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La nascita dell’eroe. Achille, Odisseo, Enea: le origini della cultura occidentale PDF

160 Pages·2008·3.25 MB·Italian
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Preview La nascita dell’eroe. Achille, Odisseo, Enea: le origini della cultura occidentale

Nella cultura occidentale, Omero e Virgilio hanno costituito le basi imprescindibili dell’educazione dell’individuo e dell’uomo di cultura. In particolare, nel loro universo di valori campeggia l’immagine idealizzata dell’eroe: diverso da tutti gli altri, capace di suscitare ammirazione e sgomento, identificazione e distanza, emulazione e terrore. Questo saggio studia i processi espressivi attraverso i quali i capolavori dell’epica, Iliade, Odissea ed Eneide, hanno elaborato differenti e complessi modelli di eroe: l’affermazione assoluta dell’io in Achille, l’intelligenza strategica e la capacit. di imporsi in campo nemico in Odisseo, fino all’“umanissimo” Enea, lacerato dalle contraddizioni di una società moderna. Una magistrale lezione di letteratura, un affascinante percorso alle origini del nostro immaginario collettivo. Guido Paduano, docente di Filologia classica e di Letterature comparate presso l’Università di Pisa, è uno dei massimi esperti di teatro e drammaturgia antichi. Tra i suoi saggi ricordiamo Il nostro Euripide, l’umano (1986), Lunga storia di Edipo re: Freud, Sofocle e il teatro occidentale (1994) e Il teatro antico (2005). Ha tradotto diversi autori, tra i quali Omero, Menandro e Ovidio. Per BUR, in particolare, ha curato quasi tutto Aristofane e Plauto, Apollonio Rodio (Le Argonautiche), Euripide (Ippolito e Il Ciclope) e Seneca (Agamennone ed Edipo). BUR Biblioteca Universale Rizzoli Guido Paduano La nascita dell’eroe Achille, Odisseo, Enea: le origini della cultura occidentale Proprietà letteraria riservata © 2008 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-586-5299-2 Prima edizione digitale 2013 da edizione BUR Saggi gennaio 2008 In copertina: Statua di Ercole, Museo Archeologico Nazionale, Napoli © Chuck Pefley / Alamy Progetto grafico di Mucca Design Per conoscere il mondo BUR visita il sito www.bur.eu Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. LA NASCITA DELL’EROE in ricordo di Alessandro Perutelli, fraterno amico e profondo conoscitore dell'epica antica Un solo grande testo e tre modelli Cinquant’anni fa, quando iniziavo a frequentare la scuola secondaria, la lettura integrale, o quasi, di Iliade, Odissea ed Eneide stava al centro della formazione per tre anni consecutivi, gli ultimi due della media inferiore e il primo della superiore, per cedere poi il luogo, nella quinta ginnasiale, ai Promessi Sposi, e nelle tre classi del liceo alle cantiche di Dante. Assieme e prima dei capolavori della letteratura italiana, Omero e Virgilio facevano dunque da asse portante a una cultura letteraria che a sua volta stava al centro dell’educazione dei giovani – educazione intellettuale, ma anche morale e civile. Entrambi i privilegi non fanno più parte della nostra attualità, ma i presupposti di quel regime scolastico ci riguardano ancora, e secondo il mio parere restano la via maestra per accostarsi a una lettura non più obbligatoria. Il primo di questi presupposti è quello che considera i poemi epici antichi quali immagini esemplari del vivere umano e della sua autenticità. Possiamo richiamare la definizione aristotelica della mimesi poetica in quanto essa imita prattontas, “persone in azione” (Poet. 1448 a 1), ma dando ad “azione” un senso che sulla fattualità esterna privilegia la dinamica dell’interiorità, per cui le vicende umane vengono raccontate come il prodotto di un processo psichico interno a uno o più soggetti, concepiti in modo coerente e sistematico nelle loro manifestazioni e nelle loro reciproche relazioni. È da questo processo che la trama testuale (il mythos, per citare ancora la terminologia di Aristotele) trae l’impronta di un significato globale, e dunque unitario. Va però aggiunto che nei tre poemi antichi, come in moltissime opere della cultura moderna, il significato si rapporta in qualche modo, e in modi variabili, al pensiero religioso, a un ordine o un disegno che sovrasta gli uomini. L’unità del racconto, correlandosi all’autocoscienza individuale del fruitore, determina in lui quello che è l’atteggiamento istituzionale dell’esperienza letteraria, l’identificazione emotiva. Attraverso di essa avviene l’immedesimazione nella vicenda, il suo appropriamento condiviso. Non mi nascondo certo che la concezione che ho esposto in modo così sommario è attaccabile da almeno tre punti. La prima obiezione riguarda il fatto che l’immagine unitaria della persona, di estrazione classica e rinascimentale, è stata ampiamente messa in discussione dalla psicologia, e anche dall’epistemologia moderna: e tuttavia è un’obiezione confutata avant lettre da Aristotele quando sostiene che la poesia è più filosofica della storia (1451 b 5-6). Intende dire che la realtà, con cui la storia viene identificata in modo piuttosto sommario, può certo essere incoerente e caotica, ma la poesia ha per fine il fine più alto e prezioso della ragione umana, la ricerca delle cause. In altri termini, più che un’imitazione, essa andrebbe definita una modellizzazione dell’agire umano, un tentativo di conferire agli eventi un ordine e un senso che non necessariamente possiedono. Complementare a questa confutazione è la scoperta, di ascendenza freudiana e post-freudiana, che le cosiddette irrazionalità della psiche, le sue contraddizioni e alienazioni, costituiscono a loro volta un sistema, dotato addirittura di una propria logica: ed è stato dimostrato che con essa il linguaggio poetico, con l’arbitrarietà delle sue figure e delle sue fulminanti identità, intrattiene un rapporto di stretta parentela – che peraltro a me non pare incompatibile col razionalismo aristotelico, non più di quanto siano tra loro incompatibili la natura corpuscolare e la natura ondulatoria della luce. Chi crede alla verità di queste risposte alla prima obiezione, è con tutta evidenza inattaccabile dalla seconda, che pure è assai diffusa, per non dire di moda: quella per cui, qualunque cosa sia la realtà, la letteratura non ha nulla a che fare con essa, perché costituisce un universo autoreferenziale, un poderoso edificio di citazioni intrecciate, dove non esistono che immagini riflesse e rifratte. La terza obiezione ha carattere specifico nei confronti dei due poemi omerici. In effetti è paradossale e ironica la circostanza che i primi personaggi che abbiamo conosciuto e amato nella nostra adolescenza non ci provenivano affatto – secondo una vulgata che in quegli stessi anni cominciava a diffondersi, anche nei nostri testi scolastici, sotto forme di appendici sulla “questione omerica” – da un discorso unitario, ma da una combinatoria di antichi canti improvvisati e indipendenti l’uno dall’altro, variamente assemblati e stratificati, ampliabili o moltiplicabili a discrezione (della critica). Questi canti sarebbero derivati dalla voce anonima o collettiva di una presunta anima popolare, cui importava non la strategia e la dinamica di un racconto, ma il deposito di credenze e valori nella dimensione statica di un’enciclopedia orale: icona espressiva di questa fissità dovrebbe essere il linguaggio formulare, tendenza a ripetere più volte le stesse cose con le stesse parole. Come le ho collocate l’una accanto all’altra, la seconda e la terza obiezione rivelano comunanze che la distanza degli ambiti culturali ha l’effetto di esaltare: la morte dell’autore perpetrata da Roland Barthes è stata anticipata non da una, ma da molte generazioni di ellenisti; il concetto di comunità interpretativa elaborato dallo studioso americano Fish è quanto di più vicino all’enciclopedia orale sia rintracciabile fuori dall’omeristica. Il che ispira l’ottimismo dell’a fortiori: se Barthes e Fish hanno torto perfino a proposito di Omero… Fuor di scherzo, credo si possa ritenere con una certa tranquillità che la questione omerica è ormai alle nostre spalle, dopo essersi rivelata la più gigantesca prova di resistenza a cui siano mai stati sottoposti testi letterari, che ne hanno però visto confermata – oggi con qualche rischio di estremizzazione, come sempre accade nei movimenti culturali che obbediscono a un pendolo – l’organicità che Aristotele non aveva dubbi nell’affermare (1451 a 22-30), ma senza riscuotere su questo punto la consueta autorevolezza. Si deve anche ricordare che il dibattito sull’oralità, di indubbia e cospicua portata storiografica, è però sfalsato rispetto alla nostra tematica, giacché non abbiamo ragione di affermare che la produzione culturale sia determinata dal mezzo di tramissione e non sia piuttosto questo ad adeguarsi alle sue esigenze, tanto più che conosciamo le risorse della mnemotecnica abbastanza per non escludere che un grande e organico poema le possa venire affidato. Certo non le conosciamo più per esperienza diretta: nel nostro tempo non so i poeti ma certo gli studiosi contano solo sulla memoria dei computer e non più sulla propria, e gli esiti ermeneutici non mancano di risultare deprimenti. Il personaggio, dunque. Ma non basta dire, come prima dicevo, “uno o più soggetti”. I tre poemi, infatti, sono organizzati secondo una selezione gerarchica indiscussa per Odissea ed Eneide, a torto discussa per l’Iliade (ne riparleremo), che individua un personaggio centrale, dal quale promana un fascino preponderante, e in funzione di esso si disegna l’equilibrio delle funzioni narrative e il sistema delle relazioni. Ecco dunque la figura dell’eroe, ammirato e idealizzato perché possiede le virtù o le qualità apprezzate dal gruppo sociale cui appartiene; ma le possiede a un livello tale che la superiorità quantitativa si trasforma in una soglia qualitativa, una diversità. Tra lui e la pluralità degli altri, la diversità istituisce conflitti che possono occupare tutti i possibili livelli di profondità e violenza: neppure il più lieve permette l’omologazione, neppure il più duro esce dal quadro di un codice condiviso, ma si situa come opposizione fra un uso eccessivo, o meglio forse, eccessivamente coerente dei valori, e un uso ammorbidito dalla considerazione dell’opportunità e del profitto, e reciprocamente limitato nella convivenza quotidiana. L’eroe tende a rappresentare un punto fermo nei confronti della

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