dell’Europa nordoccidentale erano basate sulla trasmissione orale del sapere e senza i documenti stesi dai cristiani (comprese le loro condanne!) avremmo assai meno informazioni sulle tradizioni native di quelle che possediamo. Di solito, per quanto riguarda la medicina, nei monasteri ci si limitava alla stesura di copie dei testi medici classici e il linguaggio impiegato era il latino, la lingua internazionale della Chiesa. Ma il Libro degli Incantesimi fu scritto in anglosassone, nella lingua orale delle tribù locali. Non sappiamo con precisione perché fu scritto. Forse le formule magiche di guarigione furono raccolte interrogando un «informatore» indigeno, un guaritore nativo che ne era a conoscenza, nell’eventualità che potessero rivelarsi davvero efficaci! I monaci non mancavano di praticare la medicina (soprattutto per uso interno al convento, anche se talvolta mettevano la propria competenza medica a disposizione degli abitanti del posto, come fanno i missionari ancor oggi) e forse desideravano acquisire il sapere medico delle popolazioni indigene. Un’altra possibilità è che agli amanuensi fosse stato chiesto di registrare le formule magiche come esercizio di scrittura nella lingua anglosassone, anche se questo sembra improbabile, perché per fare pratica scrittoria potevano disporre di molti altri argomenti meno scabrosi. È molto più probabile che il Libro degli Incantesimi fosse stato steso, in base alla propria esperienza diretta, da un amanuense che era stato spedito in viaggio nelle terre pagane per raccogliere informazioni sulle pratiche di guarigione degli indigeni; tale servizio di «spionaggio» avrebbe fornito ai monaci informazioni utili per contrastare i guaritori nativi e sostituire al loro sapere la propria dottrina medica. Da questo punto di vista il Libro degli Incantesimi sarebbe stato la documentazione di una «inchiesta» redatta per fini politici. Il manoscritto Il Libro degli Incantesimi è un piccolo manoscritto di fogli di pergamena spessi con il bordo diritto, tracciato da uno strumento affilato sul lato sinistro di ogni pagina. I rimedi magici e medici sono scritti in testo continuo, anche se con diverse grafie, e ciò indica che il testo è stato trascritto da più di una persona. Per indicare il punto dove comincia la trattazione di un nuovo argomento medico o magico è stata disegnata nel margine la figurina di una mano con un dito puntato verso la prima riga del nuovo testo, mentre a segnare la fine troviamo il disegnino di un piede. Vedere queste piccole annotazioni marginali, che facevano uso di mani e piedi per delimitare i paragrafi, mi fece ridere e provai una viva simpatia e un forte legame con la persona che le aveva disegnate. Può darsi che nell’intenzione dell’artista quei segni non fossero spiritosi e divertenti, ma semplici indicazioni degli stacchi tra i paragrafi. Tuttavia le immagini erano così poco formali e accattivanti in contrasto con la precisa calligrafia del testo anglosassone, che mi fecero pensare intensamente al fatto che il Libro degli Incantesimi fosse un documento vivo, compilato dai nostri antenati.. La lettura delle diverse voci è affascinante; più avanti ne esporrò alcune dettagliatamente, ma in sostanza ognuna di esse comprende una descrizione dei sintomi di una malattia, una medicina vegetale ricavata da un’erba o da una pianta e un’indicazione rituale di come e quando applicare i medicamenti, per esempio sull’«acqua corrente» o con «la luna piena». Talvolta sono trascritti incantesimi da recitare cantando durante l’applicazione della medicina. Anche se la maggior parte delle voci si riferisce a medicamenti e cure a base di erbe, ho scoperto anche rituali, direttive e testi per l’iniziazione e l’istruzione sciamanica. Il manoscritto mi consentì di accedere alla visione del mondo del popolo dell’antica Europa. Fonti di conoscenza Il materiale originale è di fondamentale importanza per ricostruire la via del Wyrd, ossia la visione del mondo che sta dietro il manoscritto; purtroppo esso si trova sparpagliato in manoscritti talora oscuri, in libri, riviste e musei di ogni indirizzo accademico. Uno dei miei compiti principali nel corso degli anni è stato di raccogliere e integrare queste informazioni, un lavoro simile alla tessitura di un arazzo. Ho consultato fonti in aree disciplinari tra loro diverse come la storia della medicina, la storia sociale anglosassone, celtica e germanica, le saghe islandesi, la mitologia comparata, gli studi di folclore, l’archeologia, l’antropologia e, ovviamente, la psicologia. Anche se mi ritengo esperto soltanto di quest’ultima disciplina, ho cercato di assimilare i risultati degli studiosi più importanti. di tutte le altre discipline mentre elaboravo il mio programma di ricerca. Al termine del libro, in bibliografia, ho indicato fonti generalmente accessibili, in modo che i lettori che desiderino svolgere le proprie autonome indagini possano esplorare aspetti particolari del Wyrd, ossia della sapienza di Avalon. Vi sono indizi che in Europa occidentale mille anni fa, gli sciamani, che oggi consideriamo figure ispirate di mistici e di guaritori presenti nelle società tradizionali, offrissero i loro servigi ai nostri antenati tribali mettendosi in comunicazione con un mondo al di là della vita quotidiana, un «Oltremondo» considerato sacro. Impiegando tecniche per alterare i propri stati di coscienza, questi sciamani del Wyrd erano capaci di «vedere» al di là del normale senso della vista, di viaggiare nel mondo degli spiriti, di comunicare con esso e di riferire al resto della comunità tribale racconti e intuizioni di guarigione che formavano gli elementi della sapienza di Avalon [Talvolta è stato messo in dubbio dagli storici che vi fossero sciamani nell’antica Europa; lo studioso di linguistica anglosassone Stephen Glosecki ha fugato tali dubbi nel suo ampio e ben documentato studio dedicato a questo tema: Shamanism and Old Englisì Poetry. Il ruolo degli sciamani nella pratica del Wyrd verrà chiarito in tutto il nostro libro. «Sciamano» è oggi il termine generale, largamente usato e accettato, per designare i conoscitori dell’arte della guarigione e del sacro nelle società tribali. Si tratta di persone che si riteneva fossero particolarmente dotate nel mediare fra il mondo degli spiriti e il mondo quotidiano e che da svegli percepivano mediante una sorta di coscienza sognante, letteralmente «sognando a occhi aperti)) (cf Tucker, Dreaming with Open Eyes). H.R.E. Davidson, in Pagan Scandinavia, Praeger, New York 1967, p. 23, scrivendo sugli sciamani nel contesto della Scandinavia antica, afferma che «lo sciamano... poteva far uscire il suo spirito in trance per scoprire ciò che era nascosto, poteva guarire il malato, entrare nella terra dei Morti e tornare dagli uomini, per combattere le potenze del male e placare l’ira degli spiriti. Dovunque una delle caratteristiche predominanti dello sciamano è il suo intimo rapporto con il mondo animale, sottolineato nel costume indossato, nel rito e nella credenza che gli spiriti animali lo aiutino o lo ostacolino nei suoi sforzi». Materiali originali di carattere generale sul ruolo e le attività degli sciamani nell’Europa antica e nella Scandinavia si possono trovare a esempio in Glosecki, Shamanism and Old English Poetry; P. Buchholz, «Shamanism - the Testimony of Old Icelandic Literary Tradition», Medieval Scandinavia, 4, 1971, pp. 7-20, M.A. Arent, «The Heroic Pattern: Old Germanic Helmets, Beowulf, and Grettis saga», in E.C. Polome (ed.), Old Norse Literature and Mythology, University of Texas Press, Austin 1969, pp. 130-99; C. Edsman, Studies in Shamanism: A Symposium, Almqvist and Wiksell, Stockholm 1967, pp. 120-65, H.E. Davidson, Gods and Mvths of Northern Europe, Penguin, Harmondsworth 1964, pp. 141-9; M. Eliade, Shamanism: Archaic Techniques of Ecstasy, Routledge, London 1964, pp. 379-87; V. Salmon, «The Wanderer and the Seafarer and the Old English Conception of the Souh», Modern Language Review, 55, 1960, pp. 1-10, N.K. Chadwick, Poetry and Prophecy, Cambridge University Press 1952]. La via del Wyrd Dopo i primi dieci anni di ricerca sui costumi dei nostri antenati, pubblicai un libro, La via del Wyrd [B.C. Bates, The Way of the Wyrd, Century Publishing, London 1983 (trad. it., La via del Wyrd, Rizzoli, Milano 1997)] che descriveva il processo di iniziazione ai segreti mistici e sciamanici degli adepti del Wyrd. Ho costruito quel libro in forma di romanzo documentario (con bibliografia), cercando di rievocare l’atmosfera e il sapore di quel modo di essere. Il libro attirò l’interesse di centinaia di migliaia di lettori in Europa e in America e fu tradotto in tedesco, in francese e in italiano. Questo altissimo livello di interesse mi ha indotto ora, dopo altri dieci anni di ricerca, a scrivere questo libro, stavolta in forma di saggio, nel quale analizzo aspetti più ampi del Wyrd, rispecchiando la mole di documentazione che da allora ho raccolto. Inoltre, dopo la pubblicazione de La via del Wyrd, ho cercato di introdurre le intuizioni sapienziali del Wyrd, che stavo ricostruendo, non solo nella mia vita personale, ma anche nella vita di molte altre persone, dei singoli clienti che si rivolgevano a me per la psicoterapia e di coloro con cui sono entrato in contatto attraverso conferenze e corsi in università o in altri istituti e nei molti seminari e gruppi di lavoro che ho avuto l’opportunità di dirigere in tutto il mondo; soprattutto in questi gruppi di lavoro ho cercato di introdurre gli allievi agli insegnamenti del Wyrd in base a esperienze più immediate. Nel libro, accanto alla mia ricostruzione dell’antica tradizione del Wyrd, ho incluso esempi di quei tentativi di riportare in vita gli insegnamenti del Wyrd per il nostro beneficio pratico nella vita di oggi. Insomma, cosa accadde al Wyrd? Cosa ne fu del Wyrd? La risposta è: venne soffocato dalla religione ufficiale. Il cristianesimo antico, In quanto religione evangelica sostenuta da un potere politico che aveva il suo centro a Roma, provocò la scomparsa del Wyrd. Le tradizioni sacre dei popoli indigeni nostri antenati andarono perdute così come si stanno perdendo quelle delle tribù che oggi sono in via di estinzione in tutto il mondo. Anche questo sembra un altro esempio dell’antica maledizione che ci affligge: l’incapacità degli uomini a entrare in rapporto con la sfera del sacro al di fuori della tirannia politica. La via del Wyrd