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La lingua piemontese PDF

277 Pages·2009·3.646 MB·Italian
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Prefazione La nuova versione de “La lingua piemontese” del prof. Bruno Villata, è derivata dalla copia del 1997 della stessa opera, pubblicata a Montréal dalle edizioni Losna & Tron. L’obiettivo perseguito con questa nuova edizione è quello di rendere quest’opera più facilmente accessibile ai piemontesi che vivono in Piemonte, e non solo. Si tratta di un lavoro fondamentale per chi vuole acquisire una conoscenza non superficiale della lingua piemontese, per cui mi è parso estremamente importante met- terla a disposizione di tutti i piemontesi, in particolare di quelli che già la parlano. La prima sensazione che si ricava leggendo e studiando l’opera del prof. Villata è proprio questa: il piemonte- se è una lingua, con una sua precisa identità che la distingue dalle altre lingue che hanno nel latino la comune origine; il piemontese non è un dialetto, come amano pensare alcuni, anche tra quelli che abitualmente lo parlano. In realtà, leggendo il testo del prof. Villata qui presentato, si acquisisce proprio questa consapevolez- za: il piemontese ha tutte le caratteristiche di una lingua, completa nelle sue strutture grammaticali e sintatti- che. Da parte mia, è proprio leggendo e meditando sugli studi via via pubblicati dal prof. Villata, che ho maturato la convinzione che vi può essere un approccio scientifico allo studio della lingua piemontese; un approccio capace di evidenziarne le peculiarità che la caratterizzano e la differenziano rispetto alle altre lingue romanze. Avendo il piemontese come lingua madre, da sempre parlata e mai scritta, è sotto lo stimolo di quanto il prof. Villata veniva via via definendo, che sono giunto alla convinzione che l’esigenza di dare una forma scritta più razionale alla lingua piemontese poteva trovare una risposta nelle argomentazioni scientifiche del prof. Villa- ta, più che in asserite tradizioni, non sempre corrispondenti alla realtà. Anni di lavoro, sia pure secondario, dedicati alla predisposizione del primo correttore ortografico della lingua piemontese, mi hanno portato a ritenere che fosse necessario ripensare alcune regole dell’ortografia piemon- tese; non una rivoluzione, ma una evoluzione ragionata e coerente. L’obiettivo perseguito era ed è quello di razionalizzare e quindi semplificare la grafia, per renderla più funzionale nel dare forma scritta a quelle che sono le peculiarità fonologiche della lingua piemontese. Tenendo sempre le opere del prof. Villata come riferimento essenziale, in questi ultimi anni ho portato avanti il lavoro per giungere alla formalizzazione di quello che ho definito come “sistema di grafia standard”, inteso come insieme di regole ortografiche che, superati i condizionamenti derivanti dall’uso di un sistema alfabe- tico carente rispetto alle peculiarità della lingua piemontese, possono portare ad una semplificazione della forma scritta. Il punto di partenza per la revisione del sistema di ortografia è stata la constatazione, ma per me una scoper- ta, che il valore fonetico di una vocale, ma talvolta anche di una consonante, è variabile e dipende anche dalla sua posizione, nel contesto di una parola o di una frase; non solo, ma questa variabilità può avere sfumature anche molto marcate, nelle diverse aree linguistiche piemontesi. Ragionando su questi aspetti, mi si sono via via evidenziate quelle che sono le cause, da un lato dell’asserita difficoltà che si incontra nello scrivere la lingua piemontese, dall’altro della persistente disomogeneità delle forme, riscontrabili nei sempre più rari scritti in lingua piemontese. La causa in realtà è una sola, e si chiama fonetizzazione della grafia, cioè la pretesa di trasferire nella forma scritta tutte le sfumature che caratterizzano la fonologia della lingua piemontese, con ciò rendendo oggettivamente complicata la scrittura e ottenendo, nella migliore delle ipotesi, una forma scritta che è espressione di una particolare area linguistica; espressione nella quale altri, che pur sono e si dicono piemontesi, non si riconoscono. Tutto questo aggravato dal ricorso ad un alfabeto che, per il fatto di essere ricalcato su quello italiano, non era idoneo a rappresentare le peculia- rità fonologiche della lingua piemontese. Seguendo questi ragionamenti, mettendo a frutto gli strumenti di analisi fornitimi con i suoi studi dal prof. Villata, sono giunto alla definizione del sistema di grafia standard, caratterizzato da due elementi: • l’introduzione di due nuovi segni vocalici (ö, ü) per la notazione di due suoni peculiari della lingua piemontese che la differenziano nettamente dalla lingua italiana; • la defonetizzazione della grafia, privilegiando la continuità etimologica di ogni termine, rispetto alla variabilità della pronuncia. Purtroppo, a dimostrazione che i problemi di grafia non sono mai di facile soluzione, le conclusioni a cui sono arrivato con la definizione del sistema di grafia standard non sono totalmente coincidenti con le scelte fatte dal prof. Villata in anni recenti, per cui permane una differenza di opinione su un punto, uno solo, ma non marginale. Il sistema di grafia standard ammette la bivalenza fonetica della /o/, aperta o chiusa, a seconda che si trovi in posizione tonica o in posizione atona; questa bivalenza non è prevista nel sistema di grafia piemontese inter- nazionale, messo a punto dal prof. Villata. Stante questa situazione di non perfetto allineamento dei sistemi di grafia, desidero precisare quanto segue: • la presente edizione de “La lingua piemontese” riproduce esattamente il testo dell’edizione Losna & Tron del 1997, fatti salvi gli adattamenti conseguenti all’adozione del sistema di grafia standard; • i numerosi esempi in lingua piemontese contenuti nel testo, sono stati trascritti secondo le regole del si- stema di grafia standard come sopra definito; il tutto con il consenso del prof. Villata, pur in assenza della sua piena condivisione del sistema di grafia qui adottato; • per evidenti ragioni, l’ultimo capitolo della presente edizione, dedicato all’ortografia delle lingua pie- montese, è stato in larga misura riscritto, per adeguarlo al sistema di grafia qui utilizzato. Nell’esprimere il più vivo ringraziamento al prof. Villata per il consenso dato alla pubblicazione di questa sua importante opera, riaffermo la mia convinzione che una più diffusa e approfondita conoscenza degli studi da lui fatti sulla lingua piemontese costituisce un passaggio essenziale per la riaffermazione della nostra identità, di cui la lingua è una componente fondamentale. Enric Eandi Premessa Non sono pochi coloro che considerano le lingue regionali dei dialetti, perché le reputano parlate inferiori e senza identità, sia dal punto di vista fonologico e lessicale che da quello grammaticale e sintattico. Altri, soprattutto fuori d’Italia, pensano addirittura che queste lingue regionali, a loro note solo sotto il nome di dialetti, siano addirittura derivate dalla lingua ufficiale, cioè dall’italiano. Ci sembra persino che ben pochi siano coscienti del fatto che, pur derivando direttamente dal latino, queste lingue regionali hanno una loro identità, tanto dal punto di vista fonologico e grammaticale che da quello semantico e strutturale, perché sono espressione di culture e tradizioni del tutto particolari. Per quanto concerne il piemontese, noi ne abbiamo discusso a più riprese ed ora abbiamo deciso di riordina- re e completare gli interventi precedenti, strutturandoli in modo da farne una grammatica sul tipo di quella messa a punto per l’italiano. Tra le varietà di lingua piemontese, abbiamo scelto quella letteraria che si basa sul torinese. Oltre a descriverne le regole, cercheremo di metterne in evidenza le particolarità rispetto alle lingue romanze ufficiali, ma soprattutto rispetto al francese ed all’italiano. Il nostro lavoro vorrebbe dunque essere una descrizione di regole che si seguono parlando e scrivendo il pie- montese e, per questa ragione, speriamo che esso possa costituire un punto di riferimento sia per gli studiosi ed i filologi che si interessano alle lingue romanze che per i cultori della lingua piemontese. Essendo stato poco studiato e poco descritto, il piemontese potrebbe fornire elementi molto interessanti sia per quanto concerne la fonologia che la grammatica. Proprio per questa ragione, il presente volume potrebbe anche interessare quanti parlano e scrivono il piemontese. Infatti vi potrebbero trovare consigli per la scelta delle forme e delle strutture più schiette e più conformi alla tradizione linguistica e culturale pedemontana. In un’epoca in cui i parlanti delle lingue regionali sono bombardati dai modelli degli idiomi internazionali più forti, può essere utile avere un libretto che suggerisca la forma più appropriata e che ne spieghi anche il perché. Come abbiamo appena detto, la nostra vuol essere un’opera pratica e, proprio per questo motivo, non vi si fa menzione delle varie teorie linguistiche. Infatti, pur avendo la profondità derivante dalla competenza teorica e pratica che l’autore ha di varie lingue, nella maggior parte dei casi, questo manuale cerca di presentare le regole e le strutture piemontesi in forma semplice e schematica. Proprio per rendere la consultazione più agevole, abbiamo pensato bene di raggruppare i vari argomenti se- condo gli schemi della grammatica tradizionale. Nella parte che riguarda la sintassi abbiamo solo esaminato quella della proposizione e del periodo, mentre la sintassi dell’articolo, la sintassi del nome, …, sono presenta- te insieme con le parti grammaticali corrispondenti. Per quanto concerne la terminologia, abbiamo evitato di proposito l’uso di termini troppo tecnici che, forse, avrebbero potuto infastidire quanti sono meno usi ad un vocabolario troppo specializzato. Infine, per quanto concerne la grafia, pur se non tutti scrivono il piemontese allo stesso modo, la sua gram- matica è una sola. Proprio per questo ho accettato che “La lingua piemontese”, riferentesi al torinese ed edita nel 1997, sia ristampata con gli esempi notati secondo la grafia standard, molto vicina a quella internazionale che uso dall’inizio del 2000. Bruno Villata 1 - L’identità della lingua piemontese Il piemontese fa parte delle lingue romanze, cioè di quelle parlate che si sono sviluppate dal latino e, come si può rilevare nelle pagine che seguono, ha una sua identità ben distinta rispetto a tutte le altre lingue di questa famiglia. Infatti, comparando il piemontese con le altre lingue romanze, si trovano parecchie differenze so- stanziali, anche rispetto al francese e all’italiano, idiomi forti che da sempre esercitano pressione sul piemon- tese. Essendo il sistema di notazione delle lingue un insieme di regole convenzionali, non è detto che la grafia piemontese debba necessariamente essere identica a quella degli altri idiomi romanzi, anche se si tratta di lingue sorelle. Per esempio, tanto per limitarci al campo della fonologia, si vedrà subito che, avendo dei suoni sconosciuti alle altre lingue romanze, il piemontese presenta anche dei segni che non si trovano negli altri sistemi linguistici neolatini. Come le lingue, anche i metodi per notarle sono dei sistemi convenzionali, cioè ideati dall’uomo, per ren- dersene conto basterebbe pensare che non esiste un sistema unico per notare i vari suoni e poi, anche gli idiomi che hanno in comune uno stesso alfabeto, non usano sempre i medesimi segni per rappresentare gli stessi suoni. Anzi può capitare il contrario, cioè che un segno rappresenti suoni differenti. Per averne un esempio basta infatti pensare al fonema che il digramma ch sottende nelle varie lingue europee in cui si usa l’alfabeto latino. Infatti esso indica un suono palatale in spagnolo (“chiste, chispa ...”) e in inglese (“cheese, chop ...”) mentre in tedesco (“Kirche, machen ...”) corrisponde a un suono fricativo, in francese (“chinois, cha- peau ...”) a un suono sibilante, in italiano (“chiesa, che ...”) e in rumeno (“chifla, chifta, chestionar ...”), rappre- senta un suono velare, come capita appunto in piemontese (chiel, chila, chëché …). A tale variazione spaziale sincronica ne corrisponde un’altra temporale, diacronica, nel senso che non è raro che il sistema di trascrizione di una lingua abbia subito cambiamenti da un’epoca all’altra. Pure se leggere, queste variazioni si possono ritrovare in tutte le lingue ufficiali or ora nominate. Per averne degli esempi ben chiari, basterebbe solo paragonare le grafie accettate ai nostri giorni con quelle che erano le norme di due o tre secoli fa. In altri casi, come per esempio nelle grafie italiane del tipo “valigie/valige”, “provincie/province” oppure “annunciare/annunziare”, “pronunciare/pronunziare”, tali oscillazioni esistono ancora ai nostri giorni, benché i grammatici abbiano elaborato regole ben precise. Ora, se oscillazioni di questo genere si ritrovano nella grafia delle lingue ufficiali che conoscono una standar- dizzazione piuttosto elevata, rafforzata anche dal sistema scolastico, non dobbiamo stupirci di trovarne nelle lingue regionali, come nel nostro piemontese, che, oltre ad essere meno scritte, non possono vantare dei siste- mi grafici altamente standardizzati ed insegnati nella scuola dell’obbligo. Anzi, in genere, la scuola non ha mai preso in considerazione le parlate diverse da quella ufficiale, ma ha sempre combattuto ed osteggiato le lingue regionali, anche se queste, come il piemontese, vantavano una lunga tradizione letteraria ed una cultura di tutto rispetto. Va poi ricordato che, al pari delle altre lingue regionali, il piemontese è sempre stato una lingua parlata e poco scritta. E così per rappresentare i suoni del piemontese, quanti scrivevano, sono sempre stati attratti dai modelli delle lingue apprese a scuola. Nei primi tempi si trattava del latino, che era la lingua scritta per eccellenza, poi i modelli divennero soprattutto il francese e l’italiano, le lingue forti che da sempre hanno esercitato una pressione sul piemontese. Grosso modo, si può dire che il francese abbia esercitato una forte influenza sul piemontese fino al 1814, mentre, dal Risorgimento ai nostri giorni, è l’italiano che costituisce il polo d’attrazione più importante. Ciò malgrado, non bisogna pensare che il piemontese non abbia una sua identità ben precisa sotto tutti gli aspetti linguistici: dalla fonetica alla grammatica, dal lessico alla sintassi. E pensiamo che i vari capitoli di questo volume ne forniranno degli esempi probanti. Si dovrebbe poi anche tener conto che le varietà di piemontese sono diverse e diversi sono i modi di scri- verlo. E tale constatazione è valida anche se leggendo i vari scritti si può notare, senza alcuna difficoltà, quel fenomeno già segnalato dal primo autore di una grammatica piemontese, Maurizio Pipino, che, nel 1783, ave- va notato: “ch’ fin adèss ognun a l’à scrit a so caprissi” (Pipino: 1783, V). Per fortuna che ai nostri giorni questa libertà si limita a casi sempre più isolati e in questa sede ci permettiamo di suggerire soluzioni che potrebbero risolvere i pochi casi a cui non si sono estesi quei principi di analogia e di economia che stanno alla base dei sistemi grafici più efficaci. Per esempio, a volte ci sembra di vedere la pressione dei modelli italiani, tanto che non si mettono gli accenti là dove sarebbe necessario, mentre in altri casi si accentano vocali che non richiederebbero alcun segno se si estendessero, anche a questi lemmi, le regole che si applicano altrove. Questa osservazione concerne soprattutto i dittonghi. Nelle pagine che seguono riportiamo dunque le regole di ortografia che concordano nella maggior parte con quelle che si trovano allegate alle varie pubblicazioni in piemontese e che si possono dedurre dagli scritti di Pinin Pacot, insieme con Andrea Viglongo, fautore della riforma grafica piemontese. Per la parte riguardante l’accentazione dei dittonghi, ci permettiamo di aggiungervi qualche osservazione più precisa, in modo che si possa dedurre se è necessario notare l’accento, senza bisogno di far ricorso ai diziona- ri o agli autori più noti che, non bisogna dimenticarlo, a volte non concordano. Per completare queste regole, soprattutto dove cerchiamo di spiegare comportamenti che non sono presentati dalle grammatiche esistenti, ci regoliamo sempre sui principi di analogia e di economia, che stanno alla base dei sistemi grafici più logici. 2 - L’articolo 2.1 L’articolo determinativo 2.1.1 Funzione L’articolo determinativo ha la funzione di mettere in evidenza il nome che accompagna, distinguendolo dalla massa. Jer a l’ha catà la rachëta. La ca a l’ha dui pian. Oltre a questa funzione attualizzante d’un concetto, l’articolo determinativo piemontese può sostantivare qualsiasi altra parte del discorso. L’articolo determinativo si mette anche davanti a un nome per esprimere un concetto generale. A tuca ünì l’ütil a l’agreàbil. El dì e el fé a sun due cose bin diverse. La giüstissia a triunfrà. El fer a l’é franc ütil. Siccome parecchi nomi non presentano alcuna differenza tra la forma del singolare e quella del plurale, spes- so l’articolo determinativo piemontese costituisce anche il segno del plurale dei nomi che accompagna. L’amis, j’amis; el lìber, ij lìber; el sëber, ij sëber; el tle, ij tle. In altri casi l’articolo può servire non solo per distinguere il singolare dal plurale, ma pure il maschile dal femminile. El colega, la colega, ij colega; el pediatra, la pediatra, ij pediatra. 2.1.2 Origine Alcune lingue, come il latino e il russo, non hanno articolo determinativo. L’articolo determinativo delle lin- gue e dei dialetti romanzi deriva da un aggettivo dimostrativo latino, nella maggior parte dei casi “ille, illa, illud”, più raramente “ipse, ipsa, ipsud”. Le stadi, l’imens stadi; l’amisa, la cara amisa; el büt, l’assemblea, l’eroe. In origine questo dimostrativo serviva per indicare qualcosa di già nominato, un po’ come se dicessimo: I l’hai vist sto amis ... (“vidi illum amicum ...”). Tuttavia, con il passar del tempo, il dimostrativo perse il suo valore originale. Come dimostrativo si usò sempre più spesso “eccu ille, eccu illa, eccu iste, eccu ista” (da cui sono derivati cul, custì), mentre “ille, illa”, usati da soli, presero il valore di semplici articoli. In latino, “ille, illa” potevano prece- dere o seguire il nome. L’articolo precede il nome in tutte le lingue romanze, eccetto che in romeno. Come capitava all’aggettivo “ille, illa, illud” e come capita nelle altre lingue romanze, anche in piemontese l’articolo si accorda con il nome che accompagna. Dunque la sua forma cambia secondo il genere (maschile o femminile) e il numero (singolare o plurale) del nome che accompagna. Essendo atono, cioè senza accento, l’articolo si appoggia all’unità semantica che lo segue, costituendo con essa un segmento unico. L’articolo piemontese adatta la sua forma a quella della parola che lo segue immediata- mente. Per questa sua caratteristica di appoggiarsi sulla parola che lo segue, cioè di piegarsi in avanti, l’artico- lo è detto proclitico. 2.1.3 Forme dell’articolo Gli articoli determinativi piemontesi singolari e plurali, sono: • maschili: le/je, el/ij • femminili: la/je, la/le. In relazione al contesto, la vocale /e/ può essere sostituita da un apostrofo. 2.1.4 Maschile Le forme le (singolare), je (plurale) si usano davanti alle parole maschili che iniziano: • con s impura le stüdent, je stüdent; le scolé, je scolé; le stassi, je stassi; le slavass, je slavass. • con s seguita da un dittongo il cui primo elemento sia una vocale debole (i/u) e il secondo una vocale forte (a, e, o) le siulot, je siulot; le siatur, je siatur. • con un gruppo di consonanti, conseguenti alla caduta di una vocale muta le fnuj, je fnuj; le pnass, je pnass; le vlü, je vlü. • con una vocale l’oluc, j’oluc; l’amis, j’amis; l’erbu, j’erbu. Le forme el (singolare), ij (plurale) si usano davanti a tutte le altre parole maschili. el liber, ij liber; el quàder, ij quàder; el preive, ij preive; el tren, ij tren; el camiun, ij camiun; el film, ij film; el gnoc, ij gnoc; el frel, ij frej. 2.1.5 Femminile La (singolare), je (plurale) si usano davanti alle parole femminili che iniziano con una vocale; per ragioni eufoniche, la e viene sostituita dall’apostrofo. l’ura, j’ure; l’amisa, j’amise; l’istà, j’istà; l’üva, j’üve. La (singolare), le (plurale) si usano davanti alle parole femminili che iniziano per consonante. la storia, le storie; la stra, le stra; la fioca, le fioche; la jena, le jene. 2.1.6 Articoli e acronimi Le lingue moderne sono ricche di acronimi, cioè di parole formate dalle iniziali di varie altre unità lessicali. Quando le sigle formate da queste lettere sono pronunciabili, allora si considerano come nomi normali e quindi sono soggette alle regole appena citate. l’INPS, la FIAT, la CEE, l’UE. 2.1.7 Perchè l’articolo ha tante forme? L’articolo determinativo ha un indice di frequenza molto superiore a quello di qualsiasi altra unità lessicale piemontese e questo è facile da spiegare, se si pensa che di solito ogni nome è preceduto dall’articolo. Quello che può sorprendere quanti studiano lingue che non hanno articolo determinativo (come il russo e il latino) o che ne presentano una sola forma (come l’inglese), è la varietà degli articoli che caratterizza il piemontese. Se l’articolo piemontese presenta un numero di forme superiore a quello delle lingue sorelle, come il porto- ghese, lo spagnolo, il francese e pure il rumeno, dove tuttavia l’articolo segue il nome, ciò è dovuto a ragioni storiche e fonologiche. Questo fenomeno si spiega non solo osservando i cambiamenti subiti dal latino parlato nelle varie regioni dell’antico impero romano, ma anche con l’importanza che tale particella ha in piemontese, dove spesso serve come elemento diacritico per distinguere il singolare dal plurale o il maschile dal femminile. Gli esiti portoghesi, spagnoli e francesi delle parole latine che cominciano con s impura, come per esempio “scribere” (pt. “escrever”, sp. “escribir”, fr. “écrire”), dimostrano che i locutori dell’Iberia e della Gallia dove- vano aver introdotto una e prostetica, per facilitare la pronuncia delle parole che cominciavano con questo diagramma che doveva esser contrario alle loro usanze linguistiche. Nella penisola italiana la pronuncia di questi digrammi (sb-, sc-) iniziali, doveva invece essere più familiare, tant’è vero che le parole che iniziano con s impura si sono conservate anche in altre parlate regionali. Il piemontese potrebbe costituire la zona di con- fine tra queste due usanze. Infatti si mette una e davanti alle parole che iniziano con una s impura o con un gruppo di consonanti difficili da pronunciare, come per esempio la fn di fnuj o ml di mlun, tutte le volte che si trovano dopo un termine che finisce per consonante o per j. Dunque, per armonizzarsi con la parola che lo segue e che inizia con i digrammi sb, sc, …, l’articolo doveva finire con un suono vocalico. Ecco perché “illu libru” è diventato el liber e “illu sponsu” sono le spus. 2.1.8 Osservazioni sulla pronuncia Quanto detto al paragrafo precedente dovrebbe consigliare di evitare pause di qualsiasi genere tra l’articolo e l’unità lessicale che lo segue. L’unione dell’articolo con la parola seguente è normale in tutte le lingue, perché l’articolo è atono e si appoggia sul termine che accompagna e proprio per questo armonizza il suo suono ad esso, adottando diverse forme. 2.1.9 L’articolo davanti alle parole straniere Al giorno d’oggi non è raro che un termine di una lingua entri nel codice di un’altra. Per quanto concerne l’uso degli articoli determinativi davanti ai nomi stranieri, valgono le regole riportate nei paragrafi precedenti. L’unica cosa da tener presente è che, con queste parole, si fa caso più alla pronuncia che alla grafia. Si tenga presente che in piemontese la h iniziale è sempre muta, in modo che si dirà l’hobby, j’hobby; l’hotel, j’hotel; l’handicap, j’handicap. 2.2 Uso dell’articolo determinativo A differenza di altre lingue, il piemontese usa l’articolo determinativo nei casi sotto elencati: • davanti ai pronomi possessivi La machina ed Carlo a l’é növa, la nosta a l’é veja. Cula ca a l’é auta, la mìa a l’é bassa. Cula moto a l’é russa, la tua verda. • davanti ai nomi astratti La vrità a ven sempre a gala. Le büsìe a l’han le gambe cürte. La giüstissia a triunfa sempre. • davanti ai nomi usati in senso generale Le done italiane a sun elegante. Ij türc a fümo tant. J’american a beivo tant lait. • davanti ai nomi di metallo: El fer a l’é franc ütil. L’or a l’é un metal pressius. Nota - Tuttavia non si usa l’articolo davanti a un nome di metallo quando esso indica il complemento di materia Sto anel a l’é d’or o d’argent? • davanti al numero che indica l’anno El 1989 a l’é stait n’ann important. Columb a l’ha descüertà l’América del 1492. Alessi a l’é del 1991. L’89 a l’é nen stait n’ann bisest. Si noti che, per quanto concerne l’uso dell’articolo davanti ai numeri, bisogna regolarsi come se i numeri fossero espressi in lettere. • per esprimere la data (lingua orale). Nella lingua parlata, il numero che indica il giorno è di solito pre- ceduto dall’articolo Le lessiun a sun cuminsà el quat de stèmber. A sun vnüit sì el 5 ed gené del 1994. Ancöj a l’é nen el prim ed magg. • per esprimere la data (lingua scritta) Türin, el set ed gené del 1995. Milan, el 20 ed magg del 1992. Ruma, el 4 d’avril, del 1998. • davanti a un numero che indica una percentuale El 20% ed la populassiun a l’é bilenga. Am fa ne scunt del 35% (per sent). Nota - A differenza del francese e dell’inglese, ma come l’italiano, il piemontese usa l’articolo davanti al numero che indica una percentuale. • davanti ai numeri indicanti cifra o età approssimativa El cust a gira anturn aj sent mila euro. A l’era un giuvnot sij vint ani. • davanti ai nomi dei giorni o delle stagioni La dümìnica a l’é festa. Lünes i vad a scola. L’istà a l’é lascunda stagiun ed l’ann. L’invern a l’é na stagiun freida. Nota - I nomi dei giorni e delle stagioni perdono l’articolo quando sono preceduti dal verbo esse e non sono seguiti da determinanti. Jer a l’era dümìnica. A l’era la Ramuliva. A l’era d’istà. Quand ch’a cuminsa l’istà? Ancöj a l’é el prim lünes del meis. • davanti a un aggettivo indicante lingua o popolo L’ingleis a l’é nen na lenga tant fàcil. Ij portügheis a stan ant la penìsula ibérica. Nota - Quando l’aggettivo indicante la lingua segue il verbo parlé si usa sottintendere l’articolo. Lur a parlo sempre italian, ma a capisso co le spagnöl e el franseis. • davanti ai nomi di stato, continente o regione El Canada a l’é un gran pais. La Fransa as tröva ant l’Europa ossidental. El Piemunt a l’é ric ed vigne.

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