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La santa violenza PDF

144 Pages·2019·0.935 MB·Italian
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Attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace; afferrando lo scudo della fede col quale si possono spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno, prendendo l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio (Ef 6,14-17) A esplorare l’intreccio incandescente fra religione e violenza ci conduce in queste pagine una guida d’eccezione. Ecco le guerre di Dio, la violenza che reca il marchio sacrale: presente in molti luoghi dell’Antico Testamento, dal conflitto fra tribù alla guerra santa, quasi scompare nei Vangeli, alla luce del dirompente messaggio di Cristo. Poi è la volta del fondamentalismo, "la lettera che uccide", un fenomeno che oggi riguarda soprattutto l’islam, ma che si inscrive anche nella tradizione ebraico-cristiana. Infine, tocchiamo il tema, vivo e lacerante ai nostri giorni, del rapporto con lo straniero: un incontro che può generare esclusione e rigetto, come emerge in vari passi biblici nazionalistici o etnocentrici, ma che può diventare anche dialogo, aprendosi all’universalismo della salvezza e all’uguaglianza di tutti gli esseri umani. Gianfranco Ravasi è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. Esperto biblista ed ebraista, collabora con vari giornali, tra cui "L’Osservatore Romano" e "Il Sole 24 Ore". La sua opera conta più di centocinquanta volumi. Tra i libri più recenti ricordiamo, per Mondadori, "Le Beatitudini. Il più grande discorso all’umanità di ogni tempo" (2016) e "Breviario dei nostri giorni" (2018); per il Mulino ha già pubblicato "Non desiderare la donna e la roba d’altri" (con A. Tagliapietra, 2010). Gianfranco Ravasi La santa violenza Copyright © by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati. Per altre informazioni si veda http://www.mulino.it/ebook Edizione a stampa 2019 ISBN 9788815285133 Edizione e-book 2019, realizzata dal Mulino - Bologna ISBN 9788815354006 Introduzione La violenza non è forza, ma debolezza, né mai può essere creatrice di cosa alcuna ma soltanto distruggitrice. (B. Croce, La storia come pensiero e come azione) Sembra una ripresa cinematografica; è, invece, la descrizione di un poeta ebreo, il profeta Nahum, che nel 612 a.C. sta “sceneggiando” quasi in presa diretta la caduta di Ninive, la detestata capitale della superpotenza orientale, l’Assiria, sotto l’irruzione congiunta di Ciassare, re dei Medi, e di Nabopolassar, re della dinastia neobabilonese. Ecco la scena affidata a una sequenza impressionistica di azioni militari, costruita sulla secchezza di un elenco: Sibilo di frusta, fracasso di ruote, scalpitìo di cavalli, cigolìo di carri, cavalieri incalzanti, lampeggiare di spade, scintillare di lance, feriti in quantità, cumuli di morti, cadaveri senza fine, s’inciampa nei cadaveri[1]. Pagine insanguinate Le pagine dell’Antico Testamento sono spesso striate dal sangue delle battaglie e si affacciano su rovine e devastazioni causate da eventi bellici. Una lingua lessicalmente povera come l’ebraico classico (5.750 vocaboli in tutto) si mostra sorprendentemente ricca quando deve designare la violenza. Tanto per esemplificare, ecco la radice ḥms «fare violenza» (donde ḥamas «violenza»), o šdd «devastare, reprimere», ḥrm «sterminare» (donde ḥerem, la strage sacra), hrg «uccidere», rṣh «assassinare», ‘nh «violentare, opprimere», hrs «distruggere», lḥm «combattere» (donde milḥamah «guerra»), nqm «vendicare», mḥṣ «abbattere, fracassare», šḥt «mandare in rovina» e altri ancora. Un orizzonte cupo, segnato da conquiste e lotte, che per altro sembrano essere il basso continuo della storia umana, come pessimisticamente dichiarava Eraclito nel suo frammento 53: «La guerra (pólemos) è madre di tutte le cose e di tutte la regina (basiléus). Gli uni rende dèi, gli altri uomini; gli uni fa schiavi, gli altri liberi». Anche il Nuovo Testamento, che pure inalbera il vessillo dell’amore ed eredita l’aspirazione messianica biblica allo shalôm «pace», non ignora questa realtà aspra che costella le strade della vita dei popoli. Lo stesso Gesù, ad esempio, ricorrerà a un modello di strategia militare applicandolo all’esistenza cristiana da vivere con intelligenza e sapienza: «Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda un’ambasceria per chiedere pace»[2]. La scelta radicale per il Regno di Dio, vero Leitmotiv della predicazione di Cristo, sarà da lui espressa con una dichiarazione paradossale, anche se evidentemente metaforica per indicare la natura “esplosiva” del suo messaggio: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada»[3]. La simbologia militare entra anche in altre pagine delle Scritture cristiane. È celebre la definizione della parola di Dio proposta da quella grandiosa omelia neotestamentaria che è la Lettera agli Ebrei: «La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore»[4]. Non per nulla il solenne ritratto di Cristo offerto dall’Apocalisse ha questo lineamento emblematico: «Dalla sua bocca usciva una spada affilata, a doppio taglio»[5], un simbolo per esaltare l’efficacia della sua parola che giudica il male, lo condanna e lo vince. È indubbio che, sia a livello biblico sia nella storia della cristianità, questo intreccio tra guerra e religione è paradossalmente forte. Per stare alla Bibbia, basti solo pensare alle stragi sante – il cosiddetto ḥerem o «sterminio sacro» – che accompagnano la conquista della Terra promessa da parte del popolo ebraico, oppure alle centinaia di testi violenti presenti nelle Scritture e alla stessa simbologia bellica usata per rappresentare il «Dio degli eserciti» (che, però, era originariamente un rimando all’armata astrale del Creatore, anche se poi applicata alle battaglie di Israele col palladio dell’Arca santa). Sarà appunto questo il nucleo centrale del libro. Il discorso si potrebbe allargare anche alla storia della cristianità ove, però, accanto alle guerre di religione, si configurerà un rapporto più complesso, variegato e sfumato col tema militare. Interessante è, ad esempio, la distinzione che Tertulliano, scrittore cristiano del II secolo, introduce nel suo De idolatria tra il bellare in guerra, visto criticamente, e il militare in tempo di pace come servizio necessario di tutela. Ecco, allora, da un lato, i santi soldati martiri (si pensi a san Sebastiano), o la visione della vita cristiana come lotta contro il male e l’errore, la celebrazione retorica della spada e della croce intrecciate tra loro, per giungere alle Crociate: significativo, al riguardo, è il Liber ad Milites Templi di san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153). Egli era convinto che, se è in campo la causa di Cristo, il ricorso alla guerra è persino meritorio. Ecco alcune sue parole nell’opera De laude novae militiae: Certo, non si dovrebbero uccidere gli infedeli se ci fosse un altro modo per impedire la loro eccessiva molestia e l’oppressione dei fedeli. Ma nella situazione attuale è meglio che essi vengano uccisi piuttosto che lasciare la verga dei peccatori sospesa sulla sorte dei giusti, così da evitare che i giusti spingano le loro azioni fino all’iniquità cioè al tradimento della loro fede con l’apostasia (III, 4). D’altro lato, però, ecco invece la posizione critica dei Padri della Chiesa africana del III secolo come Cipriano o Lattanzio e il citato Tertulliano, oppure l’emergere dell’obiezione di coscienza, come appare nella Passio della recluta Massimiliano, cioè la testimonianza processuale del suo martirio. Il procuratore Dione lo interroga: «Non vedi quanto sei giovane? Devi fare il soldato. Che devono fare i giovani se non arruolarsi nell’esercito?». Massimiliano replica così: «Io faccio il soldato per il mio Signore. Non posso fare il soldato per il mondo […] Io sono cristiano e non posso fare del male». Ora, come tentare una sintesi, sia pure molto approssimativa, tra posizioni così divergenti? Pagine finali luminose Il percorso che seguiremo prescinde, però, dalla secolare vicenda dell’umanità e della stessa cristianità e si ferma solo alla sorgente, cioè alla Bibbia. Ci sono alcuni elementi di natura ermeneutica che dovremo costantemente ribadire nel corso della trattazione specifica che faremo nei vari capitoli e che proponiamo ora in sintesi. Innanzitutto è da sottolineare la qualità storica della Rivelazione ebraico-cristiana, che nella Bibbia si presenta non come un’astratta serie di tesi teologiche speculative ma appunto come una concreta «storia di salvezza». All’interno degli eventi umani, spesso segnati dal peccato, dall’ingiustizia, dalla violenza, dal male, passa la presenza e l’opera di Dio che progressivamente e pazientemente cerca di condurre l’umanità verso un livello più puro, giusto e pacifico di vita. Il vertice è proprio – tenendo conto dell’unità «canonica» (cioè nell’unico Canone cristiano) dei due Testamenti – nella proclamazione: «Beati gli operatori di pace»[6], formulata secondo lo spirito della citata «pace» messianica anticotestamentaria. La stessa tradizione giudaica successiva con rabbì Meir di Gher dichiarerà che «Dio non ha creato nulla di più bello della pace». In questa luce, proprio perché – secondo la prospettiva teologica appena indicata – la parola di Dio si esprime in parole umane storiche, è necessario escludere ogni forma di fondamentalismo letteralistico che assuma il testo in modo cieco, senza ricorrere a una corretta interpretazione per coglierne il senso genuino, al di là del velo delle espressioni letterali. Inoltre, non possiamo – considerato il perimetro della nostra ricerca – entrare nel merito di una serie di corollari applicativi. Infatti, come attesta una lunga serie di ricerche teologiche e filosofiche condotte in varie epoche, si annodano attorno al tema molte altre questioni di non facile soluzione, tenendo conto delle varie componenti che spesso confliggono tra loro e che costituiscono oggetto di dibattito e di dialettica. Pensiamo, ad esempio, alla legittima difesa, alla tutela del debole, alla protezione della propria identità culturale e religiosa contro l’oppressione, alla ribellione contro un regime dittatoriale e liberticida, alle recenti operazioni di «peacekeeping» e così via. Il magistero papale nel secolo scorso, e oggi con papa Francesco, attraverso un ampio spettro di documenti e interventi e un impegno pastorale concreto delle varie Chiese, ha segnato un’evidente evoluzione affrontando la complessità della geopolitica attuale, molto differente dalle coordinate storiche dei testi sacri. Riguardo a essi, non si deve, poi, ignorare la demitizzazione che la stessa Bibbia opera nei confronti della realtà e del simbolismo militare. Già l’Antico Testamento introduceva un ritratto del Messia non più con un taglio da condottiero ma da re pacifico che procede sulla cavalcatura civile e non marziale, l’asino, in luogo del cavallo: Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme!

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