LA PARTICELLA ALLA FINE DELL’UNIVERSO LA CACCIA AL BOSONE DI HIGGS E LE NUOVE FRONTIERE DELLA FISICA SEAN CARROLL Traduzione di Roberto Di Capua Sean Carroll La particella alla fine dell’universo La caccia al bosone di Higgs e le nuove frontiere della fisica Titolo originale Particle at the End of the Universe How the Hunt for the Higgs Boson Leads Us to the Edge of a New World Copyright © 2012 by Sean Carroll All rights reserved Progetto grafico: Limiteazero + Cristina Chiappini Impaginazione: Maria Beatrice Zampieri Coordinamento produttivo: Enrico Casadei Stampa e legatura: Puntoweb s.r.l. Stabilimento di Ariccia (Roma), 2013 © 2013 Codice edizioni, Torino ISBN 978-88-7578-462-1 Tutti i diritti sono riservati codiceedizioni.it facebook.com/codiceedizioni twitter.com/codiceedizioni pinterest.com/codiceedizioni A mia madre, che mi ha portato in biblioteca La gente sottovaluta l’effetto di una nuova realtà. Joe Incandela, portavoce dell’esperimento CMS al Large Hadron Collider La particella alla fine dell’universo Prologo JoAnne Hewett si sente le gambe molli e fa grandi sorrisi mentre parla con entusiasmo alla videocamera. Tra le persone riunite al consolato svizzero di San Francisco si diffonde un brusio d’eccitazione. Si tratta di un evento straordinario, organizzato per celebrare il lancio del primo protone nel tunnel sotterraneo del Large Hadron Collider (LHC) alla periferia di Ginevra, un enorme acceleratore di particelle situato al confine franco-svizzero, che inizia così la sua ricerca per svelare i segreti dell’universo. Lo champagne scorre a fiumi, e non c’è da meravigliarsene. La voce di Hewett afferma enfaticamente: «Ho aspettato questo giorno per venticinque anni… ven-ti-cin-que!». È un momento importante. In questo giorno del 2008, i fisici hanno finalmente realizzato quello che ritenevano essenziale per il successivo grande passo avanti: un acceleratore gigantesco che farà collidere protoni ad altissima energia. Per un certo tempo si è ritenuto che questa macchina sarebbe stata costruita negli Stati Uniti, ma le cose non sono andate secondo le previsioni. Hewett era appena all’inizio del suo dottorato quando, nel 1983, il Congresso degli Stati Uniti approvò la costruzione dell’SSC (Superconducting Super Collider, supercollisore superconduttivo) in Texas. Concepito per essere attivo prima del 2000, sarebbe stato il più grande collisore mai costruito. Lei, come tanti altri tra i fisici più brillanti e ambiziosi della sua generazione, riteneva che le scoperte effettuate con questo apparato sarebbero state alla base della sua carriera di ricercatrice. Invece l’SSC fu cancellato, facendo mancare il terreno sotto i piedi ai fisici convinti che per decenni sarebbe stata questa macchina a dare forma al loro settore di ricerca. Politica, burocrazia e rivalità interne ne avevano intralciato il cammino. Adesso l’LHC, per molti aspetti simile a quello che doveva essere l’SSC, è finalmente in procinto di attivarsi per la prima volta, e Hewett e i suoi colleghi sono più che pronti per l’evento. «Quello che ho fatto negli ultimi venticinque anni è stato considerare ogni nuova pazza teoria partorita da chicchessia, e stimare la “firma” [il modo in cui identifichiamo nuove particelle] che avrebbe lasciato all’SSC o all’LHC» racconta. C’è un’altra motivazione più personale per l’euforia di Hewett. Nella ripresa video, i suoi capelli rossi appaiono molto corti, quasi a spazzola. Non si tratta di una scelta dettata dalla moda. Nel corso dell’anno le era stato diagnosticato un cancro invasivo al seno, con una possibilità su cinque che fosse allo stadio terminale. Lei aveva optato per un protocollo di trattamento estremamente aggressivo, che comprendeva pesanti chemioterapie e un’infinita serie di interventi chirurgici. I suoi caratteristici capelli rossi, che in precedenza le arrivavano alla vita, erano spariti quasi subito. In quel periodo, ammette Hewett con un sorriso, per tirarsi su di morale fantasticava sulle nuove particelle che sarebbero state trovate all’LHC. JoAnne e io ci conosciamo da anni, come amici e colleghi. Il mio settore di competenza è la cosmologia, lo studio dell’universo nella sua interezza, che è recentemente entrato in un’età dell’oro grazie a nuovi dati e scoperte sorprendenti. La fisica delle particelle, che come disciplina accademica è diventata inseparabile dalla cosmologia, era tuttavia affamata di nuovi risultati sperimentali che potessero stravolgere il quadro teorico e guidarci verso nuove intuizioni. La pressione è andata accumulandosi per lungo tempo. A un altro fisico intervenuto al ricevimento, Gordon Watts, dell’università di Washington, fu chiesto se la lunga attesa dell’LHC fosse stata stressante. «Oh sì, assolutamente. Io adesso ho qui una ciocca di capelli grigi. Mia moglie dice che è a causa di nostro figlio, ma in realtà è dovuta all’LHC». La fisica delle particelle si trova alle soglie di una nuova era, nella quale alcune teorie potrebbero crollare mentre altre, forse, si riveleranno azzeccate. Ogni fisico presente al ricevimento ha i suoi modelli preferiti – bosoni di Higgs, supersimmetria, technicolor, dimensioni extra, materia oscura – una girandola di idee esotiche con implicazioni bizzarre. «La mia speranza su ciò che l’LHC troverà è “nessuno dei precedenti”» dichiara Hewett con entusiasmo. «Sono davvero convinta che ci sarà qualche sorpresa, perché ritengo che la natura sia più intelligente di noi, e che abbia ancora parecchie sorprese in serbo, e ci divertiremo un sacco cercando di mettere insieme i pezzi. E sarà straordinario!». Questo accadeva nel 2008. Nel 2012, il ricevimento per celebrare l’inaugurazione dell’LHC è alle spalle, e l’era delle scoperte è ufficialmente iniziata. I capelli di Hewett sono ricresciuti. I trattamenti sono stati strazianti ma sembra che abbiano funzionato, e l’esperimento che lei ha aspettato per tutta la carriera sta facendo la storia. Dopo due decenni e mezzo di sforzi teorici, le sue idee sono finalmente sottoposte al vaglio dei dati sperimentali: particelle e interazioni mai osservate prima da esseri umani, sorprese che la natura ha tenuto celate. Fino ad ora. Facciamo ancora un salto: è il 4 luglio 2012, il giorno di apertura della Conferenza internazionale della fisica delle alte energie. Si tratta di un meeting a cadenza biennale, che ogni volta si tiene in una diversa città del mondo, e che nell’anno appena trascorso era in programma a Melbourne, in Australia. Centinaia di fisici delle particelle, Hewett inclusa, hanno riempito l’auditorium principale per assistere a un seminario speciale. Tutti gli investimenti per l’LHC, tutte le aspettative cresciute nel corso degli anni, stanno per essere ripagate. La presentazione viene trasmessa a Melbourne dal CERN, il laboratorio di Ginevra che ospita l’LHC. Ci sono due interventi, che normalmente sarebbero stati presentati a Melbourne come parte del programma della conferenza. Alla fine, però, quelli che contano hanno deciso che un evento di questa portata doveva essere condiviso con le tante persone che avevano contribuito a rendere l’LHC un successo. Una decisione graditissima: centinaia di fisici al CERN sono rimasti in fila per ore prima dell’inizio degli interventi, previsto per le nove del mattino, ora di Ginevra, campeggiando all’esterno in sacchi a pelo nella speranza di procurarsi un buon posto a sedere. Rolf Heuer, direttore generale del CERN, fa gli onori di casa. Ci saranno interventi da parte del fisico americano Joe Incandela e del fisico italiano Fabiola Gianotti, i portavoce dei due principali esperimenti basati sulla raccolta e sull’analisi dei dati dell’LHC. Entrambi gli esperimenti contano più di tremila collaboratori ciascuno, la maggior parte dei quali sono incollati agli schermi di computer sparsi in giro per il globo. L’evento viene trasmesso in diretta via internet, non solo a Melbourne ma a chiunque voglia avere i risultati in tempo reale. È un mezzo appropriato per questa celebrazione della grande scienza moderna, uno sforzo high-tech internazionale fatto di grandi investimenti e riconoscimenti esaltanti. Sia nell’intervento di Gianotti sia in quello di Incandela è evidente un pizzico di tensione, ma le presentazioni parlano da sole. Entrambi rivolgono sentiti ringraziamenti ai tanti ingegneri e scienziati che hanno contribuito a rendere possibili gli esperimenti. Poi spiegano in dettaglio perché tutti debbano credere ai risultati che si accingono a presentare, dimostrando che conoscono bene i loro strumenti e che l’analisi dei dati è stata accurata e affidabile. Solo dopo aver allestito la scena alla perfezione mostrano quello che hanno trovato. Ed eccoci qui. Una manciata di grafici che a un occhio inesperto non direbbero nulla, ma con una caratteristica ricorrente: più eventi (rilevazioni di particelle originate in una singola collisione) di quanto atteso a una certa particolare energia. Tutti i fisici in ascolto capiscono immediatamente che cosa questo significhi: una nuova particella. L’LHC ha gettato uno sguardo su una