LUDUSP HILOLOGIAE a cura di Cesare Questa e Renato Raffaelli 16 CESAREQ UESTA LA METRICA DI PLAUTO E DI TERENZIO (Quattro\mti) ISBN 978-88-392-0794-4 Volume pubblicato con il contributo PRJN dd M.I.U.R. Copyright © 2007 Edizioni QuattroVenti Sri, Urbino. www.edizioniquattroventi.it e-mail: [email protected] Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo, ri servati per tutti i paesi. a Nino Dazzi, ancora, con amicizia più che cinquantenaria anguilla est: elabitur PLAUT. Ps. 747 in studying these niceties of early Latin speech one must remember the virtue 'aliqua nescire' and talee the facts as he finds them, without trying to give reasons of everything. W. M. LINDSAY PRESENTAZIONE Questo libro ha origini un po' remote. Giusto cinquant'anni fa il mio maestro Ettore Paratore inaugurava alla 'Sapienza' quei suoi eccezionali cor si plautini - Curculio e Pseudolus - destinati a rifondare ab imis gli studi dedicati in Italia al poeta di Sarsina. All'inizio dd 1957 a me, laureato da quattro mesi su tema tacitiano, Paratore volle affidare un corso di esercita zioni di metrica plautina, in particolare sul Curculioo ggetto delle sue lezio ni. Paratore non aveva molto interesse per la metrica: altra era la sua forma zione, altri i suoi più veri interessi, altri i suoi gusti. Sapeva però Paratore che la metrica doveva essere studiata bene (qui agiva per certo la colleganza con Perrotta) e soprattutto sapeva dare in modo direi unico il senso della grande ricerca, della ricerca ad ampio raggio incentrata su grandi problemi e grandi autori, quegli autori che insegnano ai giovani a respirare 'alto'. E cosi, dopo avermi incitato a studiare Plauto in generale, mi gettò addosso le esercitazioni. Risposi: «ma io di metrica plautina non so niente!». Repli cò: «Lei la impara ... ». Evitò di usare un baronale congiuntivo imperativo («la impari!»), diatesi verbale molto in uso nell'università di allora (ma il Paratore privato, 'causeur' affascinante, era ben diverso da quel che appari va in pubblico indossando una maschera 'tirannica' destinata a rassicurare soprattutto se stesso). E così cominciai il corso di esercitazioni, trovandomi di colpo, la mattina alle otto, davanti a più di cento persone (li occhi putti mi fissarono); l'anno dopo Paratore volle che le mie scansioni dello Pseudo lus figurassero con il mio nome in un'appendice delle sue dispense (li occhi putti mi fissarono più aguzzi). In seguito, profugo felice nella ben munita arx di Carlo Bo, ho potuto dar forma meno incondita a filze di schede non sempre bene ordinate. Un po' alla garibaldina ne sortì un libro - Introduzio ne alla metrica di Plauto - che ebbe successo. 'Colma una lacuna', si disse; più esatto sarebbe stato dire monoculusi n te"a caecorum.M a dagli anni '70 in poi non ho mai abbandonato l'idea di ampliarlo ed emendarlo da oscuri- XII Presentazione tà, inesattezze e anche sviste: alcune vergognose, altre né più né meno che buffe. Di qui il non dimenticato Seminario metrico del 1976 (vi parteciparo no molti giovani, più d'uno dei quali ora siede su onorata cattedra); i cicli di lezioni che hanno riempito più anni accademici, in particolare quelli 1983/84 e 1984/85, le cui recol/ectaea me così utili si devono all'alacre e svettante Domenico 'Mimmo' Arduini; l'edizione dei canticae , meglio, i Se minari biennali di alta filologia plautina, idea ferace di buona messe del mio Renato Raffaelli; e altre imprese forti, come il Centro Internazionale di Stu di Plautini che cura la pubblicazione delle commedie. Non tanto erede quanto dawero sostitutivo del vecchio manuale, questo è un libro nuovo, scritto con la calma della vecchiaia e quindi immeritevole di assoluzioni in ciò che vi si scoprirà di inaccettabile. In primo luogo, direi, il mutato punto di vista circa la co"eptio iambica:i n molti casi (lo vedrà il lettore) l'abbreviamento reale della lunga mi pare oggi impossibile. Dal son no dogmatico mi svegliò il ricco contributo di Maurizio Bettini, centro di un convegno del 1988 (Metrica classicae linguistica)a nch'esso organizzato in vista (allora remota) di questo volume: se la pars destruens mi sembrò (e mi sembra) inoppugnabile, non altrettanto mi parve (e mi pare) la proposta avanzata nella pars construens.L a ripresa della discussione è auspicabile. Piuttosto credo di poter rivendicare a mio merito la mai intermessa at tenzione allo stato del testo. I versi di Plauto e di Terenzio sono sempre citati con occhio attento non solo e non tanto agli apparati, quanto ai ma noscritti direttamente controllati: in particolare Terenzio ha offerto problemi difficili stante l'assenza di edizioni dawero affidabili. Se questo libro può avere un merito è d'essere anche, se non in primo luogo, un adminiculum per l'editore critico: questo i poeti fanno, questo no, quest'altro possono fare ... Donde il mio interesse per la storia dell'agnizione delle grandi norme metriche, un tema che mi ha sedotto portandomi a un dialogo con le grandi ombre - da Bentley a Jachmann, da Leo a Ritschl a Hermann a Lindsay - che è stato immensa lezione di metodo e di umiltà. Teorie e ipotesi (salvo che per la co"eptio iambica)l e ho tenute lontano più che potevo, in particolare quelle della metrica 'storica' (certe implicite, ma quanto esplicite. .., ritrattazioni di Fraenkel 'vecchio' mi hanno ben am monito). Il mio interesse è andato tutto al funzionamento, alla struttura in terna della versificazione di Plauto e di Terenzio. Il confronto con la metrica del teatro attico serve a uno scopo euristico: esso fa apparire luce clariusl a differenza tra due sistemi, tra due insiemi di codici tra sé incommensurabili: è quel che, a suo modo, aveva fatto il grande Wtlhelm Meyer. Mio intento è stato, per farla breve, indagare i modi in cui si esplica, nella produzione let teraria di una grande civiltà teatrale, un'affascinante rete di segni metrici.