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La marca friulana, una entità PDF

310 Pages·2010·12.44 MB·Italian
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Dottorato di ricerca in Storia sociale europea dal medioevo all'età contemporanea, 20° ciclo (A. A. 2004/2005 – A.A. 2009/2010) L'EVOLUZIONE DEI POTERI DI TIPO PUBBLICO NELLA MARCA FRIULANA DAL PERIODO CAROLINGIO ALLA NASCITA DELLA SIGNORIA PATRIARCALE SETTORE SCIENTIFICO-DISCIPLINARE DI AFFERENZA: Storia medievale Tesi di dottorato di LUIGI ZANIN, matricola 955086 Coordinatore del dottorato Tutore del dottorando prof. Mario Infelise prof.ssa Anna Maria Rapetti L'EVOLUZIONE DEI POTERI DI TIPO PUBBLICO NELLA MARCA FRIULANA DAL PERIODO CAROLINGIO ALLA NASCITA DELLA SIGNORIA PATRIARCALE Premessa PARTE I PREMESSA (ART. 47 D.P.R. 445 DEL 28/12/2000 E RELATIVE MODIFICHE) DICHIARO 6) DEL FATTO CHE LA COPIA DELLA TESI IN FORMATO ELETTRONICO DEPOSITATO NELL’ARCHIVIO ISTITUZIONALE AD ACCESSO APERTO È DEL TUTTO CORRISPONDENTE ALLA TESI IN FORMATO CARTACEO, CONTROFIRMATA DAL TUTOR, CONSEGNATA PRESSO LA SEGRETERIA DIDATTICA DEL DIPARTIMENTO DI RIFERIMENTO DEL CORSO DI DOTTORATO AI FINI DEL DEPOSITO PRESSO L’ARCHIVIO DI ATENEO, E CHE DI 7) DEL FATTO CHE LA COPIA CONSEGNATA IN FORMATO CARTACEO, CONTROFIRMATA DAL TUTOR, DEPOSITATA NELL’ARCHIVIO DI ATENEO, È L’UNICA ALLA QUALE FARÀ RIFERIMENTO L’UNIVERSITÀ PER RILASCIARE, A RICHIESTA, LA DICHIARAZIONE DI CONFORMITÀ DI EVENTUALI COPIE; VENEZIA, 11 GENNAIO 2010 FIRMA________________________ ESTRATTO PER RIASSUNTO DELLA TESI DI DOTTORATO STUDENTE: LUIGI ZANIN, MATRICOLA: 955086 DOTTORATO: STORIA ECONOMICA E SOCIALE DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ CONTEMPORANEA CICLO: 20° TITOLO DELLA TESI: L’EVOLUZIONE DEI POTERI DI TIPO PUBBLICO NELLA MARCA FRIULANA DAL PERIODO CAROLINGIO ALLA NASCITA DELLA SIGNORIA PATRIARCALE . ABSTRACT THE EVOLUTION OF PUBLIC POWERS IN MARCA FRIULANA (MARCA OF FRIULI) FROM THE CAROLINGIAN AGE TO THE ORIGIN OF PATRIARCHALS’ TERRITORIAL SEIGNORY Conclusioni……………………………………………………………………………...…p. 276 Abbreviazioni, fonti e bibliografia…………………………………………………..…….p. 281 2 Premessa Scopo di questa indagine è studiare l’evoluzione e la trasformazione delle istituzioni pubbliche attive nel territorio friulano dalla fine del periodo carolingio agli inizi del XII secolo. Prima di noi questo tema è stato trattato in modo esteso, o comunque organico, essenzialmente da tre autori: Pio Paschini, attraverso una serie di studi poi confluiti nella sua Storia del Friuli1; Carlo Guido Mor, nell’ambito di diversi contributi di storia friulana altomedievale2; e ad ultimo Paolo Cammarosano nelle pagine della sua storia regionale del Friuli3. Il loro approccio ha privilegiato la ricostruzione degli eventi ed il racconto della metamorfosi delle istituzioni partendo da un punto di vista abbastanza logico, quello della formazione del potere patriarcale. In effetti, è indiscutibile che il ruolo della Chiesa di Aquileia sia centrale nei periodi affrontati. Esso emerge sin dal principio della conquista carolingia del Friuli, come si avrà modo di ricordare. Eppure, per quanto determinante, l’attenzione all’emergente potere ecclesiastico rischia - soprattutto nello studio del Paschini - di oscurare il processo evolutivo che caratterizza altri poteri minori che emergerono nel territorio friulano (considerato nell’accezione più ampia) soprattutto a partire dai secoli X e XI. Per questo si è inteso con questo lavoro ripercorrere la storia del Friuli altomedievale dedicando una maggiore attenzione ai soggetti laici ed ecclesiastici che all’ombra o in una esplicita dialettica con i Patriarchi hanno avuto un ruolo importante nella configurazione territoriale tra i secoli IX e XII. Seguire questi «poteri», siano essi gli officiali regi di periodo carolingio ed ottoniano nella prima parte del lavoro, o le famiglie che ai margini del patriarcato hanno iniziato a svilupparsi in senso autonomo tra i secoli XI e XII, permette a nostro avviso di prendere coscienza di una evoluzione delle istituzioni in un periodo lungo e complesso che va dalla fine dell’impero carolingio sino alla nascita del potere «regionale» dei patriarchi. 1 P. PASCHINI, Storia del Friuli, Udine 1934-36, 3 voll. (=ed. 2003 a c. di G. FORNASIR), (in part. vol. 1). 2 C.G. MOR, Dal ducato longobardo del Friuli alla Marca Franca, in «MSF», 42 (1956-57), pp. 29-41; ID., Aquileia e l’Occidente da Carlo Magno a Ottone II, in Aquileia e l’Occidente (AA, 19), Udine1981, pp. 293-308; ID., La derivazione del ceto feudale in Friuli, in I ceti dirigenti del Veneto durante il Medioevo, «Atti del convegno di studi, (Venezia, 14 Novembre 1981)», Venezia 1981, pp. 3-13; ID., Feudum, un termine polivalente in «Atti dell’Accademia di scienze, lettere e arti di Udine», 75 (1981), Udine 1982, pp. 1-48; ID, Il patriarcato de parte imperii, in Il Friuli dagli Ottoni agli Hohenstaufen, Atti del convegno internazionale di studio, Udine 4-8 dicembre 1983, (a c. di) G. FORNASIR, Udine 1984, p. 17 e ss. 3 P. CAMMAROSANO, L’alto medioevo, in Il Medioevo. Storia della società friulana (a c. di) F. DE VITT, D. DEGRASSI, Udine 1988; e P. CAMMAROSANO (a c. di), Il patriarcato di Aquileia. Uno stato nell’Europa medievale, Udine 1999. Per la produzione recente, su cui ci si soffermerà nel dettaglio, anche H. KRAHWINKLER, Friaul im Frühmittelalter, Wien 1992 (con interessi tuttavia incentrati maggiormente sull’epoca precedente a quella della nostra analisi). Per la prosopografica patriarcale resta valido il breve lavoro di H. SCHMIDINGER, Patriarch und Landesherr. Die weltliche Herrschaft der Patriarchen von Aquileja bis zum Ende der Staufer, Graz und Köln, 1954. 3 Gli studi anzidetti risalgono ad una lunga fase del secolo scorso in cui la storiografia friulana si è dimostrata sempre più attenta alle dinamiche di storia istituzionale. A partire dall’analisi del Paschini in avanti questi lavori hanno il grande merito di aver avviato la nuova stagione della lettura «aperta» dei vari problemi rispetto ai tradizionali confini fisici e culturali del Friuli «storico»4. Il tema dei confini, caro all’impostazione che aveva caratterizzato l’approccio di studiosi dei primi del Novecento quali Bindo Chiurlo e Pier Silverio Leicht5, inizia ad essere sempre più sfumato a favore di una collocazione del territorio di ricerca nel contesto di dinamiche e fenomeni più ampi e complessi, certamente trascendenti la regione. Ciononostante gli interessi di Paschini, Mor e Cammarosano si dirigono ancora esclusivamente verso la storia delle istituzioni (e del Patriarcato in particolare) con particolare attenzione al territorio che va da Cividale a Concordia. Ora, se è fuor di dubbio che, declinato in un contesto altomedievale, cioè dilatandone gli attuali confini amministrativi, culturali e linguistici (dalla Livenza al Timavo), il Friuli sia essenzialmente la regione che abbiamo descritto, questa ricerca ha voluto in primo luogo porre l’attenzione sulla parziale estraneità da essa dei processi che ne hanno governato - o comunque caratterizzato - l’evoluzione. Questo problema è stato messo in evidenza per la prima volta da Reinhard Härtel in un importante contributo sulla Storia di Treviso6. Con riferimento al XIII secolo, lo studioso stiriano ha infatti mostrato quanto fosse importante l’impatto del nascente comune trevigiano nello sviluppo della signoria patriarcale friulana. Da qui la volontà di estendere in modo più fluido il confine della marca sia ad est che ad ovest, investendo nell’ambito della ricerca ad esempio le famiglie comitali di Ceneda e Treviso che significativamente verso la fine del X secolo disponevano i propri patrimoni proprio nell’incerta area di confine friulano-trevigiana. Ritenevamo infatti - e di questo abbiamo trovato poi una parziale conferma nel corso della ricerca - che proprio lo studio delle connessioni tra centro e periferia potessero offrire nel caso friulano una ulteriore chiave di lettura dei fenomeni evolutivi. Questo approccio ci è sembrato inevitabile nel momento in cui abbiamo iniziato a leggere (il che è significato in parte rileggere) il percorso di trasformazione delle istituzioni pubbliche. A quel punto iniziava a porsi con maggiore insistenza la necessità di approfondire aspetti vecchi e nuovi, stabilendo parallelismi o discordanze con altri territori dell’Italia settentrionale e centrale oggetto di più recenti e dettagliate analisi. Qualcuno di questi temi, come quello «tradizionale» della struttura 4 Cioè del territorio che viene tradizionalmente compreso tra i fiumi Livenza ad ovest ed Isonzo ad est. 5 B. CHIURLO, La funzione storica del Friuli in Scutum Italiae, Udine 1921, ove prende corpo l’interpretazione del Friuli inteso come «regione cuscinetto» sorto per contrapporsi esclusivamente alle invasioni provenienti dall’est, quindi con scarsissime relazioni «internazionali». Si veda al riguardo anche il discorso tenuto da P. S. LEICHT, I confini della Venezia nella storia del diritto italiano, Modena 1916, dove già si prefigura il medesimo. 6 R. HÄRTEL, Il comune di Treviso e l’area patriarchia in Storia di Treviso (a c. di) E. BRUNETTA, Treviso 1991, pp. 219 e ss. 4 delle marche e dei comitati, o quello del potere politico e giurisdizionale degli officiali regi, ha necessariamente riproposto il ricorso alla più titolata stagione storiografica dell’Italia nel XX secolo, a cui però si è cercato di affiancare i risultati di ricerche più recenti in ambito europeo. Ne è nata una lettura parzialmente diversa, anche se non rivoluzionaria rispetto a quella che del Friuli hanno dato gli storici del secolo scorso. Certo alcune intuizioni, specie del Mor, si sono confermate in tutta la loro esattezza: si pensi ad esempio alle considerazioni sulla funzione strettamente militare dei marchesi del Friuli del IX secolo. Ma nonostante questo, dopo il periodo delle letture «sistematiche» delle circoscrizioni altomedievali7, dove uomini e territori sembrano ingessati negli schemi teorici del diritto, si trattava di capire meglio funzionamenti e soprattutto alcuni risvolti pratici lasciati ai margini di queste complesse ed articolate visioni. Dettagli, come si è detto, che grazie alla comparazione svolta soprattutto con altri studi di area Piemontese, Toscana e Ligure è possibile leggere attraverso nuove metodologie di ricerca rispetto a quella dominante storico istituzionale. Alcune questioni in sospeso, e partendo comunque da fonti poco generose, riguardavano ad esempio la possibilità di distinguere il ruolo «privato» e quello «pubblico» degli ufficiali regi tra il IX ed il X secolo. Questo ci ha portato ad esaminare un altro punto frequentemente trattato con ambiguità dagli studi precedenti, vale a dire la palese discrepanza tra «ruolo nominale» e «ruolo sostanziale» dei marchesi friulani nelle azioni di governo. Problemi dunque essenziali per comprendere quali fossero i limiti oggettivi dell’apparato pubblico carolingio nel governo della marca friulana tra i secoli VIII e IX. Tra questi problemi vi è però alla base quello dell’interpretazione stessa della marca, su cui molto si insisterà in questo lavoro. La percezione del «carico» giurisdizionale della marca sugli uomini sottomessi, secondo la visione degli storici del diritto, o al contrario la sua lettura in termini meno cogenti, di semplice definizione geografica e conseguentemente poco avvertita dalla popolazione, sono i due estremi entro cui è spesso molto difficile orientarsi. Come si vedrà in particolare nel cap. I, a partire dalla fine dell’VIII secolo la regione friulana diventa il cardine di una vastissima marca che prende il nome da Cividale (Forum Iulii), e che viene affidata a funzionari dell'entourage carolino. Le fonti letterarie descrivono questa entità territoriale come uno «strumento» essenzialmente militare, e pochissima è l’attenzione che si ricava sulle necessità connesse all’amministrazione della giustizia e agli altri obblighi di natura amministrativa. Mettere in luce questi aspetti significa quindi anche comprendere meglio il ruolo dell’impero sull’area di studio, comprendendone pure strategie ed orientamenti su cui la bibliografia generale appare nel complesso 7 Stagione di cui opere come l’Età feudale del Mor (cfr. C.G. MOR, L’età feudale (Storia politica d’Italia), Milano 1952- 3) e Der Staat der hohen Mittelalter di Heinrich Mitteis (tr. it. H. MITTEIS, Le strutture giuridiche e politiche dell’età feudale, Brescia 1962), sono due esempi rappresentativi. 5 insoddisfacente. Questo diverso approccio ha reso, tutto sommato, di minore interesse la discussione circa la natura della marca e del successivo comitato friulano secondo una categoria puramente istituzionale. La marca friulana in età carolingia sembra estendersi dal fiume Drava (in Slovenia) fino a tutto il Friuli e – nei periodi di massima influenza – all’intera regione veneta. Tuttavia la storiografia ottocentesca sembra aver recepito con una certa difficoltà la questione. Secondo storici come Federico Stefani e Carlo Dionisotti, che negli ultimi decenni dell’Ottocento si occuparono per altro con notevole concretezza e senso di realismo del problema, parlare di marca veronese o marca friulana negli anni che vanno dalla conquista carolingia dell’Italia nord orientale fino all’avvento degli Ottoni, significava essenzialmente parlare della stessa entità. Ma il pericoloso sincretismo affiora in tutta la sua carenza quando questa tesi, sempre implicita in entrambi gli autori, diviene nel Dionisotti enunciata attraverso l’elencazione della serie di marchesi della marca friulana e veronese, che risultano di fatto la maldestra associazione tra marchesi di Verona e quelli del Friuli8. La distinzione tra la marca del Friuli, di epoca carolingia, e quella Trevigiano-Veronese non viene mai operata con chiarezza nemmeno da chi più d’altri poteva ben vantarsi di aver intuito e schematizzato la complessità del quadro politico amministrativo italiano nell’altomedioevo. Carlo Guido Mor, infatti, pure esaustivo nelle varie sintesi di storia territoriale operate nella sua Età feudale, evita con una certa attenzione il problema della coesistenza tra marchesi del Friuli e i marchesi di Verona9. Uno dei motivi per cui risulta a volte difficile precisare il problema è la presenza per tutto il periodo carolingio, e poi in un secondo momento a partire da quello ottoniano, di figure comitali che sfuggono, per così dire, al tradizionale costrutto storiografico della subordinazione ai marchesi in un «ordinato e chiaro» quadro istituzionale. Così come altrove10, manca in particolare nei documenti quella chiara forma di subordinazione che lega i conti di Verona, Vicenza e Treviso ai marchesi del Friuli, una relazione che forse ci si è accaniti troppo a cercare più spinti da un retaggio storiografico che dalla pura considerazione delle fonti: la piramide feudale è insomma un costrutto ideologico più duro da superare di quel che si crede! 8 C. DIONISOTTI, Le famiglie celebri dell’Italia superiore, Torino 1887, p. 10 n. 1. Sembra che lo stesso Dionisotti avesse qualche dubbio al riguardo se si premura di avvertire il lettore d’aver ricevuto egli stesso la notizia da Carlo Cipolla, per altro storico e paleografo insigne (fu allievo del paleografo Andrea Gloria), all’epoca professore di storia moderna a Torino. 9 C.G. MOR, L’età feudale, cit. I, p. 23, dove il rinvio per gli approfondimenti sulla questione delle nuove marche si riferisce al X secolo (Ibid., II, pp. 37 e ss.) 10 E in particolare per rimanere nell’Italia settentrionale pensiamo al caso milanese, in A. RAPETTI, L’organizzazione distrettuale in Lombardia tra impero e città (IX-XII secolo) in Contado e città in dialogo. Comuni urbani e comunità rurali nella Lombardia medievale (a c. di) L. CHIAPPA MAURI, Milano 2003, a quello ligure-piemontese, cfr. R. RICCI, La marca della Liguria orientale e degli Obertenghi (945-1056). Una storia complessa e una storiografia problematica, Spoleto 2007, o alla marca di Torino nella fase pre ottoniana, su cui si sofferma G. SERGI, I confini del potere, Torino 1995. 6 Ci si propone dunque di indagare su questioni difficili da ricostruire per la penuria di fonti, ma il panorama è reso ancor più complesso dalla storiografia che le ha iscritte in categorie istituzionali . Si consideri, solo per fare ancora un esempio, quanto siano rari tra la fine dell’VIII e la prima metà del X secolo gli stessi riferimenti geografici ed istituzionali al termine marca e comitato nei documenti. Senza contare poi sul fatto che le stesse presenze dei conti e dei marchesi sono completamente disarticolate dal sistema istituzionale del territorio. Ne consegue che, al contrario di altri casi con cui ci proponiamo di stabilire in questo studio una comparazione11, nel territorio friulano lo stesso uso delle definizioni di marca e comitato appare privo di un significato tecnico. Per questo ci si è proposti in questa sede di ritornare su certi approcci al problema considerati eccessivamente seducenti nella loro astrazione e, come già rilevato, «perfetti» sotto il profilo dell’organizzazione istituzionale12. Essendo lo scopo principale di questo lavoro quello di seguire l’evoluzione istituzionale del territorio dall’VIII al XII secolo, verificando in particolare le trasformazioni dei poteri pubblici e la nascita di quelli locali, uno spazio non limitato è stato dedicato a quelle Chiese che nel territorio godevano di amplissimi diritti reali e di privilegi pubblici. Si tratta degli episcopati di Ceneda, Concordia, Belluno e dell’abbazia di Sesto: soggetti che soprattutto il Paschini relega ad un ruolo secondario rispetto a quello che stava assumendo negli stessi anni il patriarcato. Eppure anche in questo caso la possibilità di ampliare l’ambito territoriale dell’analisi, uscendo dal consueto contesto del «Friuli storico», ha permesso di verificare come non tutti gli episcopati fossero costretti a questa sorta di subalternità. Se l’analisi della documentazione giudiziale, per esempio, consente di stabilire una priorità del ruolo del patriarca nelle grandi riunioni dei vassalli imperiali e nei placiti, d’altro canto va messa meglio in evidenza l’azione politica del vescovo di Belluno, specie ai confini tra il Cadore e l’area friulana e nella pianura tra Piave e Livenza, dove proprio nel X secolo è documentato un processo di progressiva espansione in contrapposizione ai Venetici. Altro problema irrisolto era inoltre quello della supposta contrapposizione tra clero e ufficiali regi nella gestione della cosa pubblica. I numerosi diplomi di mundeburdio, o la concessione di diritti fiscali con 11 Il riferimento è a Milano, in cui nei documenti del X secolo la terminologia istituzionale viene adoperata nella documentazione anche con funzioni programmatorie, o semplicemente rievocata in tempi molto successivi per individuare un ambito territoriale omogeneo, cfr. RAPETTI, L’organizzazione distrettuale in Lombardia tra impero e città cit., p. 18. Più in generale, sulla situazione dei comitati tra i secoli IX e X, cfr. gli atti dei tre convegni dal titolo Formazione e strutture dei ceti dominanti nel medioevo: marchesi conti e visconti nel Regno italico (secoli IX-XII) , rispettivamente I, Pisa, 10-11 maggio 1983, Roma 1988 (Nuovi studi storici, 1); II, Pisa, 3-5 dicembre 1992, Roma 1996 (Nuovi studi storici, 39); III, Pisa, 18-20 marzo 1999, Roma 2003 (Nuovi studi storici, 56). Altri esempi di casi di studio che toccano lo stesso argomento sono V. FUMAGALLI, Un territorio piacentino nel secolo IX: i “fines Castellana”, in «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», 48, 1968, pp. 1-35 e G. ROSSETTI, Società e istituzioni nei secoli IX e X: Pisa, Volterra, Populonia, in Atti del V congresso internazionale di studi sull'Alto Medioevo (Lucca 3-7 ottobre 1971), Spoleto 1973, pp. 209-337. 12 Si confronti in questa prospettiva la voce Conte-Contea in Nuovissimo Digesto Italiano, Torino 1957, IV, passim. curata da Carlo Guido Mor. 7 destinatari patriarca e vescovi hanno contribuito a far sorgere l’idea che il potere degli ufficiali regi fosse di fatto trasferito a quello dei grandi dignitari ecclesiastici dopo un periodo di ambigua convivenza13. Ma anche in questo campo occorre distinguere con molta chiarezza la diversa natura del potere dei conti dell’VIII secolo da quelli di età ottoniana, e soprattutto cercare di «forzare» lo sguardo tra le poche fonti disponibili per verificare se sia o meno esistita una collaborazione tra potere laico ed ecclesiastico. Fino agli inizi del XI secolo, con due diplomi «paralleli» aventi come beneficiari il patriarca di Aquileia e il conte del Friuli, rimane infatti molto complesso definire se fossero esistite aree di competenza distinte tra i due poteri. Invece che insistere sulla scomparsa del conte, non sarebbe più utile mettere in luce alcuni elementi che consentono di intravedere i due ruoli in un organico disegno di potere? Una delle possibilità per leggere questo disegno è proprio la definizione delle rispettive «isole allodiali» del potere comitale, su cui qualche cosa in più rispetto al passato si è potuto dire, come è per il caso della corte regia di Naone. Rimaneva nonostante questo sostanzialmente ancora tutta da comporre la mappa dei poteri tra il X e l’XII secolo, quando i diritti patriarcali sul territorio si precisano sempre più. Come appare evidente, il tema della ricerca si orienterà quindi via via verso una dimensione territoriale. Rimane da una parte l’interesse per il modo in cui si sviluppano le strutture del publicum, per capire soprattutto se e come si adattassero agli stimoli esercitati dalla politica. Sempre in questa prospettiva, l’altro punto di arrivo sarà quello di individuare i più precoci segnali dei processi di formazione di nuove forme di potere «locale» accanto alla grande patrimonializzazione patriarcale. La comparsa dei «nuovi» conti tra la fine del X secolo e l’inizio del successivo, nell’ambito della riorganizzazione imperiale ottoniana, risponde al primo interrogativo. Si tratta di una risposta di governo destinata però ad evolversi in senso privatistico privando il regnum di strumenti e forme di controllo adeguate, con esiti ben diversi rispetto a quel che era avvenuto nel primo periodo carolingio. I processi di incastellamento/decastellamento sono invece una delle più rilevanti conseguenze della nascita dei poteri locali. L’esame dei casi di incastellamento più antichi (secoli IX-XI) in una regione in cui il fenomeno si è protratto per tutto il XV secolo, si propone di dare risposta ad alcune questioni che censimenti anche molto dettagliati negli anni Ottanta del secolo scorso non hanno saputo adeguatamente affrontare14. In questa prospettiva nell’ultima parte del lavoro ci proponiamo in particolare di comprendere se ci siano state delle fasi definite in cui si svilupparono i processi di fortificazione. Ma soprattutto vorremmo cercare di capire in che modo questi castelli nascessero come una reale risposta a sollecitazioni di difesa territoriale, o per la 13 Si cfr. in questa linea interpretativa in particolare alcuni passi della sintesi di G. C. MENIS, Breve storia del Friuli, Udine 1969, pp. 186-94. 14 Si veda in particolare la monumentale opera in 6 voll. di T. MIOTTI, I castelli del Friuli, Tavagnacco 1979-84. 8 gestione dei confini, o piuttosto fossero da mettere in relazione ai processi di popolamento, o infine si trattasse di autonome espressioni signorili. Comprendere poi l’importanza dell’elemento signorile nei più antichi processi di incastellamento significherà prendere in considerazione processi ancora poco conosciuti nella regione tra i secoli XI e XII. Con questa chiave di lettura si cercherà di ampliare a tutto lo scenario friulano i giudizi di Aldo Settia sull’incastellamento in Friuli del X secolo, concentrato essenzialmente sulla critica alla tradizionale interpretazione del nesso castelli/incursioni ungare15. Per questo si è cercato, soprattutto negli ultimi due capitoli di approfondire la «praticabilità» e le modalità di attuazione di alcuni percorsi di «insignorimento», prendendo in esame i processi di delega vescovile e la possibilità di diventare signori territoriali partendo dall’esercizio di una funzione importantissima come era quella dell’avvocazia vescovile. Ma l’identità di un dominus in quest’epoca non poteva prescindere dal possesso di ampi territori allodiali, in alcuni casi derivanti dalla gestione di poteri di trasmissione pubblica, e da quello di ingenti quantità di servi che operavano in diverse forme all’interno delle sue terre. A quest’ultima chiave interpretativa del processo signorile, anche in virtù della scarsa attenzione dedicata per il Friuli dalla recente storiografia, si dedicherà in particolare il capitolo conclusivo. 15 Cfr. A. A. SETTIA, Castelli e villaggi nell’Italia padana. Popolamento, potere e sicurezza tra il IX e XIII secolo, Napoli 1984, pp. 73-120, in cui a nostro avviso non vengono sufficientemente valorizzate le testimonianze che supportano l’importanza dell’incastellamento nei processi di espansione signorile. 9 Illustrazioni Le tavole prodotte in questo lavoro sono frutto di una elaborazione delle schede pubblicate da GG. C , Il Friuli, Trieste e l’Istria dalla preistoria alla caduta del Patriarcato di Aquileia. ORBANESE Grande atlante storico cronologico comparato, Bologna 1983. Ulteriori fonti sono indicate nella didascalia. 10

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ROCCA), «The Short Oxford History of Italy» (a c. di J. A. DAVIS), Oxford Oltre a questo, sembra in particolare al Degani altamente improbabile che Carlo 1260. Questa notizia ci consente quindi di collocare l'edificazione del .. suo et de' suoi successori di venir personalmente con la sua milit
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